Il diavolo da Giobbe e l'anticristo in casa Nietzsche. Oltre le troppe ombre.

Aperto da PhyroSphera, 05 Agosto 2024, 19:02:22 PM

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ricercatore

Citazione di: PhyroSphera il 05 Agosto 2024, 19:02:22 PMIo mi domandai spesso se mai si potesse assolvere Nietzsche dall'aver fatto un torto troppo grande ai cristiani con la sua terribile maledizione de L'Anticristo. Se nelle Sacre Scritture cristiane si racconta di Dio che mandò il diavolo da Giobbe, uomo giusto e soddisfatto, perché ne fosse messo alla prova, che dirne di F. W. Nietzsche e del suo libello contro il movimento cristiano? Concludere che Nietzsche fosse un falso maestro, o solo un oppositore che Dio stesso si era voluto procurare, dato che tanti troppi cristiani avevano davvero ricercato debolezza e insanità, più per gli altri che per sé, e allora avevano bisogno di subire una contrarietà e una smentita?
L'autore del libello lo presentava come un lavoro forse destinato solo ai prossimi venturi, pochissimi in ogni caso. Concludeva con l'appello alla trasvalutazione di tutti i valori, non senza aver ritenuto di aver emesso un giudizio eterno contro il Cristianesimo, colpevole di aver invertito il senso della storia. Non si può evitare di scorgere nel suo pensiero uno spostamento di significati. Mentre il Cristo è ciò che l'uomo non può realizzare da sé, una azione che spetta a Dio, perché ci sono degli eventi in cui è Lui che deve fare, non l'uomo, F. W. Nietzsche invece lo aveva scambiato per un rimedio mondano, senza pensare a quell'oltre che ne dava senso... Ma come replicare senza appurare quale fosse il fenomeno reale, effettivo, che si era parato innanzi al filologo e filosofo tedesco?
Goethe aveva decenni addietro affermato di non aver mai trovato qualcuno che gli spiegasse in cosa consistesse il cristianesimo. Penso che Schopenhauer non si fosse mai imbattuto in una preghiera cristiana ispirata; e Marx aveva conosciuto solo l'uso della religione cristiana per tenere a bada masse di diseredati. Che dire di Nietzsche?
Figlio di un pastore protestante e restato da presto orfano, aveva fatto esperienza della assurda passione per morte e debolezza diffusa tra gli ambienti cristiani, del moralismo giunto al suo estremo intollerabile. Io pensai che forse suo padre avrebbe voluto organizzare un grande congedo, quel che si dice volgarmente "mandare al diavolo". Come disse Paolo in una sua lettera (compresa nel cànone biblico) a proposito di un incestuoso: "questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore" (1Cor 5,5). Come Dio chiama il singolo a stargli davanti nella fede, così lo può ripudiare. Pensai che Nietzsche, incapace di questo còmpito, fosse stato costretto a una maledizione senza poter neppure capire chi veramente stava colpendo e cosa invece ne doveva rimanere fuori; semplicemente perché si era scontrato coi soli fraintendimenti. Per restare all'esempio biblico che ho fatto: l'espressione 'rovina della carne' non significa decadimento del corpo. Molti imputano a Paolo un dualismo che considera il corpo una cosa vile cui non badare tanto, ma nelle sue Lettere (comprese nella Bibbia) il linguaggio è adoperato diversamente: carne serve a indicare la condizione alienata del corpo quando si rifiuta Dio, concentrandosi solo sulla propria finitezza e non potendo vivere felicemente neppure la fisicità... Per questo quella 'rovina' è il portare alle estreme conseguenze questa alienazione fino a riaprirsi all'Infinito. Non cioè la strategia repressiva, tanto rimproverata ai cristiani, non il terrore cieco per il negativo come se questo fosse direttamente il male...
Nietzsche non riuscì ad accedere al vero contenuto della dottrina cristiana. Neanche con Socrate, Platone e il neoplatonismo arrivò a una comprensione. Così si può descrivere il dualismo platonico: chi vuole ottenere la saggezza deve volgersi alla realtà dell'anima e dello spirito, non cercarla nel proprio corpo e nella materia, che in questa ricerca gli sarebbero prigione e morte. Ciò significa che non si tratta di dualismo ontologico. F. W. Nietzsche pensò invece che il cristianesimo fosse un platonismo per il popolo ed entrambi una caduta verso la debolezza, una voluttà di morte, in particolare la fede cristiana aberrante e vile.
Che dire? Quale scrittore anticristiano, Nietzsche fu un falso maestro. Cos'altro si potrebbe pensare a fronte delle nefandezze uscite dalla sua penna contro la fede e religione di Cristo? Quale intellettuale, era uno che mancava non dico di conoscenze, ma proprio delle informazioni giuste. Per colpa, responsabilità? Si racconta che fosse un uomo sensibilissimo, assai isolato in società, alla fine avversato anche dall'unica persona rimastagli, sua sorella, che venuto lui meno si piccava di organizzare i suoi appunti su La volontà di potenza senza intenderne per davvero. Giudizi a parte, Nietzsche davvero non aveva capito in che cosa consistesse la fede in Cristo.
Resta il disastro di quella maledizione, e resta pure l'ingenuità dell'appello alla vitalità e alla forza. Non metto in dubbio: se ci sono tante religioni un motivo c'è e non esiste solo la necessità cristiana; il suo appello a una religiosità aristocratica, a un nuovo paganesimo, aveva un senso; la spiritualità del Così parlò Zarathustra è altissima e ha dato tanto e tanto potrà dare; ma è vero pure che gli eventi del XX° Secolo non hanno mostrato solo la fallacia dell'indirizzo marxista per le masse ma anche la insufficienza dell'ispirazione nietzschiana per coloro che avevano un potere sulle masse. Stalin da una parte, ma pure Mussolini e Hitler dall'altra.

Mauro Pastore
Nietzsche al contrario lo vedo, paradossalmente, come una figura in grado di dare uno scossone alle coscienze cristiane.
La sua critica al cristianesimo, complessa ed articolata, mette in risalto molte delle ipocrisie di questa religione (addirittura quelle stesse ipocrisie denunciate da Gesù).

Ad esempio, l'uso dell'umiltà come arma per sentirsi superiori agli altri.
Porgere l'altra guancia non perché sento un "noi", ma per dimostrare all'avversario di non volermi abbassare al suo livello.
L'idea del Paradiso come un traguardo personale ed egoistico da raggiungere, compiendo "buone azioni" così da accumulare punti per la beatitudine finale; aiuto l'altro non perché mi interessa di lui, ma perché mi interessa di me e della mia salvezza.
Il desiderio di vendetta soddisfatto dall'idea di vedere i malvagi bruciare all'Inferno.
L'idea di un Aldilà per fuggire da questa vita, sminuendo e non apprezzando così il suo valore.
E così via, penso siano molti gli spunti che la lettura dell'Anticristo possa suscitare nelle coscienze.

Il problema di Nietzsche sta nel fatto che per poter superare la Morale e la Legge come il suo superuomo avrebbe dovuto fare, bisogna prima aver raggiunto una maturità psicologica/spirituale tale da aver compreso che c'è altro oltre il proprio "Io" (chi lo chiama Dio, chi lo chiama Sé, chi lo chiama Inconscio, chi lo chiama Mistero,...).

Dal Codex Bezae:
Quando, quello stesso giorno, [Gesù] vide un uomo lavorare di sabato, gli disse: "Uomo! Se sai cosa stai facendo, sei benedetto! Ma se non lo sai sei maledetto e trasgressore della legge. "

PhyroSphera

Citazione di: ricercatore il 30 Dicembre 2024, 11:37:41 AMNietzsche al contrario lo vedo, paradossalmente, come una figura in grado di dare uno scossone alle coscienze cristiane.
La sua critica al cristianesimo, complessa ed articolata, mette in risalto molte delle ipocrisie di questa religione (addirittura quelle stesse ipocrisie denunciate da Gesù).

Ad esempio, l'uso dell'umiltà come arma per sentirsi superiori agli altri.
Porgere l'altra guancia non perché sento un "noi", ma per dimostrare all'avversario di non volermi abbassare al suo livello.
L'idea del Paradiso come un traguardo personale ed egoistico da raggiungere, compiendo "buone azioni" così da accumulare punti per la beatitudine finale; aiuto l'altro non perché mi interessa di lui, ma perché mi interessa di me e della mia salvezza.
Il desiderio di vendetta soddisfatto dall'idea di vedere i malvagi bruciare all'Inferno.
L'idea di un Aldilà per fuggire da questa vita, sminuendo e non apprezzando così il suo valore.
E così via, penso siano molti gli spunti che la lettura dell'Anticristo possa suscitare nelle coscienze.

Il problema di Nietzsche sta nel fatto che per poter superare la Morale e la Legge come il suo superuomo avrebbe dovuto fare, bisogna prima aver raggiunto una maturità psicologica/spirituale tale da aver compreso che c'è altro oltre il proprio "Io" (chi lo chiama Dio, chi lo chiama Sé, chi lo chiama Inconscio, chi lo chiama Mistero,...).

Dal Codex Bezae:
Quando, quello stesso giorno, [Gesù] vide un uomo lavorare di sabato, gli disse: "Uomo! Se sai cosa stai facendo, sei benedetto! Ma se non lo sai sei maledetto e trasgressore della legge. "
La tua replica manca di individuazione opportuna di religione e fede cristiane. Voglio dire: non è la coscienza cristiana che merita uno "scossone", ma la leggerezza di tanta parte della cristianità. Il fenomeno che tu descrivi non è cristiano e quei credenti in Cristo che accolgono gli errori che tu dici non vanno criticati per la loro fede ma per la corruzione del pensiero.
Bisogna andare oltre le idee positivistiche del secolo XIX, cui Nietzsche contraddittoriamente inclinò dopo aver fatto lui stesso critica del positivismo. In merito al superamento dell'egocentrismo, si dovrebbe specificare in forza di quale principio. Assoluto, relativo? Collettivo, singolare? L'ego può esser ricondotto ai propri limiti secondo varie modalità in riferimento a varie situazioni. Non esiste solo la integrazione nel collettivo, esiste anche il recupero della propria singolarità, non solo la psicologia degli archetipi ma pure quella umanistico-esistenziale.
Il superomismo nietzschiano è interpretabile transpersonalmente, considerando l'essere umano quale vivente tra i viventi. Ciò ha una sua validità e anche i suoi limiti, infatti è un essenzialismo che se usato a sproposito conduce a negare la propria singolarità, come si nota nel cosiddetto transumanesimo, ove il confine tra materia inerte e biologica, Io e altro, è occultato.
Non bisognerebbe dimenticare la tragica vicenda di Nietzsche durante e dopo la sua svista anticristiana, è opportuno a riguardo considerare le scoperte filosofiche di Kierkegaard senza confonderle con le piccolezze della sua condizione o le mediocrità della sua situazione. Entrambi ebbero una vita difficile, più ancora il danese ma per vicende difficili, mentre i guai dell'altro dipesero dalla sua pretesa eccessiva. La distinzione tra il Singolo e la Folla fatta da Kierkegaard e l'affollarsi culturale, entusiastico, distratto, ingenuo, attorno al pensiero anticristiano di Nietzsche, la dicono lunga.

MAURO PASTORE

PhyroSphera

Citazione di: Visechi il 29 Dicembre 2024, 20:16:39 PMQuasi disperavo e, disperando, stavo per abbandonare desolato questa discussione. Ma talvolta i miracoli si verificano proprio quando non te li aspetti più. Ero stanco dell'inutile Ping-pong intorno alla trascendenza, al trascendente ed al trascendentale. Opportunamente sollecitato, finalmente un intervento davvero pregevole, seminale e preannuncio (non mi smentire, non ti smentire) di una fertile chiacchierata. Confesso, stavo per rinunciare a leggere l'ultimo commento... mi sarei perso davvero qualcosa di apprezzabile e piacevole, al tempo stesso.
Non sono ironico!
Io scrivo con spirito militante, non trovando piacere nelle tue repliche ma nel replicarvi. Constato in esse una solenne superficialità, quindi delle interpretazioni sbagliate delle mie parole, cosa che è la norma in casi come questo (purtroppo), oltre che una grande attenzione al lato negativo dell'esistenza, condotta però anche fino all'ossessione e a continue illazioni.

Citazione di: Visechi il 29 Dicembre 2024, 20:16:39 PMTralascio l'intera sezione riconducibile alla stenta polemica di "chi ce l'ha più lungo e duro", troppa noia. Per immergermi completamente nei pregevoli passaggi che riporto e commento:
"In verità ciò che la vita è non può ridursi a ciò che un cadavere è. Questa mia affermazione non conferma il dogma materialista, ma è nondimeno un empirismo. Però basta a quel poco che serve, quando serve. Dico cioè che l'esperienza della vita non induce a credere alla morte assoluta, anzi dimostra che qualcosa resta. Kant, campione del pensiero filosofico detto accademicamente contemporaneo, lui che l'empiria la praticava, la accettava e ne valutava i limiti, era un sostenitore dell'immortalità dell'anima. Certo, la scienza biologica arriva solo a un confine. Ma l'ermeneuta ci mette pochissimo per collegare l'osservazione biologica-scientifica dell'incommensurabilità corpo vivo - corpo morto all'affermazione della metafisica della morte."


Non mi interesso più di tanto di quel che poteva sostenere chicchessia sul tema in argomento, mi interessa molto di più ciò che hai da dirmi tu su questo tema. Scorgi nella morte i segni di una ulteriorità che io non vedo, essendo coinvolto nell'osservazione della dissoluzione della materia, unica sostanza che – a parer mio – la morte lascia emergere. Non trovo i segni dell'oltre, men che meno scorgo quel che con intelligenza emotiva (questa volta sì, porca miseria) sei riuscito ad esprimere tu. È il percorso di vita, l'intera esistenza che non autorizzerebbe a scolorire o cancellare l'oltre che compete all'essere, anche e soprattutto dopo la morte. Ti chiedo, a questo punto: se così è, avendo espresso questo piacevolissimo concetto, come puoi sostenere al medesimo tempo e nello stesso commento, solo poche righe prima, che "Suicidio razionale può essere restare in nave per salvare quanta più gente possibile secondo il proprio còmpito di capitano; ma se si tratta di turisti non rispettosi della natura e pure criminali? Varrebbe la pena sacrificarsi? A fronte del vaneggiamento ateo intollerante non vale essere disponibili, ma dare dei no."? Rabbia? Intolleranza rispetto al prossimo non credente? Quasi ti sfugge l'abominio di equiparare un ateo ad un criminale... anzi, proprio ti sfugge, senza il quasi. Tu intravedi nell'esistenza un qualcosa che proietta l'essenza in un dopo ultraterreno, cosa che per me è solo frutto della necessità di trovar conforto e acquietare l'angoscia esistenziale che coglie chiunque dovesse meditare sinceramente sull'esistenza e la sua vacuità. Questo diverso angolo visuale non autorizza nessuno dei due ad imputare all'altro deficienze o tendenze criminogene di sorta. Cosa ti spinge a farlo? Insicurezza? (Qui è sfuggita a me la scorrettezza di personalizzare).


Non dicevo di segni di ulteriorità, ma di non-segni di non ulteriorità. Tu cerchi nel percorso di vita, nell'intero essere, "i segni dell'oltre", ma dipende da uno come sceglie di farlo, il percorso, a cosa uno decide di dare il proprio intero (non totale!) essere.
Se uno sceglie la via dell'intolleranza, se si mette a smentire comunicazioni necessarie per la vita, inutile domandarsi come mai riceva rifiuto e rabbia. Il potere dell'ateismo intollerante, insinuato nelle speranze socialiste, dal secolo XIX fino al XX ha fatto moltitudini di vittime, anche morti, ed attualmente resta ostacolo mortifero. Le lagne sono dentro anche ai sistemi sanitari degli Stati, per cui certe vitalità e ottimismi sono trattati da psicosi e la cittadinanza ne patisce, problema che si risolve smascherando e punendo gli intrusi, senza generare accanimento sulle vittime. L'insistenza di certe smentite atee a supporre indebitamente patologie, psichiche, fisiche, psicofisiche in chi si sta smentendo ha un versante delittuoso.


Citazione di: Visechi il 29 Dicembre 2024, 20:16:39 PMUn pensatore, non troppo tempo fa, sosteneva che: "vi è soltanto un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto viene dopo."
Chiudeva il suo saggio affermando: "Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice". È un po' la filosofia del viandante, che si concentra sul viaggio, non sulla meta, e trae gioia e le ragioni del suo camminare ogni volta non dal traguardo, ma dalla strada percorsa, che rappresenta anche il vero senso e la ragione di cui è impregnato l'inesausto suo 'errare' (leggilo pure nella sua doppia accezione). Il succo gustoso che puoi suggere dalla Vita, il senso e il significato che ne attingi e, al tempo stesso, le rendi sono tutti inscritti ed incisi in quell'unico segmento che è sospeso fra due totali assenze, due Nulla. La vita è un'escrescenza momentanea dell'assoluto Nulla. Ma tale consapevolezza, non è un viatico per immaginare un ateo che rinunci ad immaginare Sisifo felice.

"Non c'è dubbio che l'esistenza precede l'essenza... ma gli esistenzialismi che negano tout court l'essenzialismo non recano più minima saggezza sufficiente per filosofare. I testi di tal 'Visechi' in questa discussione sono questo: esistenzialismi-antiessenzialismi radicali fino alla non-filosofia; il loro potere sofistico, quando c'è, va neutralizzato (io l'ho fatto, nella fattispecie)."
 Qui sbagli! La consapevolezza del fatto che l'esistenza precede l'essenza, tipica del pensiero di Sartre, non nega l'essenza, la quale prende forma e consistenza, colore e calore solo in virtù e dipendenza della particolare modalità di essere nel mondo. In sintesi, l'essenza si costruisce attraverso le esperienze ed in funzione delle scelte e del proprio impegno nella vita. È frutto di sé stessi. Siamo scaraventati nel mondo e costretti a vivere la vita. Perciò l'essenza ha più importanza dell'esistenza stessa, perché è frutto della libertà dell'essere, è un suo costrutto, un suo ordito, una sua architettura, e ciascuno è quel che ha determinato per sé stesso. È ciò, fra l'altro, che massimamente esalta l'etica della responsabilità; una ben diversa modalità di partecipare all'esistenza di quella proposta dal cristianesimo, che, delinea un percorso che già in partenza è gravato di una colpa d'origine, da qui l'esigenza del perdono, che svuota di consistenza e rilevanza la responsabilità e l'agire, che, manzonianamente (fai tesoro della critica gramsciana), è sempre determinato e 'voluto' dalla provvidenza. Due visioni, due modi di porsi di fronte all'esigenza di vivere... senza rinunce, nell'un caso come nell'altro. Con la differenza che nel primo caso la partecipazione è determinata in funzione della libertà personale, nell'altro caso si tratta di una determinazione esogena. Ed essendo tale, anodina e non pienamente partecipe delle vicende umane.



Che dire del Sisifo di Camus? Il mito può essere rifatto, secondo una autentica poièsi, oppure se ne può fare una versione spuria. La fatica di Sisifo quale immagine universale e esistenziale funziona se i sassi che si è condannati a lanciare dopo puntuali cadute sono i còmpiti della vita, ma in una visione da incubo. Fosse tragedia reale, allora non varrebbe la pena di vivere.
Io dicevo di metafisiche della morte, della nascita... ma il problema filosofico par excellence diventa proprio il suicidio solamente per coloro che non hanno prospettive esistenziali libere: nella storia del Secolo XX risalta la vicenda di tanti ambienti sociali atei, illusi di costruire un mondo migliore senza Dio, che finirono a valutare con travaglio il proprio fine-vita. Non tutti vollero però essere coinvolgenti, si badi.
Su Sartre, io non ho bisogno delle tue lezioni. La interpretazione che tu ne dai si fonda su un'idea eccessiva della arbitrarietà. Invece il nostro esistere determina il nostro essere secondo un'Origine, con i nostri limiti e secondo natura non solo cultura.  Nel senso che tu intendi, non siamo "scaraventati nel mondo", ma messi al mondo secondo un ordine, cosmoantropologico; da cui tu esuli - ed esulandone è inutile costruire teorie sulla non esistenza di un'origine trascendente.
Quanto alla vera dottrina cristiana, non dice di colpe di partenza né attribuisce a tutti la trasgressione di Adamo.


Citazione di: Visechi il 29 Dicembre 2024, 20:16:39 PM"Il termine di paragone della obiezione atea è un sogno irrealizzabile che fa apparire indegna la vita e la stessa sua Origine, sogno che sembra soltanto, bello. Ma se c'è direttamente un inganno, vale la prospettiva cristiana. Se tal sogno ha un suo potere esterno, che supera le umane capacità, vale la fede cristiana, il vivere assieme a Dio quando umanamente è impossibile altrimenti."
Non ti nascondo il mio apprezzamento per questo pensiero. Ma ciò non mi impedisce di rilevare, ancora una volta, una gradevolissima istanza dell'anima di trovar conforto; di desiderio di quietare quel che nel profondo ribolle. Non nutro dubbi che sia un abbraccio caldo e confortevole, quel che descrivi, ma ho sensate ed enormi riserve che si tratti di qualcosa di 'Vero' e non solo sognato. La tua pare la descrizione, piacevole – perché non riconoscerlo? -, di un desiderio. Poni la condizione che "ci sia un inganno', non ti sottrai, parrebbe, alla possibilità che abbaglio non sia. Subito dopo, senza cesura, compi un balzo che non è argomentato (non potrebbe esserlo), affermando che 'vale la fede cristiana'... ovviamente, solo se inganno ci fosse. Io sostengo che non c'è, tu sì: dimmi perché dovrebbe essere più credibile ciò che si sottrae pienamente e tenacemente all'esperienza a scapito di ciò che è più immediato?
"Io gli avevo già fatto l'esempio del vero itinerario leopardiano: nella scoperta finale del potere consolatorio delle illusioni (poetiche), cade il veto su Dio Creatore, perché nel mondo c'è pure la facoltà poetica."
Pur cogliendo in maniera corretta il valore consolatorio che Leopardi attribuiva all'arte poetica, quindi all'arte tutta, e pur avendone registrato la funzione illusoria, ti perdi nel derivarne arbitrariamente ed in maniera incongruente l'esistenza di Dio. Non fare torto a te stesso. Questa correlazione probatoria dell'esistenza di Dio dalla scoperta della poesia, fa torto a tutto ciò che finora hai sostenuto: talvolta con spocchia, altre volte in maniera irrelata, oggi piacevolmente. Analogamente, la nozione del Male autorizzerebbe a far "cadere il veto su Dio Creatore, perché nel mondo c'è pure il Male".
Inoltre, ti faccio notare che, nel tuo asmatico trasporto patrocinatore, non ti avvedi che con evidente chiarezza Leopardi, se di Leopardi vuoi trattare, parla di finzione, di illusione, di messinscena e mistificazione. Non puoi desumerne, dunque, un diverso itinerario se non quello del pessimismo o, quantomeno, della negazione di un oltre divino, che non nega o ricusa la Trascendenza, anzi arriva addirittura ad esaltarla (per carità, non torniamo su questa nenia, ho visto che non sei in condizione di uscire dalla confusione).


Tu parli di abbracci consolatori cui il credente si abbandonerebbe, dici di non scorgere inganni da cui fuggire, cerchi argomenti per la fede... Innanzitutto è la vostra concezione da incubo ad essere una illusione; la coltivate perché non avete capito fino a che punto il negativo nel mondo può essere oltre le nostre forze e il nostro arbitrio e ci scherzate. Pensi Sisifo senza scorgerne la saggezza del mito, che non dice dell'esistere ma di una via da non prendere per non finire nella inanità. La saggezza del mito allude a una trascendenza assoluta, al divino, invita a cogliere la bellezza divina dietro la natura, anche per contrasti, suscitando l'incubo per instillare prudenza e altre visioni serene. Sisifo non è immagine dell'Uno, di Dio stesso, ma un suo riflesso, di un suo terribile avviso. Ciò è utile a fronte di un universo in realtà imprevedibile in massima parte. Il ricorso alla fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano vale quando la saggezza del mito non basta. L'argomento? Non c'è un argomentare originario: chi ama la vita si trova a fronte, prima o poi, di un Mistero; e quel che è necessario fare, o lo si fa o è non-vita.
Non hai compreso il mio ragionamento circa la cosiddetta "religione delle illusioni" di Leopardi. Io non stavo derivandone l'esistenza di Dio, ma la confutazione dell'inesistenza di Dio. Se è bella la poesia a fronte dei guai del mondo, non c'è ragione di negare il Dio creatore.
Invece di supporre asme dell'interlocutore, provate voialtri a capire meglio i pericoli del mondo senza interferire su comunicazioni necessarie e senza attacchi indèbiti e mascherati alle prudenze o precauzioni necessarie.

Infine: non è opportuno accantonare i ragionamenti sbagliati su trascendenze, trascendentalità e non, prima di risolverli. Giocare con queste nozioni ateisticamente fino al nichilismo è contraddittorio, illogico, e l'intollerante che scantona non ha dalla sua né ragioni né sentimenti; lo prova l'abbandono degli stessi ragionamenti, da parte sua, mentre il suo compiacimento per l'incubo esistenziale dimostra un disamore per la vita, non la consapevolezza e difesa dal male.


MAURO PASTORE

Visechi

Decido di bypassare a pié pari il tuo ulteriore tentativo di reiterare e tenere in vita la stucchevole e noiosissima querelle circa la lunghezza e durezza del pene. Non mi interessa.

Mi vorrei concentrare su altre sezioni del tuo ultimo commento per rilevare, dispiaciuto, la banalizzazione di un concetto in precedenza espresso piacevolmente, a parer mio prodromo, se intelligentemente sviluppato, di una fertile chiacchierata. Perché arretri?
Non dicevo di segni di ulteriorità, ma di non-segni di non ulteriorità. Tu cerchi nel percorso di vita, nell'intero essere, "i segni dell'oltre", ma dipende da uno come sceglie di farlo, il percorso, a cosa uno decide di dare il proprio intero (non totale!) essere.
Cercare nella morte l'assenza di segni utili e sufficienti a negare l'ulteriorità (magari così è anche più leggibile – questo hai voluto esprimere) e gioire trionfante avendo la conferma della loro assenza (esito del tutto scontato, essendo la morte muta, sebbene parli ai vivi... un paradosso che ti invito ad esaminare e sciogliere), banalizza proprio quella che tu pomposamente, ma dimostrando di non averne alcuna cognizione, chiami "metafisica della morte", che, caro mio, non osserva l'immobilità del cadavere e il disfacimento della morte, ma interroga l'esistenza, la Vita stessa al cospetto del cadavere, il cui messaggio muto ci perviene attraverso il corpo piagato che emerge glorioso dalle pieghe della sofferenza (immagino comprenda a chi o cosa alluda). Immagino anche che, nel tuo sperso vagolare fra gli ascosi ed erti pendii della metafisica, avrai avuto sentore del mastodontico corpus teologico che racconta del dolore. Metafisica – quella del dolore, della sofferenza e del patire umano – che parla alla Vita proprio della Morte, rappresentandone un annuncio, un barbaglio, una precognizione, come ben raccontano Natoli o Galimberti o Pareyson o Quinzio (Il rantolo di chi muore esprime un infinito bisogno di vita, come il primo grido di Adamo) o i testi della mistica cristiana o i tomi di antropologia post Olocausto. E parlare del dolore, di un'anima ferita, della sofferenza significa ascoltare, in "timore e tremore", anche il lamento che ancora oggi la croce scaglia sull'umanità; in definitiva, del Dio appeso ai legni. Intersecare la dimensione del sofferente, significa anche essere scaraventati nella dimensione abitata dal Male. E del Male, l'esistenza non può disinteressarsi, non può ignorarne il cupo ringhiare.

Se il Male non recasse con sé il presentimento della morte; se quindi non annichilisse e privasse la vita di senso e significato; se non possedesse una forza d'intensità tale da intridere di sé, dei suoi mefitici miasmi di morte, l'intera esistenza dell'uomo; se non possedesse le caratteristiche e la capacità d'opacizzare l'orizzonte esistenziale disputando alla speranza il tempo futuro, ammorbando il presente e rendendo vacuo il passato e se di esso l'uomo potesse anche solo in minima parte comprenderne il fine, il significato e la sua ragione d'essere, forse non interrogherebbe le profondità dell'animo umano fino a insinuare il dubbio che sia un'entità ontologica e non solo morale. Il dolore è un'esperienza di morte. L'essere nel mondo del Male riempie il pensiero e le riflessioni dell'uomo, ciò fin dalla notte dei tempi ed indipendentemente dal credo religioso o dall'ateismo professato da ciascuno di noi.

Il Male, infatti, interroga l'uomo, soprattutto quando ne interseca l'esistenza; l'uomo, a sua volta, interroga sé stesso, la natura, la Vita, il Creato ogni qualvolta avverte l'ansito doloroso del suo vigore che n'annuncia l'irrompere nella vita, delineandone i contorni su un orizzonte che s'adombra.

Con un orrido tratto di penna, ignorando chi o cosa in effetti parla della Morte alla Vita, nel tuo incerto vagolare, non reperisci alcuna traccia della metafisica del dolore, che si nutre di contenuto e significato attingendo linfa dai legni di Cristo.  Hai così banalizzato l'intera metafisica della Morte, precludendoti di fatto la possibilità di affacciarti sul limine ove – appena sussurrato – si apre il dialogo fra Trascendenza (Dio è morto, non c'è più un'urgenza di riempire l'oltre con un Dio) ed immanenza. Dialogo che si genera dalla visione del cadavere, che, nella sua immobilità ed antinomia, dal fondo abissale ove è il Nulla assoluto, parla ai vivi, ma solo come testimonianza ultima del dolore. Non fu certo il Dio cristiano ad intridere di senso e di riflessione la visione della Morte. Fin dall'alba dell'umanità abbiamo offerto sepoltura ai nostri morti, non solo per sottrarne le spoglie mortali alla brama delle fiere, ma perché quei morti, nel loro immoto silenzio, hanno sempre parlato alla Vita.

Ateismo non sta ad indicare in maniera automatica e matematica assenza di spiritualità. Esiste questa eventualità, ma è appunto una possibilità, non una condizione automatica.  Si tratta di una spiritualità diversa dalla tua. La spiritualità di un ateo non solleva lo sguardo verso il cielo in attesa di segni ultraterreni (chissà se sei in condizione di comprendere il linguaggio allegorico). È uno sguardo che "rimane fedele alla terra e non crede a quelli che parlano di sovraterrene speranze!". Se vuoi puoi anche immaginare uno sguardo disincantato rispetto alla promessa escatologica del cristianesimo, ma denso di stupore nel cogliere le meraviglie della vita. Te l'ho già spiegato, ma pare proprio che rifiuti pregiudizialmente questa verità. L'intolleranza della fede non concede campo alla possibilità di amare la vita per quella che è, ed accettarne il cammino, senza aver speranze in ordine alla meta. Ed è questa intolleranza che ti impedisce di comprendere il ragionamento intorno al Sisifo di Camus e fraintendere completamente Nietzsche. Intolleranza che, ancora una volta, non concede spazio e campo alla possibilità che l'esistenza di un ateo possa essere ricca e si realizzi interamente illuminata da un'etica che non ha necessità di attingere regole di comportamento da un Libro che è compendio di pensieri e volontà apologetiche umane, formatesi mille e mille anni addietro e sclerotizzatesi perché infarcite di dogmatica, validata e confermata ex cathedra da altri uomini. L'etica dell'ateo si forma e edifica attraverso un inesausto intenso colloquio con la storia e si radica in profondità nell'umana capacità di commozione ed empatia. È pronunciata e validata anno su anno, e non è scritta su tavole di pietra consegnate da entità ultraterrene. L'etica atea è endogena, guarda il cuore dell'uomo e da questo attinge consigli ed avvertimenti in merito alla giustizia e alla solidarietà, che riversa in testi scritti ove mano di Dio mai si è posata. Scrive che gli uomini nascono uguali, con uguali diritti e dignità, cosa inaudita per il popolo eletto, per esempio. Mai pronunciata dal Dio degli eserciti, il Dio geloso del Libro. Il tuo Dio, suppongo. È volontariamente accolta nell'animo di chi in essa si riconosce e non è imposta con i carri armati USA (vedasi Iraq) o sotto insegne crociate al canto di Osanna e Gloriae. È un'etica che alimenta il coraggio di vivere. Eroica. Il rispetto che esigi tu per la tua fede dovrebbe suggerirti maggior cautela e rispetto nei confronti di ciò che non comprendi e ricusi. So già che questi richiami non saranno sufficienti a scalfire la sicumera che mostri, proprio perché quel che scrivi è infarcito di quella stessa intolleranza che trasformò i perseguitati in aguzzini nel giro di un editto. Arroganza che ti nega la gnosi dell'intera dottrina del peccato che da sempre informa i testi cui il cristianesimo fa riferimento costante. La colpa e il peccato che diedero forma alla teologia dell'apostolo delle genti e che si riverberano nelle pagine di Agostino. Ma capisco, scrivi di "vera dottrina cristiana" lasciando così intendere che quella che ha mosso Crociate, dato la parola a Tommaso e Agostino, elevato al soglio di Pietro fior di delinquenti, quella lasci intendere non sia vera. Eppure, questa menzogna incardinata nella storia secolare dell'umanità è la stessa che ti parla della "fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano". Insomma, davvero tanta confusione. I paralogismi espongono quel che sostieni alla fondata critica di far carta straccia di tutto ciò che ti parla della "fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano" e di sacrificarlo sull'altare dell'Ego, impegnato com'è a dimostrare al vagheggiato auditorio di avercelo più lungo e duro del tuo interlocutore di turno. Ego che si nutre di blasfemia che celi sotto una coltre di sofismi filosofeggianti che nulla dicono di quel che anima e ribolle dentro ciascuno di noi.
Ebbene sì, ci son cascato anch'io nella personalizzazione.

Parli di ateismo criminale, alludendo al sangue versato in nome di malintese dottrine sociali imbevute di ateismo, ma nel tragitto che ti conduce ad additare e giudicare il prossimo tuo scordi il tanto sangue che intride storia e pianeta, versato in nome delle religioni, soprattutto la tua. Pecchi di ingenua arroganza, scordando di badare alla trave che ottunde la tua vista, che non vede e non legge che il Dio cristiano è il Dio degli eserciti. È colui che ha decretato sterminio ed olocausto di genti ed armenti per tener fede al Patto.
Io cerco di limitarmi solo a richiamare la tua attenzione – invero assai carente – sull'enorme quantità di guerre condotte per affermare il tuo credo, la tua visuale del mondo, la tua morale, che un filosofo da te citato e poco compreso, definiva morale del risentimento. Io, facendo cenno al sangue e al dolore cagionato per affermare nel mondo il tuo credo in un solo Dio,/ Padre onnipotente,/ creatore del cielo e della terra,/ di tutte le cose visibili e invisibili, e richiamando la tua cautela, sono ben conscio di dover addebitare il pianto delle vittime alla stoltezza umana e di non dover includere quella che, pur trovandomi del tutto scettico, reputo una meraviglia degna di assoluto rispetto, ovverosia la spiritualità che con tanto accanimento e poco acume difendi con in tuoi interventi in questo forum.

PhyroSphera

Citazione di: Visechi il 01 Gennaio 2025, 23:23:43 PMDecido di bypassare a pié pari il tuo ulteriore tentativo di reiterare e tenere in vita la stucchevole e noiosissima querelle circa la lunghezza e durezza del pene. Non mi interessa.

Mi vorrei concentrare su altre sezioni del tuo ultimo commento per rilevare, dispiaciuto, la banalizzazione di un concetto in precedenza espresso piacevolmente, a parer mio prodromo, se intelligentemente sviluppato, di una fertile chiacchierata. Perché arretri?
Non dicevo di segni di ulteriorità, ma di non-segni di non ulteriorità. Tu cerchi nel percorso di vita, nell'intero essere, "i segni dell'oltre", ma dipende da uno come sceglie di farlo, il percorso, a cosa uno decide di dare il proprio intero (non totale!) essere.
Cercare nella morte l'assenza di segni utili e sufficienti a negare l'ulteriorità (magari così è anche più leggibile – questo hai voluto esprimere) e gioire trionfante avendo la conferma della loro assenza (esito del tutto scontato, essendo la morte muta, sebbene parli ai vivi... un paradosso che ti invito ad esaminare e sciogliere), banalizza proprio quella che tu pomposamente, ma dimostrando di non averne alcuna cognizione, chiami "metafisica della morte", che, caro mio, non osserva l'immobilità del cadavere e il disfacimento della morte, ma interroga l'esistenza, la Vita stessa al cospetto del cadavere, il cui messaggio muto ci perviene attraverso il corpo piagato che emerge glorioso dalle pieghe della sofferenza (immagino comprenda a chi o cosa alluda). Immagino anche che, nel tuo sperso vagolare fra gli ascosi ed erti pendii della metafisica, avrai avuto sentore del mastodontico corpus teologico che racconta del dolore. Metafisica – quella del dolore, della sofferenza e del patire umano – che parla alla Vita proprio della Morte, rappresentandone un annuncio, un barbaglio, una precognizione, come ben raccontano Natoli o Galimberti o Pareyson o Quinzio (Il rantolo di chi muore esprime un infinito bisogno di vita, come il primo grido di Adamo) o i testi della mistica cristiana o i tomi di antropologia post Olocausto. E parlare del dolore, di un'anima ferita, della sofferenza significa ascoltare, in "timore e tremore", anche il lamento che ancora oggi la croce scaglia sull'umanità; in definitiva, del Dio appeso ai legni. Intersecare la dimensione del sofferente, significa anche essere scaraventati nella dimensione abitata dal Male. E del Male, l'esistenza non può disinteressarsi, non può ignorarne il cupo ringhiare.

Se il Male non recasse con sé il presentimento della morte; se quindi non annichilisse e privasse la vita di senso e significato; se non possedesse una forza d'intensità tale da intridere di sé, dei suoi mefitici miasmi di morte, l'intera esistenza dell'uomo; se non possedesse le caratteristiche e la capacità d'opacizzare l'orizzonte esistenziale disputando alla speranza il tempo futuro, ammorbando il presente e rendendo vacuo il passato e se di esso l'uomo potesse anche solo in minima parte comprenderne il fine, il significato e la sua ragione d'essere, forse non interrogherebbe le profondità dell'animo umano fino a insinuare il dubbio che sia un'entità ontologica e non solo morale. Il dolore è un'esperienza di morte. L'essere nel mondo del Male riempie il pensiero e le riflessioni dell'uomo, ciò fin dalla notte dei tempi ed indipendentemente dal credo religioso o dall'ateismo professato da ciascuno di noi.

Il Male, infatti, interroga l'uomo, soprattutto quando ne interseca l'esistenza; l'uomo, a sua volta, interroga sé stesso, la natura, la Vita, il Creato ogni qualvolta avverte l'ansito doloroso del suo vigore che n'annuncia l'irrompere nella vita, delineandone i contorni su un orizzonte che s'adombra.

Con un orrido tratto di penna, ignorando chi o cosa in effetti parla della Morte alla Vita, nel tuo incerto vagolare, non reperisci alcuna traccia della metafisica del dolore, che si nutre di contenuto e significato attingendo linfa dai legni di Cristo.  Hai così banalizzato l'intera metafisica della Morte, precludendoti di fatto la possibilità di affacciarti sul limine ove – appena sussurrato – si apre il dialogo fra Trascendenza (Dio è morto, non c'è più un'urgenza di riempire l'oltre con un Dio) ed immanenza. Dialogo che si genera dalla visione del cadavere, che, nella sua immobilità ed antinomia, dal fondo abissale ove è il Nulla assoluto, parla ai vivi, ma solo come testimonianza ultima del dolore. Non fu certo il Dio cristiano ad intridere di senso e di riflessione la visione della Morte. Fin dall'alba dell'umanità abbiamo offerto sepoltura ai nostri morti, non solo per sottrarne le spoglie mortali alla brama delle fiere, ma perché quei morti, nel loro immoto silenzio, hanno sempre parlato alla Vita.

Ateismo non sta ad indicare in maniera automatica e matematica assenza di spiritualità. Esiste questa eventualità, ma è appunto una possibilità, non una condizione automatica.  Si tratta di una spiritualità diversa dalla tua. La spiritualità di un ateo non solleva lo sguardo verso il cielo in attesa di segni ultraterreni (chissà se sei in condizione di comprendere il linguaggio allegorico). È uno sguardo che "rimane fedele alla terra e non crede a quelli che parlano di sovraterrene speranze!". Se vuoi puoi anche immaginare uno sguardo disincantato rispetto alla promessa escatologica del cristianesimo, ma denso di stupore nel cogliere le meraviglie della vita. Te l'ho già spiegato, ma pare proprio che rifiuti pregiudizialmente questa verità. L'intolleranza della fede non concede campo alla possibilità di amare la vita per quella che è, ed accettarne il cammino, senza aver speranze in ordine alla meta. Ed è questa intolleranza che ti impedisce di comprendere il ragionamento intorno al Sisifo di Camus e fraintendere completamente Nietzsche. Intolleranza che, ancora una volta, non concede spazio e campo alla possibilità che l'esistenza di un ateo possa essere ricca e si realizzi interamente illuminata da un'etica che non ha necessità di attingere regole di comportamento da un Libro che è compendio di pensieri e volontà apologetiche umane, formatesi mille e mille anni addietro e sclerotizzatesi perché infarcite di dogmatica, validata e confermata ex cathedra da altri uomini. L'etica dell'ateo si forma e edifica attraverso un inesausto intenso colloquio con la storia e si radica in profondità nell'umana capacità di commozione ed empatia. È pronunciata e validata anno su anno, e non è scritta su tavole di pietra consegnate da entità ultraterrene. L'etica atea è endogena, guarda il cuore dell'uomo e da questo attinge consigli ed avvertimenti in merito alla giustizia e alla solidarietà, che riversa in testi scritti ove mano di Dio mai si è posata. Scrive che gli uomini nascono uguali, con uguali diritti e dignità, cosa inaudita per il popolo eletto, per esempio. Mai pronunciata dal Dio degli eserciti, il Dio geloso del Libro. Il tuo Dio, suppongo. È volontariamente accolta nell'animo di chi in essa si riconosce e non è imposta con i carri armati USA (vedasi Iraq) o sotto insegne crociate al canto di Osanna e Gloriae. È un'etica che alimenta il coraggio di vivere. Eroica. Il rispetto che esigi tu per la tua fede dovrebbe suggerirti maggior cautela e rispetto nei confronti di ciò che non comprendi e ricusi. So già che questi richiami non saranno sufficienti a scalfire la sicumera che mostri, proprio perché quel che scrivi è infarcito di quella stessa intolleranza che trasformò i perseguitati in aguzzini nel giro di un editto. Arroganza che ti nega la gnosi dell'intera dottrina del peccato che da sempre informa i testi cui il cristianesimo fa riferimento costante. La colpa e il peccato che diedero forma alla teologia dell'apostolo delle genti e che si riverberano nelle pagine di Agostino. Ma capisco, scrivi di "vera dottrina cristiana" lasciando così intendere che quella che ha mosso Crociate, dato la parola a Tommaso e Agostino, elevato al soglio di Pietro fior di delinquenti, quella lasci intendere non sia vera. Eppure, questa menzogna incardinata nella storia secolare dell'umanità è la stessa che ti parla della "fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano". Insomma, davvero tanta confusione. I paralogismi espongono quel che sostieni alla fondata critica di far carta straccia di tutto ciò che ti parla della "fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano" e di sacrificarlo sull'altare dell'Ego, impegnato com'è a dimostrare al vagheggiato auditorio di avercelo più lungo e duro del tuo interlocutore di turno. Ego che si nutre di blasfemia che celi sotto una coltre di sofismi filosofeggianti che nulla dicono di quel che anima e ribolle dentro ciascuno di noi.
Ebbene sì, ci son cascato anch'io nella personalizzazione.

Parli di ateismo criminale, alludendo al sangue versato in nome di malintese dottrine sociali imbevute di ateismo, ma nel tragitto che ti conduce ad additare e giudicare il prossimo tuo scordi il tanto sangue che intride storia e pianeta, versato in nome delle religioni, soprattutto la tua. Pecchi di ingenua arroganza, scordando di badare alla trave che ottunde la tua vista, che non vede e non legge che il Dio cristiano è il Dio degli eserciti. È colui che ha decretato sterminio ed olocausto di genti ed armenti per tener fede al Patto.
Io cerco di limitarmi solo a richiamare la tua attenzione – invero assai carente – sull'enorme quantità di guerre condotte per affermare il tuo credo, la tua visuale del mondo, la tua morale, che un filosofo da te citato e poco compreso, definiva morale del risentimento. Io, facendo cenno al sangue e al dolore cagionato per affermare nel mondo il tuo credo in un solo Dio,/ Padre onnipotente,/ creatore del cielo e della terra,/ di tutte le cose visibili e invisibili, e richiamando la tua cautela, sono ben conscio di dover addebitare il pianto delle vittime alla stoltezza umana e di non dover includere quella che, pur trovandomi del tutto scettico, reputo una meraviglia degna di assoluto rispetto, ovverosia la spiritualità che con tanto accanimento e poco acume difendi con in tuoi interventi in questo forum.
Il Visechi scambia l'espressione chiara per velleitaria e continua col trasformismo - adesso la Trascendenza la tira fuori di nuovo - senza esser disposto ad usare le evidenze della ragione. Non gli riesce più di fare il sofisma, però ci aggiunge, dopo quella ultima sull'asma, la illazione sul presunto "io ce l'ho più duro di te"; io invece ho scopo di far emergere una verità, non di primeggiare in un confronto tra menti e tanto meno sono guidato dall'eros nello scrivere questi messaggi. Le illazioni oppostemi sono proiezioni psicologiche, dato che mi si attribuisce torto solo per voglia di sentirsi più forte.
Metafisica del dolore, accanto a quelle di nascita, di morte? Il dolore non è un fenomeno-limite. Esso è un avviso che serve per vivere, non si presta ad essere affiancato a quegli altri due elementi per farci una metafisica di base. Se si ipostatizza il male, senza pensare alla nuova vita (anche in questo mondo), negando il restare di qualcosa dopo la morte per ostinata distrazione, ci si sta compiacendo del lato negativo della esistenza. Inutile appellarsi all'esistere, in tal caso, se non per ammettere che il bisogno di pensarvi dipende dal dovervi scorgere anche la forza del positivo... Questa può esser negata, dagli atei, per un dispetto. nel caso specifico da odio per il Dio degli eserciti. Qui si scorge ignoranza e confusione: la fede del popolo eletto, che non è la mia, è altro dalla fede della chiesa dei cristiani. Una fede collettiva, scambiata per individuale, lancia ombre sul senso, copre i significati. Nell'ebraismo si dice di una guerra per far prevalere Dio nella storia dei popoli, non di avidità di violenza; superando la violenza, entro una prospettiva che rimane assai terrena, tanto che l'aldilà è un regno di ombre comunitario. Lo Sheol è diverso dall'Ade, anche dal paradiso e inferno. Nel cristianesimo la salvezza non è quella per le opere terrene, dei popoli, ma la premessa per le giuste opere dei singoli; quindi la guerra è estrema, per non far prevalere il male nell'esistenza. Il Visechi crede nel male, e questo non è coraggio di accogliere il negativo che c'è, ma un lasciarsi ingannare e voler coinvolgere il prossimo in una magia nera intellettuale. Non significa intendere Kant che criticava la teodicea filosofica - quella teologica è sempre stata al riparo dalle critiche e l'opera di Leibniz con essa è una teologia filosofica, non viceversa (Leibniz non era un laico cattolico, ma un protestante con un còmpito per le chiese, oltre che scienziato e filosofo anche teologo puro). Lo stesso appello a Nietzsche diventa spropositato, giacché la sua polemica in ultimo si accaniva sul senso dei valori, smentiva ragionamenti alla moda e proponeva ragioni alternative, ma non costruiva falsi sillogismi né faceva dell'ateismo un fondamento. Esiste anche il Nietzsche politeista e le letture atee di sinistra non intendono l'interezza né il significato principale della sua retorica. Questo lo scrivo non per competizione logica, a mo' di filosofi analitici usciti fuori di senno, ma per svelare certi meccanismi di suddetto tentativo di magia, scoprendone gli elementi. Difatti non c'è solo il vagheggiamento assurdo ma anche possibili inganni che restano attivi.

Io non stavo facendo una conferenza sulla spiritualità, dicendo di un Assoluto. Si pensa riguardo allo spirito, ma nel senso di sostanza spirituale, non di un'energia isolata che sarebbe un nulla. Si dice di altra dimensione con parole analogiche.

Quel che è sfavorevole oltre misura nel tipo di risposte ricevute a nome di 'Visechi' è una ostinata attenzione in una continua incomprensione, ostinate illazioni e proiezioni. Nella Bibbia si parla di ossessi e indemoniati, anche di branchi di porci non solo di società umane. Forse uno come il Visechi è mosso nella sua reiterata attenzione dagli scherzi dei porci, quelli che lasciano una salma adatta a rovinare l'incauto mangiatore?... sicché tanta disumanità si spiega con l'accoglimento di altre suggestioni, oltre a quelle di coincidenze ultime negative? Non è il caso di pensare solo ai porci, sia ben inteso. Invece che scambiare l'ateismo per una base stabile del pensiero, si potrebbe da parte sua provare a conoscere le opportunità religiose da un punto di vista culinario, facendosi appropriate domande: "Mi rende così indisponente coi veri filosofi l'arrosto di maiale? E il pollo al forno? L'ottundimento nel quale mi compiaccio, deriva dal maiale, dal pollo, dal vitello...?" E  via dicendo così, senza star dietro ai credenti inutilmente.


MAURO PASTORE

Visechi

Il Visechi scambia l'espressione chiara per velleitaria e continua col trasformismo - adesso la Trascendenza la tira fuori di nuovo - senza esser disposto ad usare le evidenze della ragione. Non gli riesce più di fare il sofisma, però ci aggiunge, dopo quella ultima sull'asma, la illazione sul presunto "io ce l'ho più duro di te"; io invece ho scopo di far emergere una verità, non di primeggiare in un confronto tra menti e tanto meno sono guidato dall'eros nello scrivere questi messaggi. Le illazioni oppostemi sono proiezioni psicologiche, dato che mi si attribuisce torto solo per voglia di sentirsi più forte.
 

Lasciamo che l'eco delle lallazioni si sperda nell'etere o si diluisca inane fra i mille riveli tentacolari del web. Non curiamocene.

Ti rassicuro, non è mia intenzione di ipostatizzare il male ed ergerlo a feticcio cui tributare onori e gloria. Io non credo nel Male, credo, perché presente, nella sua esistenza e nel suo essere nel mondo (vorrei davvero vedere come potresti negarne l'esistenza). Son vieppiù convinto che un credente nel creatore di tutte le cose visibili ed invisibili debba arrendersi alla necessità che il Male sia frutto della volontà creatrice del creatore di tutte le cose visibili ed invisibili (con buona pace dell'uomo settecentesco). Su questo argomento ti avevo preannunciato qualcosa. Se sei interessato a leggere, basta che segua il link: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/la-fede-in-dio/135/


Ancora una volta fai riferimento a quel qualcosa che permarrebbe dopo ed oltre la morte fisica,  ma di questo permanere o rinascere o essere post mortem non hai alcuna evidenza, se non quella resa disponibile dalla fede che sia così. Parimenti (meglio evidenziare, cerco di scongiurare i tuoi eccessivi fraintendimenti) e di contro, io sostengo che post mortem resta esclusivamente quel che hai saputo tessere in vita, ma non c'è metafisica in questo permanere, solo biochimica della memoria ed educazione sentimentale, per chi ovviamente ce l'ha. Per essere più chiari: dopo la morte resta esclusivamente un corpo che si decompone rilasciando gli elementi chimici che lo hanno costituito in vita e, cosa di unica vera rilevanza, il permanere negli affetti in Foggia di ricordo di quel che si è stati, oltre alla mirabilia delle opere d'ingegno, se ci sono. Tutto qui. Dicevo parimenti  perché neppure io posso addurre prove di quel che tenacemente sostengo, se non un'evidenza non contrastata da mirabolanti altri accadimenti di segno contrario. Né io né tu possediamo le prove a sostegno di quanto affermiamo in merito al post mortem, ma ritengo assai più verosimile la mia tesi piuttosto che la tua, fondata com'è su argomentazioni teologiche radicate in una narrazione già di per sé assai dubbia e, ancora una volta, intrisa di fede. Se non altro quel che affermo io non ha necessità di piegare le ginocchia di fronte ad enti supposti reali, si accontenta semplicemente di osservare i dati forniti da scienza ed esperienza diretta: mai nessuno è tornato dall'aldilà per raccontarci cosa ci aspetta, e quall'unico a cui certa tradizione (non tutta, riconoscerai) attribuisce questa rinascita/resurrezione è anch'esso inserito in una narrazione resa dubbia dagli eccessivi interventi apologetici postumi. Avrai nozione, immagino, delle molteplici interpolazioni, errori e correzioni apportate nel corso dei secoli a quei testi da voi immersi nella fede ritenete sacri. Singolare concetto di sacertà, me ne darai atto. Mi dispiace che tu abbia ancora una volta sorvolato sul particolarissimo flusso dialettico che si genera al cospetto della morte. Potrei scriverti mille parole per farti capire, ma sarebbero vane. Mi affido, invece, al sentimento, alla poesia e rinuncio alla complessità per riportarti uno stralcio di una poesia che son certo sia ben nota anche a te. Lo faccio solo per semplificarti la comprensione, anche se non ci conto troppo:

       
           Ei fu. Siccome immobile,

           dato il mortal sospiro,
           stette la spoglia immemore
           orba di tanto spiro,
           così percossa, attonita
           la terra al nunzio sta,
           muta pensando all'ultima
           ora dell'uom fatale;
           né sa quando una simile     

         
           orma di piè mortale

           la sua cruenta polvere
           a calpestar verrà.


Solo un breve stralcio, quel tanto che basta per trasmetterti in maniera forse più intelligibile che ciò che della Morte parla alla Vita, non è la mera contemplazione del corpo esamine, come hai inteso tu, ma la storia e la vita stessa di quel corpo oramai privo di vita. Ti lascio alla tua profonda - spero - meditazione al cospetto del corpo esamine di Napoleone.

Per quanto riguarda il Signore degli eserciti è un epiteto attribuito allo stesso Dio al quale tributi onore e nei cui confronti professi la tua fede, adesione interamente compresa in quel famoso credo istituito e compitato da mente e mano umana, pensavo fosse chiaro il riferimento al troppo cruento affermarsi della tua religione e confessione nel mondo, tanto da doverti suggerire di rinunciare al pulpito inadeguato al sermone pronunciato in ordine al tanto sangue versato dall'ateismo, perché quel pulpito su cui ti sei assiso galleggia sul sangue che l'affermazione nel pianeta della tua religione e confessione hanno preteso nei secoli. In poche parole: da quale pulpito arriva la predica. Tu, ignorando del tutto il mio richiamo, hai estrapolato l'epiteto per imbastirci intorno un non so che di stucchevole ed insignificante. Fede individuale o collettiva, sempre a quel Dio promosso nel mondo sotto la cruenta insegna  della rosseggiante croce in campo bianco fai riferimento, e davanti a Lui chini il capo in una professione di fede che ti riporto integralmente:


Credo in un solo Dio,
 Padre onnipotente,
 Creatore del cielo e della terra,
 di tutte le cose visibili e invisibili.

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
 unigenito Figlio di Dio,
 nato dal Padre prima di tutti i secoli:
 Dio da Dio, Luce da Luce,
 Dio vero da Dio vero,
 generato, non creato,
 della stessa sostanza del Padre;
 per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
 Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo,
 e per opera dello Spirito Santo
 si è incarnato nel seno della Vergine Maria
 e si è fatto uomo.
 Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
 morì e fu sepolto.
 Il terzo giorno è risuscitato,
 secondo le Scritture, è salito al cielo,
 siede alla destra del Padre.

E di nuovo verrà, nella gloria,
 per giudicare i vivi e i morti,
 e il suo regno non avrà fine.

Credo nello Spirito Santo,
 che è Signore e dà la vita,
 e procede dal Padre e dal Figlio.
 Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
 e ha parlato per mezzo dei profeti.

Credo la Chiesa,
 una santa cattolica e apostolica.
 Professo un solo Battesimo
 per il perdono dei peccati.
 Aspetto la risurrezione dei morti
 e la vita del mondo che verrà.
 Amen.


Te l'ho riportato nella sua interezza ed ho rinunciato ad evidenziare i passaggi più controversi perché, essendo una professione di fede e come tale creduta vera a prescindere da ogni evidenza razionale (cui nell'ultimo post fai riferimento), è totalmente infarcita di assurdità, le quali fecero pronunciare ad un apologeta/esegeta la formula del Credo quia absurdum (adesso ti prego di evitarmi la notazione che Tertulliano visse ben prima della formulazione completa del credo Micene-costantinopolitano. Spero abbia compreso cosa intendo dire). Ti invito a leggerlo ed esaminarlo con estrema attenzione, evitando di salmodiarlo burocraticamente (impiegatiziamente mi piace di più, rende meglio il concetto) come solito nelle vostre cattedrali.


Prima di chiudere mi preme sottolineare ancora una volta la forte sensazione che tu di Nietzsche ne abbia compreso assai poco, sempre che ne abbia letto qualche stralcio. Anche su questo tema cercherò di agevolare la tua scarsa gnosi e mi produrrò – forse – in uno sforzo teso a chiarirti quel che della filosofia nicciana mi pare abbia totalmente frainteso... tanto per cambiare.


Per quanto riguarda la conclusione del tuo ultimo commento, mi pare tu straparli, forse in preda proprio a quella possessione demoniaca cui fai cenno. Ho deciso di non replicare per lasciarti crogiolare in quel fango che scalda la cotenna dei maiali.

PhyroSphera

Citazione di: Visechi il 09 Gennaio 2025, 12:17:45 PMIl Visechi scambia l'espressione chiara per velleitaria e continua col trasformismo - adesso la Trascendenza la tira fuori di nuovo - senza esser disposto ad usare le evidenze della ragione. Non gli riesce più di fare il sofisma, però ci aggiunge, dopo quella ultima sull'asma, la illazione sul presunto "io ce l'ho più duro di te"; io invece ho scopo di far emergere una verità, non di primeggiare in un confronto tra menti e tanto meno sono guidato dall'eros nello scrivere questi messaggi. Le illazioni oppostemi sono proiezioni psicologiche, dato che mi si attribuisce torto solo per voglia di sentirsi più forte.
 

Lasciamo che l'eco delle lallazioni si sperda nell'etere o si diluisca inane fra i mille riveli tentacolari del web. Non curiamocene.

Ti rassicuro, non è mia intenzione di ipostatizzare il male ed ergerlo a feticcio cui tributare onori e gloria. Io non credo nel Male, credo, perché presente, nella sua esistenza e nel suo essere nel mondo (vorrei davvero vedere come potresti negarne l'esistenza). Son vieppiù convinto che un credente nel creatore di tutte le cose visibili ed invisibili debba arrendersi alla necessità che il Male sia frutto della volontà creatrice del creatore di tutte le cose visibili ed invisibili (con buona pace dell'uomo settecentesco). Su questo argomento ti avevo preannunciato qualcosa. Se sei interessato a leggere, basta che segua il link: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/la-fede-in-dio/135/


Ancora una volta fai riferimento a quel qualcosa che permarrebbe dopo ed oltre la morte fisica,  ma di questo permanere o rinascere o essere post mortem non hai alcuna evidenza, se non quella resa disponibile dalla fede che sia così. Parimenti (meglio evidenziare, cerco di scongiurare i tuoi eccessivi fraintendimenti) e di contro, io sostengo che post mortem resta esclusivamente quel che hai saputo tessere in vita, ma non c'è metafisica in questo permanere, solo biochimica della memoria ed educazione sentimentale, per chi ovviamente ce l'ha. Per essere più chiari: dopo la morte resta esclusivamente un corpo che si decompone rilasciando gli elementi chimici che lo hanno costituito in vita e, cosa di unica vera rilevanza, il permanere negli affetti in Foggia di ricordo di quel che si è stati, oltre alla mirabilia delle opere d'ingegno, se ci sono. Tutto qui. Dicevo parimenti  perché neppure io posso addurre prove di quel che tenacemente sostengo, se non un'evidenza non contrastata da mirabolanti altri accadimenti di segno contrario. Né io né tu possediamo le prove a sostegno di quanto affermiamo in merito al post mortem, ma ritengo assai più verosimile la mia tesi piuttosto che la tua, fondata com'è su argomentazioni teologiche radicate in una narrazione già di per sé assai dubbia e, ancora una volta, intrisa di fede. Se non altro quel che affermo io non ha necessità di piegare le ginocchia di fronte ad enti supposti reali, si accontenta semplicemente di osservare i dati forniti da scienza ed esperienza diretta: mai nessuno è tornato dall'aldilà per raccontarci cosa ci aspetta, e quall'unico a cui certa tradizione (non tutta, riconoscerai) attribuisce questa rinascita/resurrezione è anch'esso inserito in una narrazione resa dubbia dagli eccessivi interventi apologetici postumi. Avrai nozione, immagino, delle molteplici interpolazioni, errori e correzioni apportate nel corso dei secoli a quei testi da voi immersi nella fede ritenete sacri. Singolare concetto di sacertà, me ne darai atto. Mi dispiace che tu abbia ancora una volta sorvolato sul particolarissimo flusso dialettico che si genera al cospetto della morte. Potrei scriverti mille parole per farti capire, ma sarebbero vane. Mi affido, invece, al sentimento, alla poesia e rinuncio alla complessità per riportarti uno stralcio di una poesia che son certo sia ben nota anche a te. Lo faccio solo per semplificarti la comprensione, anche se non ci conto troppo:

       
          Ei fu. Siccome immobile,

          dato il mortal sospiro,
          stette la spoglia immemore
          orba di tanto spiro,
          così percossa, attonita
          la terra al nunzio sta,
          muta pensando all'ultima
          ora dell'uom fatale;
          né sa quando una simile     

       
          orma di piè mortale

          la sua cruenta polvere
          a calpestar verrà.


Solo un breve stralcio, quel tanto che basta per trasmetterti in maniera forse più intelligibile che ciò che della Morte parla alla Vita, non è la mera contemplazione del corpo esamine, come hai inteso tu, ma la storia e la vita stessa di quel corpo oramai privo di vita. Ti lascio alla tua profonda - spero - meditazione al cospetto del corpo esamine di Napoleone.

Per quanto riguarda il Signore degli eserciti è un epiteto attribuito allo stesso Dio al quale tributi onore e nei cui confronti professi la tua fede, adesione interamente compresa in quel famoso credo istituito e compitato da mente e mano umana, pensavo fosse chiaro il riferimento al troppo cruento affermarsi della tua religione e confessione nel mondo, tanto da doverti suggerire di rinunciare al pulpito inadeguato al sermone pronunciato in ordine al tanto sangue versato dall'ateismo, perché quel pulpito su cui ti sei assiso galleggia sul sangue che l'affermazione nel pianeta della tua religione e confessione hanno preteso nei secoli. In poche parole: da quale pulpito arriva la predica. Tu, ignorando del tutto il mio richiamo, hai estrapolato l'epiteto per imbastirci intorno un non so che di stucchevole ed insignificante. Fede individuale o collettiva, sempre a quel Dio promosso nel mondo sotto la cruenta insegna  della rosseggiante croce in campo bianco fai riferimento, e davanti a Lui chini il capo in una professione di fede che ti riporto integralmente:


Credo in un solo Dio,
 Padre onnipotente,
 Creatore del cielo e della terra,
 di tutte le cose visibili e invisibili.

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
 unigenito Figlio di Dio,
 nato dal Padre prima di tutti i secoli:
 Dio da Dio, Luce da Luce,
 Dio vero da Dio vero,
 generato, non creato,
 della stessa sostanza del Padre;
 per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
 Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo,
 e per opera dello Spirito Santo
 si è incarnato nel seno della Vergine Maria
 e si è fatto uomo.
 Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
 morì e fu sepolto.
 Il terzo giorno è risuscitato,
 secondo le Scritture, è salito al cielo,
 siede alla destra del Padre.

E di nuovo verrà, nella gloria,
 per giudicare i vivi e i morti,
 e il suo regno non avrà fine.

Credo nello Spirito Santo,
 che è Signore e dà la vita,
 e procede dal Padre e dal Figlio.
 Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
 e ha parlato per mezzo dei profeti.

Credo la Chiesa,
 una santa cattolica e apostolica.
 Professo un solo Battesimo
 per il perdono dei peccati.
 Aspetto la risurrezione dei morti
 e la vita del mondo che verrà.
 Amen.


Te l'ho riportato nella sua interezza ed ho rinunciato ad evidenziare i passaggi più controversi perché, essendo una professione di fede e come tale creduta vera a prescindere da ogni evidenza razionale (cui nell'ultimo post fai riferimento), è totalmente infarcita di assurdità, le quali fecero pronunciare ad un apologeta/esegeta la formula del Credo quia absurdum (adesso ti prego di evitarmi la notazione che Tertulliano visse ben prima della formulazione completa del credo Micene-costantinopolitano. Spero abbia compreso cosa intendo dire). Ti invito a leggerlo ed esaminarlo con estrema attenzione, evitando di salmodiarlo burocraticamente (impiegatiziamente mi piace di più, rende meglio il concetto) come solito nelle vostre cattedrali.


Prima di chiudere mi preme sottolineare ancora una volta la forte sensazione che tu di Nietzsche ne abbia compreso assai poco, sempre che ne abbia letto qualche stralcio. Anche su questo tema cercherò di agevolare la tua scarsa gnosi e mi produrrò – forse – in uno sforzo teso a chiarirti quel che della filosofia nicciana mi pare abbia totalmente frainteso... tanto per cambiare.


Per quanto riguarda la conclusione del tuo ultimo commento, mi pare tu straparli, forse in preda proprio a quella possessione demoniaca cui fai cenno. Ho deciso di non replicare per lasciarti crogiolare in quel fango che scalda la cotenna dei maiali.

Il messaggio cui rispondo, non replico, presenta degli errori di scrittura ma è pur sempre comprensibile con un po' di ovvio intùito. Trovo interessante mettere in luce qualcosa rispondendo, reiterando ma evidenziando aspetti diversi della questione oltre che aggiungere del nuovo, pur non essendoci reale interlocuzione con l'aspirante e fallimentare contendente.

Quanto a ciò su cui il Visechi converge, lui stesso non ne rispetta poi la verità, fingendo che non si era contraddetto né ammettendo che era stato poi corretto. Adesso lui dice di avere, anche lui, dogmi, poi se ne scorda seguitando ad affidarsi a ragionamenti a metà o sbagliati, seguitando ad offendere.

A livello empirico c'è l'evidenza, nel passaggio da corpo vivo a corpo morto, di una inspiegabile mancanza: tutto si trasforma, anche la vita, ma nel corpo morto non c'è vita.
Ciò mostra razionalmente, non scientificamente ma con eventuale apporto della ragione scientifica, l'esistenza di una dimensione altra. L'aldilà religioso è vissuto col credere anche, che si fonda non sull'esperienza ma su un non esperire, spiegabile solo postulando un'altra vita. Io non faccio a pugni con Kant.
I corpi dei defunti non attestano sempre il loro passato, meglio non intristire i lettori di versi funebri come invece fa Visechi. L'ateo supponente non comprende il mondo rifugiandosi nel nulla. Contemplare la morte di un moscerino, per esempio, e senza offendere la vita, potrebbe essere l'esperienza decisiva per questi atei.
Costoro devono rammentarsi dei milioni di morti fatti dai diktat delle dittature atee, davvero in quanto tali, quindi comprendere l'estraneità al messaggio di Cristo delle violenze attuate dai fanatismi presenti tra i cristiani, infine valutare la storia dopo essersi fatta un po' di vera cultura sulla vera religione. Il Credo menzionato dal Visechi si chiama anche — e non a caso — Simbolo. Provi lui e i suoi a rileggerlo così, come simbolo, prima di menzionarlo di nuovo. Tra l'altro non è l'unico Credo dei cristiani. Gli evangelici non lo accolgono tutti o sempre e la loro adozione di esso è affatto relativa, come quella del resto di tanti cattolici o ortodossi. Molti cristiani lo rifiutano proprio. I dogmi religiosi vanno intesi quali rappresentazioni che si avvalgono di forme che non sono esse stesse dogmi.

Non pensa mai il critico ostinato del credo quia absurdum a contestualizzare tale espressione? Essa si riferisce alla ragione che non accoglie Dio. Dal punto di vista esclusivamente mondano Dio è un'assurdità cui assentire e Tertulliano non era uno stupido, tantomeno da offendere.

Dispiace l'ennesima illazione, stavolta riguardo la mia presunta ignoranza, o peggio, su Nietzsche. Nonostante a volte io usi un po' di estetica tradizionale e solenne o stili espressivi datati, io ho una fortissima e ampia comprensione della attualità della sua opera, soprattutto profonda in virtù di una forte intuizione e conoscenza del suo mondo e della sua persona.

Su maiali e possessioni demoniache: io non mi riferivo a problemi con elementi estranei, quali il fango; ma al possibile comporre la stessa futura salma, da parte della bestia morente, per ingannare il mangiatore incauto. Inoltre il fatto che un ateo si esibisca in accanite unilaterali dissertazioni contro ragioni e sentimenti vitali non viene dalla sua esistenza umana ma — in un modo o nell'altro — da una negatività con potere ed effetto intromissivo, che possiamo nondimeno rifiutare di accogliere, lottando contro le falsità. Il linguaggio demonologico è oscuro e figurato perché indica qualcosa del mondo che è oscuro e incatalogabile e da menzionare anche a livello emotivo.
Perciò, attenzione agli inganni del mondo e a non prender per scemi quelli con una vera fede in Dio, perché il negativo nel mondo può essere incontrastabile senza la fede in Dio. Tantomeno è lecito fare gli gnorri e fingere gnosi dove c'è fede, negando gli studi scientifici sulla religione che indicano necessità e utilità dello stadio religioso dell'esistenza e cercando di metter beghe. Praticare una religione non garantisce dalle superstizioni, le quali sono però deleterie nel caso dei non credenti, non viceversa.

Sul problema del male, è evidente che giudicar male qualcosa serve a vivere non a negar l'Origine delle cose e i giudizi di Dio, su ciò che è male, sono manifestazioni di esigenze superiori e misteriose.


MAURO PASTORE

Visechi

Che dire? Rilevo il tuo permanere... stagnare nella più completa confusione, tale da non consentirti di comprendere alcunché. Hai scritto un coagulo di sciocchezze che proprio non ho alcuna voglia di commentare.
Ad un'altra occasione, nella speranza che tu possa trovare o ritrovare (non so) un pochino di lucidità e serenità di giudizio.
Bye.

PhyroSphera

Citazione di: Visechi il 16 Gennaio 2025, 21:39:47 PMChe dire? Rilevo il tuo permanere... stagnare nella più completa confusione, tale da non consentirti di comprendere alcunché. Hai scritto un coagulo di sciocchezze che proprio non ho alcuna voglia di commentare.
Ad un'altra occasione, nella speranza che tu possa trovare o ritrovare (non so) un pochino di lucidità e serenità di giudizio.
Bye.

Non voglio proprio condividere la condizione esistenziale dell'ateo di professione né l'esistenzialismo sofistico che ne deriva, tantomeno il rovesciamento del biblico e cristiano cupio dissolvi, rovesciamento che invece di disintegrare la falsità si accontenta del gioco delle apparenze mondane, confondendo la noia esistenziale, da necessaria e provvisoria fase, a diagramma della vita stessa e suo falso recinto sacro.
In tal senso non voglio avere comprensione: non mi interessano le interpretazioni rovesciate della Bibbia, di Schopenhauer e di Sartre, ne capisco l'aberrazione e non voglio empatia. Ne ho denunciato qui tutta la reale inaccettabilità e svelato i meccanismi propagandistici, come lo schermo costruito con la letteratura (in specie, i versi di Leopardi).

Quel che amareggia sempre è il giudizio sulla mente, che si riceve nel procedere alle smentite e ai giusti riferimenti: adesso mi si è imputata scarsa anzi nessuna lucidità. In verità, dopo quanto ho prodotto nella discussione - per chi voglia davvero intendere o fare filosofia, non tentare sofismi antifilosofici - detta imputazione suona come il segno di una presenza inappropriata: chiusi nell'incubo di Sisifo, come lo è il fallimentare contendente, non ci si dovrebbe rapportare ma solo provare a rapportarsi a chi conosce, consapevoli che il distratto autocompiacimento per il negativo e rifiuto del positivo, questi sì che sono privi di lucidità e per nulla fatti per contraddire le istanze e ragioni vitali.

Constatare la funzione allegorica di un crocifisso cristiano, questo già conduce a inquadrare l'insostenibilità dell'ateismo anticristiano, che nell'evocare il male interpreta il segno diabolico al rovescio: invece di cogliere, nella tradizionale raffigurazione cristiana del dramma esistenziale (non dell'esistenza), l'invito a oltrepassare, la si vuol pensare come uno specchio di un destino, godendo del lavoro - per giunta ignorandone l'incompiutezza! - di Satana, che pure è figurato nell'immagine tipica di Gesù sulla croce (anche e soprattutto letteraria).
Il cristianesimo considera una morte apparente ma realmente incombente, tragica, che viene annullata per un fine-vita sereno; certo non abbonda la consapevolezza di ciò. "Gesù Cristo morto e risorto" oggi potrebbe esser detto: l'uomo che realmente sopravvive o continua a vivere... Nella cronaca, una morte apparente, poi uno stare assieme alle potenze superiori per un abbandono felice della vita "terrena", il più tardi possibile. In ogni caso, tale segno, in Gesù di Nazareth, non era lo specchio della vita cristiana. Non è il caso di prender per matti gli appartenenti alla religione cristiana se raramente, in pochi, sanno tradurre in pensieri i propri sentimenti e se non sanno capire le vicende di chi faceva da segno (esterno, senza essere il segno). Certo il segno e quindi il mezzo della Rivelazione attestò, attesta già un potere che sfugge alle convenzioni imperanti; ma la Rivelazione è solo tale, ora sempre e dovunque fosse, sia (non dico che è ovunque e sempre). Sognare di fare gli attaccabrighe immaginando suicidi anziché riconoscere significati e valori cristiani, questo è un delitto. Mostrare che la figura di Gesù vale per fede, questa è verità della dottrina cristiana da non attribuire alla critica contraria. Chi passasse in visione il confronto, accaduto in questa discussione, con tal Visechi, le cui obiezioni-aggressioni sono esemplificative, capirebbe perché ho fatto quest'ultimo quasi-sproloquio.


MAURO PASTORE

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