Edipo, Gesù e la morte del padre

Aperto da Jacopus, 19 Gennaio 2025, 09:55:35 AM

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Jacopus

Ognuno parla dei propri daimones. Questo è uno dei miei. La storia biblica di Gesù e quella sofoclea di Edipo parlano entrambi dell'uccisione del padre ma in una struttura narrativa diversa e che porta ad esiti diversi.
Edipo si muove su dei binari parzialmente obbligati. Inevitabile risolvere l'enigma, uccidere il padre, diventare re di Tebe, sposare sua madre. Ciò che resta nella disponibilità di Edipo è la ricerca della verità, nonostante i molteplici avvertimenti nel non farlo e la ricerca della verità avrà effetti ambivalenti. Edipo diverrà cieco, perderà il trono e diventerà un esiliato, ma il miasma che ammorbava la città scomparirà. Il sacrificio dell'uno salva la comunità, ma quell'uno è "uno di noi", attraversato dalla tragedia dell'uomo fatto di carne e ossa, con in più il desiderio insopprimibile della conoscenza. Dopo il riconoscimento della morte del padre, Edipo diventa saggio, da cieco accoglie la figura di Tiresia, colui che sa e che ha esperienza. Il focus è sul figlio.

La morte di Gesù (Dio) si muove sul focus del padre (anche se in modo ambiguo) ma non sul tema della ricerca dolorosa della conoscenza, perché la verità di fede è indiscutibile e nessuna ambivalenza è permessa. La morte del Dio ha lo scopo della "salvezza" oltre a quello del "sacrificio" (che condivide con Edipo).

A partire da questa differenza diventa possibile comprendere meglio l'uso psicoanalitico di Edipo. La lotta omicida fra figlio e padre è sempre necessaria per crescere e sostituire il padre con il figlio, nella naturale successione temporale. Certo affinché essa sia costruttiva deve essere sostituita da una lotta simbolizzata, dove entrambe le parti costruiscono un gioco all'insegna dell'accettazione delle parti.

L'omicidio di Gesù invece rappresenta una cesura definitiva e fondata sulla accettazione di un "Padre eterno" e indiscutibile, fondatore di tutte le cose.

Ecco allora che da un lato, assistiamo ad un mondo mutevole, tragico ed ambivalente, dove generazioni si susseguono a generazioni e regole a regole. Dall'altro, l'ipostatizzazione di un padre inamovibile, costruisce un fondamento stabile e straordinariamente efficace, in cambio della propria permanenza in uno stato di minorità. L'unico potere avviene non per acquisizione individuale ma per trasmissione mimetica dall'alto verso il basso e pertanto anche il padre umano adotterà lo stile della indiscutibilità.

In altre parole, il mito biblico potrebbe essere rappresentato come il mondo di Hobbes (sicurezza in cambio di perdita di libertà), mentre il mito sofocleo come il mondo di Freud (conoscenza in cambio di perdita di sicurezza).
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Koba

#1
Il cristianesimo è abitato da un'ambiguità di fondo: da una parte la teologia del Padre celeste lontano e inconoscibile, dall'altra l'Incarnazione, il divino cioè che scende nel mondo e rimane tra gli uomini anche dopo la morte di Gesù (nello Spirito).
La mistica speculativa del Duecento con l'idea della generazione del Verbo in ogni uomo, tramite uno specifico cammino incentrato sul distacco, "puntava" tutto sul lato dell'Incarnazione (un'incarnazione "diffusa", "democratica" e sempre possibile), mettendo in allarme le autorità ecclesiastiche interessate a conservare il monopolio della mediazione del divino.
La crisi attuale della metafisica e quindi anche della teologia tradizionale ci dovrebbe spingere ad una lettura del cristianesimo sbilanciata verso quelle esperienze, come la mistica speculativa o come la povertà francescana (povertà francescana intesa come strumento privilegiato di riproduzione della scena evangelica), capaci di esprimere ancora qualcosa di vivo, rispetto alla cultura morta del racconto dell'onnipotenza di un Dio lontano.
Questa eventuale lettura come si declina con il tema di Edipo?
A me sembra che manchi un attore: va bene la Legge e la lotta per la conoscenza e l'ordine simbolico del Padre. Ma non manca il desiderio?
Il racconto di Sofocle, a differenza di quello che dirà poi Freud, non parla di desiderio. Edipo non desidera Giocasta, per intenderci. Accetta l'onore di sposare la Regina. Tutto qua. La cosa riguarda la sua carriera. Poi, dagli eventi, sarà portato a ricostruire la verità con tutto ciò che ne consegue. Il tema è il destino e la conoscenza delle sue radici poste nel passato.
Ma il Vangelo sarebbe incomprensibile senza il tema del desiderio. Desiderio di vita vera, la quale non può che essere vita divina, la vita che sa incarnare lo Spirito.
Anche qui c'è lotta per la conoscenza, ma nel senso di un costruire la verità, di un incarnare la verità, di un aprire gli occhi sulla vita al di là della paura della morte e del potere, a proprio rischio e pericolo.
Che tanti uomini poi preferiscano rifiutare quello che il Vangelo mostra (al di là dell'ambiguità di fondo di cui si è detto all'inizio) per farsi condurre quindi dall'autorità lo aveva già mostrato Dostoevskij con la leggenda del Grande Inquisitore.
Va però notato che nel romanzo è Ivan Karamazov l'autore di quel racconto e che Ivan era un nichilista. La sua idea dell'uomo è che si tratti di una creatura troppo debole per essere capace di accettare la sfida della libertà.
Ma appunto questa sfida è il senso fondamentale del Vangelo.

Jacopus

Ovvio, il cristianesimo è un movimento religioso che dura da duemila anni. Le possibili letture e interpretazioni sono molteplici, compresa quella delle opere come prova della propria santità, oltre alla fede (ora et labora), oppure quella della elevazione dei diseredati, oppure quella della mistica del Dio absconditus. Ma quello che volevo sottolineare riguarda proprio il fondamento. Il senso del padre. Il senso del padre che organizza la società. E nelle religioni monoteistiche questo senso del padre è un senso dove non è possibile il conflitto, poichè il conflitto comporta la cacciata dall'Eden o la riduzione ad Angelo Maligno. Edipo viene anch'esso ridotto, cieco, esiliato, detronizzato, ma la sua figura non configura il "Male", bensì la tragicità del vivere umano. Una tragicità che sarà ulteriormente replicata da una delle sue figlie, Antigone.

Rispetto al desiderio, non credo che Edipo ne sia privo. Il suo desiderio, il suo daimon, è la conoscenza. Nello specifico conoscere quale sia la causa del miasma, che ha reso l'acqua di Tebe imbevibile, i campi aridi e le malattie diffuse fra i cittadini. Lo mettono ripetutamente in guardia nel non azzardare tale ricerca, ma Edipo, il risolutore degli enigmi, troverà la soluzione anche di questo mistero, ed insieme ad esso la sua caduta. Il messaggio che la tragedia greca ci trasmette è quindi quello della inevitabilità del passaggio generazionale, comprensivo di un certo grado di violenza. Senza quel passaggio, il panorama sociale si cristallizza. Ottimo per stabilizzare una società (vedi ad esempio Girard e il ruolo del capro espiatorio), ma a costo del proprio stato di minorità (fanciulli, gregge), che idealizza ed estetizza ciò che poi viene riprodotto nelle articolazioni sociali concrete, dove si ripetono i rapporti fondati sulla indiscutibilità del potere paterno. Il Grande Inquisitore è effettivamente un'ottimo banco di prova di quanto sto dicendo e il fatto che Gesù sia schierato nel partito opposto andrebbe meglio analizzato. E' probabile che possa esserci un esercizio del cristianesimo più giusto e più equo di quello declamato dal Grande Inquisitore, ma resta il fatto che esso appare minoritario e ancillare. Laddove si presenta, si presenta comunque in una veste caritatevole e di accettazione della struttura Grandinquisitoriale, come nel caso dei Francescani. In sostanza non è possibile una uccisione nè simbolica nè tantomeno reale di Dio e ciò congela il mondo e lo scinde inevitabilmente in una dimensione paranoide, dove il tragico viene espunto, anche se poi talvolta rientra dalla finestra (chi è senza peccato, scagli la prima pietra). 
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Visechi

Il tema del parricidio è stato affrontato da Freud nel suo saggio riguardante Mosè e il monoteismo. È un tema fondamentale sia per l'antropologia che per la psicologia. In campo religioso l'autorità del padre non può e non deve essere discussa, perché è dal padre, che discende la conoscenza delle cose divine, ed è sempre il padre l'anello di trasmissione e garante delle tradizioni che le cose divine esigono. Tale legame lo si riscontra anche in ambito collettivo, ove qui a fungere da garante del particolare rapporto con il dio e della coesione della comunità è il patriarca. Il parricidio interviene quando un sovvertimento dell'ordine familiare o di quello sociale si annuncia come ineluttabile fato. La religione ebraica, secondo la tesi di Freud, invero contestatissima, sarebbe fondata proprio su un parricidio originario: quello di Mosè. Non sto a riportare le ragioni che seconda la tesi di Freud avrebbero convinto il popolo ad uccidere il Padre, ma senza questo atto violento oggi la religione ebraica, nelle forme a noi giunta, non sarebbe stata possibile. Il parricidio rappresenta l'indispensabile cesura fra una conformazione sociale e/o religiosa e quella subentrante.

Sebbene sia da inserire in una narrazione che richiama un trascorso originario mitico, esso, oltre ad essere indicativo di una cesura, rappresenta spesso l'atto di fondazione di molte civiltà. Oltre al parricidio manifesto, va registrato, infatti, anche quello mimetico, in cui la vittima dell'atto violento non è il padre, ma un consanguineo. La vicenda di Abele e Caino è da inquadrare nei miti di fondazione riconducibili ad un parricidio originario. La mimesi non si esaurisce con la sostituzione della vittima, ma è rilevabile, forse anche con indizi superiori, nel suo nascondimento: Romolo e Remo son protagonisti di un atto violento il cui esito è evidentemente la fondazione della città di Roma.

Per quanto riguarda il Vangelo letto con gli occhi di M. Recalcati che focalizza il messaggio di Gesù intorno al desiderio, passione che, secondo lui, informerebbe l'intera Bibbia, vi è da dire che non si tratta di una brama di possesso, ma un'adesione totale ai canoni religiosi espressi e testimoniati da Gesù (molto distante quindi dal pensiero orientale). Così è che anche la legge mosaica deve essere letta con un approccio non letterale ma più spirituale, ove lo stimolo all'incontro non sia la ragione e la facoltà di intellezione, ma quello dettato dallo spirito e smosso dal desiderio, in un contesto ove si esalta proprio la libertà dell'uomo. La vicenda del Grande Inquisitore è il paradigma dell'eterna lotta che si scatena nell'animo dell'uomo, conteso fra libertà che si esplica nell'angoscia e costrizione che induce sicurezza. Dostoevskij si limita a mostrare magnificamente il perimetro del campo di battaglia. Indica quali sono i poli estremi della corda tesa fra le due condizioni, ma non assume una posizione definita – almeno nel romanzo, poi è nota la sua feroce critica rivolta alla Chiesa -. Il racconto si chiude in maniera assolutamente enigmatica. Gesù non scioglie il dilemma, non risponde e si limita a baciare sulle grinzose labbra il vecchio Inquisitore. Le interpretazioni di quell'uscita di scena del nazareno sono variegate ma tutte insoddisfacenti. Noi non possiamo che limitarci a prendere atto di un'indecidibilità non risolvibile. Neppure il naturale fastidio che la figura dell'inquisitore suscita può essere assunto come indizio di una preferenza. La libertà è davvero un fardello di cui l'umanità difficilmente può farsi carico. L'episodio narrato da Dostoevskij, per quanto enigmatico, è un raggio di luce proiettato sul problema del male versus fede: Gesù ci dice che il messaggio evangelico può e deve essere accolto nello spirito solo nella più assoluta libertà. La deliberazione per il o per il no deve avvenire senza coartazione di sorta. Le tre tentazioni nel deserto sono respinte perché diversamente l'uomo non avrebbe potuto far a meno di genuflettersi davanti al Creatore. La sicurezza avrebbe sopravanzato la libertà, e questo non è il volere del Padre.

Koba

Citazione di: Jacopus il 19 Gennaio 2025, 17:46:35 PMOvvio, il cristianesimo è un movimento religioso che dura da duemila anni. Le possibili letture e interpretazioni sono molteplici, compresa quella delle opere come prova della propria santità, oltre alla fede (ora et labora), oppure quella della elevazione dei diseredati, oppure quella della mistica del Dio absconditus. Ma quello che volevo sottolineare riguarda proprio il fondamento. Il senso del padre. Il senso del padre che organizza la società. E nelle religioni monoteistiche questo senso del padre è un senso dove non è possibile il conflitto, poichè il conflitto comporta la cacciata dall'Eden o la riduzione ad Angelo Maligno. Edipo viene anch'esso ridotto, cieco, esiliato, detronizzato, ma la sua figura non configura il "Male", bensì la tragicità del vivere umano. Una tragicità che sarà ulteriormente replicata da una delle sue figlie, Antigone.


Io non ho proposto una delle tanti possibili interpretazioni del cristianesimo ma ho richiamato l'attenzione al suo cuore, che è indubitabilmente l'Incarnazione, per evidenziare come il superamento di ciò che dici, l'espressione dell'autorità sul modello di un Dio celeste onnipotente indiscutibile, è presente nel Vangelo stesso.
Nel Vangelo la vita viene prima della Legge, quindi prima di quel Dio inamovibile, o meglio, nel Vangelo si cerca di mostrare il vero volto di Dio.
Un Dio che vuole che l'uomo abbia la vita in abbondanza. Il che implica: non avere paura, non trattenersi, non essere ossessionati dalla propria sicurezza, dalla propria conservazione, ma piuttosto dare voce ai propri veri desideri.
Esattamente l'inverso di una società cristallizzata, appiattita sull'obbedienza al Padre celeste e ai suoi vicari terreni.
È questa la contraddizione che volevo segnalare: se il monoteismo giudaico-cristiano si presta a produrre comunità di fratelli impauriti dal Padre castrante, è all'interno di questo stesso monoteismo che c'è il suo superamento radicale poiché l'invito a usare i propri talenti, a farli fruttare, a non temere di perdere la propria vita, è tutt'altro che castrante, anzi si può dire che il rischio sia quello opposto di non tenere in debito conto i pericoli reali del mondo. Cioè ci sarebbe una specie di sbilanciamento verso l'anarchia piuttosto che verso la conservazione dello status quo.

Jacopus

Ottima argomentazione Koba. In effetti ogni mito, quando è ben strutturato permette molteplici letture. Gesù è in effetti una pietra d'inciampo rispetto ad una lettura di un Dio castrante. Ma non l'annulla. Ogni divinità per dare la vita deve morire, così come ogni padre. Molte religioni si contrappongono a questa legge e rendono il padre un superpadre. Il prezzo da pagare è quello di restare sempre figli. Gesù effettivamente muore, ma risorge e Dio nella sua lontananza non è apparentemente toccato dalla vicenda storica di Gesù. Del resto una religione che prefigura la morte della divinità firma la sua stessa fine. Ogni divinità inoltre si presta ad operazioni di alienazione, poiché pone al di fuori dell'umanità, ad un livello che comporta un continuo fuori/dentro, qualità, poteri, conoscenze che schiacciano l'uomo a polvere. 
Però è anche vero quello che dici. Dipende dalla struttura sociale se Dio diventa emancipazione o schiavitù. Il rinascimento è stata una grande epoca vissuta anche e soprattutto all'insegna di Dio. Oggi il messaggio evangelico sarebbe dirompente se praticato fino in fondo e distruggerebbe con poco sforzo l'ideologia capitalista.
Mi viene da dire che Dio è una maschera, se dietro la maschera troviamo l'uomo nel suo desiderio di fratellanza, nel suo bisogno di perdonare e di accettare i propri lati mostruosi, allora anche Dio diventa emancipazione. Ma se la maschera di Dio diventa la bandiera per scindere il mondo in buoni e cattivi, se diventa l'effigie ultraterrena di un potere assoluto e irresponsabile perché intangibile e inesplicabile, allora questa maschera si replicherà nelle sue forme mondane, creando violenza e sofferenza, come la storia ci insegna da qualche millennio.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

niko

#6
Se il personaggio letterario di Gesu' e' immediatamente  il Padre (e padre di se stesso), allora l'"edipo" della vicenda cristica evangelica che in qualche modo uccide il Padre-Gesu' e' tutta l'umanita' peccatrice e teicida. Insomma il colpevole e' Roma, in quanto potere imperiale universale, e l'altro grande colpevole e' il sinedrio, in quanto potere locale ebraico. Ma il sinedrio e Roma, rappresentano tutta l'umanita', che, proprio in quanto peccatrice, non riconosce Gesu' e lo mette a morte.

Gli apostoli stessi fuggono e rinnegano.

La madonna rimane con il suo "stabat" ma appunto lei e' nata senza peccato.

Se vogliamo immagginarlo in una "trinita' di personaggi questo edipo teicida e' rappresentato da Giuda (che tradisce Gesu') Pilato (che non fa un bel nulla per salvarlo pur potendo) e Longino (che a quanto pare lo fa fuori fisicamente, o quantomeno, dimostra al di la' di ogni dubbio che Gesu' e' morto). Questi tre personggi singoli, comunque, rappresentano il fatto che tutta l'umanita' e' colpevole per la morte di Gesu', tutta l'umanita' e' teicida, tutta l'umanita' e' l'edipo assassino del "Padre" che e' Gesu'.

Del resto proprio come in Edipo il padre non e' riconosciuto: Gesu', che e' vero Padre, viene messo a morte, appunto da innocente, per il presunto crimine, di essersi proclamato falsamente, Padre.

La fede evangelica, e' credere  innocente l'accusto, nel "caso giudiziario" Gesu', e dunque propendere per la tesi dell'errore giudiziario.

Comunque per me e' assolutamente possibile che Gesu' sia colpevole, perche' se non si crede alle favole di libero arbitrio e delle varie teodicee in generale, ecco che allora Dio, in quanto creatore e Padre, e' colpevole per il male esistenziale e morale dell'uomo.

Non c'e' nessun errore giudiziario, la condanna e' giusta. Se Dio e' padre, il padre deve espiare e pagare, per gli errori presenti nella creazione, e non la (innocente) creazione stessa.

Creare nell'uomo creato la, sia pur virtuale, possibilita' del male, e' male. La scusa che tale possibilita' e' solo e soltanto "latente", e si attiva, cioe' si concretizza, "solo" se l'uomo con il suo libero arbitrio sceglie il male, non regge. Il creatore, era abbastanza potente (e onnipotente) da non creare il male nemmeno come possibilita'. Se invece imperscrutabilmente lo ha fatto, io dico che e' colpevole. Lui. E non l'uomo.

Il Padre, meritevole di una punizione infinita, meritevole cioe' dell'inferno, facendosi uomo, si rende disponibile a una punizione finita, cioe si rende disponibile al giusto, e vendicativo, teicidio per mano umana, si dona ad esso e alla prospettiva di esso. Oltre la quale, cioe' scontata la quale, esaurita la punizione nel suo essere, finalmente, esauribile, puo' iniziare il concetto di una sua sua rinnovata "innocenza", innocenza del creatore come creatore, che tutti i suoi debiti, e non i nostri, per una creazione assolutamente imperfetta, li ha pagati sulla croce... e quindi puo' iniziare la responsabilizzazione, per il suo stesso male, e quindi forse la liberazione, dell'uomo; come liberazione prima di tutto dal risentimento, verso il fantasma, di un suo presunto, e inesistente, creatore intenzionale, antropomorfico e volontario.

Il creatore, colpevole, si dona spontaneamente al suo essere messo a morte dagli uomini, proprio perche' Il massimo atto d'amore possibile per gli uomini e' restituirli all'impersonalita' della natura e alla realta' della loro condizione increata (il creatore, se mai c'e' stato, e' morto...), cioe' alla loro prospettica verita', a partire dalla quale, possono salvarsi da soli.

Poi, se l'edipo e' la possibilita' di una libido oggettuale, e non narcisitica o polimorfa, a me piace anche pensare che Gesu' abbia compiuto l'edipo, intendo il suo personale edipo, risolto il suo complesso, un attimo prima di morire, portando con se', al cielo, con il suo ultimo sguardo, durante il suo ultimo respiro, una singola donna diversa da sua madre... e non le grandi folle, di eletti e di salvati, previste da un destino in fondo paternalistico e cialtrone.
Essere uomo, vuol dire che nell'attimo in cui muori, puoi guardare e vedere, cioe' eternizzare, un singolo volto, non una piu' o meno grande e bramosa folla, folla tra cui, quel singolo volto, semmai, ancora di piu' risalterebbe.
Morire alla fine per Una, una sola, e non per Tutti e' la piu' grande dimostrazione di umanita' che quello in teoria e sulla carta venuto a morire per Tutti, l'agnello espiatore dei problemi degli altri, poteva fare. Se l'ha fatto, se e' morto per una sola e non per pochi o tutti, in un ultimo atto di amore romantico e carnale, freudiano e oggettuale, e al diavolo tutti i grandi destini profetizzati e prescritti, si spiega pure perche' il male dalla terra, infine, non e' stato tolto.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

green demetr

Ho appena iniziato a leggere l'Edipo.
Prima di cadere in una nuova crisi.
C'è molto di più.

Di certo c'è molto di più che nella favoletta ridicola del cristianesimo.
Gesù non solo non si libera del padre, ma ne diventa addirittura l'idea stessa.
Non mera sostituzione, mantenimento dello status quo, come ogni uomo malvagio (e dunque normale, civile) fa, ma vero e proprio delirio di onnipotenza (i pazzi che credono di essere Napoleone non sono niente rispetto a questo straccione, almeno secondo Matteo, o questo borghese, almeno secondo Luca).
E' lui stesso a ESSERE Dio, salvo poi essere lui stesso crocifisso come un ladrone qualsiasi.
Al di là del pasticcio dell'ideologia cattolica, che pur di vendere le sue indulgenze, e oggi a essere pronta a inginoccharsi a Satana in persona (Babilonia etc...), ha pensato bene di spacciare per vera questa storiella, direi di ragionare in un altra maniera.

Si hai ragione Jacopus, l'Edipo e Cristo, sono la medesima cosa, figure allegoriche di un peniero sapienziale che interroga la verità.
Il parallelismo è lo stesso, in cambio della verità, sono disposti a farsi carico del peccato delle genti.
Non è quindi nel senso letterale, che lasciamo ai gonzi, nemmeno nel senso allegorico, che ci farebbe rimanere ai piedi di un mero parallelismo, quantomai corretto.
Direi di andare nella dimensione anagogica, ossia quella che permetta alle nostre anime di elevarsi al livello delle verità immortali.
Per poi portarle alla realtà diremmo oggi psicologica delle masse.
L'intento di purificazione alla tragedia e alla buona novella è evidente.
La dimensione mediale dell'allegoria diventa così ricerca spirituale, come un ripensamento della tradizione nobile-ebraica in chiave populista (gesù mangione e beone) nel caso della vasta letteratura epigrammatica nel caso del cristianesimo, e nella visione clamorosamente vertiginosa, opera singola di un pensatore, che mi mette i brividi, Sofocle.

Il tuo domandare (mi par di capire, sublimamente ossessivo) sul destino della ricerca individuale che si piega come agnello sacrificale per il bene comune.

Rispetto tantissimo questa visione, evidentemente cattolica, con il mio ormai ex-commilitone universitario, fervente cristiano, infatti dopo esserci interrogati su Kant, si finiva inevitabilmente su Girard.

Ma Girard caro Jacopus, non è forse figlio di quella filosofia del cattolicesimo, mentore dell'attuale stato di terrorismo intelletuale, e che sempre nella storia si è tramutato in terrorismo reale, che fa dell'individuo non solo l'agognata preda della massa, ma anche il suo più essenziale fondamento?
La massa schiavo, genuflessa meretrice di se stessa a se stessa, che tanto Nietzche disprezzava?

Ragioniamo se vi è qualcosa di liberale nel giudaismo? Direi di no.
La comunità prima di tutto.
Il cristianesimo la sua sorella impazzita è forse liberale? Ma quando mai?
Lasciamo perdere i benedetti dalla Von Der Layden e signori oscuri suoi burattinai, del sorellastra bafomettismo? Esattamente l'esatto opposto.

Il concetto di libertà è invece ciò che nutre la Grecia.
Dove con Grecia intendiamo anche la Sicilia, la Calabria e la Puglia.
Come si sono ridotti questi popoli?
Fa impressione.

E' davvero difficile far finta di nulla, ammiro tantissimo il mio maestro, che parla di popoli momentaneamente offesi.

Ecco che il destino individuale non è il sacrifico, ma il dovere morale, singolare che ognuno ha verso se stesso.
Edipo prima che verso il popolo ha un dovere verso se stesso.
E cioè verso la Verità.
Il vero cristianesimo non è quello collettivista, ma è quello individualista dei grandi mistici.
Lo preferisco in salsa dostoevskjana, ossia fino alla consunzione della ragione.
Le opere di Dostoevskj si pongono come testamento spirituale, ben più in alto di qualsiasi dottrina sociale della chiesa (che pure rispettp e apprezzo).
Nel suo disprezzo del popolo Leopardi fu chiaro, come può un popolo di infelici dirsi popolo felice?
Leopardi non sapeva dei signori del male.
Sofocle sì.
Ce lo dice nella folle scena del litigio fra Edipo e Tiresia.
La forza della verità (Edipo) contro la forza del male (Tiresia).
E' Edipo che salverà per la seconda volta Tebe, è la ragione che deve trionfare oggi e sempre.
Non il sacrificio.
Sono due modi di pensare differenti.
Per inciso anche nel Cristo, la lotta tra la verità, e la paura, non è questione del sacrificio, è questione della forza che dà la verità.
Il drammatico inseguirsi dei fatti tragici, è uguale a quello che infesta le tragedie di Platone.
Un demone mi impedisce di parlare.
Edipo e Cristo hanno sconfitto la Sfinge, e con essa la paura della morte.

Ma oggi chi sa leggere lo sforzo di Edipo (non certo Freud, la cui opera rimane capitale per l'occidente)?
Chi l'ha vista la verità nella scena con Tiresia?
Io, e solo io.
Perchè i signori del male, ovviamente dicono l'esatto opposto.
Non me ne stupisco affatto.
Ciao Jacopus. Ottima discussione.
A questo parallelismo ci sto pensando mentre scrivo, solito pasticcione che sono  ;)
Melancholia

Koba

Ho appena finito di leggere il testo di Recalcati, "La legge del desiderio". Devo dire che alla fine il suo ottimismo è nauseante... La sua ossessione per il desiderio, come se questo desiderare fosse il fondamento dell'essere umano, e tutto il dolore della storia fosse solo un accidentale deviazione della Legge, che anziché rafforzare la spinta in avanti per l'errore dell'interprete finirebbe per soffocare tutti quanti, i quali per salvarsi sarebbero così costretti ad attingere alle illusioni disponibili, da scegliersi a seconda del proprio sintomo...
Certo il sogno rivela a volte il desiderio di una vita nuova. Quello che sta al centro di un racconto di Han Kang, "La vegetariana", è il sogno di una donna tra le più ordinarie. Sembrerebbe all'inizio solo il cambiamento di regime alimentare, ma è in realtà l'inizio di una metamorfosi verso forme di vita più semplici in cui non sia contemplata l'offesa, la violenza, la persecuzione, la necessità di dar conto continuamente di se stessi, del proprio esistere...
Dall'uomo all'animale fino al regno vegetale: la pace degli alberi. Finalmente alla fine la protagonista capisce di essere un albero, non la donna ordinaria sopportata dal marito, non la bambina che riceveva regolarmente i ceffoni del padre autoritario. Un albero che ha bisogno solo di acqua e dei raggi del sole. Abbandonarsi completamente al sogno e quindi morire di inedia in un ospedale psichiatrico con una diagnosi di anoressia e di schizofrenia (come Ellen West, se non ricordo male), abbandonarsi al sogno, dicevo, può essere la cosa giusta da fare... In fondo l'importante, come dice Recalcati, è assumersi la responsabilità del proprio desiderio.

green demetr


Citazione di: Koba II il 01 Febbraio 2025, 13:33:04 PMl'inizio di una metamorfosi verso forme di vita più semplici in cui non sia contemplata l'offesa, la violenza, la persecuzione, la necessità di dar conto continuamente di se stessi, del proprio esistere...
Dall'uomo all'animale fino al regno vegetale: la pace degli alberi. Finalmente alla fine la protagonista capisce di essere un albero, non la donna ordinaria sopportata dal marito, non la bambina che riceveva regolarmente i ceffoni del padre autoritario. Un albero che ha bisogno solo di acqua e dei raggi del sole.

Dar conto alla Legge del Padre, della tirannia leggendo Platone.

Citazione di: Koba II il 01 Febbraio 2025, 13:33:04 PMIn fondo l'importante, come dice Recalcati, è assumersi la responsabilità del proprio desiderio.

Lettura assolutamente condivisibile, la cui chiusura è però incomprensibile.
E' come dire che l'importante è non-a, e poi dire che l'unica cosa importante è a.
Misteriose torsioni del pensiero.

Recalcati è il male assoluto, insieme alla pletora delle scienze psi-

Un demone mi impedisce di parlare, Eutifrone, dialogo numero 1 di Platone.
E niente non si capirà mai il resto.
Melancholia

Koba

Suvvia, esagerato, Recalcati non è affatto il male assoluto...
Beh, io continuo sul tema, più o meno...

Sul desiderio si contano un certo numero di teorie:
1) Si desidera ciò che ha l'altro (Girard). Il proprio desiderio è diretto verso una cosa non per le sue caratteristiche intrinseche ma perché è oggetto del desiderio di un altro (vedere come tra i bambini il giocattolo più desiderato è sempre quello usato da qualcun altro); alla base del desiderio ci sarebbe insomma l'imitazione; il che però comporta invidia, aggressività, conflitto.
2) Si desidera il desiderio dell'altro, cioè si desidera che l'altro mi guardi, mi rispetti, mi ammiri, mi riconosca (Hegel).
3) Si desidera ciò che è capace di suscitare il ricordo di qualcosa che si è perduto da sempre e che mai ritroveremo. Il desiderio come nostalgia di un oggetto primario mai recuperabile e sempre parzialmente riflesso nelle cose che suscitano desiderio. Quindi un desiderio destinato al fallimento ma che comunque alimenta la spinta verso il mondo.
4) Si desidera altro, cioè non si desidera l'Altro, non si desidera cioè ciò che ha o ciò che è l'altro, non si entra in relazione dialettica con l'Altro, ma si desidera tutt'altro, un'altra vita, un altro mondo etc.

Ora, come sottolinea Recalcati nel suo ottimo Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Antigone, per lo psicoanalista francese, incarna il simbolo del desiderio puro — un desiderio che sconfina nel desiderio di morte. Antigone rifiuta qualsiasi compromesso con le leggi della città, che impongono il divieto di sepoltura per i traditori, come suo fratello Polinice. Non fa alcun passo indietro, pur essendo pienamente consapevole delle conseguenze della sua trasgressione: la condanna a morte. A differenza del padre Edipo, che appare come un burattino in balia del destino, Antigone sa cosa l'attende, ma non può agire diversamente. Non è spinta da un cieco narcisismo nelle proprie convinzioni, ma dall'intolleranza verso l'idiozia della realtà.

L'esito di questa analisi del desiderio orientato verso la pulsione di morte e un godimento distruttivo sembra mettere in crisi la visione edificante del Padre come promotore del desiderio del figlio verso le cose del mondo. Separando il figlio dalla madre, imponendo la Legge che vieta la loro "fusione" e orientando il desiderio in una direzione costruttiva, il Padre sembra in realtà svolgere un ruolo ideologico: ingannare il figlio facendogli credere che la realtà abbia un senso e che valga la pena vivere. Il suo compito inconscio è dunque garantire la continuità di questo inganno, necessario affinché la vita e la civiltà possano esistere. Tuttavia, tale inganno si svela sia nell'eccesso mortifero del desiderio, come in Antigone, sia nella sua dissoluzione e perdita, come nello sguardo melanconico.

Phil

Citazione di: Koba II il 04 Febbraio 2025, 15:37:26 PM1) Si desidera ciò che ha l'altro (Girard).
Credo che fortemente connessa al desiderio sia la dinamica di assegnazione di valore (o di senso): se vedo l'altro che ha qualcosa, sospetto che quel qualcosa, a cui l'altro non rinuncia, che l'altro non abbandona, possa essere di valore, per questo lo desidero (non desideriamo gli scarti degli altri, ma ciò che pare essere di valore per gli altri).
Citazione di: Koba II il 04 Febbraio 2025, 15:37:26 PM2) Si desidera il desiderio dell'altro, cioè si desidera che l'altro mi guardi, mi rispetti, mi ammiri, mi riconosca (Hegel).
Parimenti, se l'altro mi desidera, allora mi convinco di avere un valore; anche stavolta è l'altro ad assegnare un valore, ma il fatto che il valore sia un mia "proprietà" non comporta la quiete del godimento appagato, bensì il desiderio di più valore, più riconoscimento altrui (v. la "fame di fama", il fenomeno dei like sui social, etc.).
Citazione di: Koba II il 04 Febbraio 2025, 15:37:26 PM3) Si desidera ciò che è capace di suscitare il ricordo di qualcosa che si è perduto da sempre e che mai ritroveremo. Il desiderio come nostalgia di un oggetto primario mai recuperabile e sempre parzialmente riflesso nelle cose che suscitano desiderio.
Qui il valore è nel passato per svalutazione del presente; se stessi meglio ora che in passato, non desidererei il ritorno dell'elemento che dava valore in passato (e al passato); tuttavia il riconoscimento di quel valore può animare sia la speranza per il futuro che il rimpianto, a seconda dell'indole e della situazione.
Citazione di: Koba II il 04 Febbraio 2025, 15:37:26 PM4) Si desidera altro, cioè non si desidera l'Altro, non si desidera cioè ciò che ha o ciò che è l'altro, non si entra in relazione dialettica con l'Altro, ma si desidera tutt'altro, un'altra vita, un altro mondo etc.
Quando il valore non ci arriva dagli altri (casi 1 e 2), né dal passato o dall'attesa/impegno per il futuro (3), allora lo immaginiamo altrove, in un mondo possibile, in un'utopia, in una mistica alchimia ancora ignota, perché (questo è forse il movente inconscio della dialettica desiderio/valore) il valore deve esserci, affinché il desiderio si direzioni (desiderio che è essenzialmente pulsione vitale, all'azione volta al nutrimento, sia fisico che esistenziale).
Il Padre è colui che spinge, con l'esempio e con le norme, il Figlio al desiderio e al valore; l'hybris di sostituirsi al padre, di diventare a propria volta padre, non è altro che lo sviluppo auto-nomo della dialettica desiderio/valore, inevitabilmente decentrata dal ruolo dell'Altro.
Nel cristianesimo, è il Padre a dover lasciar punire il Figlio, cioè se stesso, per il decentramento verso l'Altro, ossia l'umanità; l'auto-nomia del Figlio, tesa e manipolata dal desiderio dell'Altro e per il bene dell'Altro, finisce con il ristabilirsi della legge paterna: la resurrezione chiude la parantesi umana del dio e conferma la Legge sovra-umana del Padre, che dopo essersi "abbassato" a giocare con i figli, facendosi anch'egli Figlio (e, apparentemente "perdendo la partita"), ristabilisce i ruoli e, appunto, i valori che ha voluto insegnare ed esemplificare con il farsi un (quasi) pari dei figli.

Koba

#12
Seguendo Al di là del principio di piacere, dobbiamo ammettere, in base all'evidenza clinica su cui il testo freudiano si interroga, che il desiderio sconfina in una pulsione di morte. Il soggetto vuole il proprio male. Non c'è alcuna ricerca dell'omeostasi: non avviene una scarica seguita da un ritrovato equilibrio. Piuttosto, si persegue un eccesso, un'ottusa ripetizione, un dissolvimento. Qualcosa spinge contro la vita. È in questa direzione che troviamo la nozione di godimento di Lacan, così come quella di dépense (dispendio) di Bataille.
Se le cose stanno così, e cioè se accanto a una versione "costruttiva" del desiderio, a un edonismo progressista, vi è sempre anche una tendenza all'eccesso distruttivo, da questo punto di vista, cos'è il cristianesimo? Il cristianesimo inteso come esperienza, e non come favola teologica?
Sviluppiamo la seguente ipotesi: nel Vangelo, la vita viene prima della Legge. Dunque, su cosa si basa la vita evangelica, ossia la prassi di Gesù e dei suoi discepoli, di Francesco e dei suoi amici? Sulla devozione alla Legge? No, perché l'eccesso della gioia e della carità – come si vede in molti episodi evangelici – trascende sempre la Legge.
Si fonda piuttosto sul godimento di un altro mondo, già in questa vita, che comporta un consumo di sé volto a spezzare la logica dominante del mondo attuale: la logica dei bisogni, dei piaceri, la devozione ai decreti paterni, ai limiti, ai sani confini. Un eccesso che non si muove nella direzione dell'etica kantiana, ma piuttosto verso quella di De Sade, sostituendo però alla vocazione per la perversione sessuale e per l'omicidio quella per l'amicizia.

Phil

Citazione di: Koba II il 05 Febbraio 2025, 11:50:12 AMnel Vangelo, la vita viene prima della Legge. Dunque, su cosa si basa la vita evangelica, ossia la prassi di Gesù e dei suoi discepoli, di Francesco e dei suoi amici? Sulla devozione alla Legge? No, perché l'eccesso della gioia e della carità – come si vede in molti episodi evangelici – trascende sempre la Legge.
Può esserci davvero un "eccesso di carità"? Un "eccesso di gioia", cristianamente intesa? Oppure l'attitudine gioiosa (cristiana) e la carità non sono altro che applicazione (e rispetto) della Legge del Padre, come esemplificato dal Figlio («amatevi l'un l'altro come...» etc.)?
Perché la carità è buona e giusta? Perché lo dice la Legge del Padre (e la Parola del Figlio), non certo l'istinto o la cultura. Perché la gioia cristiana è "vera gioia" solo se si tiene alla larga da certi comportamenti, da certi godimenti non cristiani? Perché lo dice la Legge.
Ogni religione (e ogni spiritualità) è anzitutto Legge che guida e dà valore (v. sopra) a un'esperienza; la vita viene prima della Legge solo come condizione di possibilità di applicazione della Legge, non come emendamento dalla Legge (per la legge umana, orizzontale, il discorso può invece anche essere differente).

Koba

È ovvio che carità e gioia sono già presenti nella Legge giudaica, nella tradizione biblica in generale, il punto però è che attraverso di esse, in una loro versione eccedente la Legge stessa, fino alla sua apparente trasgressione, si prova a dare forma a un mondo nuovo.
È tenendo presente questo tentativo più o meno allucinatorio che si comprendono le numerose esperienze mistico-ereticali cristiane, in cui accanto al sacrificio della propria vita per la Legge (un ascetismo kantiano, diciamo così) si possono individuare (questa è la mia ipotesi di lavoro) dei percorsi fatti di rinunce radicali che se è vero che prendono avvio dalla devozione per la Legge poi finiscono per trascenderla, soprattutto quando essa si presenta nelle sue declinazioni umane, come norme civili generate in ultimo dalla Parola. E la trascendono in un eccesso che è il godimento per il dissolvimento di questo mondo.

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