Il "paradosso" di DIO e del LOGOS

Aperto da Eutidemo, 19 Giugno 2021, 11:50:11 AM

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Alexander

#30


Buongiorno Phil:
Una interpretazione vale l'altra? Per me, no, né storicamente né qualitativamente. Il risultato tipico dell'attuale rapporto critico (pensante, che non è certo un difetto) con la religione, è che probabilmente (magari sbaglio) ci sono milioni di persone unite dal motto «sono credente, però...» e a tale «però» seguono interpretazioni talvolta diametralmente opposte di quella che, apparentemente, si direbbe la medesima religione basta sui medesimi testi; così ci si ritrova nel "paradosso" che due cattolici (o cristiani o altro) sono in realtà di due religioni ben differenti (dal Dio antropomorfo al Dio come puro Essere, passando per il Dio come Ignoto) pur chiamandole con lo stesso nome e frequentando le stesse celebrazioni.


Non è che un'interpretazione vale l'altra. C'è sempre un principio d'autorevolezza. Ma nella pratica è così. Se si frequentano comunità o gruppi di cristiani ci s'imbatte in una grande varietà di posizioni e idee riguardo al proprio credo. Questo è arricchente . E' un'immagine stereotipata quella che hanno molti atei (che però non frequentano e conoscono dall'interno) a riguardo dei credenti. L' ecclesia esprime molte sensibilità diverse. Ci sono stati profondi cambiamenti negli ultimi trent'anni, sopratutto relativamente all'importanza del laicato.

Phil

Citazione di: Alexander il 25 Giugno 2021, 10:40:28 AM
L' ecclesia esprime molte sensibilità diverse. Ci sono stati profondi cambiamenti negli ultimi trent'anni, sopratutto relativamente all'importanza del laicato.
Concordo; eppure, secondo me, da un certo punto in poi, più che di "sensibilità diverse", si può iniziare a parlare di religioni diverse, soprattutto se è il caposaldo, Dio, ad essere inteso in modi molti differenti fra loro (v. esempi sopra), seppur nominalmente coincidenti nella medesima "etichetta". Eutidemo ha giustamente ricordato le diverse correnti religiose basate sui medesimi testi, tuttavia ho l'impressione (ma non ho dati statistici al riguardo) che oggi molti si facciano una religione casalinga a propria immagine e somiglianza, e per poi renderla "autorevole" prendano passi e citazioni dai testi sacri che hanno sottomano (quelli della tradizione che li circonda), spesso giocando (magari in buona fede) sul piano dell'interpretazione metaforica. Questa, a scanso di ulteriori fraintendimenti, non è una critica (né una "colpa"), anzi è per me indice di ragionevolezza, curiosità, senso critico, ricerca filologica, apertura comparativa, etc. tutti antidoti al dogmatismo che solitamente è l'essenza della religione

Eutidemo

Ciao Phil.
Non vedo cosa ci sia di male nel fatto che il "come la penso io", sia diverso dal  "come la pensi tu"; ed infatti il mondo è bello proprio perchè è vario.
E, questo, secondo me, anche nel modo di interpretare la Bibbia.
***
Però non riesco proprio a capire come fai a dire di non essere un sostenitore dell'interpretazione letterale delle scritture, quando poi, invece, dalle tue affermazioni si evince molto chiaramente che lo sei; ed anche in modo molto rigido, "formalistico" e "fondamentalistico".
Anche io sarei ateo come te (e come ero), se dovessi attenermi ad una esegesi del genere da te sostenuto!
***
Ed infatti, se è scritto che "Dio disse",  questo non vuole affatto dire che abbia  "parlato" sul serio, e, cioè, in modo "fisico"; proprio perchè, appunto, non essendo dotato di laringe, di lingua e di corde vocali, non si vede in quale modo avrebbe mai potuto farlo personalmente (Giove lo potrei anche capire, ma il Dio cristiano assolutamente NO!).
Ed invero, neanche i più accesi sostenitori dell'ermeneutica letterale negano a priori che la Bibbia, in molti casi, possa esprimersi in modo "metaforico"; per cui mi sorprende molto che tu ti chieda cosa significhi "parlare" o "dire" in senso solo "metaforico"!
A me sembra ovvio!
***
Te ne fornisco qualche banalissimo esempio:
a)
Io stesso, in questo FORUM, invece di esprimermi con "come già avevo scritto", spesso mi esprimo con "come già avevo detto";  ma è evidente che, in tal caso, mi sto esprimendo in modo "metaforico".
Nè mi risulta che tu mi abbia mai replicato: "Non è vero, io non ti ho mai udito dire una cosa del genere; semmai l'hai solo scritta!"
b)
A maggior ragione ciò avviene in testi antichi come la Bibbia, i quali fanno spesso ricorso all'allegoria, e laddove la metafora è molto comune e frequente; come, ad esempio, l'espressione "parlare al cuore" (spesso senza usare neanche la lingua) invece di  "parlare alle orecchie", che sono le sole, fisiologicamente, a poter udire le parole!
c)
Infine, in molti passi biblici, sono gli uomini a "parlare" per conto di Dio, il quale si limita semplicemente ad "ispirare" le loro parole; ovvero quello che essi scrivono.
***
Pertanto, a differenza di quanto sostieni tu, sia "esegeticamente" che "ermeneuticamente", quella "metaforica" (ovvero anche quella "allegorica" e quella "spirituale"), secondo me è una interpretazione assolutamente lecita perché non travalica affatto il "campo di pertinenza al testo", ma, semmai, solo quello della sua "lettera", conferendogli un autentico significato "spirituale"; la "lettera", infatti, come San Paolo stesso scrisse, non è affatto un buon metodo ermeneutico, perchè del testo va colto, oltre che la "lettera", soprattutto lo "spirito".
Tanto è vero che, a parte i Testimoni di Geova, ormai, ben pochi, oggi, preferiscono l'interpretazione strettamente letterale.
***
Neanche per me, infatti, una interpretazione vale l'altra, ed infatti, a mio parere, la tua è completamente sbagliata; però ti riconosco il diritto di attenertici, se ti sembra più conforme alla tua particolare ottica esegetica.
***
Quanto al fatto e che ci sono "credenti" i quali "credono":
- o addittura nel dio di diverse religioni;
- ovvero al dio di una stessa religione, ma interpretato in modo diverso;
anche in questo non ci vedo niente di strano.
Anzi, secondo me, sarebbe strano il contrario; anzi, lo troverei alquanto preoccupante, perchè nei tempi e nei luoghi in cui questo accadeva, chi la pensava in modo diverso, finiva sul rogo.
***
Le vie del Signore sono infinite!
***
Un saluto! :)
***

Phil

@Eutidemo
Quindi, in sintesi: il Dio cristiano può creare il mondo, fare miracoli, etc. ma non può parlare perché non ha una lingua, corde vocali, etc.; dunque è "onnipotente" (come recita il Credo) solo in senso allegorico? Il suo essersi rivelato è anch'esso solo metaforico perché si tratta in realtà di "ispirazione"? Tale "ispirazione" avviene senza parola o linguaggio proferiti da Dio, ma con qualcosa di simile ad un'inoculazione neurale di impulsi compatibili con il cervello umano o altro modo biologicamente compatibile (sogno, etc.)? Può dunque apparire in sogno manipolando le dinamiche neurologiche di un individuo, ma non può provocare suoni udibili all'uomo? A questo punto anche l'esistenza stessa di Dio e il concetto di «Dio» vanno intesi in modo metaforico, o invece qui prendiamo i testi alla lettera quando ci dicono che Dio c'è? D'altronde, se Dio non fosse, chi sarebbe la fonte di tale (infalsificabile) ispirazione divina?
Mi pare si torni ancora alla domanda chiave: quali sono i limiti (se ce ne sono) di un'interpretazione legittimamente metaforica? Dove inizia il senso metaforico assegnato ad libitum?
Non c'è nulla di male (non credo di aver parlato di ciò che è male o ciò che è bene) nel come interpreti la Bibbia (e ho già premesso che forse sono la persona meno adatta a parlarne), ma mi interessa(va), a livello metodologico, capire fino a che grado di "libertà esegetica" si può arrivare prima di dover concludere che si è persa un po' di vista la pertinenza con il testo (magari a causa della propria visione del mondo extra-testuale, come potrebbe capitare ad un ateo); perdita di vista che, ribadisco, non è affatto un "male" né un "peccato", al massimo un "passo falso esegetico" (e forse nemmeno quello, a seconda di dove si pone, se si pone, il suddetto limite), soprattutto alla luce della considerazione, su cui concordiamo, che un'interpretazione non vale l'altra (ovviamente ognuno è poi libero di autoetichettarsi comunque come "cattolico", "cristiano", "credente", o altro, non è questo che ci interessa, direi).

Phil

Citazione di: Eutidemo il 25 Giugno 2021, 13:34:30 PM
Però non riesco proprio a capire come fai a dire di non essere un sostenitore dell'interpretazione letterale delle scritture, quando poi, invece, dalle tue affermazioni si evince molto chiaramente che lo sei; ed anche in modo molto rigido, "formalistico" e "fondamentalistico".
Chiaramente, il fatto che ritenga opportuno attenermi talvolta al significato letterale, non per preferenze personali, ma per motivi dottrinali, di coerenza concettuale, di corrispondenza con altri passi biblici, etc. non comporta che ciò debba accadere sempre. Un esempio di come intendo un'interpretazione non letterale (ma pertinente) del testo biblico può essere il mio post, all'esordio di questo stesso topic, riguardo la frase giovannea «In principio era il logos, e il logos era presso Dio e il logos era Dio»: se interpretiamo tale passo alla lettera, allora, come hai osservato, siamo quasi nel "paradosso"; se invece ricorriamo ad altre risorse bibliche di senso (quindi senza introdurre nessuna "deduzione" troppo personale o extracontestuale), come ad esempio alcuni passi della Genesi, allora quel passo diventa meno criptico e, soprattutto, più coerente esegeticamente con molti altri passaggi testuali (in cui Dio può essere logos, ma anche altro, giudice, incarnazione, etc.).

P.s.
Ovviamente ciò non risponde alla domanda sul fin dove sia lecito "emanciparsi metaforicamente" dal testo letterale, ma almeno, forse, mi fa scampare il paradosso di risultare ateo e "fondamentalista biblico" allo stesso tempo.

iano

#35
Permettetemi una battuta.
Non occorre che Dio abbia le corde vocali.
È sufficiente che abbia le labbra, visto che noi siamo in grado di udire il labiale.
Cioè di ascoltare un movimento che non produce alcun suono.
E questo sarebbe un appoggio , labiale quanto labile, al punto di vista di Phil, che comunque sposo.
Dio può certo farmi sentire la sua voce senza emettere suono, e non solo Dio.
Dio può mandarmi visioni in sogno perché in sogno vedo ad occhi chiusi, e a volte non so' se sogno o son desto.
Quindi da perfetto ateo mi chiedo quanto questi "fenomeni percettivi" ormai ben noti abbiano giocato un ruolo nella nascita delle religioni.
Sempre da perfetto ateo, nella pur contraddittoria frase in cui si afferma che Dio è logos, vedo racchiusa una profonda saggezza.
Ma sempre da perfetto ateo traduco quella frase, senza voler essere blasfemo, con "l'uomo è logos" ,  e anche di più.
Nel senso che la "realtà " in cui viviamo è una possibile descrizione, fra le tante, della vera realtà.
Descrizione e non interpretazione, perché la realtà si può descrivere, ma poi ie descrizioni vanno interpretate.
E ciò è tanto più vero quanto le descrizioni non sono operative, ciò che è completamente vero per un testo come la Bibbia.
Ma in generale qualunque testo va' interpretato.
I cristiani , e più in generali i credenti, possono dare interpretazioni anche molto diverse fra loro, ma sono tali in quanto si fissano ad interpretare gli stessi testi. Sempre gli stessi.
Mentre i non credenti si caratterizzano dal riuscire a trarre ispirazione spirituale da ogni possibile testo.
Ogni credente sceglie la sua interpretazione, e ogni miscredente i suoi testi.
Io non rinuncerei mai alla libertà di scegliere i miei testi, per quanto so' bene che tale scelta molto deve al caso.
Forse non sarò davvero libero di scegliere, ma infine ciò che a me interessa è la sensazione di benessere che provo nel sentirmi tale.
I credenti cercano la saggezza racchiusa nei loro testi, i non credenti cercano a loro volta la conoscenza nei loro, e ciò da' conto del perché la conoscenza sia associata dai credenti al peccato originale, mentre i non credenti giudicano un vero peccato la rinuncia al piacere umano della conoscenza, ma senza farne una questione capitale.
C'è però un punto a favore dei credenti.
Ogni società umana si basa su un testo che deve essere accettato da tutti, e loro sanno bene come si fa', mentre gli atei mostrano a volte anarchica difficoltà .
Questo è il motivo della longevità delle società religiose, abbarbicate ai loro testi sacri contro ogni legge della gravitazione, per cui essi dovrebbero mollare probabilmente i loro appigli in misura proporzionale alle contraddizioni che si accumulano nel tempo col mutare dei linguaggi e del senso comune.
Ma in fondo mi auguro che ciò non avvenga mai e che essi possano continuare a provare la soddisfazione che sta nel loro credere a qualcosa  come la mia sta nel credere a tutto e a niente.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

paul11

#36

@ eutidemo


Premetto che chiedo scusa per il ritardo che colmerò leggendo l'andamento della discussione che mi sembra interessante. Quindi il mio post è riferito all'incipit del topic.

Il logos divino significa che la "ragione"(o parola, in effetti logos  ha più significati) era in Dio, che Dio aveva anche lo strumento per creare

Su questo secondo aspetto, il "concretizzarsi", richiamo la vostra attenzione, perchè costituisce il "fulcro" sul quale farò "leva" per "elevare" le mie considerazioni conclusive; cioè, l'ESSERE che "si concretizza" manifestandosi in "epifenomeni" esistenti individualmente.

Non è l'Essere che si concretizza, ma il Logos, questo è importante ed è questa la sottile differenza che compie Giovanni.  Se fosse l'essere a concretizzarsi avrebbe ragione Spinoza e il suo panteismo e invece Spinoza sbaglia.
Se fai riferimenti ontologici a Platone ed Aristotele bisogna sapere che entrambi non identificano l'Essere supremo , un demiurgo , un "Dio" né con il bene per il Platone e neppure il primo motore incausato o immobile . Il logos giovanneo è quindi lo strumento simile  sia in  Platone che Aristotele che  utilizzano per poter definire il creato, il divenire, l'esistenza , ma tenendo "fermo "il divino. Il fulcro nel loro pensiero è Dio che dovendo creare un mondo in divenire, distinto da quello del tempo eterno , puro, veritativo necessitano del meccanismo creativo affinché il creato si compia.
Il loro vero e sostanziale problema logico era legare due domini che hanno proprietà separate, come l'eternità e il divenire dell'esistenza.
Non so se mi sono spiegato.

Ma se essi mi dicono: "Qual è il suo nome?", che cosa risponderò loro?».  DIO rispose a Mosè: «IO SONO COLUI CHE SONO». Poi disse: «Dirai così ai figli d'Israele: "L'IO SONO mi ha mandato da voi"» (Esodo 3,11-15).
DIO non può avere un nome, per il semplice fatto che non è una "persona", la quale possa autoqualificarsi dicendo: "Io sono Pippo De Pippis!"


Infatti gli ebrei praticanti  non possono pronunciare il nome di Dio del tetragramma Yahweh, sapendo che nella scrittura originaria ebrea non vi sono vocali, ma solo consonati, per cui il tetragramma sarebbe YHWH

Yeshua infatti risolve ontologicamente il problema fra eterno e divenire, fra essere ed esistenza

E' lo spirito nell'uomo il cordone ombelicale fra essere ed esistenza.
Lo spirito ha necessità di costruire un'esperienza nell'esistenza, si fa corpo  e alla fine torna all'origine.

Sono d'accordo anche nella relazione fra Uno e molteplicità, torna ontologicamente ed è spiegata in Platone. Mi torna meno che ognuno di noi è parte di Dio, ...ha un sentore di  new age.


Il termine greco ἐγένετο (egeneto) tradotto in generato, ....non mi convince.
Forse, e quindi non sono sicuro,  ha un significato di "diveniente" che avrebbe poco a che fare con il dogma della chiesa. In quanto ipostasi era un forma precedente al cristianesimo, e significava l'unione del corpo con lo spirito .
Allora forse, siamo sempre a mio parere nel caso di una tesi confutabile, Gesù è l'ipostasi di Dio ed unito al termine  ἐγένετο (egeneto, letteralmente dal greco) " è diveniente".
Allora  il significato diventerebbe che Dio si fa Uomo ed entra nel dominio del tempo diveniente che è la comune esistenza . Noi siamo simili a Dio ,ma fatto Uomo, quindi in divenire e ipostasi come spirito con un corpo , ma non abbiamo il Logos che è in Dio, dobbiamo cercarlo nell'esistenza .In quanto il Logos, se inteso come "ragione", è corrisponderebbe al "disegno divino" quindi dell'essere che ci è nascosto nella forma mortale dello spirito in un corpo, ma essendovi nel corpo lo spirito ,questo si relaziona con il Logos, quindi non è totalmente nascosto per cui la via spirituale è quella di avvicinarci al Logs dell'archè (in quanto nel testo greco l' inizio è tradotto con il termine greco archè che è identico al pensiero filosofico greco classico e in ebreo bereshit che infatti corrisponde alla prima parte di Genesi in ebraico).

Il termine persona in italiano corrisponde al termine greco "maschera" e infatti nasce nella tragedia greca, in quanto la maschera indossata permetteva di amplificare la voce degli attori .

Più o meno collima con ciò che penso.

Phil a mio parere  fa  un' interpretazione possibile, in quanto come ho appena sopra scritto la maschera che è l'etimo di persona, era amplificatore della voce dell' attore, e Dio si manifestava  anche come voce nella Bibbia
Ci sono infatti interpretazioni secondo cui Dio crea l'universo con la voce, o chi ritiene crei  con un semplice gesto..........

P.S. comunque sia, complimenti Eutidemo per il tuo studio e la discussione nel forum.

Eutidemo

Ciao Phil. :)
Tu, non di rado, usi la tecnica dialettica del "fin de non recevoir", cioè, invece di entrare nel merito delle mie argomentazioni -per accettarle o per contestarle argomentativamente- "le salti a piè pari", come se io non le avessi mai scritte; e poi  continui a ripetere pervicacemente i tuoi concetti originari, senza tenere nel minimo conto quello che io ho già argomentato al riguardo (giusto o sbagliato che esso sia).
***
Ed infatti, ad esempio, tu inizi scrivendo "in sintesi: il Dio cristiano può "creare il mondo", fare miracoli, etc", senza tenere nel minimo conto quanto io avevo scritto al riguardo.
E, cioè, che, quanto al fatto alla traduzione canonica  "Dio creò il mondo", Giovanni, in realtà, scrive:
"πάντα δι᾽αὐτοῦ ἐγένετο"
Ora:
- "πάντα" vuol dire "tutte le cose";
- "δι᾽αὐτοῦ" vuol dire per mezzo di lui;
- "ἐγένετο" è l'indicativo aoristo del verbo γίγνομαι, che non significa affatto nè essere "fatto" nè essere "creato" (per i quali si usa il verbo "ποιέειν"), sebbene "essere" o "venire ad essere" o "essere generato".
E mentre ciò che è "creato", come giustamente scrivi tu, è qualcosa di totalmente differente e indipendente da ciò che lo crea, ciò che, invece, viene "generato" (vedi radice "γέν", cioè "gen") è della stessa sostanza di ciò che lo genera.
Ma ho fatto una fatica interpretativa inutile, perchè tu l'hai completamente ignorata!
:'(
***
Quanto al "fare miracoli", trattandosi di eventi di carattere fenomenico del cui effettivo e "materiale" verificarsi non abbiamo la benchè minima prova nè storica nè scientifica, è ovvio che essi non possono essere intepretati se non in senso "allegorico-simbolico-anagogico".
Ad esempio, per quanto riguarda il famoso miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci,  è ovvio che non è possibile sfamare cinquemila uomini con 5 pani e 2 pesci (almeno, fino a prova contraria); per cui, al riguardo, sono state prospettate le più svariate forme di esegesi  "allegorico-simbolico-anagogiche".
Tra le tante, la prevalente (che è quella che maggiormente condivido), è che le parole di Cristo non devono essere tante quante sono le persone che le ascoltano, ma ne bastano poche per sfamarle spiritualmente tutte.
***
Quanto al fatto che "Dio è onnipotente", tale concetto è di carattere tipicamente "catafatico" (e "nembokidesco"); mentre, per la mia visione di carattere "apofatico" (e non solo la mia), "Dio è" e basta, senza alcun predicato di tipo umano quali il "potere", il "dovere" e il "volere".
Figuriamoci chiedersi, come facevo da bambino, se "possa" parlare o meno come;  e con quale accento e con quale dialetto!
:D
***
Quanto al fatto che l'"ispirazione" divina avvenga con qualcosa di simile ad un'inoculazione neurale di impulsi compatibili con il cervello umano o altro modo biologicamente compatibile, secondo me, se completamente fuori strada se metti la questione su un piano prettamente "fenomenologico"; secondo me, invece, la questione va posta sul piano "noumenico", cioè con riferimento a quei rari momenti in cui un uomo si rende conto di "Essere", oltre che di "esistere" come individuo.
Dio non è esterno a noi, in quanto, come scriveva Sant'Agostino: "In interiore homine habitat Veritas!".
***
Quanto a capire, a livello metodologico, fino a che grado di "libertà esegetica" si possa arrivare prima di dover concludere che si è persa un po' di vista la pertinenza con il testo, questo dipende dall'interprete; ad esempio, per quanto concerne la mia esegesi del termine "ἐγένετο", non posso certo escludere che un esegeta più esperto di me, ne possa fornire una interpretazione diversa e migliore.
Ma questo vale per tutte i tipi di interpretazione, ivi compresa quella giuridica; altrimenti non si capirebbe per quale ragione un giudice si pronuncia in un certo modo, e un altro in modo diverso.
Nè si capirebbe per quale ragione ci siano tante religioni, e tante confessioni diverse di una stessa religione, ciascuna delle quali interpreta i Vangeli in modo differente.
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Sicuramente, poi, ognuno è libero di autoetichettarsi come "cattolico", "cristiano", "credente", o altro; così come gli altri sono liberi di condividere o meno tale autoetichettatura.
Ma, secondo me, quello che conta è ciò che sta dentro il barattolo, e non l'etichetta appiccicata sopra.
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Un saluto! :)
***

Eutidemo

Ciao Iano. :)
Sono d'accordo con te sul fatto che qualunque testo può e deve essere interpretato.
Sono anche d'accordo con te sul fatto che:
- i cristiani, e più in generale i credenti, possono dare interpretazioni anche molto diverse fra loro, ma sono tali in quanto si fissano ad interpretare gli stessi testi;
- i non credenti, invece, si caratterizzano dal riuscire a trarre ispirazione spirituale da ogni possibile testo.
***
In base a tale classificazione, a ben vedere, io dovrei essere considerato un "non credente", in quanto, appunto, traggo ispirazione spirituale da ogni possibile testo, anche di religioni non cristiane; ma, se, a volte, mi definisco "cristiano", forse è perchè traggo ispirazione spirituale principalmente da testi cristiani.
Tuttavia, a ben vedere, questo può dipendere anche (e soprattutto) dal fatto che sono nato a Roma; ed infatti sono sicuro che, se fossi nato alla Mecca, trarrei ispirazione spirituale principalmente da testi musulmani.
"Cuius regio, eius et religio!"
***
Tuttavia, personalmente, provo molte "affinità elettive" con i testi dell'Advaita Vedanta; soprattutto perchè certi passi di autori cristiani, che non ne avevano mai sentito parlare, risultano praticamente "identici" ai VEDA (vedi Meister Eckart, Angelus Silesius e molti altri).
E lo stesso dicasi per alcuni "sufi" musulmani!
Questo, secondo me, si spiega con il fatto che la consapevolezza dell'ESSERE che sottende tutto l'ESISTERE, è connaturata ad ogni uomo, che, in ogni luogo e in ogni tempo, si sia posto "seriamente" il problema (a cominciare da Parmenide e da Platone); poi, ovviamente, tale consapevolezza è stata diversamente declinata nelle differenti "spiritualità religose", ma, nella sostanza, resta sempre la stessa.
***
Quanto alle tradizioni "culturali" e "cultuali", quali il velo in chiesa, lo chador ecc., esse si fanno passare per "religione", ma,  secondo, me non lo sono affatto; si tratta solo di "costume"!
Ovvero di mera "superstizione", come il "sangue di San Gennaro" ed altre amenità del genere!
***
Per il resto, condivido quasi tutto quello che hai scritto.
***
Un saluto :)
***

Phil

Citazione di: Eutidemo il 26 Giugno 2021, 06:06:56 AM
Tu, non di rado, usi la tecnica dialettica del "fin de non recevoir", cioè, invece di entrare nel merito delle mie argomentazioni -per accettarle o per contestarle argomentativamente- "le salti a piè pari", come se io non le avessi mai scritte; e poi  continui a ripetere pervicacemente i tuoi concetti originari, senza tenere nel minimo conto quello che io ho già argomentato al riguardo (giusto o sbagliato che esso sia).
***
Ed infatti, ad esempio, tu inizi scrivendo "in sintesi: il Dio cristiano può "creare il mondo", fare miracoli, etc", senza tenere nel minimo conto quanto io avevo scritto al riguardo.
Non mi pare di aver ignorato quello che hai scritto, tuttavia parlando del «Dio cristiano» che crea il mondo, fa miracoli, etc. non posso confonderlo con il "dio secondo Eutidemo" (tratto dal "vangelo secondo Eutidemo") che è (quasi?) consustanziale al mondo e all'uomo, posizione di cui ho accennato le possibili ricadute dottrinali (e chi quindi non è stata affatto ignorata). D'altronde, tutto il mio discorso sul cristianesimo che rischierebbe di perdere di credibilità come religione rivelata (se Dio ispira ma non parla), che vedrebbe sbriciolati alcuni dei suoi pilastri, sulla differenza ontologica, etc. è riferito comunque alla tua posizione (mi spiace che tu l'abbia considerato un "saltarla a piè pari", per quanto, come già detto, si tratta forse solo di un fraintendimento circa i confini dell'approccio esegetico e il ruolo della possibile portata veritativa, che può attirare troppo fuori dall'esegesi pertinente, almeno secondo me).

iano

#40
Citazione di: Eutidemo il 26 Giugno 2021, 06:47:09 AM
Ciao Iano. :)
Sono d'accordo con te sul fatto che qualunque testo può e deve essere interpretato.
Sono anche d'accordo con te sul fatto che:
- i cristiani, e più in generale i credenti, possono dare interpretazioni anche molto diverse fra loro, ma sono tali in quanto si fissano ad interpretare gli stessi testi;
- i non credenti, invece, si caratterizzano dal riuscire a trarre ispirazione spirituale da ogni possibile testo.
***
In base a tale classificazione, a ben vedere, io dovrei essere considerato un "non credente", in quanto, appunto, traggo ispirazione spirituale da ogni possibile testo, anche di religioni non cristiane; ma, se, a volte, mi definisco "cristiano", forse è perchè traggo ispirazione spirituale principalmente da testi cristiani.
Tuttavia, a ben vedere, questo può dipendere anche (e soprattutto) dal fatto che sono nato a Roma; ed infatti sono sicuro che, se fossi nato alla Mecca, trarrei ispirazione spirituale principalmente da testi musulmani.
"Cuius regio, eius et religio!"
***
Tuttavia, personalmente, provo molte "affinità elettive" con i testi dell'Advaita Vedanta; soprattutto perchè certi passi di autori cristiani, che non ne avevano mai sentito parlare, risultano praticamente "identici" ai VEDA (vedi Meister Eckart, Angelus Silesius e molti altri).
E lo stesso dicasi per alcuni "sufi" musulmani!
Questo, secondo me, si spiega con il fatto che la consapevolezza dell'ESSERE che sottende tutto l'ESISTERE, è connaturata ad ogni uomo, che, in ogni luogo e in ogni tempo, si sia posto "seriamente" il problema (a cominciare da Parmenide e da Platone); poi, ovviamente, tale consapevolezza è stata diversamente declinata nelle differenti "spiritualità religose", ma, nella sostanza, resta sempre la stessa.

Il dove si nasce sembra infatti legarsi al credo, e ciò sembra paradossale se si è davvero liberi di credere, non essendo liberi di nascere.
La soluzione del paradosso è che c'è una certa convenienza nel credere quel che si dice di credere.
Non è necessariamente un male questa tensione preminente all'integrazione sociale, purché non si consideri un male la tendenza opposta, che è poi ciò che rende una società dinamica e non immobile e granitica come le leggi scolpite sulla pietra.
Concordo che ci sia una consapevolezza comune dell'essere che porta a convergere religioni nate indipendentemente, e io ho suggerito che questa comunanza nasca da una percezione comune, perché il confine fra ciò che vediamo e ciò che immaginiamo è più labile di quanto non vogliamo credere e ed è allo stesso modo per tutti, perché condividiamo una percezione di fondo.
Sebbene la scienza attuale abbia messo a nudo le approssimazioni del sistema percettivo, non potendosi però vivere sempre nel dubbio di ciò che si percepisce, abbiamo da un lato deciso di "credere a quel che vediamo" e per contrappeso le approssimazioni del sistema percettivo sono diventate materia di costruzione religiosa, a libera interpretazione e credo, che però, una volta fissati per convenzione diventano , base su cui si edificano le società.
C'è, in un modo o nell'altro, una esigenza di base che ci porta a voler condividere, perché la nostra interazione con la realtà, se da un lato usufruisce della ricchezza di punti di vista individuali, richiede unità di azione per essere efficace.
Non è difficile condividere una religione perché condividiamo le stesse approssimazioni percettive, se non le ammettiamo semplicemente come tali.
La mia è una ipotesi ardita e forse semplicistica, ma se crediamo alle apparizioni della madonna è perché crediamo in ciò che vediamo o in alternativa sentiamo.
Ogni tanto sento mia madre chiamare il mio nome, ma lei non c'è più, e in quei momenti li nessuno può chiedermi di usare ragione .
Però non è che poi nel luogo dove ho sentito la voce costruisco una cattedrale, se non dentro di me, perché è lì che ho sentito la voce.
Se però li costruissi una cattedrale attorno ad essa nascerebbe una nuova società.
Ciò che percepiamo comunque non manca mai di avere conseguenze, in un modo o nell'altro, e la portata di queste conseguenze e' forse ciò che finora abbiamo mancato di ben considerare.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#41
Diciamo che l'individuo sarebbe un paradosso se poi non vi fosse condivisione sedimentata in una percezione comune o che venga da contingente professione di fede, e cosa è l'idea di un Dio unico se non la sublimazione di ciò.
Dio è la soluzione all'apparente paradosso di tanti individui che tendono naturalmente ad unità, raggiunta compiutamente la quale però si annullerebbero, perdendo la loro funzione che è quella di dare a questo fantomatico individuo unico l'onniscienza che solo tante menti indipendenti e occhi diversi puntati ovunque possono dare.
In un certo senso, se tutti vediamo rosso, è solo un fatto di fede che viene da lontano.
Una religione di cui nessuno ha più memoria, ma che tutti continuano a professare, e non si offendano i daltonici per il banale esempio.🙏
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Eutidemo

Ciao Paul11. :)
Hai ragione nel dire che, sotto il profilo strettamente sintattico, non è Dio che si "concretizza", ma è il Logos; però dimentichi che Giovanni aveva appena premesso che Dio e il Logos "sono esattamente la stessa identica cosa" (θεὸς ἦν ὁ λόγος).
Quindi è Dio stesso che si concretizza, "per mezzo" ("δια") del Logos (αὐτοῦ)! 
Per cui tutte le cose ("πάντα"), scaturiscono ("ἐγένετο") da Lui, come sua manifestazione "fenomenica"; cioè vengono ad "esistere" individualmente, ma è l'"essere" che continua sempre necessariamente a sottenderle tutte.
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Ed infatti, "ἐγένετο" è l'indicativo aoristo del verbo γίγνομαι, che non significa affatto nè essere "fatto" nè essere "creato" (per i quali si usa il verbo "ποιέειν"), sebbene "essere" o "venire ad essere" o "essere generato".
E mentre ciò che è "creato" è qualcosa di totalmente differente e indipendente da ciò che lo crea, ciò che, invece, viene "generato" (vedi radice "γέν", cioè "gen") è della stessa sostanza di ciò che lo genera.
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Per cui, se Dio non "crea" (come, secondo me, erroneamente tradotto in italiano) il mondo e l'uomo dotati di una sostanza differente dalla sua, bensì "li genera da sè stesso" allora tutto è "ontologicamente" Dio; così come, appunto, le onde sono "consustanziali" al mare.
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Tuttavia, a differenza di alcune concezioni orientali, bada bene che, almeno secondo la mia concezione (e non solo la mia), le onde non sono affatto delle mere "illusioni" o "miraggi", bensì sono semplicemente delle "manifestazioni" del mare, e, quindi, sono concettualmente "diverse" da lui, ed hanno individuali comportamenti "ondivaghi": ed infatti, noi non diremmo mai che "il mare ha rovesciato una barca", bensì diresti che ""quell'onda ha rovesciato una barca".Allo stesso modo, io dico che "Caio ha ucciso Tizio", ma non certo che "Dio ha ucciso Dio"!
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Secondo te, se fosse l'essere a concretizzarsi avrebbe ragione Spinoza e il suo "panteismo"; e comprendo benissimo il tuo dubbio.Ma il "panteismo" (πάν (pán) = tutto e θεός (theós), consiste nel credere che ogni cosa sia "permeata" da un Dio immanente, per cui l'Universo o la natura sono equivalenti a Dio; ma non è certo questa la concezione di Giovanni, e neanche la mia.Ed infatti, se io schiaccio uno scarafaggio non penso affatto di stare schiacciando Dio, nè tantomeno una sua "parte".In altre parole:-  per il "panteismo", il mondo è come un appartamento suddiviso in "parti specifiche" di Dio;- per me e Giovanni, invece, il mondo è come un appartamento suddiviso il "quote ideali" di Dio,La concezione di Giovanni, peraltro, corrisponde anche a quella di Paolo, per il quale "Deus est omnia in omnibus" (Epistola ai Colossesi 3, 11); ma, ovviamente, nessuno dei due era "panteista".
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Peraltro, scendendo "per li rami", approcci simili li troviamo in una infinità di scrittori cristiani (ed anche di Santi) e cattolici: da San Dionigi L'aeropagita, fino a Meister Eckart, Suso, Taulero, Silesius e molti altri!Nessuno di essi è stato dichiarato eretico; e neanche Eckart (a parte soltanto 24 singole "proposizioni" nella "BOLLA IN AGRO DOMINICO").
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Ti cito, al riguardo, solo alcuni bellissimi aforismi, tratti dal PELLEGRINO CHERUBICO, di Angelus Silesius:"Dio si fonda senza fondo, si misura a dismisura; se con lui sei un sol spirito, uomo, lo capisci." (I, 42)"Dio abita in una luce cui strada non conduce; chi luce non diventa, non lo vede in eterno. (I, 72)"Spogliati delle immagini, così sei pari a Dio; ed in perfetta quiete sei per te il tuo cielo. (II, 54)"Non devi invocar Dio! La sorgente è in te, e se non la fermi tu, scorre di continuo." (I, 55)"L'abisso della mia anima chiama sempre a gran voce l'abisso di Dio: dimmi, quale è più profondo?" (I, 68) -ripreso "tel quel" dal salmo 41.***In sintesi, cioè:- un conto è dire che ogni cosa è "permeata" da un Dio immanente, per cui l'Universo o la natura sono equivalenti a Dio;- un altro conto, invece, è dire che tutto ciò che "è", trae l'"essere" da Dio, che, appunto, è puro ESSERE (o UNO che dir si voglia).
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Quanto al problema logico di legare due domini che hanno proprietà separate, come l'"essere" stabile e il "divenire" dell'esistenza, Platone lo risolse (almeno per alcuni aspetti) col "mito della caverna"; io, più modernamente, con il "mito del cinematografo".Seduti in un cinema, noi vediamo i personaggi di un cartone animato agitarsi sulla scena, e svilupparsi degli eventi che non sono affatto meramente illusori, ma che, tuttavia, hanno una realtà, per così dire, "di secondo livello"; ed infatti, la realtà "sottostante" ("sostanza" viene da "sub" e "stare") è costituita da uno schermo bianco, immoto, e sempre uguale a se stesso, e "avulso" dal "tempo scenico".Ma, ovviamente, si tratta di un esempio con tutti i suoi inevitabili limiti.
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Così come va preso con i suoi limiti anche il seguente mio aneddoto personale.Tempo fa, ho sognato che quattro personaggi, A, B, C e D, discutevano tra di loro, molto  accanitamente, sulla legge ZAN, uno del PD, uno del M5S, uno di FI e un altro della LEGA; evidentemente, si trattava di un "sogno governativo", perchè nella discussione mancava E, e, cioè un rappresentante di FDI.
;D
Ciascuno dei quattro personaggi aveva un aspetto fisico diverso (uno era una donna), e, soprattutto, idee molto diverse tra di loro, e dalle mie; però, quando mi sono svegliato, i quattro personaggi sono svaniti nel nulla, e si sono scoperti essere tutti quanti ME STESSO!Come penso che accadrà a noi, quando moriremo e scopriremo che il nostro volto è lo stesso volto di Dio; ma, ovviamente, questa è solo una mia ipotesi. Però, attenzione!I quattro personaggi in questione, per un breve periodo, e limitatamente ad uno "stato di coscienza onirico", hanno vissuto in un loro specifico "livello di realtà", ed erano sicuramente diversi da me, sia fisicamente sia  come idee; diversamente, il povero ipotetico E, rappresentante di di FDI, non è mai vissuto in nessun "livello di realtà".
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Il panteismo  costituisce una concezione alquanto diversa!
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Per quanto riguarda Yeshua, per restare al mio esempio, sarebbe stato come se il mio semplice sogno fosse diventato un "sogno lucido"; ed A,  a corrente alternata, ma senza svegliarsi, a volte fosse stato consapevole di essere A (Yeshua), e altre volte di essere EUTIDEMO (Yahweh).Non so se ho reso l'idea!***Al riguardo, ho molto apprezzato il tuo bellissimo aforisma: "Lo spirito nell'uomo è il cordone ombelicale fra essere ed esistenza".Ti chiedo il permesso di citarlo!
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Sono anche d'accordo con te sul fatto che dire che ognuno di noi è "parte" di Dio, ha un vago sentore di  new age; il che non piace per niente neanche a me.Ed infatti, Dio, essendo UNO, non ha "parti"!
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Quanto all'"ipostasi" era un forma precedente al cristianesimo, e significava l'unione del corpo con lo spirito; però, poi, è stata sussunta dal cristianesimo, nel senso da me esposto nel mio topic iniziale.
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Il tuo successivo discorso, non lo commento nè in senso positivo nè negativo, perchè, sinceramente, non l'ho capito molto bene (però mi pare interessante): "che noi siamo simili a Dio, ma fatto Uomo, quindi in divenire e ipostasi come spirito con un corpo , ma non abbiamo il Logos che è in Dio, dobbiamo cercarlo nell'esistenza .In quanto il Logos, se inteso come "ragione", è corrisponderebbe al "disegno divino" quindi dell'essere che ci è nascosto nella forma mortale dello spirito in un corpo, ma essendovi nel corpo lo spirito ,questo si relaziona con il Logos, quindi non è totalmente nascosto per cui la via spirituale è quella di avvicinarci al Logs dell'archè (in quanto nel testo greco l' inizio è tradotto con il termine greco archè che è identico al pensiero filosofico greco classico e in ebreo bereshit che infatti corrisponde alla prima parte di Genesi in ebraico)."
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Quanto al termine "persona" hai perfettamente ragione; si chiama così in quanto la maschera indossata dagli attori antichi, greci e romani, permetteva di amplificare la voce degli attori.Ed infatti, il sostantivo "persona" deriva dalla terza persona del presente indicativo del verbo latino "personare", cioè "personat" (rimbomba); o, almeno, secondo alcuni filologi dovrebbe essere così.***Grazie per i complimenti, che sentitamente ricambio.
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Un saluto! :)
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Eutidemo

AVVISO
Sto partendo per le vacanze, per cui temo che, per un po' di tempo, probabilmente non avrò modo di scrivere nel Forum.
Per cui mi scuso anticipatamente se  eventuali vostri interventi nei miei "thread" (o in quelli altrui) restassero senza risposta!
Chiedo venia!
Buone vacanze a tutti! :)

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