In che cosa consiste il peccato originale?

Aperto da sterpiu, 02 Dicembre 2017, 11:00:26 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Kobayashi

Angelo, anche se non penso che nei miei interventi Dio fosse presentato "come il bene infallibile e l'uomo come l'essere difettoso", andiamo avanti. Nel riferirmi a quella tradizione spirituale mi interessava soprattutto l'elemento della lotta interiore, del demoniaco.

Riprendendo quello che dici tu mi viene in mente che l'episodio di Caino e Abele è allora ancora più chiaro nell'evidenziare l'ambiguità – diciamo così – del comportamento di Dio di cui hai accennato.
Infatti viene detto esplicitamente che Caino e la sua offerta non sono graditi a Dio, mentre Abele e la sua offerta sì. Perché? Impossibile capirlo.
Ma un testo cattolico – che tu avrai allora profondamente criticato... – "Prendi il libro e mangia!", di Rossi De Gasperis, in modo un po' spudorato dice invece che "il Signore ama anche Caino, e lo consola con la sua parola contro lo scoraggiamento e la tentazione fratricida", mettendo poi al centro della vicenda la questione del rapporto con l'altro, e di come l'invidia e la violenza che ne scaturiscono dipendono dall'incapacità di Caino di accettare il fratello, di accettarne le differenze. Rossi De Gasperis ricorda anche l'interpretazione di Filone D'Alessandria secondo cui in realtà Caino non accettava se stesso e il fratricidio va letto come un suicidio.
Insomma nessun accenno al fatto che Caino non piaceva a Dio, che doveva fare i conti con questa cosa. Per Rossi De Gasperis tutti e due erano amati e ben voluti da Dio, anche se in modo diverso. Quindi stava a ciascuno dei due fratelli accettare che l'altro fosse amato in un modo specifico, ed evitare di farsi possedere dall'invidia.

Attendo anch'io, come green demetr, la tua analisi.
Ma intanto toglimi una curiosità: la tua è una lettura più vicina alla tradizione esegetica ebraica (che io non conosco...)?

Angelo Cannata

Sì, nell'episodio di Caino e Abele non si spiega come mai Dio guarda ai doni di Abele e non a quelli di Caino. Tuttavia, in quel caso, esiste una lettura del brano di tipo strutturalista che risulta molto illuminante, seria, fondata sul testo.

La mia lettura del racconto del peccato originale è un tipo di lettura che fa il massimo sforzo di leggere il testo così com'è e non sostenere nulla che non sia chiaramente rintracciabile, individuabile, dimostrabile nel testo scritto.

I tentativi di spiegazione su Caino a cui hai fatto riferimento hanno tutti lo stesso difetto: fanno riferimento a elementi di fantasia non rintracciabili nel testo.

Angelo Cannata

Ecco un mio commento dettagliato al racconto del peccato originale, visto che spesso mi è accaduto di imbattermi in discussioni che lo riguardano, ma poi viene fuori che manca una conoscenza critica del testo:

Il peccato originale – Genesi 2,4b-3,24

green demetr

"Scacciò l'uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all'albero della vita."

Grazie Angelo, gran lavoro!!!

Che dire, sono stordito dalla difficoltà ermeneutica! Però mi sembra che la proposta, che l'albero del bene e del male e l'albero della vita siano lo stessa cosa, tiene.

Questa ipotesi di ritorno io non l'avevo MAI sentita, eppure mi sembra uno dei momenti più incredibili e nodali.

Credo di capire molto meglio ora come concili il pensiero debole con la fede.

Un Dio in progress. Un Dio che diventa un padre migliore, gradino dopo gradino nella storia.

Devo dire che trovo la tua lettura molto originale, ed effettivamente tiene.

L'unico appunto è che anche la tua è una versione psicologista, e per questo non del tutto neutrale, anche se chiaramente onesta.

Io mi sento portato per una ermeneutica simbolica comunque.

Le mie prime impressioni....Terra - Mancanza d'Acqua - Cespuglio - Specchio - Soffio - Fuoco - Serpente - Eva - Cultura - Terrore

ADAMO il SOGGETTO, il SUB-EIECTUS, l'espulso dalla TERRA e dalla VITA.

il DIO ATTERRENTE- ANNICHILENTE.


Sono un pò stanco, ma non ricordo la parola peccato....in effetti si tratta della formazione di una relazione, e del suo ambiente.

Anche se quel CHE HAI FATTO?! mi è rimasto in testa, e ronza intorno.

Quando il bambino piange il padre fa di tutto per consolarlo...qui invece....non so se torna molto questo tentativo di parallelo.[/justify]
Vai avanti tu che mi vien da ridere

InVerno

Citazione di: Angelo Cannata il 09 Dicembre 2017, 23:23:51 PM
Ecco un mio commento dettagliato al racconto del peccato originale, visto che spesso mi è accaduto di imbattermi in discussioni che lo riguardano, ma poi viene fuori che manca una conoscenza critica del testo:

Il peccato originale – Genesi 2,4b-3,24
Grazie per il tempo che ti sei preso, molto interessante, trovo però alcune considerazione della tua analisi "gratuite", quindi ti chiederei di contestualizzarle se hai tempo.
Fai perno sull'idea che la negazione implicitamente descriva un rapporto quasi di dipendenza, o di necessità, della terra del lavoro dell'uomo. Io onestamente non la vedo una considerazione per niente automatica. Al contrario, essendo questa una tra le tante mitologie dell'età dell'oro, esse hanno come ricorrente il raccontare uno stato originario ove manca l'elemento corruttore (per giustificare un futuro ordine "rettificatore" - stato nascente per dirla a-la Alberoni). Interpretata nella seconda maniera rientra in una certa tradizione, interpretata nella maniera da te esposta sembra un unicum, ma per grandi asserzioni servono grandi prove.
Mi potresti dire che la risposta sta nel passo successivo, però non è nemmeno vero. I miti di uomini "di argilla" poi soffiati son piuttosto comuni, e questo tipo di miti argilla-pneuma(ruah) rispecchia quella che era la cosmologia elementale del tempo (come fa anche notare Demetr) , tu invece ancora la riporti ad un rapporto di dipendenza della terra, ma il ragionamento appare circolare con la parte precedente. Poniamo anche semplicemente il caso che "certe cose" a quei tempi accadevano solo e solamente in "certi modi" (per via degli elementali), le divinità nascono solo dalle vergini, gli uomini solo dal pneuma infuso nell'argilla, la scelta poetica che spiegherebbe la tua analisi metaforica si nullifica in mancanza della possibilità di scegliere per mancanza di alternative. Se mi son spiegato, rimando al concetto di "mitema" (mito-fonema) di Strauss.
Vorrei fare altre osservazioni sul testo ma le ritengo di minore importanza rispetto a questo che ritengo il punto centrale (del mio interesse) il rapporto uomo-terra.. Conviene ricordare che al contrario degli abbagli presi dagli studiosi a cavallo 800\900 è molto probabile che chi tramandasse queste tradizioni fosse ben lungi dal considerare il lavoro della terra come un immediato balzo in avanti di qualità della vita, e qualsiasi analisi che veda questo nuovo rapporto in una luce progressiva (anzichè involutiva, di una "condanna") sia perciò sbagliata, compresa quella dell'uomo "virtuoso giardiniere". E' peraltro abbastanza chiaro che questa "condanna" sia iniziata migliaia di anni prima, e che chi tenti di mantenere questa tradizione tenti in realtà di conservare un "monito riconosciuto", un tropos, un "luogo comune" ad altre tradizioni. E' l'idea religiosa dell'ispirazione divina a voler vedere una poetica "unica" (con motivazioni uniche) in ciò che in realtà era abbastanza comune (gli ebrei avran pur saputo di copiare dai sumeri). La miriade di "tell" intorno alla città di Urfa-Edessa ci ricordano proprio questo.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Angelo Cannata

#20
Sarà bene fare qualche premessa.

Il commento che ho scritto al brano della Genesi ha come scopo evidenziare quello che si trova nel testo, mostrare ciò che dice il testo: esso è interamente basato sul testo.

Poi sarà interessante fare confronti con ciò che si trova in altre culture, testi, tradizioni, studi e studiosi, ma per poter fare questi confronti bisogna prima aver chiaro che cosa è scritto nel testo del racconto.

Le basi, le prove di ciò che ho scritto si trovano nel testo: ciò significa che per mettere in discussione le cose che ho scritto bisogna mettere in discussione le relative basi e prove che si trovano nel testo. Non serve fare confronti con altre culture, tradizioni e studi, perché ciò non fa parte di ciò su cui ho basato il mio commento. Il mio commento si basa solo sul testo.

Fatte queste premesse, entriamo nel merito di ciò che hai scritto.

Citazione di: InVerno il 12 Dicembre 2017, 11:11:32 AMFai perno sull'idea che la negazione implicitamente descriva un rapporto quasi di dipendenza, o di necessità, della terra del lavoro dell'uomo. Io onestamente non la vedo una considerazione per niente automatica.

Non ho scritto che la negazione descriva un rapporto di dipendenza. Il rapporto di dipendenza dell'uomo dalla terra è presente nel testo, ma non ho scritto che siano le negazioni a fornire la base di ciò.

Le prove del rapporto tra uomo e terra, visto dal brano come rapporto di dipendenza, asservimento, si trovano nel testo del brano. Sono prove, non opinioni. Provo ad elencarle qui in maniera più esplicita e dettagliata.

1) La prima volta che nel racconto si fa menzione dell'uomo, tale menzione viene fatta in funzione della necessità che la terra aveva di essere lavorata: 2,5: "non c'era uomo che lavorasse il suolo". Questo ha un peso oggettivo fondamentale: il nostro racconto è una narrazione e in qualsiasi narrazione ha un peso fondamentale il primo impatto con cui il protagonista viene presentato, il primo contesto in cui viene posto, la prima impressione che il testo imprime nel lettore. Quando il lettore non ha ancora sentito parlare di "uomo", la prima volta che il testo ne parla è per dire che alla terra mancava un operaio.
Quest'elemento è rafforzato dal confronto con il primo racconto della creazione: in quel racconto, invece, l'uomo è il culmine di una lunga serie di cose create; di ogni cosa creata si dice che è buona, ma dell'uomo si dice alla fine "molto buona". Niente di tutto questo si trova nel secondo racconto della creazione. Il secondo racconto non esprime nessuna gioia da parte di Dio per la creazione dell'uomo, nessun compiacimento. Nel primo racconto Dio parla la prima volta all'uomo per benedirlo; nel secondo racconto, le prime parole che Dio rivolge all'uomo sono divieto e minaccia di morte.

2) Nei primi tre versetti del racconto abbiamo 9 menzioni della terra e suoi sinonimi: "Queste sono le origini del cielo e della terra, quando vennero creati. Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c'era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d'acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo". Questa grande concentrazione terminologica è un altro fatto oggettivo, ancor più perché posta come partenza del racconto.

3) Nel secondo racconto della creazione l'uomo viene formato da Dio impastando terra. Quali che siano i motivi di questo modo di fare l'uomo, in ogni caso il linguaggio impone nella mente del lettore un ulteriore elemento di stretta dipendenza dell'uomo dalla terra: l'uomo è stato fatto impastando terra; l'uomo è terra impastata. Non siamo certo in un linguaggio che faccia pensare ad un terra umanizzata, ma all'opposto, un uomo che viene a trovarsi "terrificato", nel senso di "fatto di terra", ma non mi dispiace che il termine "terrificato" richiami alla nostra mente di italiani, piuttosto che la "terra", il terrore. Nel primo racconto Dio aveva detto all'uomo "riempite la terra e soggiogatela". Qui l'uomo non è certo uno che soggioga la terra, ma al contrario, uno che ne è soggiogato. Come dicevo nel commento, il termine ebraico per dire "terra" è quasi uguale al nome di Adamo: anche il nome deve ricordare ad Adamo che egli è fatto di terra.

4) Il versetto 2,15, "Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse" continua a rimarcare il rapporto dell'uomo con la terra: egli non viene messo nel giardino per soggiogarlo e dominarlo, come invece si diceva nel primo racconto della creazione, ma piuttosto per lavorare in esso ed esservi custode. Quest'affermazione offre conferma di ciò che in 2,5 veniva affermato implicitamente: "non c'era uomo che lavorasse il suolo". Questa frase suggerisce l'idea che l'uomo verrà creato con questo scopo, cioè semplicemente perché a Dio serviva un operaio per il suo giardino. Ciò che veniva suggerito, ora si trova affermato esplicitamente: "perché lo coltivasse e lo custodisse": è proprio così: l'uomo è stato creato non per scopi alti, nobili, ma solo perché a Dio serviva un operaio. Il primo racconto è tutto all'opposto: lì si dice subito che l'uomo è a immagine di Dio, il che suggerisce che Dio fece l'uomo perché aveva bisogno non di un operaio, ma di uno che stesse alla sua altezza, al suo livello, uno con cui potersi intendere.

5) In 2,19, "Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali" anche degli animali si dice che furono fatti esattamente come l'uomo, impastando terra. Questo è uno schiaffo a chi volesse ritenersi superiore agli animali. Il primo racconto invece si affretta a dire una cosa che non era stata affermata di nessun altro essere: lo fece a immagine di Dio.

6) Le maledizioni di Dio pronunciate in 3,17-19

All'uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato: "Non devi mangiarne", maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!».

condannano l'uomo alla terra, sia come motivo di durezza di vita, sia come necessità inesorabile di tornare ad essa. L'uomo è stato fatto impastando terra e dovrà tornare ad essere terra. Chi alla fine vince è sempre la terra.

Citazione di: InVerno il 12 Dicembre 2017, 11:11:32 AM...interpretata nella maniera da te esposta sembra un unicum, ma per grandi asserzioni servono grandi prove.

Ecco le prove: questi che ho presentato sono elementi oggettivi, prove, in qualsiasi momento dimostrabili, controllabili, falsificabili, presenti nel testo. Chi voglia mettere in discussione che il secondo racconto della creazione presenta l'uomo come dipendente, asservito, soggiogato alla terra, dovrà mettere in discussione queste prove presenti nel testo.

Kobayashi

Angelo, molto interessante il commento che hai pubblicato. Grazie.

InVerno

Citazione di: Angelo Cannata il 12 Dicembre 2017, 17:24:30 PM
Sarà bene fare qualche premessa.

Il commento che ho scritto al brano della Genesi ha come scopo evidenziare quello che si trova nel testo, mostrare ciò che dice il testo: esso è interamente basato sul testo.

Poi sarà interessante fare confronti con ciò che si trova in altre culture, testi, tradizioni, studi e studiosi, ma per poter fare questi confronti bisogna prima aver chiaro che cosa è scritto nel testo del racconto.

Le basi, le prove di ciò che ho scritto si trovano nel testo: ciò significa che per mettere in discussione le cose che ho scritto bisogna mettere in discussione le relative basi e prove che si trovano nel testo. Non serve fare confronti con altre culture, tradizioni e studi, perché ciò non fa parte di ciò su cui ho basato il mio commento. Il mio commento si basa solo sul testo.

Fatte queste premesse, entriamo nel merito di ciò che hai scritto.
Ciò che intendo sottolineare è che, anche senza la benchè minima pretesa di "storicità" (a quel tempo inesistente), l'AT si "colloca" nel contesto di un epoca ben definita di cui si premura di esplicitare la forma, l'origine e il destino . A differenza del NT formato da quattro primi piani di Cristo, AT si premura di creare un "campo lungo", una cosmologia dove la maggior parte dei fatti inventati ha lo scopo di glorificare i giudei, ma riporta anche la memoria di avvenimenti che ad oggi possiamo considerare "storicamente consolidati" come la condanna agricola, o e la fine dell'era glaciale (diluvio) questioni di dieta e di politica. Insomma capisco che vuoi stare "nel" testo, ma in realtà sei "sul" testo perchè è il testo stesso a uscire nel mondo reale e a provare a inserirsici tramite falsificazioni, mitologicizzazioni, ma anche memorie collettive o tradizioni che in alcuni casi e sul piano metaforico-mitologico si possono considerare verosimiglianti. Posto che considerati i precedenti risultati di archeologia biblica, da Gerico a Gerusalemme, e le "figuracce" rimediate, bisogna certamente andare con i piedi di piombo, nel caso del rapporto uomo-terra e lo sviluppo agricolo stiamo certamente parlando di un evento storicamente avvenuto, non nei termini ne nelle situazioni biblicamente descritte, ma che è avvenuto e di cui ci rimane di interpretare come esso fosse conservato, interpretato, e considerato da una cultura perlomeno 5mila anni avanti (con tutto ciò che riguarda il famoso "effetto Babele"). Mi sembra pleonastico ricordare (visto la miriade di interventi da me fatti a riguardo) che non mi interesso personalmente dell'aspetto teologico e quindi hai buon gioco a trincerarti "nel" testo anche perchè lo considero fondamentalmente incomprensibile senza ricostruire il "lettore" (cioè il sistema  semantico-logico che appone i significanti ai segni) operazione possibile solamente pensabile attraverso la compresione del contesto storico. Per questo non rispondo alla seconda parte del tuo intervento, quella che ritieni ottenuta "dal testo" che è la risultante tra te (lettore moderno) e un testo scritto per occhi antichi, la ricostruzione dei quali è il mio vero interesse biblico e l'unica relazione autore-lettore che considero veritiera (e di solvibilità mai storica o filologica, ma solo letteraria o fantastica). Indi per cui sono d'accordo con ciò che dici (o posso esserlo) ma non penso che queste valutazioni possano avere un rilievo diverso del tuo rapporto con il testo e credendo nella religione come forma di relazione, anche con il testo, sono costretto a considerare le tue analisi come questione puramente di fede.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Angelo Cannata

Le mie analisi non sono questione di fede: sia nel commento che ho scritto, sia nelle prove che ho descritto più in dettaglio nel mio ultimo messaggio, non c'è una sola parola o frase che richieda la fede in Dio; quando ho fatto riferimento a Dio, l'ho fatto da un punto di vista che non implica la fede: anche un ateo può parlare di Dio, pur non credendo nella sua esistenza.

Questa discussione aperta da Dubbioso ha come oggetto il peccato originale.

Nel susseguirsi dei vari messaggi ho notato una carenza di familiarità con il testo che sta alla sua base e allora ho fornito un commento interamente fondato sul testo.

In questo senso non c'entra niente il rapporto con la storia, con come sono andati i fatti in realtà: nel livello dell'analisi che ho presentato, non ha alcuna importanza stabilire, ad esempio, se sia vero o falso che Adamo ed Eva sono esistiti, se alcuna cosa o evento di cui si parla nel testo sia mai esistita: queste sono questioni successive, certamente interessati, ma successive: è ovvio infatti che non ha senso interrogarsi sulla storicità di ciò che dice il testo, se prima non si ha idea di ciò che il testo effettivamente dice.

Quando si vuole affrontare un problema con serietà, una cosa da fare è non mescolare le questioni, ma invece affrontarle con ordine. Ora, riguardo alla questione del peccato originale, la primissima questione è senza dubbio il testo, perché su quello si basa tutto il resto. Se prima non è chiaro cosa dice il testo, non ha senso imbarcarsi in questioni teologiche, storiche, comparativistiche, ecc.

In questo senso io ho riportato la questione del peccato originale alla sua base fondamentale: il testo. A questo livello non ha senso introdurre questioni estranee come quelle che hai posto tu. Ovviamente non ho alcuna intenzione di limitare tutta la discussione al testo e chiuderla lì: il testo si studia proprio in vista dei passi ulteriori da compiere nell'approfondimento.

Le questioni che tu proponi sono successive all'analisi del testo, non inerenti ad esso, per questo non ha senso mescolarle con l'analisi del testo.

Quello che io ho fatto non è teologia, si chiama esegesi: l'esegesi, nella sua forma basilare consiste in questo: evidenziare ciò che c'è nel testo. Poi, dopo, si può provare a trovare o fabbricare sopra tutte le teologie che vogliamo.

Per quanto riguarda il problema del soggettivismo nell'interpretazione, si tratta di un problema filosofico e non ha senso introdurlo in mezzo all'analisi del testo. Sarebbe come dire al chirurgo che forse il bisturi che ha in mano non esiste: quest'obiezione è corretta, ma è corretta se si vuole fare filosofia; ma che senso ha fare filosofia mentre il medico sta operando il malato? Così è per il testo. L'esegesi compie il massimo sforzo di tirare fuori dal testo elementi oggettivi, così come il medico cerca di tirare fuori, ad esempio, la temperatura corporea del paziente, servendosi di un termometro. Non ha senso in quella fase tirare fuori questioni di soggettivismo. Non è certamente vietato, ma servirebbe solo a creare confusioni, non certamente a costruirsi idee chiare sulle varie questioni.

In altre parole, il lavoro che ho fatto col mio commento è un'analisi che ha la pretesa di essere addirittura scientifica, per il fatto di presentarsi come oggettiva, dimostrabile, falsificabile. Ora, io sono il primo a criticare l'oggettività della scienza, ma lo faccio quando faccio filosofia; non ha senso parlare di epistemologia allo scienziato mentre è impegnato a compiere misurazioni.

In sintesi, le questioni che poni sono senz'altro valide, interessanti, ma non vedo che senso possa avere mescolarle in mezzo all'analisi basilare del testo che ho condotto. Tanto meno, quindi, hanno valore come critica dell'analisi del testo che ho fatto. L'analisi del testo può essere criticata con altre analisi del testo; altri tipi di studio non la scalfiscono, allo stesso modo in cui, se voglio criticare il modo in cui uno storico mi presenta la figura di Garibaldi, devo entrare nella critica storica: dire semplicemente che le nostre idee su Garibaldi sono soggettive non scalfirebbe minimamente il discorso dello storico.

InVerno

Hai ragione nel dire che le mie sono considerazioni successive, il fatto è esattamente questo, prendo per buono ciò che hai scritto, e lo confronto con un livello di analisi successivo, al di la della formattazione dei forum che vorrebbero la mia risposta una critica alla tua analisi, è il contrario, è il prenderla per buona e portarla a raffrontarsi con altri piani. Perchè all'interno del testo lo spazio è limitato, o viene limitato dall'esegeta. Tu stesso fai notare l'incongruenza (soggiogatore -> custode) ma se ne possono facilmente trovare altre, basta allargare il campo di analisi oltre a ciò che hai delimitato, e come è facile aspettarsi da un racconto composto a "più mani", scoppiazzatto, in diverse ere e poi assemblato in forma scritta, ci sono  altre situazioni controintuitive (per esempio perchè Caino sia l'agricoltore "custode" e non il pastore, questione che era già stata dibattuta con DonChichotte). Ma lasciando perdere tutto questo che rischia di oscurare il buon lavoro che hai messo in piedi, allora ti chiedo, che cos'è la terra, il suolo?
Il suolo fisico? Il creato? L'origine della vita? Il destino dell'uomo? Un liberatore o uno schiavista? l'origine dello spirito o dove lo spirito (soffio) non penetra? Parte di quella ricostruzione "del lettore" passa anche attraverso questo, nel sapere cosa sia questa protagonista muta che viene data per scontata per materiale, ma sembra avere proprietà e capacità sacre che collegano l'uomo al concetto di divino. Esiste una catarsi della terra?
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

baylham

Secondo me l'interpretazione tradizionale della Genesi è corretta. La storia è la spiegazione e giustificazione del dolore, della fatica, della morte, in sintesi del male nella vita dell'uomo. Che la spiegazione della responsabilità, colpa dell'uomo sia illogica, non regga, non cambia il senso della storia.

Il punto centrale comunque è l'esistenza del paradiso terrestre in cui la condizione dell'uomo è libera dalla morte, dal dolore, dalla fame, dalla fatica: il paradiso terrestre è una possibilità aperta proprio perché c'è già stata, può rinnovarsi con nuove storie. Questa è la grande menzogna su cui si basano la storia e le storie successive.

Giusta l'analisi di InVerno: il paradiso è rappresentato dall'economia della raccolta mentre la fuoriuscita dallo stesso è rappresentata dall'economia agricola. Tuttavia non trarrei la conclusione che l'agricoltura sia un arretramento, una involuzione economica-sociale. Evidentemente chi ha scritto la Genesi rimpiange il passato, è un conservatore che non apprezza i vantaggi ed i conseguenti svantaggi della rivoluzione agricola. Ma le storie per loro natura sono menzognere, la realtà viene spesso rovesciata.

Perciò su questo punto l'interpretazione di Angelo Cannata non mi convince:  "non c'era uomo che lavorasse il suolo" significa proprio che la terra non aveva bisogno del lavoro dell'uomo, che l'uomo doveva solo prendere senza fatica i frutti della terra. La terra non aveva bisogno di essere irrigata, come accadde con l'agricoltura dei Sumeri in Mesopotamia, era spontaneamente irrigata: "una polla d'acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo".

Angelo Cannata

Citazione di: baylham il 14 Dicembre 2017, 16:27:20 PMPerciò su questo punto l'interpretazione di Angelo Cannata non mi convince:  "non c'era uomo che lavorasse il suolo" significa proprio che la terra non aveva bisogno del lavoro dell'uomo, che l'uomo doveva solo prendere senza fatica i frutti della terra. La terra non aveva bisogno di essere irrigata, come accadde con l'agricoltura dei Sumeri in Mesopotamia, era spontaneamente irrigata: "una polla d'acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo".
Gli studiosi si sono interrogati riguardo alla situazione per certi versi versi contraddittoria di 2,5-6, "nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c'era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d'acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo": in partenza si descrive un ambiente desertico, per la mancanza di vegetazione di qualsiasi genere, motivata con la mancanza di pioggia. Alla fine però il riferimento all'acqua che spunta dal suolo contraddice il quadro desertico precedente. Alcuni hanno pensato di giustificare ciò con la provenienza molteplice dei frammenti di racconti, che poi sarebbero stati messi insieme per formare un racconto unico. Questa soluzione però è solo un'ipotesi gratuita, priva di alcun elemento dimostrabile e inoltre non rende giustizia a chi abbia redatto il testo, ipotizzando che non si sia accorto della contraddizione. La soluzione più accettata è quella che trova la chiave della differenza nella mancanza di intervento umano. Questa linea interpretativa viene a risultare in consonanza con l'ambiente originario mesopotamico, in cui le piene dei fiumi fornivano abbondanza di acqua, ma era l'opera di canalizzazione dell'uomo a rendere quest'acqua produttiva di frutti.

In questo senso il testo conserva il significato che ho detto nel commento, cioè mette in risalto il bisogno, da parte della terra, di opera umana per poter dare frutti apprezzabili. L'affermazione che

Citazione di: baylham il 14 Dicembre 2017, 16:27:20 PM...l'uomo doveva solo prendere senza fatica i frutti della terra...
è contraddetta dal testo: "nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata": se non c'erano erba né cespugli, ancor meno si può pensare che ci fossero alberi da frutto.

Angelo Cannata

#27
Citazione di: InVerno il 14 Dicembre 2017, 10:57:19 AM
...che cos'è la terra, il suolo?
Il suolo fisico? Il creato? L'origine della vita? Il destino dell'uomo? Un liberatore o uno schiavista? l'origine dello spirito o dove lo spirito (soffio) non penetra? Parte di quella ricostruzione "del lettore" passa anche attraverso questo, nel sapere cosa sia questa protagonista muta che viene data per scontata per materiale, ma sembra avere proprietà e capacità sacre che collegano l'uomo al concetto di divino. Esiste una catarsi della terra?
In tutte queste domande che hai posto sarebbe bene chiarire il tipo di via che si preferisce seguire, una via di libera discussione e riflessione, di cui il testo della Genesi è solo un pretesto, oppure una via di sforzo di adesione al testo.

Voglio dire, nelle domande che hai posto vedo il rischio di porre al testo domande che ad esso non interessano affatto. Sarebbe una forzatura costringere il testo a rispondere ad ogni costo alle nostre domande.

Teniamo presente che le nostre domande nascono da una mentalità ancora tutta condizionata dalla filosofia greca, portata a chiedersi su ogni cosa "Che cos'è?", portata a capire, interpretare, inquadrare in schemi di comprensione.

Se esaminiamo il testo, ci sono elementi per ritenere che in esso non ci sia interesse a fornire idee che rispondano a domande come cos'è la terra, che tipo è Dio, qual è il destino dell'uomo, ecc.

Uno di questi elementi è la situazione cronologica del testo: non abbiamo idee sicure su quando fu composto, soprattutto tenendo presente che i frammenti originari possono essere molto più antichi di quando poi furono armonizzati in un unico racconto. In ogni caso, il testo fu composto in epoca pre-greca, cioè quando la filosofia non si era ancora neanche affacciata alle menti come pratica interessante.

Poi un altro elemento è il genere letterario del testo: esso non si presenta come trattazione, né come riflessione, ma come racconto, come narrazione. Le narrazioni sono opere d'arte ed è sempre una forzatura pretendere di far corrispondere gli elementi e i sensi di una narrazione qualsiasi con idee nette e precise. La narrazione, in quanto opera d'arte, è creata anzitutto per essere gustata, vissuta, sperimentata; senza dubbio essa può contenere anche concetti, insegnamenti, messaggi, ma questi sono da considerare aspetti secondari rispetto a ciò che il testo risulta essere, cioè un oggetto di esperienza, prima che di insegnamento o concettualizzazione. Se l'autore avesse voluto dirci che l'uomo è una creatura oppressa, avrebbe scritto "l'uomo è una creatura oppressa"; ma se invece di questo crea un racconto, vuol dire che l'autore non vuole limitarsi ad esprimere un messaggio, anzi, è possibile che il messaggio che noi pensiamo di ricavarne sia del tutto secondario; siamo noi ad essere fissati a tirare fuori dalle opere d'arte i significati, i messaggi, e in questo modo, invece di gustare l'opera d'arte, smettiamo di guardarla e ci mettiamo a riflettere sui messaggi che ne abbiamo tratto; ma questo è tradire l'opera d'arte. Non che sia vietato rifletterci, ma bisogna fare attenzione a non credere di aver capito tutto quando ci siamo formati dei concetti sui sensi di un racconto.

Inoltre, ho l'impressione che sia in circolazione una sopravvalutazione del comparativismo. Per me è un eccesso, perché viene ad essere una metodologia simile a quella della "storia delle forme". Alcuni decenni fa, quando andò di moda questo metodo per interpretare i testi della Bibbia, ci si sentiva orgogliosi di aver capito tutto, compiaciuti di aver smascherato le origini frammentate di ogni pezzo della Bibbia e poterle ricomporre. Poi questa moda fallì, anche se rimangono pur sempre frutti importanti del lavoro serio compiuto, per due motivi: perché su ogni brano c'erano troppi disaccordi tra gli studiosi e perché alla fine questo metodo risultava arido, vuoto di spiegazioni sui significati del testo. Allo stesso modo, una volta che si siano "smascherate" le parentele dei testi biblici con le tradizioni dei popoli vicini, o anche lontani, può nascere l'orgoglio, il compiacimento, di aver svelato i significati del testo. In realtà alla fine si rimane con un pungo di mosche, soprattutto se si considerano i risultati di queste ricerche con le analisi più approfondite del testo in sé. Per questo oggi si preferisce concentrarsi sul testo, anche se è ovvio che ogni altra ricerca conserva comunque la sua utilità e i suoi motivi di interesse.

Per me rimane quindi la domanda che ho posto all'inizio: bisogna prima aver chiaro se il testo dovrà essere trattato solo come un pretesto per discutere di quello che interessa alle nostre mentalità di oggi, o se invece vogliamo lasciare che sia il testo a mettere in questione già il nostro stesso modo di porre ad esso delle domande.

Io ho tutto l'interesse ad approfondire le questioni che hai posto, ma credo importante chiarire prima in che modo ci si vuole muovere, dove si vuole andare a parare, quali terreni preferiamo esplorare.

InVerno

#28
Citazione di: baylham il 14 Dicembre 2017, 16:27:20 PMTuttavia non trarrei la conclusione che l'agricoltura sia un arretramento, una involuzione economica-sociale. Evidentemente chi ha scritto la Genesi rimpiange il passato, è un conservatore che non apprezza i vantaggi ed i conseguenti svantaggi della rivoluzione agricola. Ma le storie per loro natura sono menzognere, la realtà viene spesso rovesciata.
La rivoluzione agricola è un arretramento per alcuni parametri immediati (dieta, sanità etc) e un progresso per altri (civiltà) il punto sta ancora una volta in come essa sia stata probabilmente vissuta dai coevi (che poco avevano da spartire con il "senno di poi" che avrebbe goduto dei vantaggi, ma avranno probabilmente sofferto le immediate conseguenze negative). Diverse analisi hanno provato a tracciare a partire da focolai riconosciuti (mesopotamia, Indo, etc) il ritmo di espansione dell'agricoltura, ciò che risulta ad oggi è che essa si è espansa con una incredibile lentezza, non certo la velocità che si addice a una tecnlogia che avrebbe illuminato il mondo come si credeva prima degli anni 50, al punto tale che è possibile anche ipotizzare che essa sia stata "costretta" da una qualche casta o in funzione di qualche particolare progetto.

Citazione di: Angelo Cannata il 14 Dicembre 2017, 17:08:41 PMPer me rimane quindi la domanda che ho posto all'inizio: bisogna prima aver chiaro se il testo dovrà essere trattato solo come un pretesto per discutere di quello che interessa alle nostre mentalità di oggi, o se invece vogliamo lasciare che sia il testo a mettere in questione già il nostro stesso modo di porre ad esso delle domande. Io ho tutto l'interesse ad approfondire le questioni che hai posto, ma credo importante chiarire prima in che modo ci si vuole muovere, dove si vuole andare a parare, quali terreni preferiamo esplorare.

Per me rimane sempre lo stesso, ed essendo che abbiamo avuto altre discussioni a riguardo già lo conosci e pensavo di non doverlo specificare, contestualizzazione dei concetti e ricostruzione dei significanti. Un altro concetto interessante è quello del "giardino" - Eden, è utile ricordare che a differenza della concezione moderna, il giardino era anticamente considerato una forma d'arte tra le più nobili, e gli esempi di tale espressione sono ovunque nella mezzaluna fertile (il più famoso ovviamente i "giardini pensili"), i santuari naturali e i boschetti sacri completano l'idea di zone naturali ordinate dall'uomo come luogo privilegiato di spiritualità. Se ad un lettore moderno pensare Adamo piazzato a custodire un giardino può sembrare niente più che una fantasia naif, io metterei i miei denari sulla scommessa che per un lettore antico questo significasse l'accesso privilegiato verso un ideale estetico precluso ai più , ma della massima finezza e della massima responsabilità e onore, e nulla mi toglie dalla testa che riuscire in questo tipo di impresa possa avvicinare maggiormente al testo di quanto possa farlo l'analisi del testo in se, che pur concordo che deve essere il più possibile "onesta" e razionale.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Angelo Cannata

#29
Non ci sono dubbi che il giardino è nel racconto un luogo di felicità, nobilitante, assimilabile perfino ad un santuario in cui godere della vicinanza e dei favori di Dio. In questo senso, il modo in cui il giardino è presentato nel racconto è perfettamente in accordo con il modo in cui si fa riferimento al giardino nelle culture della mezzaluna fertile.

Il giardino però diventa nel nostro racconto il luogo di confronto tra due prospettive che si vanno progressivamente scoprendo vicendevolmente incomprese e poi perfino inconciliabili: la prospettiva di Dio e la prospettiva dell'uomo. C'è una logica che dice sia a Dio che all'uomo che l'uomo nel giardino dovrebbe essere felice. Si può infatti immaginare che in partenza anche l'uomo ritenesse di dover essere felice in quel giardino. I fatti invece costringono lentamente sia Dio che l'uomo a prendere atto che ciò non è vero, c'è qualcosa che pur sempre manca al giardino.

In questo senso si potrebbe anche pensare che il nostro racconto si ponga come visione critica rispetto alla cultura che era in circolazione al suo tempo. Questo modo di procedere non è una novità: si nota spesso come nella Bibbia tanti materiali siano presi in prestito dalla culture circostanti, però vengano modificati in modo da introdurre una visione polemica rispetto alla cultura in circolazione. Si può anche sospettare che di questa polemica gli autori biblici non fossero neanche del tutto consapevoli: la forza critica del testo biblico, più che essere prodotta da un'ideologia consapevole di dove andare a parare, può essere apprezzata come derivante da una sensibilità spirituale simile a quella degli artisti. L'artista infatti non è propriamente un filosofo, un ideologo, un pensatore; egli è piuttosto uno che cerca di ascoltare l'esistenza e mettere nelle sue opere l'effetto di tale ascolto, la cui fisionomia non è del tutto nota neanche a lui stesso. In altre parole, un pittore che crea un quadro rivoluzionario non lo fa perché abbia avuto effettivamente in progetto di fare un quadro rivoluzionario; egli piuttosto ha ascoltato l'esistenza, il mondo, la propria sensibilità e ha continuato ad ascoltare anche mentre la sua mano muoveva il pennello.

In questo senso, quando io individuo nel testo elementi che tradiscono un'infelicità dell'uomo, non è detto che quegli elementi siano stati consapevolmente e volontariamente introdotti nel testo dall'autore biblico; si può benissimo pensare che quegli elementi siano nati nel testo proprio grazie al fatto che l'autore, mentre scriveva, ascoltava, allo stesso modo in cui il paziente che racconta un suo sogno non si accorge di star raccontando con quelle immagini un universo che gli vive dentro. Di quell'universo può accorgersi lo psicologo che lo sta ascoltando, ma, in aggiunta, ci possono essere in quel sogno altri elementi ancora, di cui si potrà accorgere non lo psicologo, ma solo chi è portatore di altre sensibilità, come per esempio l'artista o il filosofo. In questo senso il "counseling filosofico", o direi anche la spiritualità, hanno un loro fondamentale motivo di esistere, un loro ruolo insostituibile.

Un volta chiarito tutto questo, non è difficile trovare nel racconto una specie di lapsus freudiani che sono come sfuggiti alla penna dell'autore biblico e che tradiscono la sua insoddisfazione, nonostante egli sia convinto, nella sua consapevolezza, che il giardino debba essere un luogo di felicità. Questi elementi, questi lapsus, sono quelli che ho già fatto notare: il fatto che non è l'uomo a piantare il giardino, ma Dio, il quale quindi non potrà fare a meno di tendere a farlo come piace a lui, piuttosto che come sarebbe piaciuto all'uomo; il fatto che l'uomo viene preso, sollevato di peso e depositato nel giardino, piuttosto che, per esempio, invitato ad esplorarlo, visitarlo, di sua iniziativa. In 2,15 troviamo che l'uomo fu posto nel giardino "perché lo coltivasse e lo custodisse", ma chi fu a stabilire questo programma, Dio, oppure l'uomo, nella cui mente, dopo essere stato posto nel giardino, sarebbe sbocciato spontaneo il pensiero piacevole di coltivarlo e custodirlo? La struttura della narrazione non lascia dubbi, perché in essa è Dio che prende l'iniziativa di tutto e forma i progetti su cosa si dovrà fare e non fare. Questi e altri elementi, che è possibile individuare nel testo come elementi inconsci, nascosti, involontari, risultano a noi oggi tanto più evidenti nella misura in cui siamo stati smaliziati, illuminati, da messaggi provocatori, esterni al testo, che ci hanno insegnato a pretendere da Dio molto di più e non poterci più affatto accontentare di essere messi da lui in un giardino di felicità. Il messaggio più dirompente in questo senso è quello venuto da Gesù: egli rompe il concetto del Dio perfetto, superiore, datore di felicità, e introduce quello di un Dio che fallisce e muore in croce senza saper rispondere agli interrogativi su questi fallimenti, cosa che il libro di Giobbe non aveva saputo fare, pur avendo sollevato il problema. Il velo del tempio che si squarcia nel momento in cui Gesù muore simboleggia questa nuova pretesa a cui con Gesù siamo pervenuti: Dio non ha diritto di stabilire unilateralmente i termini dei nostri accordi con lui; se vuole prendere accordi deve ascoltare anche noi. Deve ascoltare da noi anche la sua propria identità; dopo Gesù non può più permettersi di essere l'unico autore di sé stesso. È questa la bestemmia di Gesù contro il Dio dei farisei, pronunciata nell'atto di farsi uomo con la pretesa di essere Dio che si è fatto uomo. Questo ci fa andare a rileggere il primo racconto della creazione, che già anticipa queste pretese superiori: l'uomo creato a immagine di Dio.

Questo nostro secondo racconto della creazione ha compiuto ciò che sanno fare gli artisti: pur non avendo le consapevolezze critiche e provocatorie che sarebbero state introdotte nella nostra coscienza da Gesù, intuisce profondamente il conflitto con Dio e crea questa sua opera, cioè questo racconto, che già millenni prima di Gesù è stato capace di insinuare nelle menti, se letto senza i preconcetti colpevolizzanti l'uomo con cui le tradizioni l'hanno sommerso, l'immagine di un Dio che fallisce, sbaglia, zoppica, non sa cosa fare e come risolvere i problemi.

Discussioni simili (5)