Furono le mosche a farcelo capire

Aperto da Vittorio Sechi, 16 Giugno 2017, 22:30:39 PM

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Angelo Cannata

#15
Citazione di: Phil il 18 Giugno 2017, 11:12:37 AME nemmeno: anche sul libero arbitrio il dibattito è ancora problematico (ma questo ci porterebbe off topic...).
Si può discutere sulle idee che abbiamo riguardo al libero arbitrio e all'esperienza, ma non sull'azione in sé di compiere delle scelte e vivere delle esperienze. Azione in sé significa che io dico: "Voi discutete pure, nel frattempo io procedo nelle mie scelte". Esperienza in sé è come quando uno si scotta, esprime la sua esperienza dicendo "Ahi!" e ritrae la mano. Anche in questo caso, colui che ritrae la mano è come se dicesse "Voi discutete pure, nel frattempo io intanto salvo la mia mano".

Ciò avviene perché l'azione di compiere scelte e vivere esperienze è, appunto, azione, non è un'argomentazione. A un'argomentazione si può rispondere con un'altra argomentazione, ma a un'azione o un'esperienza non si può rispondere con un'argomentazione, perché mentre tu argomenti l'altro ha già portato a termine la sua azione o esperienza. Dopo che l'ha portata a termine si potrà discutere sulle idee che ci siamo fatti su quell'azione o esperienza, ma intanto azione ed esperienza sono ormai state portate a termine e continueranno anche in futuro ad essere portate a termine, perché, trattandosi di azioni pure, non attendono argomentazioni per essere portate a termine.

Ciò potrebbe sembrare fanatismo, ma lo sarebbe nel caso in cui l'agente rifiutasse in qualsiasi momento ogni confronto argomentativo; ma io posso benissimo portare avanti un'azione qualsiasi e poi rendermi disponibile a qualsiasi discussione. D'altra parte, agire senza attendere argomentazioni è per molti versi necessario all'esistenza, è la natura ad averci fatti così: hanno avuto e continuano ad avere successo nel mondo della natura quegli esseri che, riguardo a certe azioni, non hanno atteso argomentazioni di sorta. Questo dovrebbe farci riflettere sulla grande limitatezza dell'argomentare: a volte siamo tentati di pensare che trovando qualche argomentazione strategica, chissà, riusciremmo a risolvere tanti grandi problemi; ma la natura mostra che molti (non tutti) grandi problemi dell'esistenza sono stati risolti proprio grazie al mettere da parte qualsiasi argomentazione e agire subito.

In questo senso chi dica "Voi discutete pure, intanto io faccio la mia scelta di credere nel mio Dio e praticarne il culto" non può essere accusato su due piedi di fanatismo. Lo stesso vale riguardo al problema della teodicea: io ho scelto di essere ateo, ma so che non avrò mai argomentazioni definitive per chi è credente e quindi ha scelto di seguire Dio, pur sapendo lui stesso che il suo Dio non fornisce risposte valide al problema della teodicea.

Credo che la consapevolezza di tutto ciò sia importante per evitare di sprecare tempo in argomentazioni pro o contro Dio che ormai sono già state esplorate, dissezionate, criticate da millenni e sulle quali è ormai chiaro che nessuna di esse è in grado di apportare contributi definitivi, conclusivi al dibattito.

Angelo Cannata

Da questo punto di vista, ciò che ho fatto sopra, utilizzando il video sul babbuino e riferendomi all'Olocausto, non è da considerare un argomentare, ma un fare appello alla sensibilità. Sapendo che l'argomentare non riesce ad essere per niente conclusivo, scelgo la via del confronto delle esperienze (io racconto le mie, tu racconti le tue) e del conseguente confronto delle sensibilità.

Phil

Citazione di: Angelo Cannata il 18 Giugno 2017, 11:40:22 AM
Si può discutere sulle idee che abbiamo riguardo al libero arbitrio e all'esperienza, ma non sull'azione in sé di compiere delle scelte e vivere delle esperienze.
Il ritrarre la mano dal fuoco non è una scelta della volontà, ma un gesto istintivo, ovvero non ponderato ma fisiologicamente automatico (almeno in gran parte dei casi). Il problema della libertà e dell'arbitrio nasce invece quando si sceglie con la ragione... ad esempio, si sceglie un atteggiamento del tipo
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Giugno 2017, 11:40:22 AM
"Voi discutete pure, nel frattempo io procedo nelle mie scelte"
scelta più che lecita e condivisibile, ma sulla cui libertà è ancora aperto il "dibattito problematico" a cui accennavo (non si discute sul fatto che sia stata realmente compiuta una scelta, e di conseguenza un'azione, ma si può discutere molto sul perchè e con quanta libertà si sia scelto proprio in quel modo...).


Citazione di: Angelo Cannata il 18 Giugno 2017, 11:40:22 AM
l'azione di compiere scelte e vivere esperienze è, appunto, azione, non è un'argomentazione. A un'argomentazione si può rispondere con un'altra argomentazione, ma a un'azione o un'esperienza non si può rispondere con un'argomentazione, [...] trattandosi di azioni pure, non attendono argomentazioni per essere portate a termine.
Sulla questione dell'argomentare, osserverei che c'è sempre un'argomentazione implicita alla base di una scelta ragionata (non istintiva); magari non è un'argomentazione esposta in un dibattito, magari è solo una riflessione interiore (inconscia o meno), un attimo di pausa riflessiva (e, in fondo, ragionare non è comunque argomentare nella solitudine della propria testa?).
Per cui, secondo me, rilevare come
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Giugno 2017, 11:40:22 AM
agire senza attendere argomentazioni è per molti versi necessario all'esistenza, è la natura ad averci fatti così: [...] molti (non tutti) grandi problemi dell'esistenza sono stati risolti proprio grazie al mettere da parte qualsiasi argomentazione e agire subito
fraintende l'"agire subito" con il "non averci pensato", non aver argomentato/ragionato, ma spesso (lasciando fuori reazioni fisiologiche-istintive) si tratta solo di usare rapidamente argomentazioni, e loro conclusioni, già elaborate in passato e cognitivamente pronte per l'uso immediato.
Esempio banale: quando devo andare al lavoro non esito prima di partire sul ragionare quale sia la strada migliore, ma parto di volata (considerando che spesso sono persino in ritardo  ;D ), ma posso farlo solo perchè le prime volte ho invece ragionato su quale fosse il percorso più funzionale e ho trovato una soluzione apparentemente adeguata (e se qualcuno me la chiede, non a caso, saprei argomentarla...).

La nostra capacità mentale di ricombinare esperienze differenti, coniugando processi e soluzioni di casi separati, talvolta fa sembrare che agiamo senza ragionare di fronte ad un problema, quando invece si è trattato solo di trovare (o abbozzare) nel nostro "archivio mentale" una procedura rapidamente ragionata (e quindi argomentabile, rispondendo alla domanda "perché hai fatto proprio così e non cosà?").

Angelo Cannata

In effetti mi rendo conto di essermi espresso non molto chiaramente: quando dico che non è possibile argomentare contro l'esperienza non significa che non esista possibilità di discuterne, ma che non esiste possibilità di demolirla intellettivamente, perché essa in sé non è intelletto, anche se ne può essere accompagnata. Allo stesso modo, preferisco trascurare qualsiasi ragionamento, infinitesimale o meno, che preceda l'esperienza non perché esso non esista, ma perché non sarà mai comunque in grado di essere una giustificazione definitiva di tale esperienza.

A uno che dice "Ahi!" non posso controbattere niente, perché quella non è un'argomentazione, ma la narrazione di un'esperienza. Potrei dirgli che il suo "Ahi!" è illusorio, ma con ciò mostrerei di travisare il senso di quell'esclamazione: essa non intende affermare che sia metafisicamente certa l'esistenza di quel dolore, ma soltanto esprimere all'esterno una sensazione interna, noncurante del suo essere certa o dubbia.

Questo è ciò che intendo con indiscutibilità dell'esperienza: mi riferisco al fatto che essa viene narrata, non argomentata. Per lo stesso motivo non è possibile argomentare contro un romanzo: perché esso è un narrare, non un argomentare. Anche in questo caso, non sto dicendo che non sia possibile tentare di argomentare; dico che sarebbe comunque un argomentare che non potrà mai scalfire la validità di quel romanzo.

Il mio riferimento al babbuino e all'Olocausto è stato un dire "Ahi!".

paul11

#19
Avrebbe avuto più senso nel forum di filosofia.
Perché è l'uomo occidentale , obeso  demiurgo di una civiltà artificiale , così lontano dalle ferocia e crudeltà della natura. Perché i lager , gli stermini di massa , nascono proprio dall'uomo senza dio, nel tempo dalla modernità della cultura , privo sempre più di etiche se non un egoismo utilitsristico.
Il demiurgo, l'onnipotente delirio di potenza, è umano.
E di propria mano e' la responsabilità

Angelo Cannata

Citazione di: paul11 il 18 Giugno 2017, 19:56:32 PMPerché i lager , gli stermini di massa , nascono proprio dall'uomo senza dio
Hitler si manifestò diverse volte favorevole alla religione e avverso all'ateismo. La questione delle sue credenze è complessa, ma prevedo che sarebbe facile per chiunque ribattere che la sua eventuale fede era ipocrita, che il dio di cui egli parlava non era il vero Dio, ecc. ecc. Ma questo tipo di obiezioni non apportano nulla alla discussione, perché questo avviene già all'interno stesso delle religioni: anche tra i credenti è possibile riscontrare, in caso di ipocrisia, l'accusa che ciò avviene perché si segue un dio personalizzato e non il vero Dio; oppure anche l'accusa verso se stessi, cioè un battersi il petto riconoscendosi peccatori anche in merito all'immagine che ci si è costruita di Dio. Il risultato è che è possibile sfruttare la contrapposizione tra Dio vero e déi falsi per sostenere qualsiasi argomentazione: chiunque può dire a chiunque "Tu ti comporti male perché segui un dio falso"; al dio falso può sottintendere contrapposto un Dio ritenuto vero, oppure l'ateismo.
Esistono anche ricerche scientifiche che hanno tentato di collegare certi comportamenti umani di generosità all'essere credenti o meno; ma i risultati di queste molteplici ricerche sono contraddittori, secondo alcune sono più generosi gli atei, secondo altre i credenti.

In considerazione di ciò, mi viene a risultare che il seguire o non seguire qualsiasi Dio, qualsiasi religione, non ha nulla a che vedere con il male praticato dalle persone. Semmai avviene che in secondo tempo il male viene collegato arbitrariamente, cioè senza alcuna motivazione fondata, seria, scientifica, critica, al credere o non credere in Dio.

Angelo Cannata

Citazione di: InVerno il 17 Giugno 2017, 17:30:32 PM
...se non fosse per questo gioco di prospettive dove noi diventiamo il cucciolo, saremmo tranquillamente capaci di comportarci come il bonobo (casistica ampiamente documentata)...
Come essere umano io posso provare ad immettermi in diverse prospettive, tra cui anche una prospettiva puramente meccanicista, materialista, in cui tutto è indifferente. Qui si tratta di fare le proprie scelte: non ha importanza quale sia la natura ultima della realtà, ciò che conta è quale prospettiva si preferisce adottare. Io preferisco coltivare in me un modo di essere che sia sensibile alla sofferenza altrui e quindi tenda a fare qualcosa per toglierla o evitarla. Questa mia scelta non si basa su princìpi astratti, ma sulle esperienze che ho vissuto, la storia che mi ha formato. In questo senso non ho motivo di colpevolizzare chi si comporta diversamente: penso semplicemente che altri hanno avuto una storia che li ha formati diversa dalla mia.
Questo modo di pensare mi conduce anche a preferire il criterio di favorire nel mondo la vita del massimo numero possibile di esseri e della massima loro diversità; con la parola "possibile" intendo "nella misura in cui ciò non sia causa di sofferenza".

Vittorio Sechi

La sofferenza, quella che non ha alcuna finalità, se non l'unica di essere cagione di patimento e pianto, e che si getta nelle acque morte del Nulla, inquisisce Dio, nella veste riconosciutagli dalla tradizione ebraica e cristiana di essere il Creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili ed invisibili. Proprio per questa sua caratterizzazione di unico creatore di tutto ciò che c'è, Dio ha la precisa responsabilità di aver creato il Male, e di questa nefandezza deve farsi carico.
La morte di Dio non è altro che la presa di coscienza di questo dato di fatto, che non può essere scaricato sulle spalle della creazione.
 
Se il Male non recasse con sé il presentimento della morte; se quindi non annichilisse e privasse la vita di senso e significato; se non possedesse una forza d'intensità tale da intridere di sé, dei suoi mefitici miasmi di morte, l'intera esistenza dell'uomo; se non possedesse le caratteristiche e la capacità d'opacizzare l'orizzonte esistenziale disputando alla speranza il tempo futuro, ammorbando il presente e rendendo vacuo il passato e se di esso l'uomo potesse anche solo in minima parte comprenderne il fine, il significato e la sua ragione d'essere, forse non interrogherebbe le profondità dell'animo umano fino a insinuare il dubbio che sia un'entità ontologica e non solo morale. 
 
Il Male è un'esperienza di morte. Il suo essere nel mondo è una costante del pensiero e delle riflessioni dell'uomo, del suo pensare e riflettere, ciò fin dalla notte dei tempi ed indipendentemente dal credo religioso o dall'ateismo professato da ciascuno di noi.
 
Interroga l'uomo, soprattutto quando ne interseca l'esistenza; l'uomo, a sua volta, interroga se stesso, la natura, la Vita, il Creato ogni qualvolta avverte l'ansito doloroso del suo vigore che n'annuncia l'irrompere nella vita, delineandone i contorni su un orizzonte che s'adombra.
 
Per quanto ponga interrogativi, e per quanto sia a sua volta oggetto e scaturigine d'interrogazioni, è un mistero imperscrutabile, non offre un perché del suo apparire, non risponde agli accorati quesiti che l'uomo rivolge al proprio esistere, svuotato di senso e significato. 
 
La Vita stessa parla dell'innocenza esposta al male e resa sua vittima; così facendo, pone un quesito agghiacciante; perché suggerisce che il male non ha una sua intrinseca ragione sufficiente a fornirgli giustificazione e non sempre è espressione di una scelta umana. Quando aggredisce l'innocenza mordendone le carni attraverso la fame, le malattie, le carestie, le guerre e la potenza della natura pare voglia dirci che la sofferenza, il patimento, il pianto, il dolore impregnano la terra fin dalle origini. 
 
La memoria dell'uomo, la sua storia, ammonisce circa il fatto che si è sempre sofferto, patito, pianto, e non si rileva ragione alcuna che lasci presagire un'estinzione, o un'attenuazione della sua virulenza.
Credo che non vi sia un senso nel soffrire innocente, perlomeno un significato che l'uomo possa cogliere per giustificare il pianto di chi soffre. E se questo senso o significato dovesse riposare fra le braccia del Creatore, poco varrebbe intuirlo, non servirebbe a lenire il dolore che affligge e attanaglia il mondo. 'Il progetto di Diò – che guarda caso è anche il titolo di una profonda riflessione di Papa Giovanni Paolo II° - è un mistero. Questo mistero implica anche l'esistenza del male e del dolore. 
Sentire i morsi del serpente che insidia il calcagno dell'umanità rende la terra arida, desertificata, inospitale. Se il disegno superiore ha previsto il soffrire affinché attraverso il patire sia impartito alla creatura un insegnamento pedagogico finalizzato alla sua crescita, vedo nell'opera di Dio un'insanabile aberrazione. Il dolore non sempre è pedagogico, e quando lo è assolve il ruolo - mistificando e falsando il sentimento - di attenuare nel singolo, in colui che ne entra in contatto, quel senso di angoscia profonda che ci travolge ogni qualvolta si è investiti dal Male. 
Soprattutto la gratuità del dolore non è per niente pedagogica, ma, almeno in Giobbe, è un mistero cui piegarsi; nel Dostoevskij dei Karamazov, parte del disegno divino che, giacché prevede ed implica l'esistenza del male gratuito, è da rifiutare; nell'Idiota, invece, è beota rassegnazione; nella Grecia classica destino inalienabile cui si deve piegare anche la divinità. La visione tragica dell'esistenza, intesa come tensione esistenziale fra morte e vita, fra bene e male, ben presente nella Grecia classica, è istanza dell'esistenza stessa. Il Polemos greco non è il piegarsi all'invereconda protervia del male, ma presuppone una tensione costante, inestinguibile, irredimibile che neppure la croce ha potuto abolire dalla terra, rinviando la sua sconfitta ad un oltre escatologico, associando a questa promessa la speranza che 'così sia'; quanto, in definitiva, alimenta la fede dei cristiani. Resta solo da scegliere la via: credere o meno a questa promessa, nutrire una speranza ed una fede che <<è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.>> (Paolo di Tarso, Epistola agli Ebrei 11-1... anche se la lettera parrebbe non sia proprio di Paolo, ma fa pur sempre parte dei suoi insegnamenti.)
 
Dio, se esiste, forse ha crocifisso l'unigenito solo per redimere se stesso dalla grave colpa di aver gettato la sua più bella creatura (per soddisfare la curiosità di qualcuno, si tratta di una definizione direttamente tratta dalla Bibbia) all'interno di un'arena ove non è gladiatore ma sempre e solamente vittima. Nella croce ha così inteso incidere i segni della sua 'defensa'. Ma è davvero troppo il Male da Lui generato perché l'umanità si lasci blandire da una promessa di riscatto di là da venire. L'uomo non crede più all'ultimo giorno. Vede il male e in esso reperisce solo il non senso e l'assurdo della vita, non i segni di una promessa, che si svuota di significato se posta a confronto dell'originaria volontà divina che ha generato ciò da cui pretende di salvarla. 
 
Non vi è redenzione in Cristo, non vi può essere assoluzione per Dio. Il dolore del figlio è solo dolore che si somma a quello dell'umanità, e la somma di più dolori non assolve Dio dalle sue colpe.

Sariputra

#23
@ Vittori Sechi
Innanzi tutto complimenti per la qualità dello scritto e per il pathos impresso allo stesso...
E' curioso che, in assenza di contradditorio con dei credenti cristiani ( Duc credo che ormai ci abbia lasciati...), mi trovi , non a difendere, ma semplicemente a portare qualche riflessione sul tema ( visto che sono quello che ha avviato una vecchia discussione dal titolo "Ma Dio è buono o cattivo?..."e che verteva, più o meno, sullo stesso quesito). Spesso un simile atteggiamento , come il tuo o quello di Angelo Cannata, sembra il risultato di una sorta di "amore tradito" da parte di qualcuno in cui si riponeva fede o speranza, come un uomo tradito dalla donna che amava ( e che forse ama ancora?... ::)) e che invece di chiedersi il motivo per cui "se n'è andata", inveisce contro di lei e gli attribuisce tutti i mali possibili e immaginari...
Intanto bisognerebbe già porre dei paletti. Stiamo parlando della morte del Dio cristiano o della morte del concetto di Dio nel senso più ampio? Perché qui io ci vedo la tipica presunzione occidentale di ritenere che, l'unico concetto di Dio che si può e si deve ammazzare, e che valga la pena ammazzare, sia quello cristiano, l'unico che abbia veramente valore ( il tipico "razzismo spirituale" occidentale, che si somma a tutte le altre presunzioni tipiche...).Ma disponiamo di altre visioni eternalistiche di una divinità che non necessariamente è "solo amore", per es. di una dei fratelli in Abramo: l'Islam. In questa religione Dio è l'onnipotente, creatore del Tutto, del bene come del male. Il male però non è la causa ma il risultato. Questo risultato può avvenire a causa dell'uomo e del suo libero arbitrio, oppure di Satana sussurratore e dei suoi servi, oppure a causa di calamità, eventi naturali, malattie ,ecc. Ma questi eventi naturali non sono considerati "male", come invece mi sembra li tratteggi tu, bensì appaiono A NOI come male, ma in sé non sono né buoni né cattivi. Vengono cioè percepiti dal soggetto in questione come "male", ma non appaiono così ad una terza parte obiettiva. I musulmani imparano ad accettare tutto quello che gli porta il destino e dicono infatti: "Tutto viene da Allah". Tutto ciò che accade in natura avviene perché Dio (Allah) vuole che così accada, questo è quindi il modo migliore perché accada (in quella determinata maniera), senza porsi domande, o contestarlo dal punto di vista soggettivo. L'atto e il risultato dell'atto vengono quindi considerati pienamente motivati da Dio, che solo conosce il perché quel determinato atto naturale DEVE avvenire in quel modo. Questo, a mio modesto parere, è un atto di fede più completo di quello cristiano, in cui sembra quasi che la fede venga subordinata al fatto che gli eventi naturali debbano , alla fine, "soddisfarci personalmente" nel loro dispiegarsi. Il musulmano, come atto di fede, ritiene che le calamità naturali, le malattie e gli affanni del vivere non sono "male" , non c'è malvagità in essi, ma possono essere visti come "prove" e, in ogni caso, sono atti che hanno la loro motivazione in Dio, e quindi inconcepibile per noi.
Noi siamo portati a ritenere come "male" , per esempio, un bimbo nato handiccapato, per il musulmano invece questo è un fatto che ha la sua motivazione in Dio stesso e , all'uomo , sta la possibilità di interpretarlo come volontà che si manifesta in funzione di un determinato risultato che conosce Dio stesso, ma che l'uomo potrà intuire nel suo dispiegarsi e nella sua influenza sull'agire dei soggetti coinvolti ( cioè "nulla avviene per caso..."). Chiaro poi che, tutta la sofferenza provocata dall'uomo, che fa esercizio della libertà concessagli da Dio stesso (Auschwitz, Chabra e Chatila,le bombe al fosforo sopra Raqqa, gli sgozzamenti e decapitazioni, ecc.) non possono essere imputati ad Allah, che è per sua natura misericordioso, ma alla volontà malvagia della creatura umana.
Una cosa interessante, in questa visione, è il superamento del concetto di "male" , come invece lo si intende in senso cristiano o generico occidentale, come un problema di esperienza soggettiva, di frustrazione di ciò che intendiamo soggettivamente come "bene" ( ossia fondamentalmente il bene come "piacere", come qualcosa di piacevole). Se ogni atto trova la sua motivazione in Dio, e Dio non agisce in modo arbitrario e malevolo in quanto misericordioso, ne consegue che qualunque cosa mi succede "viene ed è voluta da Lui" e in quanto tale è per il mio, o l'altrui a mezzo mio, bene.
La sofferenza del vivere non è "male" ma dolore necessario ( il dolore in sé non è  né male nè bene). E qui certamente si comincia a sentire , nell'Islam, l'influenza dell'Oriente. Il "male" assume la forma del dolore, per es. nel Buddhismo, di qualcosa di difficile da sopportare, ma in sè , non essendoci un problema teistico del "male", è solo una manifestazione dei risultati dell'agire...
Spostando il focus dal concetto di "male" ( visione cristiana) a quello di "dolore", in tutte le sue sfumature, oggettive e soggettive, spostiamo, a mio parere, in un terreno meno contraddittorio la questione dell'umano soffrire...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

paul11

Citazione di: Angelo Cannata il 19 Giugno 2017, 09:54:59 AM
Citazione di: paul11 il 18 Giugno 2017, 19:56:32 PMPerché i lager , gli stermini di massa , nascono proprio dall'uomo senza dio
Hitler si manifestò diverse volte favorevole alla religione e avverso all'ateismo. La questione delle sue credenze è complessa, ma prevedo che sarebbe facile per chiunque ribattere che la sua eventuale fede era ipocrita, che il dio di cui egli parlava non era il vero Dio, ecc. ecc. Ma questo tipo di obiezioni non apportano nulla alla discussione, perché questo avviene già all'interno stesso delle religioni: anche tra i credenti è possibile riscontrare, in caso di ipocrisia, l'accusa che ciò avviene perché si segue un dio personalizzato e non il vero Dio; oppure anche l'accusa verso se stessi, cioè un battersi il petto riconoscendosi peccatori anche in merito all'immagine che ci si è costruita di Dio. Il risultato è che è possibile sfruttare la contrapposizione tra Dio vero e déi falsi per sostenere qualsiasi argomentazione: chiunque può dire a chiunque "Tu ti comporti male perché segui un dio falso"; al dio falso può sottintendere contrapposto un Dio ritenuto vero, oppure l'ateismo.
Esistono anche ricerche scientifiche che hanno tentato di collegare certi comportamenti umani di generosità all'essere credenti o meno; ma i risultati di queste molteplici ricerche sono contraddittori, secondo alcune sono più generosi gli atei, secondo altre i credenti.

In considerazione di ciò, mi viene a risultare che il seguire o non seguire qualsiasi Dio, qualsiasi religione, non ha nulla a che vedere con il male praticato dalle persone. Semmai avviene che in secondo tempo il male viene collegato arbitrariamente, cioè senza alcuna motivazione fondata, seria, scientifica, critica, al credere o non credere in Dio.
ciao Angelo Cannata,
o non hai capito il concetto espresso nel mio post precedente, oppure stai prendendo una lente d'ingrandimento per analizzare un particolare perdendo di vista il quadro generale: perchè è solo l'occidente che pone il problema della morte di dio?
Dopo la morte di dio, l'uomo dell'occidente ha in mano il suo destino:: che bel destino! Oltre la crudeltà della natura ora c'è,come d'altra parte c' è sempre stata, una ferocia umana sui propri fratelli.Non c'è più il capro espiatore da crocifiggere . Ora chi mettiamo in croce?

paul11

Citazione di: Vittorio Sechi il 19 Giugno 2017, 11:00:09 AM
La sofferenza, quella che non ha alcuna finalità, se non l'unica di essere cagione di patimento e pianto, e che si getta nelle acque morte del Nulla, inquisisce Dio, nella veste riconosciutagli dalla tradizione ebraica e cristiana di essere il Creatore del cielo e della terra e di tutte le cose visibili ed invisibili. Proprio per questa sua caratterizzazione di unico creatore di tutto ciò che c'è, Dio ha la precisa responsabilità di aver creato il Male, e di questa nefandezza deve farsi carico.
La morte di Dio non è altro che la presa di coscienza di questo dato di fatto, che non può essere scaricato sulle spalle della creazione.

Se il Male non recasse con sé il presentimento della morte; se quindi non annichilisse e privasse la vita di senso e significato; se non possedesse una forza d'intensità tale da intridere di sé, dei suoi mefitici miasmi di morte, l'intera esistenza dell'uomo; se non possedesse le caratteristiche e la capacità d'opacizzare l'orizzonte esistenziale disputando alla speranza il tempo futuro, ammorbando il presente e rendendo vacuo il passato e se di esso l'uomo potesse anche solo in minima parte comprenderne il fine, il significato e la sua ragione d'essere, forse non interrogherebbe le profondità dell'animo umano fino a insinuare il dubbio che sia un'entità ontologica e non solo morale.

Il Male è un'esperienza di morte. Il suo essere nel mondo è una costante del pensiero e delle riflessioni dell'uomo, del suo pensare e riflettere, ciò fin dalla notte dei tempi ed indipendentemente dal credo religioso o dall'ateismo professato da ciascuno di noi.

Interroga l'uomo, soprattutto quando ne interseca l'esistenza; l'uomo, a sua volta, interroga se stesso, la natura, la Vita, il Creato ogni qualvolta avverte l'ansito doloroso del suo vigore che n'annuncia l'irrompere nella vita, delineandone i contorni su un orizzonte che s'adombra.

Per quanto ponga interrogativi, e per quanto sia a sua volta oggetto e scaturigine d'interrogazioni, è un mistero imperscrutabile, non offre un perché del suo apparire, non risponde agli accorati quesiti che l'uomo rivolge al proprio esistere, svuotato di senso e significato.

La Vita stessa parla dell'innocenza esposta al male e resa sua vittima; così facendo, pone un quesito agghiacciante; perché suggerisce che il male non ha una sua intrinseca ragione sufficiente a fornirgli giustificazione e non sempre è espressione di una scelta umana. Quando aggredisce l'innocenza mordendone le carni attraverso la fame, le malattie, le carestie, le guerre e la potenza della natura pare voglia dirci che la sofferenza, il patimento, il pianto, il dolore impregnano la terra fin dalle origini.

La memoria dell'uomo, la sua storia, ammonisce circa il fatto che si è sempre sofferto, patito, pianto, e non si rileva ragione alcuna che lasci presagire un'estinzione, o un'attenuazione della sua virulenza.
Credo che non vi sia un senso nel soffrire innocente, perlomeno un significato che l'uomo possa cogliere per giustificare il pianto di chi soffre. E se questo senso o significato dovesse riposare fra le braccia del Creatore, poco varrebbe intuirlo, non servirebbe a lenire il dolore che affligge e attanaglia il mondo. 'Il progetto di Diò – che guarda caso è anche il titolo di una profonda riflessione di Papa Giovanni Paolo II° - è un mistero. Questo mistero implica anche l'esistenza del male e del dolore.
Sentire i morsi del serpente che insidia il calcagno dell'umanità rende la terra arida, desertificata, inospitale. Se il disegno superiore ha previsto il soffrire affinché attraverso il patire sia impartito alla creatura un insegnamento pedagogico finalizzato alla sua crescita, vedo nell'opera di Dio un'insanabile aberrazione. Il dolore non sempre è pedagogico, e quando lo è assolve il ruolo - mistificando e falsando il sentimento - di attenuare nel singolo, in colui che ne entra in contatto, quel senso di angoscia profonda che ci travolge ogni qualvolta si è investiti dal Male.
Soprattutto la gratuità del dolore non è per niente pedagogica, ma, almeno in Giobbe, è un mistero cui piegarsi; nel Dostoevskij dei Karamazov, parte del disegno divino che, giacché prevede ed implica l'esistenza del male gratuito, è da rifiutare; nell'Idiota, invece, è beota rassegnazione; nella Grecia classica destino inalienabile cui si deve piegare anche la divinità. La visione tragica dell'esistenza, intesa come tensione esistenziale fra morte e vita, fra bene e male, ben presente nella Grecia classica, è istanza dell'esistenza stessa. Il Polemos greco non è il piegarsi all'invereconda protervia del male, ma presuppone una tensione costante, inestinguibile, irredimibile che neppure la croce ha potuto abolire dalla terra, rinviando la sua sconfitta ad un oltre escatologico, associando a questa promessa la speranza che 'così sia'; quanto, in definitiva, alimenta la fede dei cristiani. Resta solo da scegliere la via: credere o meno a questa promessa, nutrire una speranza ed una fede che <<è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.>> (Paolo di Tarso, Epistola agli Ebrei 11-1... anche se la lettera parrebbe non sia proprio di Paolo, ma fa pur sempre parte dei suoi insegnamenti.)

Dio, se esiste, forse ha crocifisso l'unigenito solo per redimere se stesso dalla grave colpa di aver gettato la sua più bella creatura (per soddisfare la curiosità di qualcuno, si tratta di una definizione direttamente tratta dalla Bibbia) all'interno di un'arena ove non è gladiatore ma sempre e solamente vittima. Nella croce ha così inteso incidere i segni della sua 'defensa'. Ma è davvero troppo il Male da Lui generato perché l'umanità si lasci blandire da una promessa di riscatto di là da venire. L'uomo non crede più all'ultimo giorno. Vede il male e in esso reperisce solo il non senso e l'assurdo della vita, non i segni di una promessa, che si svuota di significato se posta a confronto dell'originaria volontà divina che ha generato ciò da cui pretende di salvarla.

Non vi è redenzione in Cristo, non vi può essere assoluzione per Dio. Il dolore del figlio è solo dolore che si somma a quello dell'umanità, e la somma di più dolori non assolve Dio dalle sue colpe.

Leggiti Genesi, sulla disobbedienza ,sul perchè l'uomo dovrà accettare la regola feroce e crudele della natura, e dell'assassinio di  Abele da parte del fratello Caino.
E già scritto la regola, l'ordine e il disordine.
Se tu sei in grado più di Giobbe di sapere l'imperscrutabile disegno divino.......
Il libero arbitrio è una regola fondamentale e sta già negli angeli disobbedienti che diventano demoni.la lotta fra creazione e distruzione, fra bene e male è inscritta in tutte le tradizioni religiose e spirituali.
Non si può che interpretare e scegliere.

Ma soprattutto vale la considerazione fatta precedentemente: perchè è l'uomo occidentale che decide che dio è morto?
Se dio è morto, che senso ha prendersela con un morte.Non è sparito il dolore ,la sofferenza, l'abominio nell'umanità dichiarandolo.
Questa è la contraddizione.Se dio è morto e sopravvivono gli effetti ,di chi è ora la colpa?

Angelo Cannata

Ma quindi, a quanto sembra, tu interpreti la Bibbia in senso letterale, ritenendo che tutto ciò che vi è narrato si è verificato esattamente come è scritto?

Sariputra

Direi che è ormai evidente che , Dio vivo o Dio morto, il problema è sempre quello: l'uomo stesso. Ma diciamoci la verità: qualcuno forse ne dubitava? C'era qualcuno che veramente credeva che, sbarazzandosi dell'idea di un Dio creatore, l'uomo sarebbe improvvisamente diventato qualcosa di diverso? Qualcosa di "buono"? Come si è servito dell'idea della presenza di un Dio, ora l'uomo si serve dell'idea della sua assenza ( e da bravo occidentale pretende di imporla a tutti...) per adempiere alla sua millenaria e principale occupazione: soddisfare il proprio egoismo e coltivare l' odio , quello che si potrebbe definire come l'"andazzo" consueto. E in effetti, purtroppo...l'andazzo  è sempre quello, come ben vediamo ogni giorno...
Il problema, evidentissimamente, non era Dio!... :(
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

paul11

ciao Angelo Cannata,

dio è morto, si avverte da i sensi, dlla putrefazione e dall'odore di  morte, si avverte da stermini: è solo il dio della tradizione ebraica cristiana?
Quando l'uomo occidentale ha dichiarato che dio è morto e perchè  e in quale coollocazione storico culturale?

Giobbe rientra in buon ordine sulle problematiche poste dalla teodicea.Quì siamo nella tradizione ebraica, hanno forse loro dichiarato che dio è morto?

Le spiritualità più tribali vivono all'interno della ferocia e crudeltà della natura: perchè credono e continuano a credere in "qualcosa" , anzi proprio perchè il mondo è crudele da consistenza la lor spiritualità.

Non è la morte, la ferocia, la crudeltà che hanno fatto tentennare religioni e spirtualità.Se il libro di Giobbe è dentro la Bibbia e non fuori, signiifca che è all'interno di una tradizione religiosa, è previsto che l'uomo tentenni dentro sofferenze  e dolore

E' stato un certo tipo di cultura, di filosofia e pensatori porsi il dio è morte questo non poteva che accadere nella cultura occidentale e cristiana: perchè?

Non mi tocca, non mi interessa da credente se qualcuno  ritene in sè e per sè che dio sia morto.Ma se l'imputato è stato giustiziato, ora i giudicanti devono darmi l'alternativa al puzzo attuale di morte, agli stermini avvenuti nella penisola slava,ecc.


Quindi, l'interpretazione è eminentemente nella cultura occidentale e frutto di una certa cultura filosofica.

Se poi vogliamo parlare delle cosmogonie spirituali, prima si dice ciò che scrivono .

Angelo Cannata

Citazione di: paul11 il 20 Giugno 2017, 01:37:51 AM
Non è la morte, la ferocia, la crudeltà che hanno fatto tentennare religioni e spirtualità.Se il libro di Giobbe è dentro la Bibbia e non fuori, signiifca che è all'interno di una tradizione religiosa, è previsto che l'uomo tentenni dentro sofferenze  e dolore
Questo non presta il fianco all'accusa di Marx contro la religione, di essere oppio dei popoli?

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