Furono le mosche a farcelo capire

Aperto da Vittorio Sechi, 16 Giugno 2017, 22:30:39 PM

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Vittorio Sechi

Ho dato una veloce scorsa ai vari interventi. Mi riprometto di intervenire più nel dettaglio appena mi sarà possibile. Mi son chiesto: ma siamo certi che stiamo parlando del medesimo testo sacro?
Non per altro, ho letto interpretazioni assolutamente arbitrarie che non tengono nel minimo conto quanto si trova scritto su quel libro.

myfriend

Citazione di: Vittorio Sechi il 21 Giugno 2017, 20:41:36 PM
Ho dato una veloce scorsa ai vari interventi. Mi riprometto di intervenire più nel dettaglio appena mi sarà possibile. Mi son chiesto: ma siamo certi che stiamo parlando del medesimo testo sacro?
Non per altro, ho letto interpretazioni assolutamente arbitrarie che non tengono nel minimo conto quanto si trova scritto su quel libro.
O forse sei tu che non l'hai mai letto con attenzione o che non lo hai capito.
Per toglierci ogni dubbio rimango in attesa della tua "corretta" interpretazione.  :D
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Vittorio Sechi

non ho dubbi che sia come dici... Però il testo in commento è definito Bibbia, non new age for all.

Vittorio Sechi

#78
Paul11: il male viene da sempre imputato dalla stessa umanità come implicita nella propria "doppiezza"

Nel mio discorso sul Male non si imputa Dio perché ne abbia fatto ampio utilizzo, bensì per la sola colpa di averlo creato. Diversamente l'attributo di creatore di tutte le cose 'visibili ed invisibili', rinvenibile nella copiosa letteratura veterotestamentaria e dottrinale, perderebbe di significato e presumibilmente staremmo a confrontarci intorno all'opera di due creatori contrapposti. Manicheismo, gnosticismo, zoroastrismo... Scegliete voi. Qui si parla dell'unico creatore di cui alla narrazione biblica.

Paul11: Non si può fondare nessuna etica e morale togliendo il "sacro", se finisce il sacro delle religioni, se finisce l afilosfia e teologia, rimane la scienza e l'uom rientra allora nel SOLO ordine naturale.

Questa perentoria affermazione è alquanto singolare. Il sacro non attiene all'etica, attiene alla percezione del terrifico, insito nella Natura, che sedimentasi in sentimento ha trovato uno sbocco narrativo nel mito, prima, nella religio, in seguito. Letture consigliate: Eliade Mircea, Girard, Galimberti, fra i tanti.

Paul11: Il padre che abbandona il Figlio sulla croce è una fesseria moderna.

Secondo la dottrina di Sancta Catholica Apostolica Romana Ecclesia
il Logos, fattosi carne, acquisisce la doppia natura divina ed umana. Su questo argomento si sono espressi alcuni Concili – Efeso, Calcedonia, Costantinopoli -, adversus haereses (Ireneo, santo e uno dei Padri della Chiesa) – docetismo, arianesimo, monofisismo etc... - decretando indiscutibilmente e dogmaticamente a favore della natura teandrica - due nature distinte in un'unica persona -. Il Simbolo niceo-costantinopolitano, recitato nel corso della messa ed accettato da gran parte delle confessioni cristiane, afferma: [...]Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di Lui tutte le cose sono state create (visibili ed invisibili)...

Pochi dubbi. Il cristianesimo, perlomeno le confessioni maggioritarie, crede indiscutibilmente alla natura teandrica di Gesù, pena l'anatema (sentenza che assume il valore di maledizione).
Non ve la prendete con me che sono ateo.

Paul11: la modernità imputa a dio come nuovo capro espiatorio, la propria doppiezza di creatore del male: questo è il delirio culturale del presente.

Il capro espiatorio ha molto a che vedere con il sacro e con la sacralizzazione o purificazione dei luoghi o delle comunità. È un meccanismo, ben noto agli antropologi, di trasduzione di una colpa insorta nei confronti della divinità (René Girard – il capo espiatorio). Nulla a che fare con il modernismo, a cui non frega una cippa lippa.

Myfriend: Questa è una interpretazione errata. Il fatto che esistesse "l'albero della conoscenza del bene e del male" non implica affatto che il male fosse già presente nella Realtà. Questa è una tua deduzione che non trova riscontro nel testo.

Rileggi attentamente, senza sofismi o partigianeria, il testo di Genesi, capitolo due, versetti 16-17. Te li trascrivo, temo che il tuo testo li abbia persi:
"(16)Il Signore diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, (17) ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti".
Qualcuno piantò quell'albero nell'Eden, non certo io. Non prendetevela con me. Chi piantò quell'albero è anche colui che, stando al testo e, per i credenti, anche alla realtà che il simbolismo mitico traduce in grafia e dizione, creò il Male. Ribadisco quanto sopra. Dio non è imputato per il largo ed arbitrario utilizzo del Male (leggasi Giobbe, fra i tanti altri), bensì per averlo creato.

Myfriend: Non è che ci possiamo inventare la bibbia che ci piace eh.
La bibbia va letta per quella che è.

Appunto! Non farlo. Non c'è alcuna necessità di riscriverla. Va bene il testo già esistente. Questo stiamo provando a mettere in controluce per leggerlo in filigrana.

"Le radici del male"

L'intera fatica di Dio, resa concreta e manifesta da e nella Creazione, è contrappuntata dall'aggettivo <<buona>>. L'intero Creato è <<cosa buona>>. Solo in seguito, con la comparsa dell'uomo, appare l'espressione <<cosa molto buona>>. Tale differenza di linguaggio, rilevabile nel I Capitolo della Genesi, offre la misura dell'atto più eccelso dell'intera opera creatrice di Dio. Solo con la creazione dell'uomo si giunge al culmine della fatica divina. L'uomo rappresenta, infatti, il fastigio del processo creativo.
Solo in tale occasione il Libro della Genesi si esprime in termini di somiglianza ed immagine del Creatore. Somiglianza non uguaglianza, dunque. L'uomo è posto all'apice del creato, e ciò per espressa volontà di Dio, poiché fu Dio stesso che adunò tutte le creature viventi, le condusse al cospetto dell'uomo affinché questi imponesse loro un nome. Chiaro simbolo dell'estensione della signoria di quest'ultimo sull'intero creato – attribuire un nome a cose, persone o animali significava prenderne possesso -. I capitoli I e II del Libro Sacro narrano con sufficiente chiarezza questa determinazione originaria della volontà di Dio: un'opera definita <<buona>> sottoposta alla signoria di un'altra creatura considerata <<molto buona>>. In ciò è ravvisabile anche la scaturigine dell'ordinamento cosmologico che d'allora informa il creato.
In ogni caso, entrambe le definizioni - <<buona>> e <<molto buona>> - lasciano ben intendere che non si tratta di creature perfette – somiglianza, non uguaglianza -, mancando appunto dei crismi di questa suprema qualificazione
Somiglianza, per quanto o per quel che non è coincidenza o uguaglianza, significa eccedenza o assenza (in questo caso è evidente si tratti esclusivamente di "mancanza"). Somiglianza è dunque anche dissomiglianza.
Ritenere che nello slabbro prodotto dal "mancare" dell'una - creatura - rispetto all'altro - Creatore - s'insinuino l'angoscia, il conflitto, il male e il dolore, equivale a dire che Dio, essendo sempre uguale a se stesso, non possa essere anche Male. È, infatti, più corretto inferire che la dissomiglianza sia la scaturigine del trabocco del Male, e, quindi, ne rappresenti l'esperienza che la coscienza ne fa, circostanza che, appunto, nell'uomo si traduce in una perdita di senso e significato, entrambi – senso e significato – invece ben presenti a Dio.
<<La dissomiglianza invece secondo Pascal apre alla doppiezza metafisica della natura, che non conosce acquietamento possibile, ma, al contrario, comporta conflitto, disperazione, agonia fino alla fine del mondo. Doppia è la natura: originaria e corrotta, integra e decaduta. L'una e l'altra convivono nell'uomo; che perciò non è né angelo né bestia, ma non è neppure "mai se stesso, essendo piuttosto un impasto di entrambi – un centauro, un mostro, anzi «le plus prodigeux objet de la nature" (Givone – Storia del Nulla)

La Creazione è un atto imperfetto, che reca in sé i germi della corruzione. Se la creazione e la sua creatura più bella e fulgida fossero state perfette, la tentazione non avrebbe insidiato e, in una certa misura, plasmato l'intero cosmo. Il peccato e il Male, che già adombravano la Luce divina, sarebbero rimasti relegati nel cantuccio a loro destinato, avrebbero, cioè, riguardato solo gli angeli ribelli; l'uomo non avrebbe ceduto alla tentazione.


[il resto ad un altro momento]

Sariputra

Se la creazione e la sua creatura più bella e fulgida fossero state perfette, la tentazione non avrebbe insidiato e, in una certa misura, plasmato l'intero cosmo. 

Cosa significa essere "perfetti"? Per esserlo bisognerebbe essere Dio stesso, che è l'unico perfetto. Ma Dio non intendeva creare altri se stessi, voleva di fronte una creatura, un "amico" e voleva per prima cosa, crearla libera. Voleva cioè essere liberamente amato e non voleva un essere che amasse senza comprensione del "valore" di questa libertà d'amare. Ma , per essere "libero", bisogna liberamente operare scelte e, per operare una scelta, devi logicamente disporre di più opzioni.  In questo senso il male è semplicemente la scelta, libera, dell'opzione di non-amare Dio.Si potrebbe quasi dire che il dolore appare necessario per far maturare l'amore. Come il mango ha bisogno di una scorza per maturare e, quando è pronto per essere gustato, bisogna pelarlo dalla buccia, così l'amore per maturare sembra necessitare della scorza del dolore e da questa deve essere "liberato" per poter essere gustato. Il dolore che ci interroga e che spesso ci annienta,  nella sua manifestazione come "danno", spesso è anche fonte di profondo cambiamento e di ricerca di un significato. E' il dolore che interroga Siddhartha e lo spinge alla ricerca di una via di liberazione, che non è annientamento del dolore ma comprensione e non attaccamento a tutti quei fattori mentali che ci spingono a perpetuarlo. Nei monoteismi abramitici il dolore fisico non sembra aver molta importanza, non c'è quella "debolezza decadente" dell'uomo moderno, quella ipersensibilità a tutto ciò che può esserci di "danno". Era un mondo diverso, un vissuto più aspro, meno "molle" e spaventato; la morte non era nascosta, camuffata e relegata lontano, era consuetudine ordinaria. Molte delle cose che, alla nostra sensibilità attuale, appaiono come sofferenza erano semplicemente quotidianità. Anche il dolore, la sofferenza, come ogni cosa è mutato , si è trasformato, ha assunto colori e toni diversi, soggetto come tutto all'impermanenza, che ne è anche la causa profonda.
Se non credo in un Dio creatore è logicamente assurdo imputargli alcunché, come giustamente ha scritto baylham.
Se invece credo dovrei almeno interrogarmi se, il dolore che ho percepito in me e che ho visto nell'altro,sia servito o meno a cambiarmi e se questo cambiamento mi ha aperto ad una dimensione di maggior sensibilità ed empatia verso l'altro, quindi d'amore. Se è così, perché maledire la scorza che è stata necessaria per far maturare questo prezioso frutto?  Se il mondo fosse un'unica perla che valore avrebbe? Ma invece...che meraviglia quando, da una conchiglia piena di fango, pescata nell'abisso, troviamo una piccola luminosa perla. e tanto più grande sarà la bellezza quanto più ne comprendiamo la "fragilità" e il suo passare...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

paul11

#80
Citazione di: Vittorio Sechi il 22 Giugno 2017, 00:02:10 AM
Paul11: il male viene da sempre imputato dalla stessa umanità come implicita nella propria "doppiezza"

Nel mio discorso sul Male non si imputa Dio perché ne abbia fatto ampio utilizzo, bensì per la sola colpa di averlo creato. Diversamente l'attributo di creatore di tutte le cose 'visibili ed invisibili', rinvenibile nella copiosa letteratura veterotestamentaria e dottrinale, perderebbe di significato e presumibilmente staremmo a confrontarci intorno all'opera di due creatori contrapposti. Manicheismo, gnosticismo, zoroastrismo... Scegliete voi. Qui si parla dell'unico creatore di cui alla narrazione biblica.

Paul11: Non si può fondare nessuna etica e morale togliendo il "sacro", se finisce il sacro delle religioni, se finisce l afilosfia e teologia, rimane la scienza e l'uom rientra allora nel SOLO ordine naturale.

Questa perentoria affermazione è alquanto singolare. Il sacro non attiene all'etica, attiene alla percezione del terrifico, insito nella Natura, che sedimentasi in sentimento ha trovato uno sbocco narrativo nel mito, prima, nella religio, in seguito. Letture consigliate: Eliade Mircea, Girard, Galimberti, fra i tanti.

Paul11: Il padre che abbandona il Figlio sulla croce è una fesseria moderna.

Secondo la dottrina di Sancta Catholica Apostolica Romana Ecclesia
il Logos, fattosi carne, acquisisce la doppia natura divina ed umana. Su questo argomento si sono espressi alcuni Concili – Efeso, Calcedonia, Costantinopoli -, adversus haereses (Ireneo, santo e uno dei Padri della Chiesa) – docetismo, arianesimo, monofisismo etc... - decretando indiscutibilmente e dogmaticamente a favore della natura teandrica - due nature distinte in un'unica persona -. Il Simbolo niceo-costantinopolitano, recitato nel corso della messa ed accettato da gran parte delle confessioni cristiane, afferma: [...]Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di Lui tutte le cose sono state create (visibili ed invisibili)...

Pochi dubbi. Il cristianesimo, perlomeno le confessioni maggioritarie, crede indiscutibilmente alla natura teandrica di Gesù, pena l'anatema (sentenza che assume il valore di maledizione).
Non ve la prendete con me che sono ateo.

Paul11: la modernità imputa a dio come nuovo capro espiatorio, la propria doppiezza di creatore del male: questo è il delirio culturale del presente.

Il capro espiatorio ha molto a che vedere con il sacro e con la sacralizzazione o purificazione dei luoghi o delle comunità. È un meccanismo, ben noto agli antropologi, di trasduzione di una colpa insorta nei confronti della divinità (René Girard – il capo espiatorio). Nulla a che fare con il modernismo, a cui non frega una cippa lippa.

Myfriend: Questa è una interpretazione errata. Il fatto che esistesse "l'albero della conoscenza del bene e del male" non implica affatto che il male fosse già presente nella Realtà. Questa è una tua deduzione che non trova riscontro nel testo.

Rileggi attentamente, senza sofismi o partigianeria, il testo di Genesi, capitolo due, versetti 16-17. Te li trascrivo, temo che il tuo testo li abbia persi:
"(16)Il Signore diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, (17) ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti".
Qualcuno piantò quell'albero nell'Eden, non certo io. Non prendetevela con me. Chi piantò quell'albero è anche colui che, stando al testo e, per i credenti, anche alla realtà che il simbolismo mitico traduce in grafia e dizione, creò il Male. Ribadisco quanto sopra. Dio non è imputato per il largo ed arbitrario utilizzo del Male (leggasi Giobbe, fra i tanti altri), bensì per averlo creato.

Myfriend: Non è che ci possiamo inventare la bibbia che ci piace eh.
La bibbia va letta per quella che è.

Appunto! Non farlo. Non c'è alcuna necessità di riscriverla. Va bene il testo già esistente. Questo stiamo provando a mettere in controluce per leggerlo in filigrana.

"Le radici del male"

L'intera fatica di Dio, resa concreta e manifesta da e nella Creazione, è contrappuntata dall'aggettivo <<buona>>. L'intero Creato è <<cosa buona>>. Solo in seguito, con la comparsa dell'uomo, appare l'espressione <<cosa molto buona>>. Tale differenza di linguaggio, rilevabile nel I Capitolo della Genesi, offre la misura dell'atto più eccelso dell'intera opera creatrice di Dio. Solo con la creazione dell'uomo si giunge al culmine della fatica divina. L'uomo rappresenta, infatti, il fastigio del processo creativo.
Solo in tale occasione il Libro della Genesi si esprime in termini di somiglianza ed immagine del Creatore. Somiglianza non uguaglianza, dunque. L'uomo è posto all'apice del creato, e ciò per espressa volontà di Dio, poiché fu Dio stesso che adunò tutte le creature viventi, le condusse al cospetto dell'uomo affinché questi imponesse loro un nome. Chiaro simbolo dell'estensione della signoria di quest'ultimo sull'intero creato – attribuire un nome a cose, persone o animali significava prenderne possesso -. I capitoli I e II del Libro Sacro narrano con sufficiente chiarezza questa determinazione originaria della volontà di Dio: un'opera definita <<buona>> sottoposta alla signoria di un'altra creatura considerata <<molto buona>>. In ciò è ravvisabile anche la scaturigine dell'ordinamento cosmologico che d'allora informa il creato.
In ogni caso, entrambe le definizioni - <<buona>> e <<molto buona>> - lasciano ben intendere che non si tratta di creature perfette – somiglianza, non uguaglianza -, mancando appunto dei crismi di questa suprema qualificazione
Somiglianza, per quanto o per quel che non è coincidenza o uguaglianza, significa eccedenza o assenza (in questo caso è evidente si tratti esclusivamente di "mancanza"). Somiglianza è dunque anche dissomiglianza.
Ritenere che nello slabbro prodotto dal "mancare" dell'una - creatura - rispetto all'altro - Creatore - s'insinuino l'angoscia, il conflitto, il male e il dolore, equivale a dire che Dio, essendo sempre uguale a se stesso, non possa essere anche Male. È, infatti, più corretto inferire che la dissomiglianza sia la scaturigine del trabocco del Male, e, quindi, ne rappresenti l'esperienza che la coscienza ne fa, circostanza che, appunto, nell'uomo si traduce in una perdita di senso e significato, entrambi – senso e significato – invece ben presenti a Dio.
<<La dissomiglianza invece secondo Pascal apre alla doppiezza metafisica della natura, che non conosce acquietamento possibile, ma, al contrario, comporta conflitto, disperazione, agonia fino alla fine del mondo. Doppia è la natura: originaria e corrotta, integra e decaduta. L'una e l'altra convivono nell'uomo; che perciò non è né angelo né bestia, ma non è neppure "mai se stesso, essendo piuttosto un impasto di entrambi – un centauro, un mostro, anzi «le plus prodigeux objet de la nature" (Givone – Storia del Nulla)

La Creazione è un atto imperfetto, che reca in sé i germi della corruzione. Se la creazione e la sua creatura più bella e fulgida fossero state perfette, la tentazione non avrebbe insidiato e, in una certa misura, plasmato l'intero cosmo. Il peccato e il Male, che già adombravano la Luce divina, sarebbero rimasti relegati nel cantuccio a loro destinato, avrebbero, cioè, riguardato solo gli angeli ribelli; l'uomo non avrebbe ceduto alla tentazione.


[il resto ad un altro momento]
ciao Vittorio Sechi,
non è possible risolvere il problema del male,semplicemente "è".Questo non dipende dal credere o non credere in Dio, per questo all'inizio della discussione la relazione male con il Dio è morto è un'aporia,  e per questo alla fine Giobbe che rappresenta l'uomo onesto, probo, deve fare di necessità virtù:accettare ,diremmo noi perchè questa è la vita.
Non pensare che non me lo sia posto io stesso, sono convinto che tutti quanti ce lo siamo posti come umani e non una sola volta nella vita.
E'come dire che ci possono essere diversi universi diverse vite, ma perchè mai proprio questa condizione umana " che cosa ho fatto per vivere in mezzo a ferocia e crudeltà, ignominia, dolore e sofferenza.Ma ci sono anche attimi di gioia e di felicità.


Dimostrami su cosa si possa fondare un etica condivisa di una comunità: puoi solo imporre la forza, la costrizione, l'obbligo.la sanzione
Perchè alla fine lo Stato sulla base del diritto si regge sul monopolio delle armi e la legge viene imposta, con una pena con una sanzione alla disobbedienza.L'albero del bene e del male dimostra che l'uomo finisce per tendere alla sua inclinazione animale.
Non pensare che da giovane anarchico abbia pensato anch'io alla "legge morale dentro di noi" e non un'imposizne esterna.
purtroppo non regge , perchè un uomo è una testa e una mente diversa dalle altre. un'etica ha la necessità non solo che sia accettata dal singolo e seguita nei comportamenti ,ma che venga condivisa.Sono il primo io ad augurarmi un utopico mondo in cui gli uomini siano in pace  e amore
e nel loro intimo una felice spiritualità condivisa ,priva di leggi esterne ed obblighi, ma di rispetto e fratellanza: ma non funziona così il mondo perchè è anche in noi che alberga il male.se non ci fosse il male ,non avremmo bisogno di etica

Non hai capito quello che ho scritto: il Padre non abbandona il Figlio poichè quest'ultimo sapeva già il suo destino sapeva il suo compito, la sua missione sulla terra. Tutto fu già profetizzato prima della venuta di Gesù, che compie le profezie.

Ho letto le scienze antiche, perchè le religioni sono trasmissioni "cristallizzate" di antiche conoscenze.
L'antropologo al massimo può fare correlazioni del tempo storico, del tipo di civiltà ,di ambiente, di contesti in cui una scrittura è nata o riveduta..
Ve ne sono pochi degni di questo. ma quando l'antropologo esce dalla su disciplina dice spesso fesserie.

Il sistema di relazione della comunità in rapporto con la divinità è dato dal destino. Si leggevano i segni nel cielo, nelle stagioni, che mostravano un dio adirato ono in funzione delel clamità dell'abbondanza o scarsità il capro espiatorio è colui che si prende la colpa di tutti e si sacrifca per di nuovo riappacificarsi con Dio.
Dire che il male è esterno all'uomo e creato da Dio è volergli  addebitare  le nostre  colpe nel tempo in cui l'uomo ha ucciso Dio e si  è ripreso il destino,

Quello che filosofi ma anche teologi scrivono dalla modernità alla contemporaneità, sono molto spesso, mi spiace dirlo, un sacco di fesserie.
Tutti, si sta dimenticando che se esiste una parusia e una escatologia è proprio perchè dall'uomo a Dio sappiamo che questa esistenza è il "fio", il destino mortale in divenire.Ma adatto che non credo che veniamo dal niente e spariamo nel niente.........anche il male deve avere un senso,come ogni granello di sabbia.

sgiombo

Citazione di: myfriend il 21 Giugno 2017, 17:11:26 PM
@sgiombo

La "crudeltà" è una categoria del pensiero umano che appartiene all'homo e ha senso solo quando è applicata al suo livello evolutivo. Ma che non appartiene agli stadi evolutivi precedenti al nostro dove ciò che regna è l'intelligenza dell'"equilibrio".
Quindi ha perfettamente senso affermare che un homo che uccide un animale o un altro homo è "crudele".
Ma non ha alcun senso affermare che il leone che mangia la gazzella è "crudele". O che la gazzella che mangia l'erba è "crudele" nei confronti dell'erba. Il leone fa il leone. E la gazzella fa la gazzella. Non possono fare diversamente. Si chiama "equilibrio". O, se preferisci, "intelligenza dell'equilibrio".

Per quanto riguarda l'evoluzione che avverrebbe per "mutazioni casuali" di DNA è del tutto evidente che non conosci gli studi di Cairns e successivi.
E se non li conosci è come cercare di spiegare le equazioni di primo e secondo grado a chi non conosce l'algebra. La scienza si evolve. E mentre non è mai stato dimostrato con prove di laboratorio che l'evolzuione si basa su mutazioni casuali di DNA (questo è un dogma di fede), è stato invece provato da Cairns e successivi il contrario e cioè che le mutazioni di DNA non sono affatto casuali ma seguono un processo intelligente dove la "casualità" è una tecnica usata dall'organismo all'interno di un processo adattativo intelligente.
E sai come ha fatto Cairns a scoprirlo? Creando dei batteri con il gene della metabolizzazione del lattosio alterato e inefficente e inserendo questi batteri in soluzioni contenenti solo lattosio. Invece di morire, i batteri hanno cominciato a innescare mutazioni casuali solo del gene difettoso (quello preposto alla digestione del lattosio) fino a trovare un gene "buono" in grado di produrre un enzima che digerisse il lattosio. Dopo che lo hanno trovato, i batteri hanno scartato tutte le prove andate male e hanno tenuto solo la nuova versione di gene capace di digerire il lattosio e lo hanno utilizzato per sostituire il gene difettoso. E grazie a questo sono sopravvissuti e si sono sviluppati.  ;)
Quindi ti invito ad aggiornarti sugli studi della biologia evoluzionista. Se non conosci le nuove scoperte (come ad esempio "l'ipermutazione somatica") di che stiamo parlando? Dell'aria fritta....
CitazioneGrazie per l' invito, ma lo rispedisco al mittente.

Infatti ma hai scritto solo colossali sciocchezze indicative di grande ignoranza e superficialità (tue; circostanza non nuova) sulle mutazioni genetiche in alcuni batteri come escherichia coli (sempre casuali "qualitativamete", anche se in certe circostanze determinatamente si intensificano "quantitativamente", aumentando la loro frequenza, meccanismo biologico comparso per precedenti mutazioni genetiche altrettanto casuali e preservatosi, in quanto adattativo, per selezione naturale), che rientrano invece perfettamente nella biologia scientifica evoluzionistica.

Inoltre confondi la crudeltà che é propria (anche) di tantissimi animali e piante con la responsabilità etica per le proprie azioni (in particolare per quelle crudeli) che é propria unicamente dell' uomo.
Il fatto che il leone non sia eticamente condannabile, contrariamente all' assassino, non rende affatto gentile o amorevole il trattamento che riserva alle sue prede.

myfriend

Citazione di: Vittorio Sechi il 21 Giugno 2017, 20:58:54 PM
non ho dubbi che sia come dici... Però il testo in commento è definito Bibbia, non new age for all.
Sei tu, mi sembra, che hai detto che dal testo della Genesi si evince che, esistendo l'albero della conoscenza del bene e del male, si deduce che il male esistesse prima della comparsa dell'homo.
Leggendo il testo, invece, appare chiaro che l'autore fa sorgere il male DOPO la "caduta" (vedi storia di Caino e Abele).
L'idea che il male fosse pre-esistente alla "caduta" è una tua invenzione che non trova riscontro nel testo.

Se questa è la tua interpretazione "corretta", stiamo freschi.  :D
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

myfriend

#83
@sgiombo

Mi spiace per te, ma l'esperimento di Cairns dimostra che le mutazioni casuali del DNA riguardano SOLO il "gene difettoso" e sono indirizzate a rimpiazzare il "gene difettoso" con un gene buono.
Quindi la "mutazione casuale" è una tecnica usata dall'organismo e indotta dall'organismo al fine di produrre un "gene buono" col quale rimpiazzare il gene difettoso. La "mutazione casuale" è, quindi, una tecnica usata dall'organismo all'interno di un processo intelligente. E il processo intelligente è proprio quello che riguarda la sostituzione del "gene difettoso" con un "gene buono".

Le "mutazioni incontrollate", che l'organismo cerca di evitare in ogni modo con vari sistemi di controllo (soprattutto durante la fase di copiatura del DNA), portano a malattie e disfunzioni, non certo all'evoluzione. Sono le "mutazioni controllate" che portano all'evoluzione.
Come sempre, caro sgiombo, hai toppato.
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

sgiombo

#84
Citazione di: myfriend il 22 Giugno 2017, 10:10:52 AM
@sgiombo

Mi spiace per te, ma l'esperimento di Cairns dimostra che le mutazioni casuali del DNA riguardano SOLO il "gene difettoso" e sono indirizzate a rimpiazzare il "gene difettoso" con un gene buono.
Quindi la "mutazione casuale" è una tecnica usata dall'organismo e indotta dall'organismo al fine di produrre un "gene buono" col quale rimpiazzare il gene difettoso. La "mutazione casuale" è, quindi, una tecnica usata dall'organismo all'interno di un processo intelligente. E il processo intelligente è proprio quello che riguarda la sostituzione del "gene difettoso" con un "gene buono".

Le "mutazioni incontrollate", che l'organismo cerca di evitare in ogni modo con vari sistemi di controllo (soprattutto durante la fase di copiatura del DNA), portano a malattie e disfunzioni, non certo all'evoluzione. Sono le "mutazioni controllate" che portano all'evoluzione.
Come sempre, caro sgiombo, hai toppato.
CitazioneMi spiace per te ma queste tue affermazioni (non di Cairns), fra l' alro esplicitamente finalistiche (sic!) sono solo strafalcioni antiscientifici.

Le mutazioni di escherichia coli in condizioni ambientali svantaggiose, in seguito a un adattamento genomicamente condizionato casuale "premiato" dalla selezione naturale, (e non affatto indotte finalisticamente e intelligenemente dall'organismo come un mezzo "tecnico" per ottenere suoi presunti scopi) aumentano notevolmente di frequenza ma sono del tutto causali; l' aumento della frequenza di mutazioni indiscriminate e casuali, e NON AFFATTO FINALIZZATE aumenta ovviamente la probabilità che ne compaia una "buona per la sopravvivenza" (adattiva), cosa che ha dunque ottime probabilità di verificarsi e perciò spessissimo accade.
In questo processo afinalistico l' organismo batterico non può evitare in alcun modo le mutazioni svantaggiose nel processo di replicazione del DNA, ma semplicemente queste sono eliminate "a posteriori" dalla selezione naturale.
Tutto qui: mutazioni genetiche casuali e selezione naturale, e nessun "finalismo"!
In generale e nel caso particolare in questione la stragrande maggioranza delle mutazioni, che sono casuali, sono svantaggiose e vanno perdute; persistono e si diffondono quelle pochissime che DEL TUTTO CASUALMENTE sono adattative.

Come quasi sempre (nessuno é perfetto, nemmeno in negativo) hai toppato tu, e alla grande!

P.S.: Non ho tempo né voglia di replicare al tuo prevedibilissimo insistere nel propalare sciocchezze antiscientifiche (anche perché non c' é peggior sordo di chi non vuole -o non può, per suoi propri limiti culturali- sentire), e perciò non opporrò ulteriori repliche del tutto inutili allo scopo di farti capire.
Non é che ripetendo ad libitum strafalcioni antiscientifici questi diventino scienza!

Angelo Cannata

Nel mio passato ho avuto la possibilità di conoscere personaggi che nel loro campo erano studiosi di fama internazionale. Di altri grandi personaggi invece mi hanno parlato amici miei, che hanno avuto la possibilità di incontrarli di presenza. C'è una caratteristica che quasi sempre connota questi personaggi, per come li ho conosciuti e per come me ne hanno parlato: una straordinaria modestia e umiltà. La cosa è comprensibile: quanto più uno studioso si addentra in un campo, tanto più tocca con mano quanto quel campo sia sterminato, immenso, costringendoti a sentirti piccolo piccolo.

Al contrario, ci sono i turisti dei vari campi di studio, assetati di conoscenza, ma privi di metodo, autodidatti. Questa sete di conoscenza è ovviamente da elogiare e si entusiasma facilmente per le scoperte compiute attraverso la lettura di qualche libro. Mancando però un maestro che ti dia un metodo, che spenga certi entusiasmi che sono fuochi di paglia rivolti verso direzioni sbagliate, che indirizzi verso gli orizzonti che invece meritano l'impiego di energie, speranze, lavoro, mancando questo è facile che si faccia strada la presunzione, si fanno strada modi di parlare falsi: un'ipotesi diventa una certezza, un sospetto diventa un dato di fatto e così nasce il modo di parlare che chiamo "da bar", in cui, nei casi più esasperati, si fa a gara non solo a chi riesce a far passare per certezza la baggianata più grossa, ma perfino a convincere se stessi che non è una baggianata, ma una certezza scontata.

Altro che la modestia e umiltà dei grandi maestri; sono due poli completamente opposti. Questi che ho chiamato turisti sono spesso semplicemente i giovani, gli adolescenti, che giustamente hanno bisogno di speranze, entusiasmi, estremismi. In questo senso il maestro è spesso colui che ti smorza gli entusiasmi, ti toglie le speranze, ti riporta con i piedi per terra, insomma ti uccide Dio. Ma, come ho detto, il maestro poi è anche colui che ti guida agli entusiasmi più solidi, alle gioie robuste che poi saranno in grado di resistere alla persecuzione e alla morte.

Mi sembra che in questo senso un grande uccisore di Dio sia stato Gesù. Ci sono tanti aspetti nella religione cattolica, ma anche nei Vangeli stessi, che mostrano che la risurrezione di Gesù non può essere compresa, non può essere oggetto di culto se non strettamente legata alla sua morte. Gesù risorto è uno che porta ancora con sé la morte: a Tommaso dice di toccargli le ferite; la sua ascensione è una sconfitta perché quel modo di essere presente in tutto il mondo è troppo inquinato di assenza; da sempre i cristiani hanno adottato spontaneamente il crocifisso, non il risorto, come simbolo della loro religione. Insomma, per me, nella mia prospettiva di ateo ex credente, la risurrezione di Gesù non è un trionfo, una fanfara perepé perepé, ma contiene piuttosto la spiritualità profonda dei grandi maestri cui ho accennato sopra, gente severa, persone che ti spengono senza pietà certi entusiasmi fuochi di paglia, al punto da farti stare male, ma ti aprono anche vie di conoscenza che ti fanno toccare nell'intimo bellezza, robustezza e profondità.

Allora, sempre dal punto di vista dell'ateo che adesso sono, penso che Dio è morto perché Gesù l'ha ucciso, proprio attraverso il suo modo tutto particolare di essere risorto, una risurrezione tutta intrisa di morte, perché si è data la missione di guidare al meglio di cosa significa che siamo umani; è pur sempre risurrezione, non è caduta unilaterale nel pessimismo, ma è un ottimismo da persone adulte che sanno essere modeste, non da adolescenti arroganti. Allora dico "Benvenuta, morte di Dio".

Questa diventa la risposta di Gesù al problema della teodicea: nel mondo c'è il male perché purtroppo non abbiamo ancora ucciso del tutto Dio; Dio non si uccide semplicemente facendosi atei, bisogna stanarlo in tanti altri angoli in cui ancora persiste e chissà se ci sarà mai una sua morte totale. Gesù ha fatto la sua parte, gli ha assestato i suoi colpi, ma c'è ancora un enormità di lavoro da fare, che non sappiamo se mai finirà, perché l'intero universo è tutto avvelenato di divinità in ogni suo atomo, non siamo solo noi ad avere l'incarico di uccidere Dio, ma l'intero universo.

Questo può far capire anche perché io non veda di buon occhio la gioia come ideale massimo, addirittura eterno, di vita, come ha proposto Freedom nell'altra discussione: perché mi sa di fanfara perepé perepé, nonostante sia ovvio che non si riduce a questo.

Ho usato in questo messaggio un linguaggio più letterario, spirituale, allusivo, soggettivo, ma d'altra parte è con questo linguaggio che questa discussione era iniziata, e con quest'argomento.

Angelo Cannata

Dimenticavo: per me il paradiso è invece poter conoscere grandi maestri e maestre. Il resto viene dopo.

Sariputra

#87
@A.Cannata scrive:

nel mondo c'è il male perché purtroppo non abbiamo ancora ucciso del tutto Dio; Dio non si uccide semplicemente facendosi atei, bisogna stanarlo in tanti altri angoli in cui ancora persiste e chissà se ci sarà mai una sua morte totale. Gesù ha fatto la sua parte, gli ha assestato i suoi colpi, ma c'è ancora un enormità di lavoro da fare, che non sappiamo se mai finirà, perché l'intero universo è tutto avvelenato di divinità in ogni suo atomo, non siamo solo noi ad avere l'incarico di uccidere Dio, ma l'intero universo.

E che è? L'Home page di un sito satanico?  ??? Sono parole che trasudano odio verso Dio ( odio verso qualcosa che si ritiene inesistente...).
Ma davvero ritieni che l'idea di un Dio sia la causa di ogni male? Non trovi assurda questa posizione ? Se Dio non esiste, è quindi una creatura del pensiero umano, ergo tutto il male imputato a Dio non può essere che male da imputare all'uomo che l'ha concepito. A meno che...tu, in fondo, non ritenga che invece esiste, ma lo odi perché ha creato un mondo che non ti soddisfa, e non vuoi che esista e quindi deve essere "combattuto" e distrutto ( un ideale satanico cioè...).
Sei forse un maestro di spiritualità "nera" ?... :-\
Mah!...perplessità...

Citazione di: Angelo Cannata il 22 Giugno 2017, 23:10:28 PMDimenticavo: per me il paradiso è invece poter conoscere grandi maestri e maestre. Il resto viene dopo.


Oddio...il mondo è sempre stato pieno di gente che desiderava "ammaestrare", e quasi tutti ne traevano giovamento "personale" ... :( Io sono rimasto ancora alle ultime parole di Siddhartha al fido Ananda: "Sii luce a te stesso, Ananda, non avere altra luce..." pertanto...tutto sommato...'ste 27 vergini che dicono aspettino nel Paradiso...se proprio soffrono di solitudine...potrei anche sacrificarmi...anche se...non conosco perfettamente i testi, ma...è scritto per caso che età hanno?... :-[ :-[ :-[   
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Angelo Cannata

Da relativista quale sono, il mio ateismo non si pone nei termini di esistenza o non esistenza di Dio. Per me il verbo esistere, se considerato da un punto di vista fondamentale, è privo di significato. Per questo motivo non ho alcun interesse alla questione se Dio esiste o meno. Il mio ateismo è esistenziale, cioè riguarda il comportamento concreto: io scelgo di non relazionarmi con Dio con il tipo di relazione che hanno i credenti, cioè rivolgersi a lui, ascoltarlo, meditarlo. Poi, che Dio esista o non esista sono affari suoi o di chi se ne voglia occupare.

Riguardo all'odio verso Dio, non penso di averne, anzi, attribuisco grande importanza alle esperienze che ho vissuto da credente e ho totale stima delle esperienze che vivono i credenti. Uccidere Dio per me non significa far sparire le religioni: non sono certo uno dell'Isis o un crociato. Uccidere Dio per me significa vivere un processo di crescita che non si fa scrupolo di eliminare dalla propria esistenza tutti quegli aspetti che hanno a che fare con la divinità e che al momento riconosco non costruttivi. In questo senso, qualsiasi credente ha il dovere di uccidere in se stesso tutti quegli aspetti falsi, sbagliati che fanno parte della sua fede: ogni fede è sempre inquinata da qualche idea sbagliata su Dio. La differenza tra me e un credente è che il credente lavora tutti i giorni per eliminare dalla sua vita preconcetti errati su Dio, déi falsi, come per esempio l'amore per le ricchezze, l'egoismo, mentre io invece ho scelto eliminare direttamente ogni mio rivolgermi a Dio. Ma il credente, ogni credente, rimane per me una fonte di spiritualità da cui ho da imparare, così come egli ha da imparare da me: tutti abbiamo da imparare da tutti. Non per nulla ho detto che per me il paradiso è avere grandi maestri, e spesso sono io che devo accorgermi dei grandi maestri che mi trovo accanto, che magari non hanno nomi altisonanti, ma hanno molto da insegnarmi.

Come vedi, il mio uccidere Dio è tutt'altro che odio. Però se la metti sul piano di dibattere se Dio esiste o non esiste, non ci capiamo più: la mia spiritualità, anzi, mi permetto di dire la spiritualità, in quanto vita interiore e quindi vita interiore di tutti, di chiunque, si pone su piani diversi, altrimenti non sarebbe vita interiore di chiunque.

Sariputra

Citazione di: Angelo Cannata il 23 Giugno 2017, 00:30:07 AMDa relativista quale sono, il mio ateismo non si pone nei termini di esistenza o non esistenza di Dio. Per me il verbo esistere, se considerato da un punto di vista fondamentale, è privo di significato. Per questo motivo non ho alcun interesse alla questione se Dio esiste o meno. Il mio ateismo è esistenziale, cioè riguarda il comportamento concreto: io scelgo di non relazionarmi con Dio con il tipo di relazione che hanno i credenti, cioè rivolgersi a lui, ascoltarlo, meditarlo. Poi, che Dio esista o non esista sono affari suoi o di chi se ne voglia occupare. Riguardo all'odio verso Dio, non penso di averne, anzi, attribuisco grande importanza alle esperienze che ho vissuto da credente e ho totale stima delle esperienze che vivono i credenti. Uccidere Dio per me non significa far sparire le religioni: non sono certo uno dell'Isis o un crociato. Uccidere Dio per me significa vivere un processo di crescita che non si fa scrupolo di eliminare dalla propria esistenza tutti quegli aspetti che hanno a che fare con la divinità e che al momento riconosco non costruttivi. In questo senso, qualsiasi credente ha il dovere di uccidere in se stesso tutti quegli aspetti falsi, sbagliati che fanno parte della sua fede: ogni fede è sempre inquinata da qualche idea sbagliata su Dio. La differenza tra me e un credente è che il credente lavora tutti i giorni per eliminare dalla sua vita preconcetti errati su Dio, déi falsi, come per esempio l'amore per le ricchezze, l'egoismo, mentre io invece ho scelto eliminare direttamente ogni mio rivolgermi a Dio. Ma il credente, ogni credente, rimane per me una fonte di spiritualità da cui ho da imparare, così come egli ha da imparare da me: tutti abbiamo da imparare da tutti. Non per nulla ho detto che per me il paradiso è avere grandi maestri, e spesso sono io che devo accorgermi dei grandi maestri che mi trovo accanto, che magari non hanno nomi altisonanti, ma hanno molto da insegnarmi. Come vedi, il mio uccidere Dio è tutt'altro che odio. Però se la metti sul piano di dibattere se Dio esiste o non esiste, non ci capiamo più: la mia spiritualità, anzi, mi permetto di dire la spiritualità, in quanto vita interiore e quindi vita interiore di tutti, di chiunque, si pone su piani diversi, altrimenti non sarebbe vita interiore di chiunque.

A parer mio, definire la spiritualità semplicemente come"vita interiore" è troppo generico. La nostra vita interiore è composta di innumerevoli elementi, spessissimo contrastanti e in opposizione uno all'altro. Se arriva una persona e ti chiede:"Maestro,cos'è la vita spirituale?" e come risposta riceve:"E' la tua vita interiore" questo non solo non lo aiuta, ma è , oltre che enigmatica, una definizione carica di ambiguità. Se questa persona, per es., ha il cuore gravido di odio potrebbe intendere che quell'odio costituisce parte della sua vita spirituale e quindi ritenersi giustificato a proseguire su una via piena di odio. Un Hitler stesso, rientrerebbe nei canoni di un essere pieno di vita interiore. In realtà la denizione di spiritualità come "vita interiore" significa tutto, e quindi logicamente anche niente... 
Questa "vita interiore" dovrebbe almeno definire l'obiettivo che si pone, perché è l'obiettivo che la qualifica. Un generico termine come "cammino", ancora, secondo me, non definisce nulla. Infatti si può tranquillamente camminare in tutte le direzioni, anche contrarie una all'altra. Il passare di maestro in maestro, di esperienza in esperienza,  di insegnamento in insegnamento, lungi dal far maturare la cosiddetta "vita interiore" ottiene invece di rendere sempre più fragile la propria volontà, perché la mente comincia a perdere "fiducia" in ogni cosa, e questo non fa progredire, se non illusoriamente, la vita spirituale.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

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