Il "paradosso" di DIO e del LOGOS

Aperto da Eutidemo, 19 Giugno 2021, 11:50:11 AM

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Eutidemo


Il vangelo di San Giovanni, inizia con dei versetti alquanto "criptici", i quali, sotto un profilo strettamente logico, suonano un po' paradossali.
"In principio era il LOGOS, e il LOGOS era presso DIO e il LOGOS era DIO. Egli era, in principio, presso DIO: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. (Gv 1,1-18).
***
Ora, da un punto di vista strettamente "log"ico", se il LOGOS "era presso DIO", il LOGOS "non poteva essere DIO"; ed infatti se "A è presso B", ciò implica che "A non è B", altrimenti sarebbero nello "stesso luogo", essendo la "stessa cosa".
Come se ne esce?
***
Al riguardo, secondo me, occorre in primo luogo tenere presente che tutti i Vangeli ci sono pervenuti scritti in lingua greca (κοινὴ ἑλληνική "[lingua] comune greca") e che la maggior parte degli studiosi ritiene che i quattro vangeli siano stati tutti scritti originariamente e direttamente in greco; e quello di Giovanni in particolar modo.
Pertanto, a mio avviso, è opportuno iniziare ad approcciare ermeneuticamente il tema sotto un profilo precipuamente "filologico", tenendo presenti le seguenti considerazioni.
1)
Il termine LOGOS (in greco antico: "λόγος",  corrispondente al latino "verbum" e all'ebraico " דבר" davar), deriva dal greco "λέγω", che significa scegliere, raccontare, enumerare, parlare, pensare; nella filosofia greca classica, peraltro, a cui Giovanni fa senz'altro riferimento, il LOGOS ha i due precipui significati di "pensiero" e/o di "parola".
Di cui :
- il primo va inteso come un "discorrere interiore" secondo ragione;
- la seconda va intesa come l'"espressione o manifestazione del pensiero", che in questo esprimersi "si concretizza".
Su questo secondo aspetto, il "concretizzarsi", richiamo la vostra attenzione, perchè costituisce il "fulcro" sul quale farò "leva" per "elevare" le mie considerazioni conclusive; cioè, l'ESSERE che "si concretizza" manifestandosi in "epifenomeni" esistenti individualmente.
2)
Il termine DIO (in greco antico "θεός") nella filosofia greca è inteso in modi diversi; sebbene, in tale ambito, abbia finito per prevalere la concezione aristotelica di  DIO quale "primo motore immobile" (in greco: "πρῶτον κινοῦν ἀκίνητον").
Però, nella Bibbia, viene spiegato in modo abbastanza chiaro di che cosa si tratti.
Ed infatti, Mosè disse a DIO: <<Ecco, quando andrò dai figli d'Israele e dirò loro: "Il DIO dei vostri padri mi ha mandato da voi". Ma se essi mi dicono: "Qual è il suo nome?", che cosa risponderò loro?».  DIO rispose a Mosè: «IO SONO COLUI CHE SONO». Poi disse: «Dirai così ai figli d'Israele: "L'IO SONO mi ha mandato da voi"» (Esodo 3,11-15).
DIO non può avere un nome, per il semplice fatto che non è una "persona", la quale possa autoqualificarsi dicendo: "Io sono Pippo De Pippis!".
DIO "è"...e basta!
3)
In terzo luogo, "πρὸς" (+ l'accusativo "τὸν θεόν"), oltre a significare "presso", può significare varie altre cose, e, cioè:
- a, con, verso, contro;
- rispetto a;
- per quanto a;
- in confronto con;
- conforme, secondo;
- per, allo scopo di;
- per, a cagione o in conseguenza di.
***
                                                       MIA IPOTESI ESEGETICA
Ciò premesso, c'è un altro passo del Vangelo di Giovanni molto illuminante.
Ed infatti, quando i Giudei lo provocarono dicendogli : "Non hai ancora cinquanta anni e pretendi di aver visto Abramo?" Gesù rispose loro: "In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, <<Io Sono>>" (Gv 8,51-59).
Badate bene, non rispose "Io ero" (come la sintassi e la "consecutio temporum" avrebbero richiesto), bensì "Io Sono"; cioè, esattamente la stessa risposta che DIO, "al di fuori del tempo", aveva dato a Mosè nel sopra citato passo dell'Esodo 3,11-15.
In quel momento, in effetti, a rispondere ai Giudei, non era affatto l'individuo Gesù, bensì, appunto, DIO; il quale, ovviamente, è al di fuori del tempo e delle determinazioni fisiche e sintattiche!
***
Leggendo attentamente i Vangeli, si nota spesso questa "ambivalenza", come se in Gesù, di tanto in tanto, si verificasse una sorta di "corto circuito" ontologico tra:
- il suo ESISTERE quale singolo individuo con "nome e patronimico" (Yeshua Ben Youssef);
- il suo ESSERE, il quale, ovviamente "sottende tutti e tutto", e non solo lui (IO SONO).
Però "solo Lui", in modo assolutamente incomprensibile per chiunque, riuscì a "realizzarlo ontologicamente"; la differenza con tutti gli altri uomini, e tutta qui.
E scusate se è poco!
***
Lo rilevò anche San Bernardo, notando che:
- generalmente, Gesù si riferiva se stesso, in terza persona, come "il figlio dell'uomo" (cioè Yeshua figlio di Youssef);
- talvolta, invece, si riferiva a se stesso, in prima persona,  usando il pronome "Io", o, appunto "Io sono".
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(San Bernardo "I gradi dell'umilità" 10-11)
***
Cioè, spiega il santo, nel primo caso si riferisce a se stesso come un qualsiasi altro uomo (quale lui era a tutti gli effetti), nel secondo, invece, in modo davvero "unico" e "straordinario", egli parla del suo ESSERE divino; un ESSERE divino che aveva in comune con tutti gli altri uomini (perchè tutti gli uomini "SONO"), però con l'abissale differenza che lui, sia pure "a corrente alternata", ne era "ontologicamente" consapevole già da vivo.
Come un'"onda" che sa di essere mare, ancora prima di frangersi..
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"Ma come!" esclamerà indignato qualcuno "Allora saremmo tutti Dei?".
In effetti, anche questo è scritto nella Bibbia:
"Io ho detto: «Voi siete dèi, siete tutti figli dell'Altissimo, ma certo morirete come ogni uomo!»" (Salmo 82).
Cioè, quanto all'ESSERE che vi sottende , voi siete tutti DIO, ma in quanto "figli", cioè "generati" come singoli uomini, morirete come ogni uomo; allo stesso modo di come le onde sono tutte mare, ma in quanto "generate" come singole onde, finiranno tutte, prima o poi, per essere riassorbite dal mare stesso.
Quanto al termine "figlio", ne parlerò meglio più avanti.
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Poi Gesù pregò per tutti gli uomini: "Che siano tutti UNO; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché siano UNO come noi siamo UNO" (Atti 20:28).
Perchè dire che tutto è ESSERE, è come dire che tutto è UNO, e che la "molteplicità" è solo un'"illusione"; sebbene si tratti di un'"illusione" di un tipo un po' diverso da quella del "bastone che viene scambiato per un serpente".
Forse sarebbe più esatto dire che la "molteplicità",  più che una "illusione", è una "manifestazione" frantumata dell'UNO; così come l'"immagine" del sole riflessa da milioni di frammenti di specchio.
Ovvero come un bambino che, al Luna Park, entra nel "baraccone degli specchi"; e la sua immagine si riproduce (a volte deformata) in dozzine di specchi e specchietti.
Ed infatti anche nella Bibbia c'è scritto che gli uomini sono soltanto delle "immagini" di Dio (Gen 1,26-27); cioè mere "rappresentazioni" di un'"altra" REALTA'.
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Infine, San Paolo scrive che siamo destinati ad essere con Dio: "Un solo Spirito!" (cfr. 1Cor 12,13).
Questo passo è stato interpretato nei modi più diversi, sebbene, sia nella "lettera" che (appunto) nello "spirito", secondo me il senso è univoco.
Ed infatti San Paolo:
- non scrive che il nostro spirito è destinato ad "unirsi" a quello di Dio (come se si trattasse di due cose diverse che si congiungono);
- scrive, invece, che il nostro spirito è destinato ad essere "un solo Spirito con Dio" (come, cioè, se si trattasse della stessa cosa).
***
Sia ben chiaro che tutti i precedenti passi possono essere interpretati e coordinati tra di loro nei modi più diversi e disparati; e così, infatti, è storicamente avvenuto, come ho potuto personalmente constatare leggendo vari libri sul tema, scritti sia dai Padri della Chiesa, sia dai successivi Dottori della Chiesa.
Al confronto, ovviamente, io sono un "nano", però ho il vantaggio di poter sedere "a cavalluccio" sulle spalle di tali "giganti"; la mia, quindi, è solo un'esegesi personale, per quello che può valere per risolvere il "paradosso" iniziale.
***
Vediamo come!
***
1)
Secondo me, quando Giovanni scrive che "il LOGOS era DIO", era come se volesse dire che la "manifestazione" di DIO, comunque essa si presenti e insorga (ad esempio per il tramite di individui, come Gesù), non è certo una cosa "diversa" da DIO, bensì, semplicemente, una sua mera "EPIFANIA".
Appunto come le "onde", che, essendo epifenomeni  del "mare", però sempre mare "restano".
Oppure come le "onde elettromagnetiche" della luce, che (riflesse o meno che esse siano), sempre LUCE sono; come ben evidenziato visivamente da questa immagine tratta dall'"Esperimento di Young" (che, però, non c'entra niente con il mio discorso).
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2)
Il termine πρὸς" (+ l'accusativo "τὸν θεόν"), in questo caso, secondo me, non va tradotto come "presso", bensì "per, a cagione o in conseguenza di"; cioè che il LOGOS si manifesta "per, a cagione o in conseguenza di" DIO, essendo sostanzialmente Lui stesso nel momento in cui "si manifesta".
O , se preferite, nel momento in cui l'ESSERE si "riflette" e si "concretizza" nel singoli ESISTENTI; cioè, nei frammenti dello specchio rotto!
3)
Quanto al passo generalmente tradotto "Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste", a dire il vero nel Vangelo di Giovanni viene usato il termine "ἐγένετο".
Tale termine, in lingua greca, più che "fatto" o "creato" (nel qual caso si sarebbe usato il participio passato del verbo "ποιέω"), vuol dire "generato"; così come appunto gli epifenomeni "onde" vengono "generate" quali forme transeunti dello stesso "mare", non certo "fatte" o "create" "ex nihilo" da lui.
"Ex nihilo, nihil fit"!
Quanto alla locuzione "ciò che esiste", essa, secondo me, va intesa in senso contrapposto a "ciò che è"; di cui "ciò che esiste" è la semplice passeggera e "individuale" manifestazione.
4)
Ed infatti, quanto a tali singoli ESISTENTI, di sicuro, "moriranno come ogni uomo!" (Salmo 82), cioè come singoli "individui"; ma l'ESSERE che è in loro, non morirà mai, per il semplice fatto che non è mai nato!
Ed infatti, "sin dal principio", nel LOGOS "era la vita e la vita era la luce degli uomini"; cioè l'ESSERE che illumina e sottende ogni uomo, c'è sempre stata, da sempre, e sempre continuerà ad esserci.
Per cui, in realtà, nessuno nasce e nessuno muore!
***
                                        CONFRONTO CON L'ESEGESI COMUNE
Per quanto riguarda la confessione cattolica (e, mi sembra, anche quella ortodossa e quella protestante), un punto fermo in materia fu posto dal Concilio di Calcedonia (451 d.C.), nel quale, con una definizione solenne, si precisò che in Gesù Cristo le due nature, la divina e l'umana, si sono unite (senza confusione) in un unico soggetto personale che è la divina Persona del LOGOS-DIO.
A motivo del termine greco si è soliti parlare di "unione ipostatica", in quanto:
- al di fuori del tempo, la stessa persona del Verbo-Figlio è generata eternamente dal Padre per quanto concerne la sua divinità (FIGLIO DI DIO);
- nel tempo invece è stata concepita ed è nata dalla Vergine Maria per quanto concerne la sua umanità (FIGLIO DELL'UOMO).
Ed infatti, il termine "FIGLIO", va inteso come "GENERATO DA", ma in due differenti sensi ontologici.
Per esemplificare:
- al di fuori di un CARTONE ANIMATO, l'immagine di una capretta in movimento, nel momento in cui viene partorita da una capra, è "generata" da un fascio di luce colorata proiettata su uno schermo bianco (che è bianco, immobile, e sempre uguale a se stesso);
- all'interno dello stesso CARTONE ANIMATO,  invece, la capretta viene "drammaticamente" concepita da una capra, per quanto concerne la sua "caprinitas", e l'azione che si svolge cinematrograficamente sullo schermo.
Questa è la mia personale esemplificazione moderna del concetto di "IPOSTASI".
***
Sinceramente, non saprei dire fino a che punto la mia concezione possa "collimare" con quella conciliare, ovvero se debba considerarsi eretica.
Sotto certi aspetti temo che debba considerarsi un po' eretica, in quanto, ad esempio, per me, il termine "persona" può identificare soltanto i singoli individui, e giammai DIO;  il quale, in quanto ESSERE (cioè il "minimo comun denominatore" di tutto ciò che ESISTE), non può essere in alcun modo considerato una "persona" (per genere prossimo e differenza specifica), se non in senso "molto" metaforico, e ai soli fini meramente devozionali.
Come Lui stesso, "metaforicamente", spiegò a Mosè quando gli chiese il suo nome; ed infatti l'ESSERE non può avere alcun "nome", essendo quest'ultimo riservato esclusivamente alle sue manifestazioni, cioè, a noi.
Ma quando moriremo, tornando anche noi ESSERE, indubbiamente il nostro nome lo perderemo per sempre; così come non lo avevamo prima di nascere.
***


Phil

L'apparente paradosso logico può essere risolto considerando esegeticamente tale esordio come un riferimento alla Genesi, in cui con la parola/logos Dio crea il mondo e l'uomo («tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita» dice infatti Giovanni) e la parola è una tipica manifestazione divina, come capita altre volte nella Bibbia (se non sbaglio), in cui Dio è (almeno) una voce che parla dal cielo. Anche l'espressione «in principio era il logos» può essere intesa come un riferimento all'attività creatrice di Dio: in quanto eterno, Dio non ha principio, ma principia la realtà mondana parlando, con il suo logos, per questo si può affermare che in principio era il logos, perché è stato il logos divino a dare un principio alla storia del mondo e dell'umanità. «Il logos era presso Dio ed era Dio» allora significherebbe che la parola di Dio era presso di lui (nel senso che da lui traeva origine) ed "era" lui poiché era, dal punto di vista umano, la sua principale manifestazione che lo identificava.
Umanizzando: se parlo con qualcuno che non mi conosce da dietro un paravento, io sono (per lui) la mia voce e la mia voce è (per lui) presso di me, nel senso che l'interolcutore può rapportarsi a me solo in quanto "sono" voce, pur sapendo egli che tale voce non può esistere da sola, bensì, proprio in quanto voce, è generata da un parlante, sebbene "misterioso" (un'esperienza simile si ha quando si segue un programma alla radio: il conduttore è per noi una voce che ci accompagna mentre magari guidiamo, ma al contempo sappiamo che la sua voce è presso di lui, essendo lui plausibilmente non solo la sua voce, pur essendo almeno la sua voce... escludendo voci artificiali di AI e programmi informatici, che comunque il buon Giovanni non poteva nemmeno immaginare).

Kobayashi

Eutidemo, mi sembra che la tua interpretazione consista nel riportare la Rivelazione (partendo dall'inizio del vangelo di Giovanni) alla filosofia greca, per la quale (in generale) l'essere è eterno e divino e nello stesso tempo è l'origine, il principio, da cui ogni cosa viene e in cui ogni cosa finisce.
Solo l'essere è eterno; l'individuo, che è tale per la sua forma specifica, per la sua accidentalità, è destinato alla corruzione, anche se è fatto di sostanza eterna, anche se partecipa all'essere.
E tuttavia non è questa la salvezza che promette la filosofia greca (cioè l'elemento consolatorio della partecipazione di ogni cosa al tutto eterno). Essa consiste invece nella potenza che deriva dal possesso della verità. Guardare cioè le cose per come sono veramente, al di là dei racconti del mito e delle religioni, al di là di ogni consolazione troppo umana.

E la questione della salvezza è il punto centrale della faccenda, secondo me.
Se prendi il cristianesimo e lo riporti alla filosofia greca finisci per perdere la nozione di salvezza che il vangelo cerca di esprimere, e non si tratta tanto dell'idea che l'anima se ne vada in cielo, ma della convinzione che Dio sia qualcosa che ha cura di ogni creatura. Il principio, l'origine, ha una connotazione morale, tende alla bontà (per quanto ciò sia eretico dal punto di vista della metafisica greca).
La Rivelazione esprime l'intuizione, tramite racconto religioso, che quell'energia, quella vitalità divina che è alla base della generazione segue una finalità e una logica che non possiamo comprendere tramite ragione e per cui la parola amore sembra essere quella più adeguata, ma non lo è.

Per questo motivo penso che la tua articolata interpretazione ha senso e interesse dal versante agnostico e dal punto di vista dell'apologetica cristiana che vuole ottenere rispetto da parte dei filosofi.
Dal punto di vista di chi ha fede invece le cose sono esattamente rovesciate. Il problema di questa minoranza in via d'estinzione non è la credibilità della Rivelazione, ma il fatto che nonostante sia platealmente non credibile continui ad essere qualcosa di potente, di luminoso. Per cui non si tratta di tradurre in termini ragionevoli la propria fede in modo che sappia difendersi dalle contraddizioni che vengono ogni giorno evidenziate dalla cultura secolarizzata (utilizzando per esempio la filosofia greca), ma di comprendere meglio questo mistero "luminoso".

Sono andato fuori tema? Non lo so.

bobmax

Kobayashi, la fede è una sola.
Può essere oscurata dalle tante superstizioni e spesso lo è, ma l'autentica fede è sempre la stessa: fede nella Verità.

Verità che appare come nulla.

Questa è la fede dei filosofi, degli scienziati, dei religiosi.
Senza questa fede non c'è filosofia, non c'è scienza, non c'è spiritualità.

Questo Nulla in cui si ha fede è il Bene.

Se escludiamo ogni superstizione, e non è facile, ritroviamo la coincidenza tra filosofia e spiritualità.
Coincidenza della quale il vangelo di Giovanni è espressione.

Come lo è la mistica cristiana, autentica erede sia del cristianesimo sia della filosofia greca.

La mistica guarda le cose come sono.
A costo di affrontare l'orrore.

In nome di che cosa?

Della propria fede nella Verità!
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Il logos di Giovanni viene da qui:

CitazioneIl tema centrale con cui si apriva l'opera di Eraclito è sicuramente il concetto di logos, che, seppur nella sua complessità ermeneutica, può essere interpretato come "discorso", "ragione", ma anche nell'accezione di principio fisico come "ragione costitutiva delle cose". Il logos viene espressamente nominato da Eraclito in sette frammenti (1, 2; 45; 50; 72; 115; 124) ed evocato in molti altri, le sue caratteristiche sono l'eternità, l'universalità che promana dal logos, comune a tutti gli uomini indistintamente, conforme alla realtà dei fenomeni sensibili e non, presente in quanto ordine cosmico (kosmos) e vitalità psichica o anima (psiche). La difficoltà dell'uomo nella comprensione di questo logos che tutto regge dipende dall'inefficienza del processo cognitivo antropologico, il quale nelle sue operazioni elementari disperde l'universalità del logos frammentandola e impedendo così a se stesso l'apprendimento della sua profonda ed eterna unità: "Non me, ma ascoltando il logos è saggio convenire che tutte le cose sono una" (fr. 50). Tale principio si confonde e non si intende se si persiste a negare quella trama unitaria in che consiste, perciò l'errore umano è il supporre che non vi sia l'originale complementarietà nel conflitto (polemos), che i contrari non siano sintetizzabili in una convergenza, data dallo stesso logos, che le apparenze molteplici e illusorie non facciano parte di un unico disegno superiore, a tutta prima mal percepito e quindi non elaborato intellettualmente.

passando attraverso Platone e Plotino. L'incipit di Giovanni è di una potenza assoluta: Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος ...

CitazioneIn principio era il Logos
e il Logos era presso Dio
e il Logos era Dio
Questi era in principio presso Dio.

Tutto è venuto ad essere
per mezzo di Lui,
e senza di Lui
nulla è venuto ad essere
di ciò che esiste.

In Lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini
e questa luce splende ancora nelle tenebre
poiché le tenebre non riuscirono ad offuscarla. »   (Giovanni 1,1-5)

Il logos è ovunque: in Dio, presso Dio, e quindi Dio. La narrazione sopra riportata è tutta reperibile nei frammenti di Eraclito, incluso il rapporto luce-tenebra. E' una narrazione potente e pressochè esatta. Basta sostituire all'universo fisico, l'universo antropologico. La parola è presso l'homo sapiens, è l'homo sapiens. E' il suo modo archè-tipico di uscire dalle tenebre (il pianto del poppante) e raggiungere la luce della razionalità autocosciente umana.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Eutidemo

Ciao Phil. :)
Come ho scritto, quanto al passo generalmente tradotto "Tutto <<è stato fatto>> per mezzo di lui e senza di lui nulla <<è stato fatto>> di ciò che esiste", a dire il vero nel Vangelo di Giovanni viene usato il termine "ἐγένετο".
Tale verbo, in lingua greca, più che "fare" o "creare" (nel qual caso si sarebbe usato il verbo "ποιέω"), usato nel tempo "aoristo" "ἐγένετο" vuol dire che "fu generato"; così come appunto gli epifenomeni "onde" vengono "generate" quali forme transeunti autoprodotte  dallo stesso "mare", non certo "fatte" o "create" "ex nihilo" da lui.
"Ex nihilo, nihil fit"!
***
Per cui, più che un riferimento all'"attività creatrice" di Dio, quale intesa "semplificativamente" dal rozzo popolo ebraico, Giovanni, secondo, me parla della  manifestazione dell'"Uno" come "molteplice".
***
Il che, appunto, metaforicamente, vale anche per la "voce" o la "parola" che dir si voglia, in quanto "molteplice" manifestazione di chi parla.
***
Un saluto :)
***

Phil

Citazione di: Eutidemo il 20 Giugno 2021, 06:42:09 AM
"Ex nihilo, nihil fit"!
Questa è una "legge umana" (della scienza, non della fede religiosa) mentre, stando a come Dio viene presentato in generale nella Bibbia, la sua non applicabilità a Dio è proprio ciò che rende Dio tale. Volendo essere puntigliosi: nel racconto biblico Dio non crea il mondo dal nulla, ma dalla (con la) sua parola-logos che non è un nihil, ma appunto una forza/"soffio" creatrice (aspetto che l'ebraismo ha ben rimarcato con la sua "mistica delle emanazioni"). La manifestazione dell'"Uno come molteplice" (inteso come distinto ma non separato, come nel caso dell'onda/mare) è un'eresia (e te lo dice un ateo), almeno se si resta fedeli alla narrativa biblica ed evangelica: verrebbe meno la differenza sostanziale fra uomo e Dio («a sua immagine», non "con sua sostanza"), il cristianesimo sarebbe quasi un panteismo o panpsichismo, etc. probabilmente, magari sbaglio, Giovanni era più vicino al «rozzo popolo ebraico»(cit.) che al "tutto è uno" orientaleggiante (e poco affine alla predicazione di Cristo...) e ai principi della fisica umana applicati al divino (ovviamente, oggi possiamo speculare su come interpretare tali passi biblici, ma il voler-dire originario ed originale credo vada rintracciato, con tutte le innegabili difficoltà annesse, nel contesto dell'epoca).

Eutidemo

Ciao Kobayashi. :)
Hai perfettamente compreso il mio tipo di approccio; il quale, in effetti, giusto o sbagliato che esso sia, presenta dei connotati molto più simili ad una concezione greca di tipo "parmenideo" (e Vedanta) di Dio, che non quelli tipici di un approccio del genere "fideistico-devozionale".
***
Secondo la mia concezione, infatti, solo l'essere "è"; dire che è "eterno", in fondo, per me, è un po' una "superfetazione".
Ma va bene lo stesso!
L'individuo, invece, che è tale per la sua forma specifica, e per la sua accidentalità, è sicuramente destinato alla morte; però, più che dire che "partecipa all'essere", io preferisco esprimermi dicendo che l'individuo non è altro che una "manifestazione dell'essere" a livello esistenziale e fenomenico.
Ma, anche in questo caso, credo che il concetto sia più o meno lo stesso.
***
Hai anche perfettamente ragione nel sostenere che, se si cerca di interpretare il cristianesimo nel modo che propongo io,  si finisce per perdere la "nozione di salvezza" che, secondo un'altra concezione, i Vangeli (soprattutto gli altri tre) cercherebbero di esprimere.
***
E non del tutto a torto, perchè, leggendo altri passi dei Vangeli, è del tutto lecito interpretarli in un modo completamento diverso dal mio.
E cioè,che:
1)
Il peccato commesso da Adamo ed Eva si era trasmesso a tutta la loro discendenza.
2)
Di solito, i peccati potevano "espiarsi" offrendo dei sacrifici a Dio, il quale, in genere, si accontentava di qualche agnello anche nei casi più gravi.
3)
Il peccato commesso da Adamo ed Eva,  però, era così terribilmente grave, che, per espiarlo, non sarebbe stato sufficiente sacrificare tutti i più grassi agnelli di questo mondo.
4)
Per tale motivo, per qualche perversa ragione, per espiare il peccato originale e "salvare" tutta l'umanità, fu necessario sacrificare addirittura il "figlio di Dio".
***
Per quanto mi riguarda, preferisco essere ateo, puttosto che accettare una simile interpretazione dei vangeli; la quale, pur avendo degli indubbi agganci esegetici (sinceramente anche migliori dei miei), personalmente io la trovo del tutto:
- "assurda" sotto il profilo razionale;
- "ributtante" sotto il profilo morale;
- "inconcepibile" sotto il profilo spirituale.
***
Poteva essere adeguata ad una visione "antropopatetica" di Dio da parte di rozzi pastori del deserto, i  quali concepivano Dio come un "capo tribù" irascibile, sanguinario e paranoico; e che credevano di poter ottenere la "salvezza" accattivandosi il dio di turno, per mezzo del sacrificio del "corpo" e del "sangue" di una vittima (animale o umana che fosse).
Idea pseudo-religiosa che era già arcaica e superata ai tempi di Gesù.
La vera novità fu, che, in quel caso, la vittima "umana" era anche "il figlio di Dio"; cosa, per me, assolutamente priva di qualsiasi senso logico, fisico, morale e spirituale.
***
Un saluto! :)
***

Eutidemo

Ciao Phil. :)
Quanto al fatto che "Ex nihilo, nihil fit", a dire il vero, a me non sembra soltanto una legge "scientifica", ma anche una norma "logica" e "spirituale".
E pure "biblica"!
***
Ed infatti, come tu stesso scrivi, nel racconto biblico Dio non crea il mondo "dal nulla", bensì dalla (con la) sua parola-logos; la quale, quindi, non è affatto un "nihil", ma appunto una "epifenomenazione" di se stesso.
Il Logos, infatti, non era "di Dio", ma, come dice Giovanni "era Dio stesso"; e, poichè, ovviamente Dio non può "creare se stesso", dire -per semplicità espositiva- che "creò" il mondo, significa solo che "manifestò se stesso" nella "molteplicità" fenomenica del mondo visibile.
***
Quanto al fatto che la manifestazione dell'"Uno come molteplice" (inteso come distinto ma non separato, come nel caso dell'onda/mare) sia un'"eresia",  ti faccio notare che le "eresie":
- non riguardano affatto i libri sacri in quanto tali, che ciascuno può interpretare come meglio crede;
- riguardano, invece, le interpretazioni dei libri sacri diverse da quelle ufficialmente accolte dalla Chiesa Cattolica.
***
In tal senso, non metto affatto in dubbio che la mia interpretazione possa ritenersi "eretica":
- ma non nel senso che disattende le scritture;
- bensì solo nel senso che, almeno per certi aspetti, disattende l'interpretazione che ne dà la Chiesa.
***
Al riguardo, se non ricordo male, Gesù ordinò: "Non vi fate chiamare 'padre'...poiché uno solo è il vostro 'padre', quello celeste".(Matteo 23, 8-10).
Però, a cominciare dal papa (che, in greco vuol dire "padre"), tutti i preti non si fanno scrupolo di farsi chiamare "padre"!
Chi è l'eretico rispetto alle scritture, allora?
Loro che si fanno chiamare "padre" a dispetto del vangelo, oppure io che mi rifiuto di chiamarli così?
***
Quanto al fatto che la mia concezione, di primo acchito, possa sembrare "panteista", ti do atto che, in effetti,  si possa facilmente cadere in tale equivoco; ma, in realtà, non è affatto così, neanche lontanamente.
Ed infatti, secondo l'enciclopedia Treccani,  è "panteista", ogni dottrina che consideri divina la totalità delle cose e che identifichi la divinità con il mondo; la quale concezione è completamente distante dalla mia.
Altrimenti, dovrebbe considerarsi "panteista" ed "eretico" anche San Paolo, il quale testualmente scrisse che "Deus est omnia in omnibus" (Epistola ai Colossesi 3, 11); il che corrisponde esattamente alla mia mia concezione.
***
Quanto al fatto che il "tutto è uno" orientaleggiante sia poco affine alla predicazione di Cristo, a parte il passo di San Paolo di cui sopra, avevo già ricordato anche il passo nel quale Gesù pregò dicendo: "Che siano tutti UNO; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché siano UNO come noi siamo UNO" (Atti 20:28).
***
"Chi ha orecchi per intendere, intenda"(Luca, 14, 35)
***
Un saluto! :)
***

Phil

Citazione di: Eutidemo il 20 Giugno 2021, 14:38:55 PM
Il Logos, infatti, non era "di Dio", ma, come dice Giovanni "era Dio stesso"; e, poichè, ovviamente Dio non può "creare se stesso", dire -per semplicità espositiva- che "creò" il mondo, significa solo che "manifestò se stesso" nella "molteplicità" fenomenica del mondo visibile.
"Dio creò il mondo" può anche significare semplicemente che lo creò usando la sua parola ("dalla" sua parola) che in quanto parola di un dio può produrre effetti che quella dell'uomo non ha, come appunto il creare qualcosa di totalmente differente e indipendente da ciò che lo crea (i principi della termodinamica erano ignoti all'epoca, forse, in ambito religioso, c'erano quelli delle sefirot; senza voler sminuire Lucrezio). Sostenere che "Dio manifestò se stesso nella molteplicità fenomenica del mondo visibile" pone il suddetto problema (dal retrogusto medievale, lo ammetto) della sostanza e della eventuale consustanzialità: se Dio non crea il mondo e l'uomo dotati di una sostanza differente dalla sua, allora tutto è ontologicamente Dio (come le onde sono "consustanziali" al mare). Ipotesi che sbriciolerebbe molti capisaldi della dottrina cristiana; sbriciolamento, come detto, che è eretico «almeno se si resta fedeli alla narrativa biblica ed evangelica»(autocit.), "restare" che può essere parte della deontologia filologica ed esegetica, ma non è un vincolo inscindibile (come dimostra la storia della chiesa e, più in piccolo, questa nostra stessa conversazione).
La preghiera di Gesù sull'"esser uno" (non l'ho trovata in Atti 20:28, ma in Giovanni 17,20-23) non descrive la condizione di unità (come forse propone san Paolo), ma la auspica pregando Dio (il che significa che tale unità non era/è già in atto) affinché tale "unità universal-metafisica" venga raggiunta in futuro (o nel regno dei cieli?). D'altronde, affinché sia possibile (almeno nel cristianesimo "standard") sostenere tematiche come il peccato, la tentazione, la redenzione, il perdono, etc. è necessario che ci sia differenza sostanziale fra le creature e il creatore, fra l'imperfezione e la perfezione, fra la possibilità del male come peccato e l'assenza assoluta di male (in quanto sommo Bene), etc.

P.s.
Credo che nell'esegesi di un corpus di testi vasti e complessi, per distillarne una dottrina più coerente possibile, sia necessario filtrare i passi che appaiono spuri e in contraddizione con gran parte degli altri, altrimenti ci si incaglia nell'"indecidibilità" e la dottrina diventa un "rorschach" (il buon Abelardo ne trattò a fondo nel suo «Sic et non», che tuttavia non intende sdoganare l'anarchia esegetica per rendere autorevoli cristianesimi fai-da-te basati su singoli passi  tratti ad hoc dai testi; il che non è certo un rimprovero, così come l'eventuale esito panteista di certe posizioni non è oggetto di mio biasimo, per quel che vale).

Phil

Citazione di: Eutidemo il 20 Giugno 2021, 14:38:55 PM
Altrimenti, dovrebbe considerarsi "panteista" ed "eretico" anche San Paolo, il quale testualmente scrisse che "Deus est omnia in omnibus" (Epistola ai Colossesi 3, 11)
Non sono affatto esperto né di Bibbia né di San Paolo, ma pare che un altro testo dica «ut sit Deus omnia in omnibus», ovvero "affinché sia...", con la stessa prospettiva di attesa del futuro segnalata sopra riguardo l'invocazione di Gesù sull'"essere uno"; tensione verso il futuro ancora più credibile se consideriamo che il passo parla con toni escatologici: «E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (1 Corinzi 15, 28).
In Colossesi 3, 11 e in Galati 3, 28 l'unità viene riferita a Gesù (non a Dio), ma non è un'unità sostanziale (difficile possa esserlo, trattandosi di un'unità acquisita con la conversione e il battesimo); quindi ontologicamente resterebbe la differenza fra Dio e il creato, con Gesù che cerca di riunificare nella fede (non nella sostanza) le genti (almeno per quello che mi pare di capire, dovrei chiedere lumi ad Abelardo...).

Eutidemo

Ciao Phil. :)
Dio, naturalmente, "non parla", essendo privo sia di lingua, sia di corde vocali, sia di laringe, nonchè, ovviamente, dei centri di Broca e di Wernicke per la composizione del del pensiero linguistico; per cui, quando accenniamo alla "parola di Dio", non possiamo farlo se non in senso prettamente "metaforico".
Ne consegue che tale senso varia notevolmente a seconda delle diverse "esegesi" che ciascuno di noi intende dare al proemio del Vangelo di Giovanni; e la mia vale come quella di chiunque altro, nè più nè meno!
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Quanto al fatto che "Dio creò il mondo", Giovanni scrive:
"πάντα δι᾽αὐτοῦ ἐγένετο"
Ora:
- "πάντα" vuol dire "tutte le cose";
- "δι᾽αὐτοῦ" vuol dire per mezzo di lui;
- "ἐγένετο" è l'indicativo aoristo del verbo γίγνομαι, che non significa affatto nè essere "fatto" nè essere "creato" (per i quali si usa il verbo "ποιέειν"), sebbene "essere" o "venire ad essere" o "essere generato".
E mentre ciò che è "creato", come giustamente scrivi tu, è qualcosa di totalmente differente e indipendente da ciò che lo crea, ciò che, invece, viene "generato" (vedi radice "γέν", cioè "gen") è della stessa sostanza di ciò che lo genera.
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Per cui, come correttamente hai scritto, se Dio non crea il mondo e l'uomo dotati di una sostanza differente dalla sua, allora tutto è "ontologicamente" Dio; così come, appunto, le onde sono "consustanziali" al mare.
Tuttavia, a differenza di alcune concezioni orientali, bada bene che, almeno secondo la mia concezione (e non solo la mia), le onde non sono affatto delle mere "illusioni" o "miraggi", bensì sono semplicemente delle "manifestazioni" del mare, e, quindi, sono concettualmente diverse da lui, ed hanno individuali comportamenti "ondivaghi": ed infatti, tu non diresti mai che "il mare ha rovesciato una barca", bensì diresti che ""quell'onda ha rovesciato una barca".
Allo stesso modo, io dico che "Caio ha ucciso Tizio", ma non certo che "Dio ha ucciso Dio"!
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Quanto al fatto che la mia ipotesi sbriciolerebbe alcuni capisaldi della dottrina "cristiana", forse sarebbe più corretto dire che (forse) sbriciolerebbe alcuni dogmi della confessione "cattolica"; il che credo che sia  un po' diverso.
E, secondo me, è vero solo in parte!
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Quanto alla circostanza che la preghiera di Gesù sull'"esser uno", non descriva una "condizione di unità in atto", ma soltanto "in potenza",  auspicando che tale "unità universal-metafisica" possa essere "spiritualmente" raggiunta da tutti soltanto dopo la morte, sono perfettamente d'accordo con te; ed infatti è "esattamente" quello che avevo scritto io, altrimenti saremmo tutti dei Gesù viventi!
Lo stesso dicasi per il passo di San Paolo, di cui tu parli nel tuo successivo post!
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Ed infatti, io avevo scritto (come pure aveva notato San Bernardo) che soltanto  in Gesù, di tanto in tanto, si verificava, da vivo, una sorta di "corto circuito" ontologico tra:
- il suo ESISTERE quale singolo individuo con "nome e patronimico" (Yeshua Ben Youssef);
- il suo ESSERE, il quale, ovviamente "sottende tutti e tutto", e non solo lui (IO SONO).
Però avevo anche scritto che "solo Lui", in modo assolutamente incomprensibile per chiunque, riuscì a "realizzarlo ontologicamente" DA VIVO; la differenza con gli altri uomini, e tutta qui.
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Ed infatti Dio disse a Mosè "Nessun uomo può vedere il volto di Dio e restare vivo!". (Esodo, cap. 33); ed infatti, nel momento in cui un uomo "vede il volto di Dio", e si rende conto che è "il suo stesso volto", non può far altro che morire, cioè "estinguersi" come individuo!
Meister Eckhart, al riguardo, scrisse "L'occhio nel quale io vedo Dio è lo stesso occhio in cui Dio mi vede!".
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Hai anche ragione nel dire che, affinché sia possibile (almeno nel cristianesimo "devozionale" e "pastorale") sostenere tematiche come il peccato, la tentazione, la redenzione, il perdono, etc. è necessario che ci sia differenza sostanziale fra le creature e il creatore, fra l'imperfezione e la perfezione, fra la possibilità del male come peccato e l'assenza assoluta di male (in quanto sommo Bene), etc.
Ma, anche in questo caso, tutto dipende dal tipo di "approccio" alle scritture, e dal significato che attribuiamo alle parole.
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Ed infatti, per tornare al mio esempio dei frammenti di specchio che riflettono il sole, fermo restando che il sole li illumina tutti allo stesso modo, è naturale che. se alcuni frammenti sono sporchi o appannati, quelli, il sole lo riflettono meno.
Questo è il mio concetto di "peccato"!
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Un saluto! :)
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Phil

Citazione di: Eutidemo il 21 Giugno 2021, 06:30:55 AM
Dio, naturalmente, "non parla", essendo privo sia di lingua, sia di corde vocali, sia di laringe, nonchè, ovviamente, dei centri di Broca e di Wernicke per la composizione del del pensiero linguistico; per cui, quando accenniamo alla "parola di Dio", non possiamo farlo se non in senso prettamente "metaforico".
Per ritenere "naturale" che Dio sia privo di lingua o altro, dovremmo conoscerlo e aver verificato tale assenza; purtroppo (o per fortuna) trattandosi di una divinità, non possiamo escludere che "naturalmente" sia in grado di parlare anche senza lingua, laringe, etc. perché, proprio in quanto divinità, non è necessario sottostia ai limiti e vincoli della biologia umana (questo è il paradosso di ogni teologia negativa: considerare vera la negazione degli attributi umani alla divinità, senza aver verificato tale assenza, seguendo una "deduzione" che funzionerebbe solo per gli umani, applicandola indebitamente a ciò che, per umana definizione, umano non è e che in onestà si afferma di non conoscere, sebbene se ne postuli l'esistenza definendone alcuni caratteri; affermare che esiste qualcosa di non umano non comporta che ciò debba necessariamente non avere assolutamente niente di umano... ma questa "affermazione del negativo che presuppone l'affermazione del positivo" è un paradosso, o meglio un circolo vizioso teo-logico nettamente off topic).
Da un punto di vista dottrinale, se venisse meno la voce diretta di Dio, non metaforica bensì fonetica ed udibile, gran parte della Bibbia (dieci comandamenti, citazioni da discorsi con Mosè, etc.) perderebbe di fondamento e lo stesso concetto di "religione rivelata" si indebolirebbe, restando giustificata solo dalla voce umana (fonetica ed udibile) di un predicatore autoproclamatosi figlio di Dio (caso forse non unico a quei tempi... e dopo).

Citazione di: Eutidemo il 21 Giugno 2021, 06:30:55 AM
Per cui, come correttamente hai scritto, se Dio non crea il mondo e l'uomo dotati di una sostanza differente dalla sua, allora tutto è "ontologicamente" Dio; così come, appunto, le onde sono "consustanziali" al mare.
Tuttavia, a differenza di alcune concezioni orientali, bada bene che, almeno secondo la mia concezione (e non solo la mia), le onde non sono affatto delle mere "illusioni" o "miraggi", bensì sono semplicemente delle "manifestazioni" del mare, e, quindi, sono concettualmente diverse da lui, ed hanno individuali comportamenti "ondivaghi": ed infatti, tu non diresti mai che "il mare ha rovesciato una barca", bensì diresti che ""quell'onda ha rovesciato una barca".
Oltre che di «manifestazione» e di «differenza concettuale», l'ontologia religiosa è fatta anche di sostanza, e la questione della sostanza unica non mi sembra compatibile con la religione cristiana (almeno, come detto, quella "standard"), perché il fatto che le onde e il mare siano entrambi fatti di acqua non è affatto un problema ontologico, mentre, se la sostanza di Dio è la medesima del creato, allora viene meno la differenza ontologica fra divino ed umano (che è l'a priori fondamentale di tutte le religioni occidentali), da cui mi pare derivi, con effetto domino, l'inconsistenza di gran parte della dottrina cristiana, cattolica, ortodossa, etc. (i cui ministri, infatti, non credo affermino o insegnino che gli uomini siano consustanziali a Dio; al massimo la consustanzialità può essere quella di Cristo, in quanto parte della trinità e anche in questo caso, se non erro, ci sono state migliaia di pagine di dibattito teologico).
Se invece si fa di Dio un "sinonimo laico" dell'Essere, spogliandolo degli aspetti dottrinali e cultuali (creazione del mondo, giudizio post-mortem, predilezione per gli uomini, etc.) il supporto dei testi biblici è tanto rilevante quanto quello di un qualunque altro testo di altra religione o di esoterismo, interpretato in chiave non religioso-dottrinale ma ontologica (per quello che è l'ontologia nel 2021, ma anche questo è un altro topic).

Citazione di: Eutidemo il 21 Giugno 2021, 06:30:55 AM
Quanto alla circostanza che la preghiera di Gesù sull'"esser uno", non descriva una "condizione di unità in atto", ma soltanto "in potenza",  auspicando che tale "unità universal-metafisica" possa essere "spiritualmente" raggiunta da tutti soltanto dopo la morte, sono perfettamente d'accordo con te; ed infatti è "esattamente" quello che avevo scritto io, altrimenti saremmo tutti dei Gesù viventi!
Lo stesso dicasi per il passo di San Paolo, di cui tu parli nel tuo successivo post!
Quindi concordiamo che non è esatto che «Deus est omnia in omnibus»(cit.), ma tale eventuale compresenza/unità/ricongiunzione "totalizzante" (omnia in omnibus) è semmai da rinviare nel futuro, e quindi, proprio in virtù della differenza ontologica fra la fonte di luce e gli specchi che la riflettono, non siamo onde nel mare di Dio, bensì ben altra "acqua" che attende di evaporare per (ri)unirsi al cielo da cui è piovuta (per dirlo metaforicamente, senza voler insinuare una visione ciclica di nascita/morte, decisamente poco cristiana).

viator

Salve phil. Citandoti : "Da un punto di vista dottrinale, se venisse meno la voce diretta di Dio, non metaforica bensì fonetica ed udibile, gran parte della Bibbia (dieci comandamenti, citazioni  discorsi con Mosè, etc.) perderebbe di fondamento e lo stesso concetto di "religione rivelata" si indebolirebbe, restando giustificata solo dalla voce umana (fonetica ed udibile) di un predicatore autoproclamatosi figlio di Dio (c forse non unico a quei tempi... e dopo)".



E perchè  mai la Bibbia - se narrazione di fatti accaduti - dovrebbe perdere credibilità a seguito di una constatata od ipotizzata voce (fonetica) di Dio ?.Se Dio ha espresso una propria volontà e la Bibbia l'ha registrata...........il senso che avrà fatto testo sarà l'udito di chi l'ha ascoltata e non la voce di chi  l'abbia pronunciata.........
D'altra parte la storia umana è piena di esempi di persone le quali hanno udito delle voci ed hanno prontamente uniformato la propria esistenza a ciò che le voci raccontavano loro. Saluti.


Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Phil

Citazione di: viator il 21 Giugno 2021, 17:25:26 PM
E perchè  mai la Bibbia - se narrazione di fatti accaduti - dovrebbe perdere credibilità a seguito di una constatata od ipotizzata voce (fonetica) di Dio ?.
Con «se venisse meno la voce diretta di Dio, non metaforica bensì fonetica ed udibile»(autocit.) mi riferisco a quando Eutidemo afferma che Dio non abbia parlato davvero, non avendo corde vocali, etc. e dunque «quando accenniamo alla "parola di Dio", non possiamo farlo se non in senso prettamente "metaforico"»(cit. Eutidemo). Detto altrimenti: se non si crede che Dio abbia parlato vocalmente con i suoi interlocutori, usando una lingua che essi potessero comprendere, allora tutti i passi biblici in cui è scritto «e Dio disse...» non descrivono la voce/parola di Dio (e la sua volontà o azione che tale voce conteneva), con ripercussioni dottrinali piuttosto destabilizzanti in termini di solidità e credibilità (ad esempio, se sia stato Dio a dettare vocalmente i comandamenti a Mosè, o se questa sia solo una metafora per alludere ad un'ispirazione divina del profeta, segna la differenza, teologicamente non trascurabile, fra una religione rivelata ed una no; altra differenza rilevante sarebbe quella fra la scrittura dei comandamenti da parte del "dito di Dio" o quella del "dito umano"; tutte differenze, quelle fra azione-divina/azione-umana, interne alla fede e ai suoi fondamenti, ovviamente).

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