I modi migliori di vivere in questo mondo

Aperto da Angelo Cannata, 16 Luglio 2017, 12:01:34 PM

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Angelo Cannata

Ho il sospetto che l'adozione sbrigativa, priva di approfondimento critico, di certi termini e linguaggi sia responsabile di forti deformazioni nelle ricerche dettate dalle spiritualità, dalle filosofie e dalle religioni.

Per esempio, nel Buddhismo ci si adopera per liberarsi da sofferenze e dolori causati da certi attaccamenti. Ma siamo sicuri che il meglio da cercare nella vita sia questo tipo di liberazione? In molti campi abbonda la ricerca della felicità, oppure, come proclamato a chiare lettere in una discussione qui su Logos, della gioia, tanto meglio se eterna. Siamo sicuri che felicità e gioia siano il meglio da cercare? Siamo sicuri che certe eternità, proprio per il fatto di essere eterne, siano in grado di dare al nostro essere la massima realizzazione?

È possibile pensare ad alternative capaci di mettere in discussione l'assolutizzazione di queste mete. Possiamo pensare, per esempio, alla ricchezza di vita interiore, di cultura, di consapevolezza, che non equivale a gioia o felicità. È meglio essere felici e ignoranti, oppure meno felici, meno gioiosi, ma più consapevoli, più ricchi di percorsi interiori? A questo proposito possiamo ricordare Dante: il perder tempo a chi più sa più spiace: ma non penso che Dante sarebbe stato disposto a barattare il suo sapere per un minore spiacersi. Possiamo pensare all'orgoglio di lottare per qualcosa: è meglio sentirsi appagati, ma inerti, oppure soffrire con l'orgoglio di star lottando per qualcosa di importante, di creativo?

Una volta individuata la questione, già il suo approfondimento, la ricerca al riguardo, viene a costituire un valido itinerario di vita spirituale. La questione viene ad essere: che cosa è meglio cercare? Che cosa rende davvero migliore la nostra esistenza? Ovviamente le risposte saranno in gran parte soggettive, ma si potrebbe sospettare che già questo interrogarci sia un ottimo modo di impiegare il tempo della nostra vita, non per limitarci alla domanda e rimanere bloccati nella sua incertezza, ma per sperimentare le possibili risposte con una maggiore ricchezza di consapevolezze; consapevolezze da considerare non come acquisizioni, ma come esplorazioni.

Apeiron

#1
Per me: la Verità e il Bene. Ovviamente riconoscendo che molte cose non sono né la Verità né il Bene.

Il motivo per cui non sono buddista è proprio perchè ritengo che sia troppo "rinunciante". Ossia la liberazione, la pace ecc può andar bene volerla come obbiettivo finale. Finché si vive secondo me ha senso ricercare la ricchezza interiore, donare la propria esperienza agli altri, essere sempre disposti ad imparare... In sostanza il miglior modo di vivere è per me scritto in queste frasi del Tao Te Ching:
"Il vero saggio per sé non provvede:
se si spende negli altri, per sé acquista;
se, più dona, più ottiene per se stesso."

La ricerca filosofica ed esistenziale finisce col raggiungimento della "Verità" e del "Bene", fino ad allora è giusto secondo me non ritirarsi dalla ricerca. (Si noti che "bene" NON coincide a priori con "piacevole")



Edit: ho notato che non si capisce molto da quello che ho scritto qui. Motivo: sono nella confusione più totale. Il mio provvisorio equilibrio è mantenermi in equilibrio...






"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 16 Luglio 2017, 16:30:08 PM
Per me: la Verità e il Bene. Ovviamente riconoscendo che molte cose non sono né la Verità né il Bene.

Il motivo per cui non sono buddista è proprio perchè ritengo che sia troppo "rinunciante". Ossia la liberazione, la pace ecc può andar bene volerla come obbiettivo finale. Finché si vive secondo me ha senso ricercare la ricchezza interiore, donare la propria esperienza agli altri, essere sempre disposti ad imparare... In sostanza il miglior modo di vivere è per me scritto in queste frasi del Tao Te Ching:
"Il vero saggio per sé non provvede:
se si spende negli altri, per sé acquista;
se, più dona, più ottiene per se stesso."

La ricerca filosofica ed esistenziale finisce col raggiungimento della "Verità" e del "Bene", fino ad allora è giusto secondo me non ritirarsi dalla ricerca. (Si noti che "bene" NON coincide a priori con "piacevole")



Edit: ho notato che non si capisce molto da quello che ho scritto qui. Motivo: sono nella confusione più totale. Il mio provvisorio equilibrio è mantenermi in equilibrio...




CitazioneSecondo me si capisce bene e inoltre é molto ragionevole e giusto!

Personalmente concordo.


Apeiron

Errata corrige: Il mio provvisorio obbiettivo (non equilibrio) è mantenermi in equilibrio...

@sgiombo non so cosa davvero siano "Bene e Verità"
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 17 Luglio 2017, 15:11:06 PM
Errata corrige: Il mio provvisorio obbiettivo (non equilibrio) è mantenermi in equilibrio...

@sgiombo non so cosa davvero siano "Bene e Verità"

CitazioneSi capiva.

Ed é per questo che cerchi, no?

Apeiron

@sgiombo, certo cerco quelle cose che non capisco. L'ambiguità la vedevo perchè è qualcosa di troppo astratto e molto probabilmente irraggiungibile :) purtroppo non va sempre bene farsi obbiettivi astratti!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

giona2068

Citazione di: Angelo Cannata il 16 Luglio 2017, 12:01:34 PM
Ho il sospetto che l'adozione sbrigativa, priva di approfondimento critico, di certi termini e linguaggi sia responsabile di forti deformazioni nelle ricerche dettate dalle spiritualità, dalle filosofie e dalle religioni.

Per esempio, nel Buddhismo ci si adopera per liberarsi da sofferenze e dolori causati da certi attaccamenti. Ma siamo sicuri che il meglio da cercare nella vita sia questo tipo di liberazione? In molti campi abbonda la ricerca della felicità, oppure, come proclamato a chiare lettere in una discussione qui su Logos, della gioia, tanto meglio se eterna. Siamo sicuri che felicità e gioia siano il meglio da cercare? Siamo sicuri che certe eternità, proprio per il fatto di essere eterne, siano in grado di dare al nostro essere la massima realizzazione?

È possibile pensare ad alternative capaci di mettere in discussione l'assolutizzazione di queste mete. Possiamo pensare, per esempio, alla ricchezza di vita interiore, di cultura, di consapevolezza, che non equivale a gioia o felicità. È meglio essere felici e ignoranti, oppure meno felici, meno gioiosi, ma più consapevoli, più ricchi di percorsi interiori? A questo proposito possiamo ricordare Dante: il perder tempo a chi più sa più spiace: ma non penso che Dante sarebbe stato disposto a barattare il suo sapere per un minore spiacersi. Possiamo pensare all'orgoglio di lottare per qualcosa: è meglio sentirsi appagati, ma inerti, oppure soffrire con l'orgoglio di star lottando per qualcosa di importante, di creativo?

Una volta individuata la questione, già il suo approfondimento, la ricerca al riguardo, viene a costituire un valido itinerario di vita spirituale. La questione viene ad essere: che cosa è meglio cercare? Che cosa rende davvero migliore la nostra esistenza? Ovviamente le risposte saranno in gran parte soggettive, ma si potrebbe sospettare che già questo interrogarci sia un ottimo modo di impiegare il tempo della nostra vita, non per limitarci alla domanda e rimanere bloccati nella sua incertezza, ma per sperimentare le possibili risposte con una maggiore ricchezza di consapevolezze; consapevolezze da considerare non come acquisizioni, ma come esplorazioni.
Se in te ci fosse la minima fede non potresti fare questo discorso.  San Paolo ha definito le cose del mondo spazzatura, ma a te piace rovistare in mezzo alla spazzatura sperando di trovare quello che non c'è!  Eppure ti definisci guida spirituale.

Angelo Cannata

Citazione di: Apeiron il 18 Luglio 2017, 11:57:08 AM
@sgiombo, certo cerco quelle cose che non capisco. L'ambiguità la vedevo perchè è qualcosa di troppo astratto e molto probabilmente irraggiungibile :) purtroppo non va sempre bene farsi obbiettivi astratti!
In effetti (non so se vado OT) ultimamente mi trovavo a riflette proprio sull'astrattezza, la vaghezza di certe cose come la spiritualità, le arti, la cultura, il ricercare. Però si potrebbe reagire obiettando che per molti versi è la massa a cercare di farti percepire certe cose come troppo fumose, troppo fatte di aria, mentre in realtà sono ciò che alla fine dà senso a tutte le altre cose solitamente percepite come concrete, materiali, consistenti. È insomma il discorso della necessità dell'inutile. Ma in questo caso c'è una precisazione in più: non è solo inutilità, ma, specificamente, sensazione di vaghezza, vacuità, inafferrabilità, di ciò che in realtà, forse, è il massimo della concretezza.

Freedom

Citazione di: Angelo Cannata il 16 Luglio 2017, 12:01:34 PM
Ho il sospetto che l'adozione sbrigativa, priva di approfondimento critico, di certi termini e linguaggi sia responsabile di forti deformazioni nelle ricerche dettate dalle spiritualità, dalle filosofie e dalle religioni.

Per esempio, nel Buddhismo ci si adopera per liberarsi da sofferenze e dolori causati da certi attaccamenti. Ma siamo sicuri che il meglio da cercare nella vita sia questo tipo di liberazione? In molti campi abbonda la ricerca della felicità, oppure, come proclamato a chiare lettere in una discussione qui su Logos, della gioia, tanto meglio se eterna. Siamo sicuri che felicità e gioia siano il meglio da cercare? Siamo sicuri che certe eternità, proprio per il fatto di essere eterne, siano in grado di dare al nostro essere la massima realizzazione?

È possibile pensare ad alternative capaci di mettere in discussione l'assolutizzazione di queste mete. Possiamo pensare, per esempio, alla ricchezza di vita interiore, di cultura, di consapevolezza, che non equivale a gioia o felicità. È meglio essere felici e ignoranti, oppure meno felici, meno gioiosi, ma più consapevoli, più ricchi di percorsi interiori? A questo proposito possiamo ricordare Dante: il perder tempo a chi più sa più spiace: ma non penso che Dante sarebbe stato disposto a barattare il suo sapere per un minore spiacersi. Possiamo pensare all'orgoglio di lottare per qualcosa: è meglio sentirsi appagati, ma inerti, oppure soffrire con l'orgoglio di star lottando per qualcosa di importante, di creativo?

Una volta individuata la questione, già il suo approfondimento, la ricerca al riguardo, viene a costituire un valido itinerario di vita spirituale. La questione viene ad essere: che cosa è meglio cercare? Che cosa rende davvero migliore la nostra esistenza? Ovviamente le risposte saranno in gran parte soggettive, ma si potrebbe sospettare che già questo interrogarci sia un ottimo modo di impiegare il tempo della nostra vita, non per limitarci alla domanda e rimanere bloccati nella sua incertezza, ma per sperimentare le possibili risposte con una maggiore ricchezza di consapevolezze; consapevolezze da considerare non come acquisizioni, ma come esplorazioni.
Risponde Freedom:

Non ti capisco. Rifiuti o quantomeno metti in discussione una delle veritá umane più universali e incontrovertibili e cioé che gli esseri umani cercano di stare bene. Cercano, come ho scritto sotto, la gioia. In altro thread hai affermato che la meta é camminare: come se uno andasse a comprare il latte e si accontentasse di girare per il quartiere e poi tornasse a casa con che so....un etto di peperoni. A me pare, carissimo Angelo, che tu stia trascurando che la logica che sottende la ricerca spirituale non puó essere diversa da quella della ricerca materiale. Altrimenti sarebbe puro sadismo......


Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Apeiron

Freedom non credo proprio che l'idea sia soffrire per soffrire (ossia essere quasi psicopatici contro di sé - masochismo o "dolorismo" - o contro il prossimo - sadismo), bensì essere disposti a trovare la gioia anche nella sofferenza (ciò è una forma di compassione, di essere disposti a soffrire anche per l'altro...). La sofferenza, anche estrema e disperante, spesso è inscindibile da un percorso che punta ad un obbiettivo di alto valore.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Freedom

Bè nulla da eccepire sulla "politica" che avalli.. Non mi sembra di aver mai affermato che la sofferenza o altri stati d'animo vadano evitati tout court. L'importante é che l' obiettivo finale sia la gioia.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Apeiron

Citazione di: Freedom il 19 Luglio 2017, 21:36:11 PMBè nulla da eccepire sulla "politica" che avalli.. Non mi sembra di aver mai affermato che la sofferenza o altri stati d'animo vadano evitati tout court. L'importante é che l' obiettivo finale sia la gioia.

Beh dipende da cosa intendi per "gioia". Se intendi la gioia eterna "post-mortem" allora questo è un obbiettivo che ha senso solo se credi che sia possibile raggiungere un tale stato. Idem se credi al Nirvana con le dovute differenze.  Puoi anche però intendere la gioia come "assenza di rimorsi" e in tal caso ciò significa fare la vita che ti senti chiamato di vivere e spesso questo comporta sofferenza. Nel caso di una ricerca filosofica puoi anche pensare che la meta sia la stessa ricerca, idem per la ricerca di perseguire il Bene per fare il Bene (anche senza considerare il proprio stato dopo la morte). Ma in tutti questi casi certamente ci saranno forti periodi di sofferenza, di isolamento ecc, momenti in cui dell'obbiettivo "gioia" non ti ricordi più nulla. Eppure questi momenti sono quasi inevitabili per chi cerca un obbiettivo di "valore". Quindi secondo me chi cerca un obbiettivo di valore deve essere pronto ad affrontare momenti molto brutti. Su ciò che avvenga alla morte,in una discussione filosofica, si può solo speculare ma non sapere. 

In sostanza nella ricerca di qualcosa che ha valore (il cui eventuale ottenimento darebbe "pace", "gioia" ecc) bisogna chiedersi se si è disposti a passare momenti di acuta sofferenza. In ogni caso non si deve però personalizzare troppo la cosa così come nella storia ci sono stati uomini che sono morti prima di raggiungere il proprio obbiettivo ma anche se non hanno raggiunto la gioia dell'aver ottenuto l'obbiettivo la loro vita assume un grande valore proprio in virtù di questo loro "sacrificio". D'altro canto l'obbiettivo non deve essere la sofferenza in sé del cammino, perchè come ho detto sarebbe masochismo. Quindi sì l'obbiettivo deve avere di valore ed essere "positivo" ma si deve anche capire il cammino è imperevio e pieno di rischi  8)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Freedom

Ci puó essere una gioia derivante dal raggiungimento di un obiettivo ma io mi riferisco alla gioia nuda e cruda. Non proprio ad uno stato perenne ma qualcosa del genere. Un modus vivendi insomma. Se ci pensi bene é quello a cui tutti aspiriamo. Per quanto riguarda la sua eternitá sarebbe meglio e anche questo risponde all' aspirazione profonda dell'uomo. Di qualunque persona. Ma é logicamente una speranza. E' invece qualcosa di piú che una speranza ricercare la gioia qui ed ora. Scusami per i caratteri ma sto scrivendo fuori dalla mia abituale postazione.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Sariputra

Il modo migliore di vivere, secondo me, è quello di osservare tutto, più che si può, con attenzione e curiosità. Tutto il mondo "interiore" e tutto il mondo "esteriore". Essere lo spettatore del nostro agire e dell'agire altrui , nonchè dell'agitarsi delle cose del "mondo". Ambire ad essere un occhio del mondo ( una delle definizioni del Buddha storico: "puro occhio del mondo"... ). 
Questo è sicuramente, a parer mio, un modo molto saggio di vivere in questo mondo perché:
1. Permette di evitare molti errori.
2. Permette di godere della bellezza naturale presente nel mondo.
3. Permette di non prendersi troppo sul serio.
4. Permette di lasciar andare la sofferenza data dal vivere in questo mondo.
5. Permette di amare senza troppo attaccamento e senso di possesso.
Quindi si può senz'altro dire che, coltivando l'attenzione ( la presenza mentale ) si ottengono molti benefici e un generale miglioramento caratteriale. :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Angelo Cannata

Mi trovo molto d'accordo, anche se io tendo a chiamarlo ascolto, ma in fondo si tratta della stessa cosa: si osserva con gli occhi, si ascolta con le orecchie, ma lo scopo è appunto una coltivazione (fondamentale per me il verbo coltivare) dell'attenzione, che chiamo anche coltivazione della o delle sensibilità. Del coltivare le sensibilità parlo proprio nel mio ultimo video.

Per me questo non presta neanche il fianco all'accusa di inerzia, di uno stare a guardare passivamente i mali del mondo, perché l'ascoltare (o osservare) è anche quello praticato dal buon samaritano, mentre coloro che tirano avanti senza curarsi del prossimo sono coloro che non ascoltano, o decidono di non vedere, non osservare: c'è un ascoltare che, oltre che con le orecchie e il cuore, si fa con tutto il proprio essere, nel momento in cui ci si dà da fare attivamente per il bene di tutti.

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