Il concetto junghiano di "archetipo".

Aperto da Carlo Pierini, 18 Agosto 2017, 16:06:44 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Carlo Pierini

Freud è stato il primo ricercatore che ci ha fatto intravvedere la possibilità di rendere in qualche modo reale l'imperativo che Socrate sintetizzava nel suo famoso "Conosci te stesso", cioè la possibilità di estendere la nostra conoscenza anche a quella realtà così sfuggente e apparentemente ineffabile che noi chiamiamo "mente" o "psiche".
Ma così come, per esempio, Newton sviluppò l'idea originaria di Copernico-Keplero fino a trasformare la loro visione solo-cinematica del Sistema Solare in una più generale "dinamica dei corpi celesti", Jung ha fatto qualcosa di analogo nel campo della psicologia, sviluppando il paradigma freudiano e portando alla luce uno strato più profondo dell'inconscio che va oltre la dimensione dell'inconscio personale e che la trascende: l'inconscio collettivo, al cui centro egli ha dato il nome di "Sé" e di cui ha evidenziato la natura di una vera e propria "mente ALTRA" in noi, dotata di una sua consapevolezza e di una sua volontà indipendenti dalla consapevolezza e dalla volontà dell'Io, ma in qualche modo inter-agenti con l'Io. Ha conferito, cioè, una realtà psichica a ciò a cui il mito cristiano si riferisce nell'idea di un "Regno di Dio che è dentro di noi".
Scrive Jung:

"Dapprima il concetto di inconscio si limitò a designare la situazione di contenuti rimossi o dimenticati. Per Freud l'inconscio, benché almeno metaforicamente compaia già come soggetto attivo, in sostanza non è altro che il punto ove convergono questi contenuti rimossi e dimenticati, e deve ad essi soli la sua importanza pratica. Conseguentemente, secondo questo modo di vedere, esso è esclusivamente di natura personale, benché d'altra parte Freud ne abbia riconosciuto la modalità di pensiero arcaico-mitologica.
Un certo strato per così dire superficiale dell'inconscio è senza dubbio personale: noi lo chiamiamo "inconscio personale". Esso poggia però sopra uno strato più profondo che non deriva da esperienze e acquisizioni personali, ma è innato. Questo strato più profondo è il cosiddetto "inconscio collettivo". Ho scelto l'espressione "collettivo" perché questo inconscio non è di natura individuale, ma universale e cioè, al contrario della psiche personale, ha contenuti e comportamenti che (cum grano salis) sono gli stessi dappertutto e per tutti gli individui. In altre parole, è una entità unica per tutti gli uomini e costituisce un sostrato psichico comune, di natura sopra-personale, presente in ciascuno.
La sua esistenza psichica si riconosce soltanto dalla presenza di "contenuti capaci di divenire coscienti"; possiamo perciò parlare di un inconscio solo in quanto siamo in grado di indicarne i contenuti quando questi si manifestano alla coscienza (sogni, visioni, intuizioni, ispirazioni, ecc.) sotto forma di immagini tipiche universalmente diffuse nella storia della cultura: gli archetipi.
L'espressione "archetipo" si trova già in Filone di Aressandria con riferimento all'immagine di Dio nell'uomo. [...] Nel "Corpus hermeticum" Dio è chiamato "la luce archetipica". In Dionigi l'Areopagita l'espressione si trova ripetutamente: nel "De coelesti hierarchia", II,4: "Gli archetipi immateriali", come nel "De divinis nominibus", II, 6. In sant'Agostino l'espressione "archetipo" non si trova, ma se ne trova l'idea; così nel De diversis quaestionibus, LXXXIII, 46: "Idee originarie... che non sono state create..., che sono contenute nell'intelligenza divina". "Archetipo," è una parafrasi esplicativa dell'éidos platonico.

Ai nostri fini tale designazione è pertinente e utile poiché ci dice che, per quanto riguarda i contenuti dell'inconscio collettivo, ci troviamo davanti a tipi arcaici o meglio ancora primigeni, cioè immagini universali presenti fin da tempi remoti. L'espressione "représentations collectives", che Lévy-Bruhl usa per designare le figure simboliche delle primitive visioni del mondo, si potrebbe usare senza difficoltà anche per i contenuti inconsci, poiché significa più o meno la stessa cosa. Nelle tradizioni primitive della tribù gli archetipi si presentano modificati in una speciale accezione. Certamente non si tratta più di contenuti dell'inconscio: essi si sono ormai trasformati in formule consce, perlopiù tramandate in veste di insegnamenti esoterici, tipiche forme di trasmissione di contenuti collettivi originariamente derivanti dall'inconscio".   [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pgg. 3-4]

paul11

ormai sei riuscito ad infilarmi nell'archetipo per cui pongo alcune riflessioni su uno studio storico del pensiero archetipico.

E' Platone lo spartiacque fra il mito e la razionalità o pre razionalità in quanto li utilizza entrambi nella sua dialettica dialogica.
Platone utilizza la capacità del mito di esprimere l'indicibile, ossia di esprimere intuizioni profonde secondo verosomiglianze.

Berkeley:Io vi conosco il duplice stato di cose,l'uno ECTIPO e naturale, l'altro ARCHETIPO ed eterno.Il primo fu creato nel tempo,
il secondo esisteva nell'eternità, .nello Spirito di Dio.

Kant ,nella Critica del giudizio  distingue un "intelletto archetipo", che è quello divino che crea gli oggetti pensandoli, da un "intelletto ectipo" che è quello umano e finito.

La definizione di archetipo mitologico di Rudolf Bultmann è la forma di rappresentazione in cui ciò che non è mondano,cioè ciò che è divino, vine raffigurato come mondano,umano,l'al di là inteso come al di qua. in cui la trascendenza di Dio viene pensata come distanza spaziale;questa rappresentazione porta il culto ad essere avvertito come azione, in cui per opera di mezzi materiali. vengono comunicate forze non materiali.

Carlo Pierini

#2
Citazione di: paul11 il 29 Agosto 2017, 01:08:03 AM
La definizione di archetipo mitologico di Rudolf Bultmann è la forma di rappresentazione in cui ciò che non è mondano,cioè ciò che è divino, vine raffigurato come mondano,umano,l'al di là inteso come al di qua. in cui la trascendenza di Dio viene pensata come distanza spaziale;questa rappresentazione porta il culto ad essere avvertito come azione, in cui per opera di mezzi materiali. vengono comunicate forze non materiali.

Ah, non conoscevo questa riflessione di Bultmann.
Ma la cosa più sorprendente dei miti (così come di alcuni sogni) è la loro proprietà di prefigurare simbolicamente il futuro (vedi, per esempio il mio thread: "L'ateismo come vangelo", oppure "La scienza, la metafisica e la favola di Biancaneve", oppure "Il Principio e il mito dell'Eden"), o quella di rivelarci la logica profonda, anch'essa invisibile, che governa la realtà, come è successo nelle mie poche, fugaci e fulminee visioni.
Insomma il mondo dei simboli è un pozzo di conoscenza, ed è un vero peccato che la nostra cultura, sommersa com'è dallo scientismo, dall'agnosticismo e dal relativismo, lo consideri come il mondo delle illusioni e lo getti tra i rifiuti.
Non dev'essere un caso che gli alchimisti, riferendosi alla Pietra filosofale, dicessero che essa "...in stercore invenitur", cioè "sarà trovata nello sterco"; né dev'esser casuale che nei Vangeli sia scritto: "La pietra che gli edificatori hanno rifiutato, questa è divenuta la principale pietra angolare". (Matteo, 21:42)

"Se si potesse personificare l'inconscio, esso apparirebbe come un uomo collettivo, al di là della giovinezza e della vecchiaia, della nascita e della morte: con l'esperienza umana pressoché immortale di uno o due milioni di anni. Quell'uomo sarebbe senza dubbio superiore al mutare dei tempi; egli sarebbe un sognatore di sogni secolari e, sulla base della sua infinita esperienza, capace di previsioni incomparabili". [JUNG: Realtà dell'anima - pg.23]

"La realtà di questi sogni prospettici è irrefutabile. Sarebbe ingiustificato chiamarli sogni profetici, poiché in fondo non sono più profetici di quanto lo siano una prognosi medica o una previsione meteorologica. Si tratta semplicemente di una precombinazione delle probabilità che può anche coincidere con il comportamento reale delle cose, ma che non deve coincidere necessariamente e in tutti i dettagli. Solo in quest'ultimo caso sarebbe legittimo parlare di profezia".   [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.273]

paul11

Riflettevo fra me e me........
ma non vi sembra che stiamo ritornando ai simboli in questo tempo?
Gli emoticons , i logo delle marche commerciali, le segnaletiche stradali.
la globalizzazione economica, internet,  i social, impongono l'utilizzo comunicativo veloce del simbolo più che di una forma logica razionale "segnica".

Ho l'impressione che l'umanità scegliendo una "nuova razionalità" focalizzata sul dimostrare scientificamente, abbia necessariamente scelto linguaggi che dovevano entrare nei particolari e descrivere logicamente la relazione fra l'osservato e l'osservatore che spiega dimostrando. Il segno perde però tutto  la parte "indicibile", psichica/spirituale/archetipica, il cui focus è solo asetticamente descrittivo perdendo totalmente di soggettività.
In realtà nessun linguaggio umano può porsi fuori dalla soggettività e infatti le gestualità dei simboli, se noi non conosciamo una traduzione e vogliamo comunicare con uno straniero, utilizziamo i gesti.

La necessità di un linguaggio trasversale alle diverse lingue, cerca scorciatoie comunicative dove viene riutilizzato il simbolo nelle forme post moderne.

paul11

#4
ante scriptum: Carlo P. non scoraggiarti, non pensare che tutti la pensino diversamente da te.
L'archetipo se è in noi come umanità  prima o poi traccerà una via di comunicazione: la diversità non è separazione.

Con Kerenyi l'archetipo si sposta dalla psicologia alla storia delle religioni e sociali, si sposta, ma non si discosta.
Kerenyi sostiene che il pieno significato è nel mutamento fra ciò che permane costante.
Verità quasi divine si trovano in alcuni passi dello pseudo-Dionigi L'archetipo per Kerenyi è ciò che dà l'impronta originaria,
vale a dire il principio di ogni impronta successiva.Il significato di base per lui è il "conio", l'impronta.
Anche il silenzio di Dio è una figurazione archetipica. Nelle sue preghiere l'uomo desidera che in qualche modo Dio gli parli.

Per Elemire Zolla l'archetipo si fonda su esperienze metafisiche. Queste permettono all'uomo di rendersi padrone della propria esperienza di vita; un esempio è come viene concepito l'infinito che è una figurazione archetipica riconducibile alla sensibilità umana.L'infinità vera è senza limiti in quanto origine di ogni limite,non è un dato esterno all'esperienza umana,ma risiede nella mente.nelle sue pieghe ancestrali si possono trovare l'idea di una serena caduta nell'oblio, o quella di "dolce naufragare".
L'esperienza metafisica si tradurrebbe nell'arte di concepire se stessi come la totalità dell'universo.L'infinito per Zolla appartiene all'infinito presente che è la dimensione temporale dell'archetipo, in cui l'uomo ha la possibilità d'identificarsi come conoscitore del conosciuto; il passato e il futuro si fondano nel tempo presente in quanto tempo della conoscenza.
Per Zolla gli archetipi sono sia campi di energia psichica,sia unità di misura della sensibilità umana: alla sfera del sacro si ricorreva per determinare l'ordinamento.

Jung, Kerenyi, Zolla non possono esimersi dal fare i conti con Platone.
Non va confusi l'archetipo con il mito.
Secondo le più recenti teorie e largamente condivise il mito è un racconto di verità, seppure rivestito di simboli.
Gli archetipi non si ricavano con il tempo, semmai lo fanno i miti attraverso la mitopoiesi che riporta il fatto attuale al modello archetipico.
La definizione junghiana di archetipo è quella che si attaglia meglio al mito, con i "resti archeologici" della memoria collettiva che non emergono solo con il sonno,ma anche nella veglia come simbolo che assurge dalla realtà  anche con l'estasi religiosa, o di trance sciamanica .
L'idea di Dio è l'archetipo per eccellenza.

Carlo Pierini

#5
Citazione di: paul11 il 07 Settembre 2017, 23:52:53 PM
ante scriptum: Carlo P. non scoraggiarti, non pensare che tutti la pensino diversamente da te.
L'archetipo se è in noi come umanità  prima o poi traccerà una via di comunicazione: la diversità non è separazione.

CARLO
Grazie per l'incoraggiamento, ma se già è impossibile convincere gran parte dei listanti che la Terra è certamente rotonda, figuriamoci che idea possono farsi di questioni molto più complicate come quelle degli archetipi. La fanatica fede nel Nulla dei nostri tempi è molto peggiore della dogmatica fede cattolica del medioevo.

PAUL11
Secondo le più recenti teorie e largamente condivise il mito è un racconto di verità, seppure rivestito di simboli.
Gli archetipi non si ricavano con il tempo, semmai lo fanno i miti attraverso la mitopoiesi che riporta il fatto attuale al modello archetipico.
La definizione junghiana di archetipo è quella che si attaglia meglio al mito, con i "resti archeologici" della memoria collettiva che non emergono solo con il sonno,ma anche nella veglia come simbolo che assurge dalla realtà  anche con l'estasi religiosa, o di trance sciamanica .

CARLO
Non vorrei avessi travisato Jung (o me) attribuendogli/ci l'idea che i simboli provengano dal passato. Il fatto che riconosca ai simboli un linguaggio "arcaico" vuol significare un eterno presente dei simboli (come dice Zolla da te citato), cioè un linguaggio che resta uguale nell'antichità arcaica come nella modernità. Se ben ricordi, Jung scrive:

"Anche ai nostri giorni ci è dato di osservare la formazione spontanea di veri e propri simboli religiosi nell'individuo; essi spuntano dall'inconscio come fiori di specie ignota, e la coscienza rimane smarrita e non sa bene che cosa fare con tale nascita. Non è troppo difficile stabilire che quei simboli individuali provengono, per il loro contenuto come per la forma, da quello stesso "Spirito" inconscio (o quel che esso sia) da cui provengono le grandi religioni degli uomini. L'esperienza prova comunque che le religioni non sorgono quali frutti di una elucubrazione cosciente, ma provengono dalla vita naturale dell'anima inconscia, che in qualche modo esprimono adeguatamente. Ciò spiega la loro diffusione universale e la loro straordinaria efficacia storica sull'umanità". [JUNG: Realtà dell'anima - pg.157]

PAUL11
L'idea di Dio è l'archetipo per eccellenza.

CARLO
...E, in particolare, l'archetipo di Dio come "Complementarità di opposti" (vedi il mio topic omonimo).



L'angolo musicale:
BOCCHERINI: Strade di Madrid V (fino a 9':45'')
https://youtu.be/8dmWAve3Pvk?t=475

MOZART: Conc. piano K. 482, III
https://youtu.be/QKIwi5L0R3U

iano

#6
Un bel post il tuo Carlo,dove si capisce cosa è l'io,il se',l'inconscio personale e collettivo,approvando io l'uso di questi ultimi termini.
Mi hai chiarito un bel po' di idee in proposito.Grazie.
C'è solo un passaggio che,per quel che ho imparato a conoscerti,mi mette in allarme.
Laddove parli di inconscio collettivo,quindi comune a tutti gli individui ovunque e in ogni tempo,QUINDI UNIVERSALE.
Questo chiamarlo universale mi sembra una promozione gratuita,perché non mi sembra indipendente dal luogo e dal tempo più di quanto lo sia l'umanità .
Dal mio punto di vista si può ipotizzare che l'inconscio collettivo sia una memoria remota molto capiente,ma per contrappasso di difficile accesso,ma non impossibile accesso.
L'inconscio personale invece è una memoria di scarsa capacità,ma di relativo facile accesso.
Per chi crede poi nell'evoluzionismo difficile non pensare ad un inconscio ancor più collettivo,o se preferisci ancor più universale,condiviso fra le diverse specie.
Mi chiedo e ti chiedo,se per Freud,per Joung,e per te portare a coscienza certi contenuti più o meno sepolti in noi abbia un connotato solo positivo.Cioe' se ciò sia sempre desiderabile.
In generale i contenuti di queste memorie più o meno remote hanno conseguenze automatiche sui nostri comportamenti,laddove in effetti li usiamo non sempre portandoli a coscienza,nel senso che non vi accediamo in modo volontario o cosciente,appunto.
Questo può essere,e io credo che lo sia,un modo economico di gestire il nostro archivio di memoria.
In questo senso la coscienza non sempre è utile.
Istintivamente mi piacerebbe avere controllo cosciente su tutti i miei comportamenti,ma questo sembra vada oltre le nostre limitate capacità,e l'inconscio si dimostra essere un utile espediente per superare questi limiti.
Si può vedere La questione sotto un altro punto di vista,laddove si consideri che i nostri comportamenti sono spesso tesi a salvarci la vita,e che a tal fine sono richieste reazioni rapide,laddove la coscienza richiede per esplicarsi un tempo che può essere eccessivo,con esiti fatali.
Ti faccio un esempio.
Se mentre attraversi la strada prendi coscienza,vedendolo,che una macchina sta per investirti,puoi salvarti la vita se hai un tempo di reazione buono.
In questo tempo di reazione è compreso il tempo in cui percepisci visualmente la macchina prendendone coscienza.Non è un tempo propriamente piccolo.Anzi è un eternità.
Gli scienziati hanno dimostrato che non riusciamo ad evitare la macchina perché la vediamo,e quindi con un azione cosciente,ma perché la udiamo senza avere la coscienza di farlo.
Ecco perché è molto più probabile oggi essere investiti da una macchina,se questa è elettrica,e quindi silenziosa.
A volte la coscienza serve a volte no.
Portare a coscienza certi contenuti sepolti idem,ed è meglio affidarsi a specialisti per capire se è un bene o è un male.
Sondare questi contenuti non è un bene in se,ma al massimo un mestiere,e ciò ha un senso nella misura in cui condividiamo questi contenuti (inconscio collettivo).
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Carlo Pierini

Citazione di: iano il 18 Settembre 2017, 14:27:32 PM
C'è solo un passaggio che,per quel che ho imparato a conoscerti,mi mette in allarme.
Laddove parli di inconscio collettivo,quindi comune a tutti gli individui ovunque e in ogni tempo,QUINDI UNIVERSALE.
Questo chiamarlo universale mi sembra una promozione gratuita,perché non mi sembra indipendente dal luogo e dal tempo più di quanto lo sia l'umanità . Dal mio punto di vista si può ipotizzare che l'inconscio collettivo sia una memoria remota molto capiente,ma per contrappasso di difficile accesso,ma non impossibile accesso.


Scusa il ritardo, Iano, ma mi era sfuggito questo tuo post.
Che l'inconscio collettivo sia ben altro che un semplice sedimento di "memoria collettiva" si comincia a capirlo solo dopo l'analisi di una discreta mole di osservazioni convergenti-complementari, sia nell'ambito della psicologia individuale che in quello dello studio comparato della storia dei simboli-miti e delle idee religiose. Ma è impossibile riassumerle in mezza paginetta di un forum di discussione, sia per la loro grande varietà che per la loro relativa complessità. E' un po' come se qualcuno che conosce a mala pena le tabelline volesse imparare a risolvere un'equazione di secondo grado, per quanto semplice, senza passare per i gradi intermedi che sono necessari.
Se ti interessa capirne qualcosa in più , puoi cominciare col leggerti i miei topic di questa sezione in cui racconto delle mie esperienze concrete: "Un'esperienza visionaria molto istruttiva", "Una visione zodiacale", "Un sogno archetipico e un film", "un'esperienza impressionante con l'"erba"", ecc., i quali rappresentano un'ottima introduzione a quest'argomento senza la necessità di tante elucubrazioni metafisiche astratte. E magari puoi chiedere lì dei chiarimenti o esprimere le tue eventuali obiezioni

IANO
Mi chiedo e ti chiedo,se per Freud,per Jung,e per te portare a coscienza certi contenuti più o meno sepolti in noi abbia un connotato solo positivo.Cioe' se ciò sia sempre desiderabile.

CARLO
I contenuti dell'inconscio non "si portano" alla coscienza, cioè, non sottostanno al controllo della volontà intenzionale, ma emergono spontaneamente quando si realizzano certe condizioni "esistenziali" dell'individuo; condizioni che sono note solo in una misura minima e che in larga parte sono ancora da comprendere e da approfondire.
Anche sulla desiderabilità di queste manifestazioni il discorso è complesso, perché nella maggior parte dei casi esse sono risolutive per la guarigione da nevrosi, psicosi o stati depressivi cronici (come nel mio caso), mentre, sebbene più raramente, in coscienze deboli o frammentate, possono aggravare delle psicosi, se non addirittura condurre alla follia. Come scrive Jung:

"La costellazione di immagini e fantasie archetipiche, non è in sé patologica. Il momento patologico consiste unicamente nel modo in cui l'individuo reagisce o afferra tali motivi. L'elemento caratteristico di una reazione patologica è anzitutto l'"identificazione con l'archetipo". [...] In tutti i casi l'identificazione con l'inconscio implica un certo indebolimento della coscienza. Non "ci si identifica", ma si subisce l'identità con l'archetipo, se ne è posseduti. [...] A seconda che siano esattamente o erroneamente afferrate, le esperienze psichiche esercitano effetti molto diversi sullo sviluppo di una persona. [...] Se il processo non è per niente compreso, per non sprofondare nuovamente nell'inconscio senza alcun risultato, deve possedere un'intensità eccezionale". [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg.340]

IANO
Istintivamente mi piacerebbe avere controllo cosciente su tutti i miei comportamenti,ma questo sembra vada oltre le nostre limitate capacità,e l'inconscio si dimostra essere un utile espediente per superare questi limiti.

CARLO
Ti faccio rispondere direttamente da Jung:

"Come si sa per esperienza, la psiche oggettiva (l'inconscio) ha una indipendenza estrema. Se non l'avesse, non potrebbe esercitare la sua funzione peculiare: la compensazione della coscienza. La coscienza è ammaestrabile come un pappagallo, non così l'inconscio. Per questa ragione Sant'Agostino ringraziò il Signore di non averlo reso responsabile dei propri sogni. L'inconscio è un elemento psichico che si può addestrare soltanto apparentemente, e sempre a grande scapito della coscienza. E' e rimane una parte della natura che non può venir né corretta né corrotta; i suoi segreti possono soltanto essere intravisti, non manipolati." [JUNG: Psicologia e alchimia - pg.52]

IANO
Se mentre attraversi la strada prendi coscienza,vedendolo,che una macchina sta per investirti,puoi salvarti la vita se hai un tempo di reazione buono.
In questo tempo di reazione è compreso il tempo in cui percepisci visualmente la macchina prendendone coscienza.Non è un tempo propriamente piccolo.Anzi è un eternità.
Gli scienziati hanno dimostrato che non riusciamo ad evitare la macchina perché la vediamo,e quindi con un azione cosciente,ma perché la udiamo senza avere la coscienza di farlo.
Ecco perché è molto più probabile oggi essere investiti da una macchina,se questa è elettrica,e quindi silenziosa.
A volte la coscienza serve a volte no.

CARLO
Ciò che dici è giusto, ma questo ordine di eventi riguarda lo strato personale dell'inconscio , non le profondità trans-personali dell'inconscio collettivo, che sono all'origine di ben altri tipi di "fenomeni".

green demetr

Citazione di: paul11 il 29 Agosto 2017, 09:43:38 AM
Riflettevo fra me e me........
ma non vi sembra che stiamo ritornando ai simboli in questo tempo?
Gli emoticons , i logo delle marche commerciali, le segnaletiche stradali.
la globalizzazione economica, internet,  i social, impongono l'utilizzo comunicativo veloce del simbolo più che di una forma logica razionale "segnica".

Ho l'impressione che l'umanità scegliendo una "nuova razionalità" focalizzata sul dimostrare scientificamente, abbia necessariamente scelto linguaggi che dovevano entrare nei particolari e descrivere logicamente la relazione fra l'osservato e l'osservatore che spiega dimostrando. Il segno perde però tutto  la parte "indicibile", psichica/spirituale/archetipica, il cui focus è solo asetticamente descrittivo perdendo totalmente di soggettività.
In realtà nessun linguaggio umano può porsi fuori dalla soggettività e infatti le gestualità dei simboli, se noi non conosciamo una traduzione e vogliamo comunicare con uno straniero, utilizziamo i gesti.

La necessità di un linguaggio trasversale alle diverse lingue, cerca scorciatoie comunicative dove viene riutilizzato il simbolo nelle forme post moderne.

Si sono d'accordo Paul, ma in effetti non ci sarebbe nelle modalità di funzionamento grande distinzione tra un emoticons e un archetipo.

Entrambi "incarnano" un movimento dello spirito, altrimenti detto dei sentimenti.

E' la plasticità della figurazione che viene a mancare mi sembra però.  ;)  :D  ;D

Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: paul11 il 07 Settembre 2017, 23:52:53 PM
ante scriptum: Carlo P. non scoraggiarti, non pensare che tutti la pensino diversamente da te.
L'archetipo se è in noi come umanità  prima o poi traccerà una via di comunicazione: la diversità non è separazione.

Con Kerenyi l'archetipo si sposta dalla psicologia alla storia delle religioni e sociali, si sposta, ma non si discosta.
Kerenyi sostiene che il pieno significato è nel mutamento fra ciò che permane costante.
Verità quasi divine si trovano in alcuni passi dello pseudo-Dionigi L'archetipo per Kerenyi è ciò che dà l'impronta originaria,
vale a dire il principio di ogni impronta successiva.Il significato di base per lui è il "conio", l'impronta.
Anche il silenzio di Dio è una figurazione archetipica. Nelle sue preghiere l'uomo desidera che in qualche modo Dio gli parli.

Per Elemire Zolla l'archetipo si fonda su esperienze metafisiche. Queste permettono all'uomo di rendersi padrone della propria esperienza di vita; un esempio è come viene concepito l'infinito che è una figurazione archetipica riconducibile alla sensibilità umana.L'infinità vera è senza limiti in quanto origine di ogni limite,non è un dato esterno all'esperienza umana,ma risiede nella mente.nelle sue pieghe ancestrali si possono trovare l'idea di una serena caduta nell'oblio, o quella di "dolce naufragare".
L'esperienza metafisica si tradurrebbe nell'arte di concepire se stessi come la totalità dell'universo.L'infinito per Zolla appartiene all'infinito presente che è la dimensione temporale dell'archetipo, in cui l'uomo ha la possibilità d'identificarsi come conoscitore del conosciuto; il passato e il futuro si fondano nel tempo presente in quanto tempo della conoscenza.
Per Zolla gli archetipi sono sia campi di energia psichica,sia unità di misura della sensibilità umana: alla sfera del sacro si ricorreva per determinare l'ordinamento.

Jung, Kerenyi, Zolla non possono esimersi dal fare i conti con Platone.
Non va confusi l'archetipo con il mito.
Secondo le più recenti teorie e largamente condivise il mito è un racconto di verità, seppure rivestito di simboli.
Gli archetipi non si ricavano con il tempo, semmai lo fanno i miti attraverso la mitopoiesi che riporta il fatto attuale al modello archetipico.
La definizione junghiana di archetipo è quella che si attaglia meglio al mito, con i "resti archeologici" della memoria collettiva che non emergono solo con il sonno,ma anche nella veglia come simbolo che assurge dalla realtà  anche con l'estasi religiosa, o di trance sciamanica .
L'idea di Dio è l'archetipo per eccellenza.

E andrebbe indagata come tale.

Ma sono solo io che si è fatto la domanda, ma perchè si fa coincidere Dio con una pretesa universalità?

Fuori dal tempo (rosmini) non esteso e quindi infinito....dove non capisco bene dove risieda il e "quindi".


Mi pare che sul concetto di infinito (e quindi con il suo contraltare di finito in vita) si stanno consumando le ceneri di tutte le religioni (salvo i fanatismi).

Le religioni e quindi la cultura che informavano è cambiata radicalmente, la scienza ha ucciso Dio, nel senso culturale.
Nessuno va dallo sciamano per farsi curare.

Il simbolo religioso in fin dei conti è servito e serve tutt'ora SOLO per tenere insieme una civiltà.

E' il simbolo quello che non viene MAI a mancare.

Che quello coincida con Dio e con altro, è tutt'altro affare.


Ma noi stiamo parlando di DIO, di un DIO archetipizzato.

Penso che il lavoro sul libro rosso che jung ha intrapreso per tutta la vita.

Dica tante cose su come si debba intendere Jung. (ma Carlo potrà essere più preciso)-

Ossia che per lui la forma era ben più che la forma.

E con forma probabilmente intendeva veramente l'eidos del mondo come l'intendevano i greci.

Platone? Se intendiamo il Platone ermetico, direi che può essere.

Cosa è il mondo iper-uranico? Quali riferimenti prendere nel leggere i suoi antichi testi?

Cosa è il Sole che illumina il Sole?????????? (dal mito della caverna....una questioncina che nessuno prova nemmeno a capire).

Il platone che invece evochi mi sembra quello del suo maestro, quello di socrate.

Che cercava la verità....ma la filosofia nasce non nel dire la verità, io so di non sapere, ma nel questionare la sua fattibilità.


Se l'eidos del Mondo deve coincidere con L'etos, alias se le forme del Mondo (la bellezza per Platone) devono coincidere con la morale del Mondo.

Ossia se la verità è la coincidenza fra IDEA e sua COPIA, che effetti avremmo a livello simbolico?

Queste sono le grandi domande inevase della storia della storia della filosofia.

Che se le chiede in esergo, come domande a margine dei testi, ma sempre e solo visceralmente attaccatta alla verità del testo, e non ai suo esergo che rimangono eternamente a margine.

Mi pare così patetico caro Paul!!! Meno male che ci sei tu e (anche Carlo, pure nelle sue convinzioni un tantino ferree che mi hanno fatto scappare il pur ottimo Angelo, e adesso chi ci parla di spiritualità con un minimo di credibilità????).


Ecco allora forse ci dobbiamo interrogare su cosa intendeva Jung per Verità. Perchè di certo è uno dei pochi che ha letto Platone (forse uno dei pochi psicologi che leggevano filosofia e con frutto direi!).

Pensiamo alla sua casa Ottagonale, pensiamo alla scrittura automatica del libro dei morti, pensiamo alla percezione 8 e come altra chiamarla, medianità forse') del milite ignoto (veramente da brividi!!!).

Jung parlava con i Morti, e per lui era normale.....

Personaggio Bizzarro e affascinante sopratutto se lo uniamo con lo scienziato, quello che usa  l'associazione di idee libere freudiane per arrivare alla teoria dei tipi.
(una sorta di ibrido tra le posizioni di Freude e quelle di Adler).

Come diceva lui la psicologia era un modo per rimanere a contatto con i vivi!!!

Insomma personaggio problematico, che ha ricevuto ingiustamente secondo me, molte critiche.

Bisogna anzitutto separare la teoria dei tipi, dalla sua teoria dell'EIDOS come qui l'abbiamo ribatezzata.


Nelle sue memorie, ricorda che per lui la scultura era forse la cosa più importante che lui potesse fare.

Un uomo scienziato, radicato al mondo popolare (patito della pesca), che "sapeva usare le mani" discreto scultore si dice (non ho ancora visto le sue opere, ovviamente disconosciute....bizzarro visto che diceva che erano le sue cose più importanti, come i disegni di Montale rispetto alle sue poesie).

Insomma ce nè abbastanza per farsi incantare.

Chiudo visto anche la terribile emicrania: insomma che vogliamo fare rimaniamo a margine?

visto il mio stato contemporaneo direi di sì.....1 mese e 1 settimana e ancora non mi riprendo....MAH!   ;D
Vai avanti tu che mi vien da ridere

baylham

Citazione di: iano il 18 Settembre 2017, 14:27:32 PM
Per chi crede poi nell'evoluzionismo difficile non pensare ad un inconscio ancor più collettivo,o se preferisci ancor più universale,condiviso fra le diverse specie.

Non comprendo da che cosa derivi questa tesi. Secondo me un evoluzionismo coerente, al contrario, non riconosce né alcun inconscio collettivo, né ovviamente alcun archetipo. Il nucleo dell'evoluzionismo è l'innovazione, la creazione ex novo, non la fissità universale dell'inconscio o degli archetipi. Un serio evoluzionismo è in antitesi con filosofie ispirate dalla teoria ideale platonica.

Carlo Pierini

#11
Citazione di: baylham il 27 Settembre 2017, 11:07:07 AM
Citazione di: iano il 18 Settembre 2017, 14:27:32 PM
Per chi crede poi nell'evoluzionismo difficile non pensare ad un inconscio ancor più collettivo,o se preferisci ancor più universale,condiviso fra le diverse specie.

Non comprendo da che cosa derivi questa tesi. Secondo me un evoluzionismo coerente, al contrario, non riconosce né alcun inconscio collettivo, né ovviamente alcun archetipo. Il nucleo dell'evoluzionismo è l'innovazione, la creazione ex novo, non la fissità universale dell'inconscio o degli archetipi. Un serio evoluzionismo è in antitesi con filosofie ispirate dalla teoria ideale platonica.

Stai scambiando la "grammatica" (sempre uguale a sé stessa) con i "testi" (sempre diversi). Scrive Jung:

"L'archetipo è una tendenza della psiche umana a formare rappresentazioni che possono variare molto senza discostarsi dal modello fondamentale".  [JUNG: Psicanalisi e psicologia analitica - pg.269]

"La verità eterna deve adottare un linguaggio che varii con lo spirito del tempo. Le immagini archetipiche sono suscettibili di metamorfosi infinite eppure restano sempre le stesse; ma possono essere nuovamente intese soltanto in forma nuova". [JUNG: Pratica della psicoterapia - pg.206]

In una analogia con il fenomeno dell'evoluzione, la struttura fondamentale del DNA e la "dinamica" della sua evoluzione sono uguali in tutte le specie; mentre è il suo contenuto in termini di informazione che cambia da specie a specie.


L'angolo musicale:
FOUR NON BLONDES: What's up
https://youtu.be/6NXnxTNIWkc

baylham

Citazione di: Carlo Pierini il 27 Settembre 2017, 12:11:20 PM
Stai scambiando la 
"grammatica" (sempre uguale a sé stessa) con i "testi" (sempre diversi). 

La mia concezione dell'evoluzionismo mi porta a sostenere che la grammatica, oltre che il linguaggio, sia soggetta ad evoluzione; lo stesso vale per il  meccanismo di riproduzione genetica. Infatti entrambe, la genetica e la lingua, sono innovazioni relativamente recenti nella storia del nostro universo, hanno un'origine, una storia.
Di stabile c'è solo l'evoluzione. 

Carlo Pierini

Citazione di: baylham il 27 Settembre 2017, 15:02:21 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Settembre 2017, 12:11:20 PM
Stai scambiando la
"grammatica" (sempre uguale a sé stessa) con i "testi" (sempre diversi).

La mia concezione dell'evoluzionismo mi porta a sostenere che la grammatica, oltre che il linguaggio, sia soggetta ad evoluzione; lo stesso vale per il  meccanismo di riproduzione genetica. Infatti entrambe, la genetica e la lingua, sono innovazioni relativamente recenti nella storia del nostro universo, hanno un'origine, una storia.
Di stabile c'è solo l'evoluzione.

Gli elementi chimici di  4 miliardi di anni fa erano gli stessi di oggi. E non c'è alcun motivo di credere che leggi della chimica, della fisica e della biologia siano cambiate dalle origini della vita fino ai giorni nostri.  Questo intendevo per "grammatica".

baylham

Citazione di: Carlo Pierini il 27 Settembre 2017, 15:37:32 PM
Gli elementi chimici di  4 miliardi di anni fa erano gli stessi di oggi. E non c'è alcun motivo di credere che leggi della chimica, della fisica e della biologia siano cambiate dalle origini della vita fino ai giorni nostri.  Questo intendevo per "grammatica".

In realtà sono stati prodotti nuovi elementi chimici, artificiali, i transuranici.

Coerentemente con la mia concezione ritengo che ogni elemento chimico abbia una sua storia, con un inizio, sviluppo e probabile fine. Lo stesso ritengo per le leggi fisiche, chimiche e biologiche (senza alcun dubbio per quelle biologiche, che sono appunto un'innovazione relativamente recente).
Se una realtà, un universo fisico-chimico ha originato la novità biologica significa che il processo evolutivo è probabilmente connaturato, endogeno  all'universo, alla realtà. Mi sembra un valido motivo a sostegno della mia concezione.

Discussioni simili (1)