Dubbio << mentale >>

Aperto da bluemax, 02 Febbraio 2018, 09:51:31 AM

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bluemax

Ieri a lezione di buddismo abbiamo "ricordato" cosa è la mente. (In altre parole cosa stiamo cercando di domare e "ripulire" ogni settimana).
Per quanto capito la mente, nel Buddhismo, si riferisce all'esperienza, vale a dire il mero sorgere e il coinvolgimento cognitivo con i contenuti dell'esperienza. 
La continuità dell'esperienza è conosciuta come il flusso mentale, o 'continuum mentale'. E' sempre individuale, con ogni momento dell'esperienza che segue precedenti momenti di esperienza. 
Secondo le leggi karmiche della causa ed effetto comportamentale, ogni pensiero nasce (si manifesta) grazie a quello precedente e siccome la mente è immateriale, l'effetto karmiko agisce anche dopo che la forza dei legami karmici che ha "prodotto" il nostro corpo (materia) non ce la faccia piu' a sostenere tale forma. E proprio per tale legge universale, visto che un "pensiero" deve avere una CAUSA che lo genera, ecco che il continuum mentale doveva per forza di cose ESISTERE anche prima che cause ed effetti materiali avessero prodotto il corpo attuale.

A quanto capito, c'è un ordine nell'universo, e la "mia" esperienza non è mai la "tua". Le due esperienze non possono interagire in alcun modo.
Se io sperimento di mangiare, io e non tu farò esperienza della sensazione fisica di essere pieno. Il Buddhismo, a quanto capito, non assume l'esistenza di una mente universale o collettiva.

L'evento incessante, momento dopo momento, del sorgere e coinvolgere che costituisce l'esperienza, dunque, riguarda il sorgere di una visione e il mero vederla, il sorgere di un suono e il mero udirlo, il sorgere di un pensiero e il mero pensarlo, il sorgere di un'emozione e il mero provarla, e così via.
Questa è la natura CONVENZIONALE della mente: essa causa le cose e le comprende. La sua natura più profonda è la vacuità, vale a dire che essa è vuota di esistenza in ogni possibile maniera, vuota sia dall'essere un'entità fisica di per sé fino a coinvolgere un solido, concreto soggetto, contenuto o
esperienza.
Tale mente, dunque, con questi due livelli di natura ultima, o "due livelli di verità" è l'argomento, il soggetto, della meditazione.

Da qui il dubbio... 

Se ogni "MENTE" è differente dall'altra e come detto (almeno ho compreso cosi') il karma mentale (cause ed effetti immateriali ossia esperienza dopo esperienza) non puo' in alcun modo interferire con altro karma mentale, il concetto di vacuità (interdipendenza di ogni cosa) non vale per la MENTE. E' questa un qualcosa di INDIPENDENTE ?

Apeiron

#1
Provo a risponderti adesso...

"Se ogni "MENTE" è differente dall'altra e come detto (almeno ho compreso cosi') il karma mentale (cause ed effetti immateriali ossia esperienza dopo esperienza) non puo' in alcun modo interferire con altro karma mentale, il concetto di vacuità (interdipendenza di ogni cosa) non vale per la MENTE. E' questa un qualcosa di INDIPENDENTE ?"

Da quanto ho capito io una buona analogia per capire perchè c'è la mente "individuale" è quella del fiume. Le nostre menti sono come fiumi. Chiaramente i fiumi sono tra di loro distinti, però come anche nella filosofia greca è stato detto - è difficile trovare qualcosa di "fisso" in un fiume. I fiumi pur non avendo un'identità fissa mantengono un'identità per molto tempo e quelli più grandi a volte mantengono l'identità fino alla foce. Se pensi a questa analogia forse potrai capire come una mente può essere allo stesso tempo "vuota" e "individuale".

Questa è la natura CONVENZIONALE della mente: essa causa le cose e le comprende. La sua natura più profonda è la vacuità, vale a dire che essa è vuota di esistenza in ogni possibile maniera, vuota sia dall'essere un'entità fisica di per sé fino a coinvolgere un solido, concreto soggetto, contenuto o
esperienza.

Personalmente ho proprio difficoltà ad accettare quanto stai dicendo come un qualcosa di positivo. Mi spiego: nel buddhismo dei "Nikaya" (le suttas) l'obbiettivo è la "Cessazione" dell'esistenza condizionata. Se però è vero quanto tu dici allora non riesco a capire la differenza tra questa posizione e quella "nichilistica", per la quale questa "Cessazione" era effettivamente una "semplice assenza" dei condizionamenti, un semplice non-essere, il Nulla in sostanza. Posta così è come se si esaltasse solo un aspetto del buddhismo, ovvero quello "negativo": liberarsi da x, da y, lasciar andare. Il Nirvana che è definito come "Rifugio" non sarebbe più una qualche forma di "realtà" ma semplicemente una sorta di "assenza di ciò che causa dolore". Non sarebbe più una "Pace" se non nel senso molto banale per cui il mero nulla è assenza di sofferenza. Ergo, non riesco a capire come una dottrina che viene posta in questo modo possa essere fonte di ispirazione (in fin dei conti corrisponde a questo: tutto ciò che è condizionato causa sofferenza e il meglio che si può avere è la semplice assenza dei condizionamenti...). Personalmente ritengo che la vacuità in realtà punti ad una sorta di "realtà ineffabile" che non possa essere descritta, perchè ogni descrizione finisce per "imporre" concetti sulla realtà. Motivo per cui non credo che la "pace" sia la semplice assenza di "sofferenza", ma sia qualcosa che effettivamente assomiglia alla "pace" che può essere sperimentata anche da noi "non risvegliati". Posta così la vacuità sembra una sorta di "corsa" alla non-esistenza (l'idea che ciò non è annientamento in virtù del fatto che "l'Io "fisso" non esiste" la considero un semplice sofismo).

Per la vacuità userei semmai la seguente immagine: la nostra mente è come un cielo pieno di nuvole che spesso causano tempeste. La pratica buddhista cerca di fare in modo che queste tempeste non si formino. Il risultato, chiaramente, è un graduale aumento delle zone di cielo sereno, un aumento della luminosità del cielo e così via. Ma se pensiamo che l'esistenza consiste nelle sole nuvole secondo me questo corrisponde ad una sorta di nichilismo  ;) personalmente trovo anche molto utili le immagini della "purificazione dell'oro" ecc. A differenza di dire che la mente è "vuota di esistenza in ogni possibile maniera" queste immagini - per quanto poetiche e imperfette - ti danno l'idea che non esista solo la negatività, ma che dietro al negativo si "nasconda" una qualche forma di "positività" !
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

bluemax

Citazione di: Apeiron il 02 Febbraio 2018, 11:28:38 AMPersonalmente ho proprio difficoltà ad accettare quanto stai dicendo come un qualcosa di positivo. Mi spiego: nel buddhismo dei "Nikaya" (le suttas) l'obbiettivo è la "Cessazione" dell'esistenza condizionata. Se però è vero quanto tu dici allora non riesco a capire la differenza tra questa posizione e quella "nichilistica", per la quale questa "Cessazione" era effettivamente una "semplice assenza" dei condizionamenti, un semplice non-essere, il Nulla in sostanza. Posta così è come se si esaltasse solo un aspetto del buddhismo, ovvero quello "negativo": liberarsi da x, da y, lasciar andare. Il Nirvana che è definito come "Rifugio" non sarebbe più una qualche forma di "realtà" ma semplicemente una sorta di "assenza di ciò che causa dolore". Non sarebbe più una "Pace" se non nel senso molto banale per cui il mero nulla è assenza di sofferenza. Ergo, non riesco a capire come una dottrina che viene posta in questo modo possa essere fonte di ispirazione (in fin dei conti corrisponde a questo: tutto ciò che è condizionato causa sofferenza e il meglio che si può avere è la semplice assenza dei condizionamenti...). Personalmente ritengo che la vacuità in realtà punti ad una sorta di "realtà ineffabile" che non possa essere descritta, perchè ogni descrizione finisce per "imporre" concetti sulla realtà. Motivo per cui non credo che la "pace" sia la semplice assenza di "sofferenza", ma sia qualcosa che effettivamente assomiglia alla "pace" che può essere sperimentata anche da noi "non risvegliati". Posta così la vacuità sembra una sorta di "corsa" alla non-esistenza (l'idea che ciò non è annientamento in virtù del fatto che "l'Io "fisso" non esiste" la considero un semplice sofismo).

Per la vacuità userei semmai la seguente immagine: la nostra mente è come un cielo pieno di nuvole che spesso causano tempeste. La pratica buddhista cerca di fare in modo che queste tempeste non si formino. Il risultato, chiaramente, è un graduale aumento delle zone di cielo sereno, un aumento della luminosità del cielo e così via. Ma se pensiamo che l'esistenza consiste nelle sole nuvole secondo me questo corrisponde ad una sorta di nichilismo  ;) personalmente trovo anche molto utili le immagini della "purificazione dell'oro" ecc. A differenza di dire che la mente è "vuota di esistenza in ogni possibile maniera" queste immagini - per quanto poetiche e imperfette - ti danno l'idea che non esista solo la negatività, ma che dietro al negativo si "nasconda" una qualche forma di "positività" !

suddivido la mia risposta in 3 punti... penso sia meglio scusami :) 

1) Mi pare normale; la sola comprensione intellettuale della vacuità è vicinissima al primo buhmi, quindi è ovvio che non la comprendiamo. Io per primo. Viene detto che Tsong.Kha.Pa, quando era già un grandissimo e famoso maestro non capiva un sacco di cose sulla vacuità e dovette recitare non so quale enorme numero di mantra e fare un sacco di pratiche per proseguire. Noi stiamo appena prendendo contatto con queste idee, quindi dobbiamo rimuginarle di continuo. Se tutto questo non è un'enorme mistificazione raccoglieremo i risultati non immediatamente.

2) Siamo sicuri che un nichilista possa affermare che la cessazione è assenza dei condizionamenti in quanto sostegno della sua posizione? Il nichilista (importante: quello che sta dibattendo con un madhyamaka perché di nichilismi ce ne sono tanti, al di fuori del Buddhismo e abbiamo anche quello casalingo) caso mai nega qualche forma di realtà dei fenomeni. Se il madhyamaka gli dicesse "tu affermi che la cessazione è l'assenza dei condizionamenti", dovrebbe rispondere "non posso negare questo, convengo che la cessazione è l'assenza dei condizionamenti; non solo, ma sarebbe esattamente come negare che quando il fuoco ha smesso di ardere non c'è più fumo. Le due situazioni sono identiche. Non posso negare quello che appare ai miei sensi. Però tutto questo presuppone che la cessazione, i condizionamenti, il fuoco e il fumo abbiano qualche forma di realtà oggettiva. E' questo che in qualche modo [inserire qui a piacere il tipo di negazione a seconda del tipo di nichilista] io nego. Nego qualcosa che è più profondo e meno immediatamente visibile nei fenomeni". In altre parole: il nichilista si interessa a "quanto è realmente reale" un qualcosa, ma per parlare di questo qualcosa deve avere un'esperienza condivisa del mondo tra lui e il resto degli esseri umani. Anche il nichilista vede il fuoco e il fumo altrimenti non avrebbe materiale per riflettere e ritenere che in qualche modo non esistono. Anche il nichilista buddhista sa benissimo, se non altro perché l'ha insegnato il Buddha, che in assenza dei condizionamenti subentra la cessazione. Però dice che in qualche modo tutte queste cose non sono "reali". E' qui il cuore del dibattito coi Madhyamika, ovvero "cosa rimane" quando il fenomeno si è esaminato a fondo. Il nichilista dirà che non resta niente (della sua natura profonda, ricordiamo che conviene sull'apparenza del fuoco e del fumo), il Madhyamaka dirà che invece qualcosa resta, ed è la sua vacuità. E cosa è la vacuità? E' l'assenza di un certo modo di essere del fenomeno, il quale fenomeno esiste convenzionalmente. BTW, è la confusione che facciamo tra non realtà del fenomeno e assenza di un suo particolare modo di essere, a farci confondere e farci scivolare verso il dubbio nichilista.

3) Certo che è (anche così), i testi del Theravada dicono a ogni pie' sospinto che il Nirvana è (anche) l'assenza di ciò che è causa di sofferenza. Ma se guardiamo bene, ci sono una quantità di passi in cui si dice che questo stato è in un certo senso pace e libertà. Quindi non è proprio quello che assoceremmo mentalmente a un paziente in coma vegetativo. La mente c'è ancora nel Nirvana, solo che è al di là di ogni possibile descrizione. Poi tu mi pare che segui il Mahayana e allora sai tutta la tiritera delle dieci Bhumi e del fatto che il Nirvana del Theravada è considerato una specie di "ramo secco". Se si ha la bodhicitta si prosegue nella via fino all'illuminazione. Se non si ha, come i realizzatori solitari e compagnia, la mente resta per molti eoni come isolata. Ma siccome si è fuori dal samsara non si prende rinascita. Si dice che questi eoni servono per consumare il karma che impedisce di percepire la chiamata dei buddha e dei bodhisattva. Appena ci si "sveglia", si segue la via Mahayana. Anche per questo i maestri raccomandano di non abbandonarlo. Perché aspettare tanto a poter essere d'aiuto agli altri esseri? Insomma, bisogna vedere un po' tutte le sfaccettature...

Apeiron

#3
Ok non volevo darti del nichilista. Né a te, né ai Madhyamaka (altrimenti il @Sari mi bacchetta a dovere, come un buon maestro zen  ;D)


Riguardo alla tua triplice risposta, cerco di risponderti nello stesso format.


1) chiaramente non mi ritengo il "depositario" della verità sulla vacuità (se segui più il buddhismo tibetano... mi pare che anche da quelle parti abbiano discordie nell'interpretazione della "vacuità"). Il punto è che in generale nella forma più "rigida" il buddhismo madhyamaka mi sembra che sia un po' così. Ti scrivo un dialoghetto (interlocutori. D=dubbioso, M=madhyamaka):
D: secondo me il tavolo esiste!
M: no
D: allora il tavolo non esiste
M: no
D: come è possibile?
M: ciò che noi chiamiamo tavolo è un oggetto convenzionale, che sembra distinto dal resto delle cose ma in realtà non lo è. Non può essere pensato esistente perchè è privo di natura intrinseca. Se la avesse allora si potrebbe pensare che esista anche senza altre cose.
D: ok quindi secondo te ogni cosa esiste senza natura intrinseca?
M: sì, a livello convenzionale!
D: come?
M: a livello convenzionale esistono come apparenze, a livello ultimo "nulla viene prodotto e nulla cessa" (Nagarjuna), se qualcosa venisse prodotto avrebbe un'identità.
D: quindi non esiste niente?
M: non ho mai preso posizione sulle cose! quindi non ho mai detto che non esiste niente...
In sostanza la mia perplessità è che anche se l'intenzione chiaramente non è quello di propugnare un nichilismo, di fatto a livello logico il nichilismo e il madhyamaka radicale siano la stessa cosa. In particolare non riesco a vedere la differenza tra la vacuità e la posizione secondo cui la realtà è costituita solo dalle "apparenze", ovvero dai fenomeni dai quali bisogna distaccarsi. Non voglio "sviarti" dal tuo percorso ma io sono per natura una persona che prima di mettermi in viaggio necessita di avere un minimo di chiarezza per capire dove vado a finire.

2) a livello "dottrinale" (NON a livello esperienziale) non capisco la differenza tra la frase "la realtà è semplicemente l'insieme delle apparenze" (nichilismo) e la posizione per cui a livello ultimo "niente viene prodotto e niente cessa". Il ragionamento che faccio è: se "elimino" le apparenze cosa rimane? Il "vuoto nulla" o una "realtà ineffabile". Nel primo caso Sauron, nel Signore degli Anelli dice: "non c'è vita nel vuoto, solo morte!". Pensa alla frase di Sauron e alla posizione per cui: bisogna distaccarsi da tutte le apparenze, nulla vi è di permanente, non vi è in noi una "realtà" oltre alle apparenze ecc. Nel secondo caso quello che cerco non è la dissoluzione, ma una sorta di "realizzazione". Ma come dicevo a livello "di analisi logica" della dottrina dire che "a livello ultimo nulla esiste intrinsecamente" mi ricorda tanto il "vuoto nulla". Motivo per cui preferisco lo Yogacara.

3) Non sono buddhista perchè non sono convinto che non ci siano "realtà individuali" permanenti (chiaramente, il Nibbana nel Theravada è l'unica cosa "incondizionata"  - ma ho le mie ragioni per dire che per esempio la matematica in un certo senso è "incondizionata"  ;) ). Detto questo è una filosofia che apprezzo molto. Riguardo ai Nikaya concordo con te, dietro al "distacco, liberazione da ecc" c'è "sottointesa" una pienezza, una pace, una libertà. In fin dei conti l'assenza di brame aiuta ad essere generosi e così via.    

Dici poi: "Se si ha la bodhicitta si prosegue nella via fino all'illuminazione. Se non si ha, come i realizzatori solitari e compagnia, la mente resta per molti eoni come isolata. Ma siccome si è fuori dal samsara non si prende rinascita. Si dice che questi eoni servono per consumare il karma che impedisce di percepire la chiamata dei buddha e dei bodhisattva. Appena ci si "sveglia", si segue la via Mahayana. Anche per questo i maestri raccomandano di non abbandonarlo. Perché aspettare tanto a poter essere d'aiuto agli altri esseri? Insomma, bisogna vedere un po' tutte le sfaccettature... "
Sì questo effettivamente rende il Mahayana più affascinante. Il motivo è che paradossalmente certi Mahayana che sostengono quanto dici tu al contempo per quanto riesco a capire io finiscono - quando spiegano la loro visione della realtà ultima - per passare per nichilisti, involontariamente. In fin dei conti se anche il "Dharmakaya" è vuoto, non è reale... come fa a sembrarlo così tanto  da "emanare Buddha"  di tanto in tanto;D Ripeto ho grande ammirazione del buddhismo ma a livello dottrinale la "vacuità" mi sembra un concetto molto pericoloso... e se poi tutti gli esseri senzienti ottenessero il Risveglio? Cosa rimane il Puro Nulla? O qualcosa che non è "Puro Nulla"? Ma in questo secondo caso qual è la differenza con scuole eternaliste...


P.S. Fai conto che nel topic del buddhismo mi ero ri-promesso di non pormi più questi dubbi, ma è più forte di me ;D in linea di massima comunque interpreto il Nirvana come una sorta di "mente senza oggetto" (il che aiuta poco, visto che immaginarsi una mente senza oggetto è impossibile). O comunque - anche se la mia interpretazione è errata - che non è il "Puro Nulla". Ma chiaramente è semplicemente una convinzione mia, un pensiero che mi aiuta... Tu e il @Sari non avete problemi con la vacuità, buon per voi. Alla fine è anche una questione psicologica ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#4
Se il 'dubbio mentale' riguarda la vacuità, giova ricordare che la vacuità non è altro che paticcasamuppada, la coproduzione condizionata. Proprio il più grande 'teorico' della vacuità (shunyata) , Nagarjuna, lo dice chiaro:

"La coproduzione condizionata questa e non altro noi chiamiamo la vacuità. La vacuità è una designazione metaforica. Questa e non altro il Cammino di mezzo."
Mulamadhyamakakarika 24

La vacuità permette alle cose di esistere, altrimenti avremmo enti sostanziali ma cristallizzati, privi della possibilità di divenire. Per questo si dice che la vacuità è il vero modo d'esistere dei fenomeni. E qui potremmo anche dire anicca ( questo fa più Hinayana, ma mi piace di più perché è l'esperienza diretta che si fa nella pratica meditativa e sono quindi d'accordo con il Theravada che pone minor enfasi sulla vacuità e più sull'impermanenza...). Pensiamo all'esperienza spirituale di Siddhartha prima di diventare il Buddha: qual'è la visione fondamentale che lo porta a lasciare la casa paterna e tutti gli agi e i conforti? La visione dell'impermanenza: il vecchio, il morente, il cadavere.  Infatti la sequenza buddhista primaria è: anicca, dukkha, anatta. Visione dell'impermanenza,  constatazione del dolore, vacuità di esistenza intrinseca, determinata dall'impermanenza....
Quando un buddhista afferma di non capire la vacuità è perché non ha fatto i conti veramente con la visione dell'impermanenza. Conti interiori ( nella meditatio ) ed esteriori  ( nella contemplatio... ;D ).
Se si sente nelle ossa l'impermanenza, non è necessario formulare molte teorie sulla vacuità...ossia le lasciamo fare a Nagarjuna e c., che sono maestri di logica...ma noi prendiamo sul serio la definizione del Dhamma come "un Sentiero di Liberazione fondato sulla disciplina del vedere" e "vediamo"...che cosa vediamo? L'impermanenza di tutto. La vacuità non la si vede... ;)
Chiaro che sto parlando della visione buddhista di un essere inadeguato...che si sente ormai di parlarne 'in proprio' ( mi son messo in proprio dopo esser stato 'dipendente da...")....parlo delle mia esperienza, ho solo questa...però mi sento di farlo perché l'ho vissuta e l'ho sofferta...quindi parliamo del mio Buddhismo, come quando leggiamo...che so...D.M. Turoldo parliamo del suo  Cristianesimo e J.Rumi del suo Islam.. Non fraintendetemi...non mi ritengo a questi livelli...ovviamente son men che adeguato, insignificante quasi...ma con finta umiltà dichiaro la mia dipendente indipendenza da ogni maestro, setta e Veicolo ( dipendo ovviamente dal veicolo a quattro ruote che mi serve per spostarmi... :D ).
@Apeiron, molto bella l'analogia del fiume. Una volta ho scritto che la contemplazione di un fiume è un'autentica esperienza spirituale. Ed è così la mente  che fluisce  , ma non dobbiamo per forza immaginare un approdo, un mare ove si riversa...una meta. C'è questo meraviglioso fluire...la  pace è sostanzialmente la consapevolezza, priva d'attaccamento, del fluire. Anche per questo si dice che la pratica del Sentiero è già il Nirvana...


Non ritornare sulle cose passate,
E per il futuro non nutrire ingenue speranze:
Il passato è stato lasciato dietro di te,
Lo stato futuro non è ancora giunto.
Ma chi con l'intuizione può chiaramente vedere
Il presente che è qui ora,
Un tale saggio dovrebbe aspirare a conquistare
Ciò che mai può essere dimenticato né scosso.
(Majj.Nik.13)

Ecco una bellissima definizione del Nibbana: Ciò che mai può essere dimenticato. Ne definisce la caratteristica della permanenza ( quindi sfugge all'impermanenza di ogni fenomeno soggetto a paticcasamuppada...), la sua imperturbabilità di fronte ad anicca, dukkha, anatta e il suo 'valore', ossia uno stato che è saggio aspirare a 'conquistare'...
Non credo sia possibile aspirare a conquistare il Nulla, e nemmeno che non si possa mai dimenticare o scuotere...
Pertanto l'idea che il Nibbana sia semplice Nulla è totalmente priva di fondamento ( ma di questo caro Apeiron ne abbiamo già lungamente discusso nel topic apposito "Buddhismo"... :) mi sembra).
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#5
@Sari, grazie del tuo contributo  ;)  

come ben dici ne abbiamo ampliamente discusso in quel topic - invito @bluemax a leggersi tutta la discussione!

Quello che volevo semplicemente dire è che espressioni come quella usata da @bluemax: "Questa è la natura CONVENZIONALE della mente: essa causa le cose e le comprende. La sua natura più profonda è la vacuità, vale a dire che essa è vuota di esistenza in ogni possibile maniera, vuota sia dall'essere un'entità fisica di per sé fino a coinvolgere un solido, concreto soggetto, contenuto o esperienza"... a me suggerisce la negatività (infatti non mi spiego il "successone" del Madhyamaka...). Preferisco le immagini del cielo sgombro dalle nubi e cose simili  ;) 


Scrivi:
"Ecco una bellissima definizione del Nibbana: Ciò che mai può essere dimenticato. Ne definisce la caratteristica della permanenza ( quindi sfugge all'impermanenza di ogni fenomeno soggetto a paticcasamuppada...), la sua imperturbabilità di fronte ad anicca, dukkha, anatta e il suo 'valore', ossia uno stato che è saggio aspirare a 'conquistare'..."

Già! Esatto  :)

Detto questo mi merito le mie giuste "bacchettate"  ;D  ;D  ;D  ;D  ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

#6
@Sari,


La vacuità permette alle cose di esistere, altrimenti avremmo enti sostanziali ma cristallizzati, privi della possibilità di divenire. Per questo si dice che la vacuità è il vero modo d'esistere dei fenomeni. E qui potremmo anche dire anicca ( questo fa più Hinayana, ma mi piace di più perché è l'esperienza diretta che si fa nella pratica meditativa e sono quindi d'accordo con il Theravada che pone minor enfasi sulla vacuità e più sull'impermanenza...). Pensiamo all'esperienza spirituale di Siddhartha prima di diventare il Buddha: qual'è la visione fondamentale che lo porta a lasciare la casa paterna e tutti gli agi e i conforti? La visione dell'impermanenza: il vecchio, il morente, il cadavere.  Infatti la sequenza buddhista primaria è: anicca, dukkha, anatta. Visione dell'impermanenza,  constatazione del dolore, vacuità di esistenza intrinseca, determinata dall'impermanenza....

Permettimi di fare commenti ulteriori su quanto dici. L'impermanenza è in fin dei conti ciò che permette ai fenomeni di sorgere e di cessare (Parmenide in fin dei conti l'ha detto a modo suo nell'Antica Grecia - l'essere non può divenire). Il problema è che tale "realtà" è un problema per noi esseri sofferenti: vogliamo vivere e star bene ma malattia e morte (e violenza...) ci fanno soffrire. Per star bene desideriamo controllare le cose ma non possiamo farlo. Ergo se uno capisce la realtà impermanente dei fenomeni comincia a capire che è deleterio attaccarsi ad essi, affidre a loro il proprio benessere. E comincia a "lasciar andare", vivendo via via più serenamente. Buddha poi viene e dice: vi spiego il Sentiero per il Rifugio libero dall'impermanenza, dal dolore e dalla morte (e dalla nascita...). Ma ci dice che anch'esso è "anatta", Non-Sé, non ha un "centro", non ci sono né "io" né "mio", non si può controllare ecc. Quindi è libero dall'impermanenza, libero dalla nascita, libero dalla morte. Se uno è interessato solo a far estinguere la sofferenza gli basta questo. Non sono necessarie le "teorie filosofiche". Dal punto di vista esistenziale sono d'accordissimo con te: c'è molta saggezza in questo. In fin dei conti volersi bene è anche fare in modo di "rifugiarsi" da molte sofferenze non necessarie e lo stesso vale quando si vuole bene all'altro. Da un punto di vista esistenziale uno può accontentarsi della "fede" nella "terapia" del Buddha che ci permette la cessazione della sofferenza.


Il problema è quando ci si comincia a chiedere "cosa è in fin dei conti questa "liberazione"? In cosa consiste? Pur essendo vero che senza la vacuità effettivamente poco si spiega l'insorgenza e la cessazione dei fenomeni è anche vero che l'obbiettivo è la Cessazione della sofferenza che porta alla cessazione dei fenomeni stessi (per esempio in questo discorso che io ritengo un autentico capolavoro https://www.canonepali.net/2015/05/sn-2-26-rohitassa-sutta-a-rohitassa/ chiaramente si capisce che la cessazione della sofferenza provoca la cessazione del "mondo" o "cosmo", visto che "mondo" o "cosmo" https://www.canonepali.net/2015/06/sn-35-82-loka-sutta-il-mondo/ - ovvero che sembra che ci sta dicendo che il "soggetto" e il (suo) "mondo" esistono insieme). Quindi la Cessazione della sofferenza comporta necessariamente la cessazione di tutta l'esperienza di ciò che è condizionato (cessa ogni sensazione). Il che suggerisce che il mondo è stato completamente "abbandonato" alla "morte fisica" del "risvegliato". Ergo se come Nagarjuna dice esistono solo fenomeni "vuoti" e per Nagarjuna vacuità e imparmenenza sono due facce della stessa medaglia (in realtà vorrei far notare che questa è la sua interpretazione che è molto "fondata" ma non è l'unica... in fin dei conti nel Canone Pali si dice "tutte le cose condizionate sono impermanenti...tutte le cose sono senza sé") allora quando "cessano" queste esperienze e non c'è nessuna realtà oltre ciò che è condizionato, cosa rimane? Il problema quindi è quando si cerca di capire e dare una risposta a questa domanda. Non è certamente necessario domandarselo e cercare una risposta. Se vogliamo è sintomo di "poca fede". Ma in fin dei conti è natura umana anche questo cercare la risposta  ;D

Ergo se il madhyamaka X fa questa equazione (in fin dei conti, uno si chiede, una realtà insostanziale permanente cosa può essere?) tra vacuità (insostanzialità, anatta, non-sé) e impermanenza allora come spiega lui (non il Sari o bluemax...) che la sua visione della Cessazione è il "Nulla"? Personalmente non ritengo una risposta "non ho mai avanzato posizioni" oppure "i fenomeni né esistono né non esistono", visto che il "mondo cessa" alla fine della fiera. Ovviamente uno può dire che è ineffabile, che il Nirvana va oltre le nostre capacità di comprensione come fa il Sari, come fa bluemax ecc ma deve dirlo. Viceversa questa precisazione non riesco a vederla nella "dottrina" madhyamaka (nemmeno in Nagarjuna ad essere sincero). Se non si fa questa precisazione, che sia il Sari che bluemax fanno (e anche secondo me lo stesso Buddha fa), non vedo come non si possa cadere nel nichilismo  ;)

Oppure dopo aver capito quanto sia "pericoloso" (e inutile?) speculare in questo senso uno può semplicemente "praticare con la fiducia" che il "Nirvana è la somma pace" (Dhammpada) e ignorare anche la metafisica. In fin dei conti l'"atta" corrisponde grossomodo "senso dell'io e del mio" a livello esperienziale (ovvero all'"egocentrismo" nel più generico significato di questa parola)... e finché si resta al livello esperienziale anche la teoria metafisica della vacuità non è necessaria. Anzi non è necessaria nessuna dottrina e nessuna teoria. Ma solo la "spiritualità"  ;)



P.S. Ritengo la "vacuità" un'intuizione geniale visto che in fin dei conti sembra proprio che sia proprio vero questo: "La vacuità permette alle cose di esistere, altrimenti avremmo enti sostanziali ma cristallizzati, privi della possibilità di divenire.". Ciò non toglie che si possa "rifinire" tale concetto in modo opportuno ;)

Ad ogni modo non volevo riaprire la nostra discussione su come interpretare il Nirvana. Lo abbiamo già fatto nel topic della sezione filosofia.  Quello che stavo semplicemente facendo è criticare una determinata formulazione (o interpretazione) del buddhismo. Ovvero il buddhismo interpretato da un certo X. Non stavo criticando il buddhismo del Sari o del Buddha. In ultima analisi si può vederla così. Posso criticare, per esempio, la teologia di Calvino per il discorso della predestinazione: ciò non significa che tutti le scuole del cristianesimo vengono interessate da questa critica. Ergo se dico che secondo me una certa interpretazione di buddhismo è equivalente ad un "nichilismo non intenzionale" lo dico ;) ma questo non significa che sto dicendo che ogni forma di buddhismo è criticabile in tal senso (la tradizione Theravada per esempio sostiee che il Nirvana è il "fenomeno non condizionato" e quindi non rientra nell'ambito della mia critica - ciò vale chiaramente per molte - se non tutte - le sottoscuole Mahayana...). Spero che sia utile questa ulteriore precisazione         
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#7
Direi un cosa. sembra che l'intera problematica ruoti attorno alla comprensione corretta di paticcasamuppada (pratityasmutpada in sanscrito per Bluemax...) che è oggettivamente uno degli insegnamenti più profondi, difficile e 'sottili' da afferrare di Siddhartha, detto il Buddha ,o l'asceta Gotama...
Ora mi accingo ( con sommo sprezzo del pericolo, di farci la mia classica figura di... :-[ ) a darne una mia interpretazione, facendomi aiutare da un testo 'segreto' che tiene un posto particolare nella polverosa biblioteca di Villa Sariputra. Così, se il mitico nicciano  Green, non intenzionato a leggersi la Mulamadhyamakakarika del grande Nagarjuna per il momento, ne è ancora un poco interessato,potrà farsene una parziale opinione...
Cominciamo col dire che questa catena del paticcasamuppada è intimamente legata all'idea buddhista dell'anatta, che s'intende come assenza di un "sè" intrinseco , sostanziale e durevole. Si potrebbe anche dire che Pat.( paticcasamuppada) sia la spiegazione del processo di anatta. 'Anatta' è per il Buddhismo un "dhammata", ossia una specie di realtà ineluttabile, universale e completamente a-temporale. Pat. si può dire sia la costruzione, lo svolgimento fattuale di questo 'anatta'...
Buddha espose ripetutamente in molti sutra la teoria della Pat., di questa genesi da produzione condizionata. Una volta un tale gli chiese:" Voi affermate che non esiste reincarnazione; però, malgrado questo, parlate di vite passate, di vite future, di rinascite."
Al che Gotama , per tutta risposta, con un leggero sorriso sulle labbra, gli dette esattamente la lista dei dodici elementi che formano la catena di Pat., che formano questo processo, in ordine logico ma inverso. Ecco in cosa il Buddha riassume la sua concezione, la sua visione del ciclo delle rinascite, proprio in Pat.
Pat. è un 'processo' ( senza imputati... :) ); cioè si tratta di una successione di avvenimenti che sorgono senza l'intervento di alcun agente, o "essere". E' un susseguirsi del tutto incontrollabile, ineluttabile e irreversibile ( salvo quando il 'processo' termina il suo ciclo...).
Per il Buddhismo questo processo gestisce l'evoluzione della materia, dei suoi fenomeni ma anche l'evoluzione della mente stessa, con tutti i suoi attributi e proprietà.
Tutti gli eventi che la coscienza può seguire sono contenuti in questo processo. Di più, direi, la coscienza stessa ne è contenuta. La "legge fondamentale", iniziale, che si manifesta nel processo è "anatta ( anatman)". Secondo il Buddhismo delle origini la coscienza è suddivisa in unità elementari , così come la materia, per es., è composta da atomi e questi si raccolgono in molecole e poi in cellula, in organo, ecc. così le unità elementari di coscienza hanno una durata di vita infinitesimale (un miliardesimo di secondo? Boh!... :-\ ).
Sarebbe più giusto però, a parer mio, chiamarli "momenti fondamentali di coscienza". Ognuno di questi momenti ha la particolarità di sorgere e svanire immediatamente secondo un processo chiamato appunto paticcasamuppada.
La successione di infiniti 'momenti' di coscienza forma un ciclo, considerando però le stesse unità come dei cicli elementari a loro volta. Ovviamente la sequenza che ne consegue è a sua volta guidata dal principio della Pat. La composizione nella mente dei cicli forma 'strati' di coscienza a loro volta condizionati da paticcasamuppada.
La domanda è: questo 'processo', per il Buddha, come si introduce nella vita? Questo Buddha che ci dice che questo processo è onnipervasivo e che pertanto ogni concetto di 'essenza' è completamente assente . Assente addirittura dall'universo intero...
Proviamo a pensare una situazione concreta: Un tizio che ci pesta un piede in metropolitana o sull'autobus, inavvertitamente. Cosa proviamo? Un dolore violento al piedone. Che succede? Per la maggior parte di noi questo dolore fisico si accompagna ad un impeto di collera  >:( . E' molto raro che compaia immediatamente uno stato di compassione, d'amore per il calpestatore, uno spirito bello tranquillo e accomodante. Quasi sempre sorge invece un senso di avversione, di irritazione e , a volte, pure di odio. Così prorompiamo in una parola dura o in un gestaccio . Qui osserviamo in azione paticcasamuppada , come avviene, schematizzando e semplificando il 'processo'. C'è una consapevolezza dolorosa e, immediatamente, sorge una sensazione spiacevolissima che l'accompagna. Non sappiamo perché, né come, ma probabilmente tutti ne abbiamo fatto l'esperienza. Sembra una cosa del tutto automatica. A seguito poi di questa collera nasce un'intenzione poco edificante ( che a volte, per fortuna , si ferma lì...), spesso malvagia: "Stai attento, scemo!", oppure:"Pezzo di imbecille!" o altro di poetico...
La situazione può andare avanti e arrivare alla 'vendetta', così affibiamo un bel calcione nella tibia al malcapitato, anche se non l'ha fatto apposta.
Ecco esposto, in modo molto stringato, questo processo: vi è l'apparizione della coscienza (esempio: coscienza dolorosa), che farà rapidamente nascere un fenomeno materiale (esempio: movimento della mano, emissione di un suono, sotto forma di una parola offensiva). E' così che tutto funziona in quel che noi chiamiamo universo, mondo cosciente. E per ogni essere, in ogni momento. Però tutto quello che noi possiamo pensare, dire o fare è solo la fase finale di un 'processo' iniziato prima, semplicemente attraverso un impulso cosciente, una percezione sensoriale.
Discutiamo di filosofia e di spiritualità sul forum, di cose esistenziali, del tran tran giornaliero, del tempo che fa, di politica...tutte queste chiacchere interiori ed esteriori, con altri, sono solo la fase finale, in larga misura, del 'processo' . Di solito la parte con cui passiamo la maggior parte del nostro tempo è quella del discorso dialettico, del parlare dentro di noi, a cui dedichiamo indagini e riflessioni. Assai raramente, soprattutto se non pratichiamo  la meditazione, riusciamo ad osservare i momenti precedenti . Diciamo, a volte:" Sono consapevole che la vita è proprio questa, sono consapevole della sofferenza, spesso ci penso...". Però di solito manchiamo per inavvertenza, per disattenzione e diamo importanza solo alla fase finale, alla riflessione e ai discorsi , banali o intellettuali e filosofici.
Quando mai siamo consapevoli della mascella che si muove o dell'aria che respiriamo?
Non diamo alcuna importanza alle fasi anteriori del processo. Non lo osserviamo, ci fermiamo, invece, nei nostri discorsi...oscilliamo costantemente tra una situazione di pensieri basati su idee negative ad altri su idee positive, per tutto il tempo.
Se riflettiamo un po', potremo giungere a capire, a percepire che, quando, nella giornata, abbiamo degli attimi di riflessione sull'esistenza ,nel senso che essa è insoddisfacente, piena di problemi... vi sono anche dei momenti in cui non si pensa affatto a tutto questo, visto che ci troviamo occupati ad assaporare una deliziosa bevanda, un piatto squisito. A quel punto, ci gettiamo, piuttosto, su delle considerazioni, tipo "la fortuna che abbiamo di essere nati in italia, che è il paese dell'arte culinaria". Sfortunatamente, passiamo da una situazione di pensieri, basati piuttosto su delle idee negative, ad un'altra, fondata su idee positive; ed oscilliamo dall'una all'altra, per tutto il tempo.
Nella vita sembra esistere soltanto l'"appetito": cioè desiderio, tendenza verso qualcosa.
In pali viene chiamata tanha. Tanha è quella cosa che fa proiettare la nostra coscienza sul proprio oggetto, o su altro.
Vi ricordate ( questo è un esempio classico...) di quando , da piccoli, ci facevamo una specie di cerbottana con una penna svuotata e 'sparavamo' palline di mollica di pane contro i vetri delle finestre o il banco del maestro ? Il fatto che queste palline venivano proiettate e s'incollavano illustra il significato di tanha , che è la tendenza, continuamente ripetuta, perpetuata, che ha la nostra mente di scagliarsi su di un oggetto. Dal momento che la coscienza si 'appropria' di un oggetto tende continuamente ad attaccarcisi e l'operazione, il processo, si ripete ancora; naturalmente, è ovvio, che i nostri desideri riguardano fatti piacevoli. Noi ci lanciamo verso la destinazione che ci prospetta un certo piacere. Questa facoltà di restare 'incollati' al nostro oggetto di piacere nel Buddhismo viene chiamata upadana, che significa appunto 'fissarsi'. Naturalmente la pallina di mollica di pane, lentamente, si secca e si scolla dal vetro e così anche i nostri desideri verso quel particolare oggetto, o sensazione , o pensiero si 'seccano' e si 'scollano'. Così la mente sarà allora necessitata a lanciarne una successiva, per continuare il gioco di tanha...Riusciamo ad elaborare un mucchio considerevole di strategie, di progetti, di manovre, che chiamiamo amministrative, professionali, sociali, ecc., al solo scopo di vivere. Cioè, di garantirci che gli attimi di piacere siano i più numerosi a succedersi , possibilmente ad un ritmo elevato e continuo , e che quelli di dispiacere e di pena siano i meno consistenti possibili; magari, i più distanziati e corti...
Questa è, in pratica, la nostra vita, quella che chiamiamo la vita di un uomo...
Per sopravvivere ci sono però i momenti di bisogno naturale, come il nutrirsi o andare al bagno, che sono una gran rottura perchè interrompono la nostra occupazione di lanciar palline verso il piacere. A volte son proprio fastidiosi. Allora, dato che non possiamo proprio farne a meno, cerchiamo di rendere anche questi i più piacevoli possibile...trasformandoli in momenti di piacere. La produzione condizionata è un processo che succede a se stesso, in quanto è una sorta di ciclo che non cessa di ripetersi. Esattamente come il pendolo di un orologio, che oscilla a destra ed a sinistra, e, fino a che la molla è carica, cioè fino a quando in essa rimane dell'energia, continua a farlo. Il "carburante" che vi è nella molla è proprio taṇhā. Si tratta veramente del motore della vita. Taṇhā è il termine impiegato per sintetizzare, in senso lato, l'avidità, il desiderio e la propensione. Così, alla partenza, vi è l'ignoranza, la mancanza di conoscenza, l'incapacità di sapere cosa è, per esempio, quel dolore che appare e la coscienza che lo accompagna. Poiché esiste questa incapacità, vi è, di conseguenza, l'ignoranza che produce il processo che si chiama formazione. La formazione, che accompagna la coscienza è, da una parte, la sensazione (piacevole, o spiacevole) e, dall'altra, la necessità che abbiamo di esprimere, in tale momento, un'azione.
Naturalmente non è facile da spiegare a parole perché il paticcasamuppada è una specie di serpente che si morde la coda.  Di fronti a questi dodici anelli della catena di Pat. si può, in una certa misura, cambiarne pure l'ordine, non ha molta importanza a conti fatti. Lo si insegna seguendo un determinato schema ben preciso ma , nell'apparire alla coscienza, il Pat. è così particolare che non sarebbe 'inesatto' in senso stretto variarne l'ordine. Il ciclo è così breve e aderisce all'apparire di un fenomeno di primo livello, costituendo, lui stesso, con il suo numeroso ripetersi, un evento di livello superiore. Semplificando, si può dire che, all'inizio esiste una ignoranza di quanto sta per capitarci, sino al momento in cui sopraggiunge la consapevolezza. dalla consapevolezza appare una sensazione, piacevole o spiacevole,; poi sorge una reazione, cioè il nascere di un'intenzione, di un progetto motivato dal desiderio di soddisfare qualcosa. Acquisito l'oggetto, nasce l'attaccamento ad esso. Lo si accaparra e si crea un legame..
All'inizio dunque ci proiettiamo su qualcosa, però arriva il momento che l'impulso che ci ha spinti, che è diventato abitudine...svanisce. Non sappiamo nemmeno dire perché. Fa parte dell'attaccamento che è , in sostanza, la facoltà che ci trattiene sugli oggetti o sui nostri ragionamenti, discorsi, ecc..
Esiste l'attaccamento alle nostre opinioni e punti di vista. Un buddhista, un cristiano o un ateo possono essere molto attaccati ai loro punti di vista, per esempio. Spesso non ne sappiamo nemmeno il perché. E' una sorta di rinnovo dell'appetito alla vita...
Aderiamo, ci attacchiamo ovviamente anche a questa idea del 'divenire', ossia di 'vivere'. Crediamo nell'"essere" e siamo molto avvinti da questo. Non soltanto all'idea: sono Sari, sono Piero, sono un uomo, sono una donna, sono buddhista, sono cristiano , sono ateo, ma semplicemente al fatto. Questo attaccamento alle opinioni fa sorgere numerosi momenti di tanha  e iniziamo ad attivare di nuovo progetti futuri, iniziative, ecc.

Fine prima parte...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Sariputra

#8
Seconda parte...

Si può arrivare ad essere attaccati ad uno dei legami più 'pericolosi', quello alla 'divinità', oppure all'idea della 'buddhità'. Ossia allo stato d'essere "assoluto" che nel Theravada viene definito come "l'estremo positivo della metafisica". Quello in cui si tenta di 'trascendere'  le nozioni di base, elementari, quali quelle di uomo, donna, società, cultura, ecc.
Bisogna essere consapevoli di questa possibilità d'attaccamento pernicioso insita in ogni cammino che comunemente viene definito come 'spirituale'. Si rischia di costruire un 'fantasma' che immaginiamo come puro, ineffabile, eterno...Si arriva a concepire una sorta di 'coscienza primordiale', coscienza "tout court" trascendente, senza oggetto, senza proprietà, attributi e stato. Qualcosa di "elevato".
Questo attaccamento all'idea di divinità arriva all'ossessione dell'identificazione diretta con la divinità stessa, la fusione in essa...
Non sto dicendo che non esiste divinità. Sto dicendo semplicemente che l'attaccamento tende a costruirsela in modo da 'provarne piacere'...
Qui Krishnamurti parlerebbe di "materialismo spirituale"...
Siddhartha aveva un modo ragionevole e assai franco , diretto, logico e 'sano' di rispondere alla domanda: "Ma cosa ci faccio io qui?". Siamo qui, diceva, semplicemente a causa di tanha, del desiderio. Viviamo perché lo desideriamo...Il monaco Gotama ha fatto una grande scoperta; ha avuto un'intuizione geniale. E, se la ebbe, fu prevalentemente per avere avuto la concreta esperienza del nibbāna. Scoprì che, tutt'al più, ci immaginiamo, idealizziamo qualcosa che non potrà essere altro che un ciclo di paṭiccasamuppāda. Cioè, l'apparizione, il divenire secondo una sequenza di tappe riassunte, in modo succinto, da: un contatto, una sensazione, una reazione, un impulso, una volizione, una coscienza, un movimento, un atto, un divenire.
Siddhartha ebbe una consapevolezza del tutto sconcertante e che andava contro corrente con tutto il resto; che non viene insegnata in nessuna altra religione ( e neppure in molto del Buddhismo attuale...)...un'esperienza che potremmo definire come rivoluzionaria...oppure  come contradditoria con tutto ciò che può venire conosciuto nel quotidiano e, infatti, il fatto vine descritto in modo assai interessante. Dopo anni di ascesi disperate, di sperimentazioni, tra cui anche consapevolezze mistiche, o divine, posò la sua ciotola nel fiume, che scorreva proprio davanti a lui e si disse:"Se veramente io sono destinato a scoprire qualche cosa del tutto nuova, che il mondo ignora, oggi, completamente, che la ciotola non galleggi nel senso della corrente, ma che rimonti contro di essa!". Fu quanto avvenne. Poco importa preoccuparsi dell'aspetto leggendario, o miracoloso di questa storia. Ciò che interessa è che rappresenta un modo per illustrare come quel che Buddha scoprì fosse assolutamente rivoluzionario e contrario a quanto si conosceva, a quanto fosse stato appurato, ed insegnato, sino a quel momento. Di cosa si trattava? Ma naturalmente del nostro amato paticcasamuppada , però...in ordine inverso! Siddhartha visse un'esperienza concreta, visto che non ne conosceva affatto la teoria. Egli ha realizzato l'esperienza dell'ordine inverso. ossia non ha mancato di conoscere quel che appariva alla sua coscienza, non ha omesso di portarvi sopra la sua massima attenzione, non l'ha ignorato. Ciò che è successo di straordinario fu che, logicamente, tale coscienza, tale sensazione, tale contatto e tale oggetto non sono sorti. Hanno cessato di apparire ed avvenne, a quel punto, l'interruzione del ciclo in cui la coscienza si mostra, con il suo oggetto. Non nacque, dunque, una sequenza, né un seguito. Cosa divenuta impossibile a causa di quella interruzione. Egli sperimentò ciò che viene chiamata la Cessazione, la cessazione della non conoscenza, dell'ignoranza, dell'incapacità di apprendere; fatto che ha provocato la fine di quanto, per una volta, non venne ignorato.
Per questo motivo Siddhartha non dice:" L'apparizione della conoscenza", ma bensì: "La Cessazione dell'ignoranza".Perché, se avesse dichiarato "l'apparizione della conoscenza", ciò avrebbe significato che prima si conosceva, si apprendevano i fenomeni con l'ignoranza; mentre, poi, essi vengono assimilati con la conoscenza. No, egli dice:" vi è la cessazione dell'ignoranza", poiché, giustamente, appare l'interruzione del fenomeno. E se questo non si mostra più, come lo si può conoscere? Il concetto non è di acquisire i fenomeni che ci circondano sulla base della consapevolezza. Ma, che questi fenomeni apparenti cessano di mostrarsi, poiché, di conseguenza, la coscienza che si esprime con essi si interrompe. Per Buddha, è la conclusione dell'ignoranza. E' un fatto così stupido, che, nel sentirlo, si potrebbe dire che si tratta di una cosa da sempliciotti! E, invece, ci parlano di conoscenza trascendente, di modi di conoscenza, della coscienza che non sa, quando si trova nel samsāra, mentre, invece, esiste quella soprannaturale, che sa...
L'esperienza vissuta da Siddharta è sconcertante, incredibile. D'altronde questa questione non si può porre in termini di 'credenza'. La cessazione dell'ignoranza accompagna anche quella della conoscenza. E' proprio quando non c'è più nulla da conoscere che paradossalmente cessa l'ignoranza, o quel che Buddha chiama ignoranza.
Nel momento in cui la coscienza appare si manifesta, si mostra con il suo oggetto, c'è come una falla, un'increspatura...da qualche parte c'è un 'buco', perché c'è dell'ignoranza ( avidya). Buddha ha fatto l'esperienza della Cessazione della coscienza conoscitiva e del suo oggetto. Così, egli dice, si arriva alla fine dell'ignoranza. E' un concetto...un pò radicale! Però...però...c'è un però...non si tratta di annichilimento, di annientamento completo.Semplicemente la coscienza che appare incatenata con il suo oggetto, in funzione di un ciclo ben definito di successioni e che in seguito sperimenta ogni sorta di brama, odio e illusione, non si manifesta più.
Tuttavia, nel momento in cui la coscienza cessa di mostrarsi con il suo oggetto, essa ne assume comunque un altro, che è il Nibbana/Nirvana.Questo è un fatto molto particolare, direi quasi incredibile. La coscienza non può impedirsi di fare vedere; anche quando non ha più alcun oggetto da 'afferrare' essa esprime la sua tendenza che è tanto forte che, anche quando non ha più un qualcosa di 'prendibile', allora assume il Nibbana come oggetto, si radica nel Nibbana si potrebbe dire.
E' qui che il Buddha ha fatto una scoperta importante (quella decisiva direi...). Ha realizzato  non soltanto Nirodha, cioè la cessazione dell'apparizione della coscienza e dei suoi oggetti, ma pure che, quando tutto ciò cessa, sparisce...rimane ancora qualche cosa. Non è il nulla, nè IL NULLA. La coscienza /vinnana non può che seguire la sua 'natura' e allora prende come oggetto il Nibbana. Questa coscienza che prende come oggetto il Nibbana però funziona sempre nel ciclo di paticcasamuppada .
Così, quando il bhikkhu raggiunge il Nibbana, contempla il nibbana, Buddha sostiene che questa coscienza che prende per oggetto il Nibbana è ancora una fabbricazione insoddisfacente, impermanente. E tuttavia, se Buddha non avesse toccato il Nibbana come avrebbe potuto sapere che esiste?E' molto particolare il Nibbana...Sarebbe una cosa perfettamente vana cercare di dargli una descrizione definitiva.
Perché è particolare? Perché il Nibbana "non appare". Malgrado questo la coscienza può assumerlo come oggetto, anche se quello non offre nessun appiglio. La particolarità dell'elemento Nibbana è che può venire conosciuto dalla coscienza/vinnana.
Quando la coscienza che può prenderlo come oggetto può totalmente svanire e sparire nel  Nibbana c'è quello che viene definito come Parinibbana.
C'è un'altra differenza importante da rimarcare:  quando la coscienza prende come oggetto il Nibbana, tale oggetto non è legato al paticcasamuppada. Non è un oggetto che appare, dispare ed ha una forma. Non possiede qualità ed attributi intrinsechi ( e neppure estrinsechi...). Non possiede una forma, non ha una 'pietra angolare', è senza asperità. E' molto particolare perché Siddhartha ci dice che è vuoto. Ma non è IL vuoto; è semplicemente vuoto. Finchè esiste la coscienza non può che avere una certa 'forma', una sua certa proprietà. La coscienza senza proprietà...semplicemente non esiste. Così, quando la coscienza prende ad oggetto nibbāna, a causa dell'assenza di 'legame', di natura, di definizione; per il fatto che esso non appare, la medesima coscienza non ne risente per nulla. Non ha nulla da risentire. Poiché, non è né buono, né cattivo; e neppure neutro.
Si adopera , per tale coscienza che prende come oggetto il Nibbana, una definizione che ,spesso, è mal compresa: santi sukha, che significa 'piacere' dovuto ad uno 'stato pacifico'.
Però chi conosce il Nibbana non prova alcun 'piacere'. Proprio perché non vi nulla da vedere in Nibbāna, nulla da conoscere, nulla da ascoltare e per definizione è inconcepibile che possa esistervi una reazione, una collera, un pensiero, una parola, oppure un movimento.
Proprio perché non esistono sensazioni...appare la beatitudine; questo famoso santi sukha.
Questa esperienza di Nibbana Buddha l'ha fatta , quella della coscienza che prende il Nibbana come oggetto e prova beatitudine. Per sette giorni ne è rimasto assorbito. Assorbito nella conoscenza del Nibbana. Così, egli ha compreso che la coscienza che assume ad oggetto nibbāna, se è, beninteso, calma, sta, tuttavia, ancora... là.
Poi, per altri sette giorni narra la tradizione, ha avuto un'altra esperienza: è pervenuto alla Cessazione di paticcasamuppada , del ciclo di sorgere della coscienza e dei suoi oggetti ed è riuscito a far sì che la coscienza non riapparisse prendendo come oggetto il Nibbana. Ha sperimentato cioè il Nibbana senza alcuna coscienza residua.
Evidentemente non se n'è potuto accorgere...non essendoci più coscienza con oggetto il nibbana ma solamente Presenza dell'elemento Nibbana.
Per avere fatto questa esperienza, Siddhartha è giunto alla conclusione che il Nibbana è proprio la Liberazione definitiva, irreversibile. E' proprio quando è giunto a questa esperienza di Nibbāna, stavolta definitiva, senza alcuna coscienza residua, che ha compreso che Nibbāna è proprio la fine definitiva del 'processo' del paticcasamuppada e della sofferenza insita in questo. Assenza totale di sofferenza, attraverso l'assenza totale di infelicità, di collera, di odio, di desiderio, di gioia, di amore, o di qualunque cos'altro; attraverso l'assenza totale di proprietà, di coscienza, di sensazione, di oggetto, di colorazione, di forma...

Se siete arrivati a leggere tutto questo ...avete buone possibilità di aver svilupppato la mente chiamata "paziente sopportazione del non-creato". ;D  ;D  ;D

P.S.  A proposito della ricerca continua di ciò che ci dà piacere. Eccola qua in azione: il piacere di scrivere!... ::)  ::)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Complimenti  @Sari!   Grazie mille  :)  :)  :)



Credo che dovrò rileggere tutto varie volte per comprenderlo bene, ma l'idea l'ho afferrata, credo ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

Ciao agli amici Sari e Apeiron, e benvenuto ancora a Bluemax.

Scusate per il ritardo su questo 3d molto ben avviato, e approfondito da Sari.
Ho ascoltato un paio di incipit di lezioni morali dei maestri buddhisti.
Non ci siamo proprio.
Quindi vediamo di chiarirci bene, perchè mi sembra che è inevitabile che fra gente intelligente si vada a capirsi.

D'oggi in poi per ragioni su cui al massimo possiamo discutere, divido la questione buddhista in 3 Spezzoni.

1. Il primo è quello della mistificazione a cui allude bluemax
cit
" Noi stiamo appena prendendo contatto con queste idee, quindi dobbiamo rimuginarle di continuo. Se tutto questo non è un'enorme mistificazione raccoglieremo i risultati non immediatamente."

Per me il buddhismo è una mistificazione, come tutte le religioni, quindi della sua etica non so che farmene.
(quindi inevitabilmente cari Sari, Apeiron e Bluemax, su questo crinale lascerò volutamente perdere).
Interverrò laddove la mistificazione si risolve in una "malattia mentale" (termine errato, ma dovrebbe essere il senso più accettato a livello generale pubblico).Come è stato molto precisamente indicato da Sari.(e su cui rimando a più tardi per la risposta generale).

2. Il secondo è quello che compete le categorie "alte" con cui lavoro ossia con la differenza tra mente e pensiero e dio.
Nel caso della filosofia Buddhista, volutamente lascerò perdere la questione del pensiero (in quanto assente nel buddismo).

Assumo dunque la mente come il luogo della decifrazione delle sensazioni percettive. E chiamo quelle decifrazioni con i termini della filosofia occidentale, fenomeni.
Ritengo che la problematica dell'incosistenza dei fenomeni sia sostanzialmente identica. E perciò la ritengo corretta, esattamente come la dottrina buddista la indica.

Ritengo che la parte ontologica come possibile risposta della questione sollevata dal "mentale" o dalla fenomenologia, riguardi la consistenza dell'oggetto.

Poichè l'oggetto è al centro delle mie categorie "basse" con cui lavoro, esso è strettamente legato al soggetto e al desiderio.
Poichè il buddismo è una mistificazione, volontariamente ometterò di parlare del desiderio. E mi concentrerò sulla possibile costruzione del soggetto (non intero). Perciò quando parlerò del soggetto, proprio per venire incontro al buddismo, e alla fenomenologia storica, sarà sempre un soggetto relato all'oggetto. E perciò parlerò del soggetto come oggetto "particolare".

Il problema della consistenza dell'oggetto per come indicata dal buddismo a mio parere è identica a quella proposta dalla fenomenologia e le ritengo entrambe corrette.

3. Terzo e ultimo, e credo il più importante, è la questione del soggetto intero a proposito della posizione dell'uomo all'interno del mondo. Ossia alla decisione se sia o meno un problema l'impermanenza del soggetto (più che dell'oggetto).
( e su cui la polemica potrebbe scoppiare).

Vado con le risposte generali.



cit bluemax
"Per quanto capito la mente, nel Buddhismo, si riferisce all'esperienza, vale a dire il mero sorgere e il coinvolgimento cognitivo con i contenuti dell'esperienza. "

Seguo


cit bluemax
"A quanto capito, c'è un ordine nell'universo, e la "mia" esperienza non è mai la "tua". Le due esperienze non possono interagire in alcun modo."

Seguo

cit bluemax
"il mero pensarlo, il sorgere di un'emozione e il mero provarla, e così via.
Questa è la natura CONVENZIONALE della mente: essa causa le cose e le comprende. La sua natura più profonda è la vacuità, vale a dire che essa è vuota di esistenza in ogni possibile maniera, vuota sia dall'essere un'entità fisica di per sé fino a coinvolgere un solido, concreto soggetto, contenuto o
esperienza.
Tale mente, dunque, con questi due livelli di natura ultima, o "due livelli di verità" è l'argomento, il soggetto, della meditazione".

Certamente


cit bluemax
"Da qui il dubbio...

Se ogni "MENTE" è differente dall'altra e come detto (almeno ho compreso cosi') il karma mentale (cause ed effetti immateriali ossia esperienza dopo esperienza) non puo' in alcun modo interferire con altro karma mentale, il concetto di vacuità (interdipendenza di ogni cosa) non vale per la MENTE. E' questa un qualcosa di INDIPENDENTE ?"

Credo ci siano diversi errori, il karma mentale non è la mente.

Il karma è il contenuto della mente, mentre la mente è solo ciò che ospita.

Non ho idea di cosa sia questa vacuità, me ne sto facendo una idea.

Ma non capisco come possa la vacuità essere inter-dipendente. (dipendente da ogni cosa)

I casi sono 2, o vi è un errore di battitura e semplicemente la vacuità non è dipendente, quindi è indipendente da ogni cosa.

Oppure caso più complesso, bisogna decifrare come possa qualcosa che è vacante, che è in vacanza, essere dipendente con ogni cosa.

Si presume infatti che ogni cosa sia presente a noi, nel qui e ora. Come possiamo unire 2 concetti così antitetici?

Questo secondo caso ha due soluzioni (entrambe desunte dalla tradizione occidentale, ma che mi paiono chiaramente all'interno del discorso buddista).

La prima è quella cristiana: che la vacuità coincida come paradosso, come cortocircuitazione del senso comune, e cioè che il senso comune sia questa ignoranza, invidia etc....

Questa soluzione la trovo ridicola quanto quella cristiana, e mi sembra mistificatoria. Perchè elimina il pensiero.

Il secondo caso è invece quello più interessante ed è quello su cui sto lavorando.

E si può seguendo le mie discussioni (con Apeiron sopratutto) dividere in ulteriori 2 soluzioni.

Le soluzioni hanno in realtà una variabile in comune ma 2 risultati diversi.

La variabile è che la vacuità sia la complementarità. Ossia che qualcosa si presenti come forma, ma che questa forma sia solo una parte che noi possiamo vedere (percepire).

Questo avrà per risultato che O ciò che noi non possiamo percepire è NULLA O che ciò che non possiamo percepire sia QUALCOSA.

(e che equivale alla famosa questione occidentale di Leibniz mi pare, perchè NULLA e non QUALCOSA????

Mi par di poter dire che qui si possa innestare la discussione che abbiamo ribatezzato del nichilismo o meno del BUDDISMO.

Per Apeiron, ovviamente la variabile è qualcosa, di indagabile a livello fisico.

Ma nella tradizione buddista è anche aperta la seconda questione e che cioè tutto sia NULLA.


Ovviamente se la variabile è positiva allora capiremo molto bene che la vacuità è in realtà la modalità di apparire delle cose nella nostra mente.
Da lì a dire che il mentale coincide con il vacuo secondo me il passo è molto breve.
La mente che si liberi dal suo contenuto karmico, ragionando su se stessa, non potrà che scoprirsi che "accoglienza delle leggi universali che la determinano". OSSIA appunto pura assenza, pura complementarità, lo zero da cui possono partire tutti i numeri delle leggi di causa ed effetto della realtà percepita.


Se la varibile è nichilista il problema si fa più serio.

Ma in realtà più interessante, perchè parlare di nullificazione significia in fin dei conti parlare del suo complementare, ossia della vacuità che si presenta come a noi come KARMA, e il KARMA, a casa mia,  è la vita nostra quotidiana.
Ma la vita per il Buddismo è dolore.


Il buddismo in questo di discosta totalmente dalla tradizione occidentale, che invece si interroga sul perchè Dio permetta il dolore, il problema del male.
Il buddismo chiude subito quel problema, perchè il mondo con le sue leggi è prevaricazione.
Ovviamente lo chiude solo per arrivare alla sua etica mistificatoria, che invece che affrontare il problema, lo fugge.
Non diversamente perviene la tradizione occidentale, che sebbene mantenga il problema aperto, in realtà vede nè più nè meno che il buddismo come una cosa negativa avere un problema simile.
Per cui entrambe le religioni giungono ad una visione demistificante dell'uomo visto come malvagio. A cui si edifica il tempio (la sacralità)  della pace (presunta) delle proprie comunità sia esso di una chiesa o di un tempio (nel senso di edificio) che siano.


Ora però ci troviamo di fronte al tentativo di risposta del saggio, ossia dei tentativi al di là della riparatività delle loro etiche.

Il che ci introduce dal secondo punto al terzo (come li avevo precedemente descritti).

Infatti che la complementarità sia nulla o qualcosa o tutto, è del tutto RELATIVO alla vita quotidiano di ciascuno.

E nella vita di ciascuno, il problema dell'impermanenza è quello più doloroso da accettare prima e affrontare dopo.

Nel prossimo post risponderò perciò in particolare al SARI. Anzi visto che sono le 20, non ne ho più il tempo.

Proseguo domani sulle considerazioni a me più care.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

bluemax

Citazione di: green demetr il 08 Febbraio 2018, 19:55:02 PM
Credo ci siano diversi errori, il karma mentale non è la mente.
Il karma è il contenuto della mente, mentre la mente è solo ciò che ospita.

Ciao. Grazie per il tuo intervento :)
Per quanto ne so (E probabilmente Sariputra ne sa piu' di me quindi spero di non commettere troppi Orrori :D ) Il karma (mentale inteso come effetto che ogni pensiero genera in quello successovo e cosi' via all'infinito) si riferisce agli impulsi mentali che ci portano ad agire, parlare, pensare in modo spesso compulsivo.
Mettendo in atto questi "impulsi", semplicemente rinforziamo le nostre (rabbia, rancore, gioia, invidia, ecc... ecc...) abitudini.
Come risultato, proviamo che il nostro "umore" ha alti e bassi e ripetiamo incontrollabilmente i nostri schemi comportamentali.
Tuttavia questi "risultati karmici" non sono predeterminati, non sono fissi: possiamo (sforzandoci prima e naturalmnete dopo) influenzare ciò che sperimentiamo.
Possiamo renderli più "leggeri" o addirittura eliminarli dal momento che la loro intensità dipende da molti fattori, i quali rientrano nella nostra sfera di influenza e mai dal mondo esterno.




Citazione di: green demetr il 08 Febbraio 2018, 19:55:02 PM
Non ho idea di cosa sia questa vacuità, me ne sto facendo una idea.
Ma non capisco come possa la vacuità essere inter-dipendente. (dipendente da ogni cosa)
I casi sono 2, o vi è un errore di battitura e semplicemente la vacuità non è dipendente, quindi è indipendente da ogni cosa.
Oppure caso più complesso, bisogna decifrare come possa qualcosa che è vacante, che è in vacanza, essere dipendente con ogni cosa.
Si presume infatti che ogni cosa sia presente a noi, nel qui e ora. Come possiamo unire 2 concetti così antitetici?

Come sopra, sperando di non sbagliare troppo, provo a darti una spiegazione. (almeno per come l'ho compresa io).
Ogni fenomeno possiede due distinti modi di essere: Quello ultimo e quello convenzionale "apparente".
La Vacuità, per un praticante buddista, è il suo modo ultimo, definitivo di esistere, è il modo in cui i fenomeni esistono realmente.
Tutto cio' che esiste, ogni fenomeno, ha una qualità ESSENZIALE: quella di essere un evento che sorge ed esiste in modo dipendente da qualcos'altro, cioè di essere il PRODOTTO dell'interdipendenza.
Del resto questo discorso è perfettamente assimiliabile ed inopinabile da chiunque abbia fatto un minimo di studi scientifici.
Il problema, a mio avviso è che il cervello (non la mente) funziona in modo particolare. Necessita di "mappe mentali" che si costruisce durante la crescita dell'individuo.
Il classico esempio (ma si potrebbe andare molto piu' a fondo) che ci hanno fatto durante gli insegnamenti sulla mente e' la prova della "M".
Prima di andare a scuola e farti COMPRENDERE che le 4 stanghette messe in quella posizione costituiscono la "M" tu percepivi tramite la coscienza visiva semplicemente le 4 stanghette. Da quando hai costruito la "convenzione" di "M" per te è IMPOSSIBILE vedere i 4 segmenti, ma vedi "IMMEDIATAMENTE" la "M" (ma stiamo divagando, ammetto, e scusami :) )



Citazione di: green demetr il 08 Febbraio 2018, 19:55:02 PM
Il buddismo chiude subito quel problema, perchè il mondo con le sue leggi è prevaricazione.
Ovviamente lo chiude solo per arrivare alla sua etica mistificatoria, che invece che affrontare il problema, lo fugge.

Per cui entrambe le religioni giungono ad una visione demistificante dell'uomo visto come malvagio. A cui si edifica il tempio (la sacralità)  della pace (presunta) delle proprie comunità sia esso di una chiesa o di un tempio (nel senso di edificio) che siano.

Sempre per quanto ho "compreso" il buddismo non GIUDICA qualcosa come "MALE" (questo lo lasciamo fare allo sperimentatore del fenomeno che giudica un qualcosa come BENE o MALE a seconda che abbia un tornaconto o meno). Il buddismo invece si limita a stabilire che è MATURATO un evento grazie a cause e condizioni. Non esiste il "MALE" ne il "BENE" ma sono semplici etichette date da una mente grossolana.
Il buddismo si è limitato a dire una cosa semplicissima (le 4 nobili verità) ossia che ESISTE (nelle menti non addestrate) DUKKA che si puo' generalmente traddure come "inquietezza" ossia la costante, continua, perpetua ricerca di benessere in cose che non possono risolvere il problema di fondo ossia la "felicità" o "tranquillità" se vogliamo.
Quindi semplicemente DUKKA esiste... non c'è nulla da fare per questo... è la nostra CONDIZIONE.
Praticamente è una analisi dello stato attuale di ognuno di noi... ossia hai la malattia. :)

L'uomo non è visto come "MALVAGIO" ne come "BUONO" (concetto di equanimità) per una "mente" realizzata, ma semplicemente come una persona "AFFLITTA" da veleni mentali.
Del resto chi compie azioni dettate dalla propria ERRATA VISIONE (uccidere, rubare, stuprare, ecc... ecc...) andrebbe AIUTATO non combattuto :)

Se per il buddismo esistesse "SATANA" questo andrebbe aiutato a "CAPIRE" non UCCISO perchè SATANA è in uno stato di ESTREMA SOFFERENZA.
(e qui ammetto si pone un problema :D )


ciao ;)

green demetr

Citazione di: bluemax il 09 Febbraio 2018, 13:03:27 PM


Ciao. Grazie per il tuo intervento :)
Per quanto ne so (E probabilmente Sariputra ne sa piu' di me quindi spero di non commettere troppi Orrori :D ) Il karma (mentale inteso come effetto che ogni pensiero genera in quello successovo e cosi' via all'infinito) si riferisce agli impulsi mentali che ci portano ad agire, parlare, pensare in modo spesso compulsivo.
Mettendo in atto questi "impulsi", semplicemente rinforziamo le nostre (rabbia, rancore, gioia, invidia, ecc... ecc...) abitudini.
Come risultato, proviamo che il nostro "umore" ha alti e bassi e ripetiamo incontrollabilmente i nostri schemi comportamentali.
Tuttavia questi "risultati karmici" non sono predeterminati, non sono fissi: possiamo (sforzandoci prima e naturalmnete dopo) influenzare ciò che sperimentiamo.
Possiamo renderli più "leggeri" o addirittura eliminarli dal momento che la loro intensità dipende da molti fattori, i quali rientrano nella nostra sfera di influenza e mai dal mondo esterno.



Certo  :)  la volontà, suppongo, o la mente stessa, possono decidere se ospitare alcune leggi karmiche o meno.
Ovviamente se alcune leggi karmiche ci rendono agitati, se non vogliamo esserlo, lavoreremo sul riconoscimento di queste con-cause, e una volta riconosciute come tali, e cioè come fattori di agitazione, gli impediamo di albergare nella nostra mente. Stessa cosa fa uno psicologo.

Citazione di: bluemax il 09 Febbraio 2018, 13:03:27 PM
Citazione di: green demetr il 08 Febbraio 2018, 19:55:02 PM
Non ho idea di cosa sia questa vacuità, me ne sto facendo una idea.
Ma non capisco come possa la vacuità essere inter-dipendente. (dipendente da ogni cosa)
I casi sono 2, o vi è un errore di battitura e semplicemente la vacuità non è dipendente, quindi è indipendente da ogni cosa.
Oppure caso più complesso, bisogna decifrare come possa qualcosa che è vacante, che è in vacanza, essere dipendente con ogni cosa.
Si presume infatti che ogni cosa sia presente a noi, nel qui e ora. Come possiamo unire 2 concetti così antitetici?

Come sopra, sperando di non sbagliare troppo, provo a darti una spiegazione. (almeno per come l'ho compresa io).
Ogni fenomeno possiede due distinti modi di essere: Quello ultimo e quello convenzionale "apparente".
La Vacuità, per un praticante buddista, è il suo modo ultimo, definitivo di esistere, è il modo in cui i fenomeni esistono realmente.
Tutto cio' che esiste, ogni fenomeno, ha una qualità ESSENZIALE: quella di essere un evento che sorge ed esiste in modo dipendente da qualcos'altro, cioè di essere il PRODOTTO dell'interdipendenza.
Del resto questo discorso è perfettamente assimiliabile ed inopinabile da chiunque abbia fatto un minimo di studi scientifici.
Il problema, a mio avviso è che il cervello (non la mente) funziona in modo particolare. Necessita di "mappe mentali" che si costruisce durante la crescita dell'individuo.
Il classico esempio (ma si potrebbe andare molto piu' a fondo) che ci hanno fatto durante gli insegnamenti sulla mente e' la prova della "M".
Prima di andare a scuola e farti COMPRENDERE che le 4 stanghette messe in quella posizione costituiscono la "M" tu percepivi tramite la coscienza visiva semplicemente le 4 stanghette. Da quando hai costruito la "convenzione" di "M" per te è IMPOSSIBILE vedere i 4 segmenti, ma vedi "IMMEDIATAMENTE" la "M" (ma stiamo divagando, ammetto, e scusami :) )


Ti seguo. E' ok.


Citazione di: bluemax il 09 Febbraio 2018, 13:03:27 PM
Citazione di: green demetr il 08 Febbraio 2018, 19:55:02 PM
Il buddismo chiude subito quel problema, perchè il mondo con le sue leggi è prevaricazione.
Ovviamente lo chiude solo per arrivare alla sua etica mistificatoria, che invece che affrontare il problema, lo fugge.

Per cui entrambe le religioni giungono ad una visione demistificante dell'uomo visto come malvagio. A cui si edifica il tempio (la sacralità)  della pace (presunta) delle proprie comunità sia esso di una chiesa o di un tempio (nel senso di edificio) che siano.

Sempre per quanto ho "compreso" il buddismo non GIUDICA qualcosa come "MALE" (questo lo lasciamo fare allo sperimentatore del fenomeno che giudica un qualcosa come BENE o MALE a seconda che abbia un tornaconto o meno). Il buddismo invece si limita a stabilire che è MATURATO un evento grazie a cause e condizioni. Non esiste il "MALE" ne il "BENE" ma sono semplici etichette date da una mente grossolana.
Il buddismo si è limitato a dire una cosa semplicissima (le 4 nobili verità) ossia che ESISTE (nelle menti non addestrate) DUKKA che si puo' generalmente traddure come "inquietezza" ossia la costante, continua, perpetua ricerca di benessere in cose che non possono risolvere il problema di fondo ossia la "felicità" o "tranquillità" se vogliamo.
Quindi semplicemente DUKKA esiste... non c'è nulla da fare per questo... è la nostra CONDIZIONE.
Praticamente è una analisi dello stato attuale di ognuno di noi... ossia hai la malattia. :)

L'uomo non è visto come "MALVAGIO" ne come "BUONO" (concetto di equanimità) per una "mente" realizzata, ma semplicemente come una persona "AFFLITTA" da veleni mentali.
Del resto chi compie azioni dettate dalla propria ERRATA VISIONE (uccidere, rubare, stuprare, ecc... ecc...) andrebbe AIUTATO non combattuto :)

Se per il buddismo esistesse "SATANA" questo andrebbe aiutato a "CAPIRE" non UCCISO perchè SATANA è in uno stato di ESTREMA SOFFERENZA.
(e qui ammetto si pone un problema :D )


ciao ;)

Non metto in discussione dukka, come fenomenologia, come apparenza, la metto in discussione come mistificazione, per cui ho già detto che non mi soffermerò in questo 3d.

Non mi interessa cosa pensi del male e del bene il Buddismo nella sua forma etica.

Di certo se non fosse una mistificazione (ma lo è come tutte le religioni), e seguisse quello che lei stessa teorizza (Come tutte le religioni) sono d'accordo che le cose come uccidere stuprare etc... sono solo forme karmiche e in quanto tali, e come tali, vanno se non si vuol essere preda di quelle forme, snobbate. (molto semplicemente). Penso quindi che siamo ragionevolmente vicini nelle posizioni.

Ma seguendo i vari maestri, invece, in verità ti dico, che di quelle forme se ne sta sempre a parlare!
E parlare delle forme karmike che ci agitano, di solito è rendere agitata la gente.(oltre che la mente)
Di modo che la gente si saldi fermamente con la propria chiesa o tempio, etc....

Non posso che augurarti di non pensare alle cose brutte, e di concentrarti sulle cose belle.
Solo allora deciderai se la chiesa e il tempio porta cosa belle o brutte.


Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:10:17 PM
Direi un cosa. sembra che l'intera problematica ruoti attorno alla comprensione corretta di paticcasamuppada (pratityasmutpada in sanscrito per Bluemax...) che è oggettivamente uno degli insegnamenti più profondi, difficile e 'sottili' da afferrare di Siddhartha, detto il Buddha ,o l'asceta Gotama...
Ora mi accingo ( con sommo sprezzo del pericolo, di farci la mia classica figura di... :-[ ) a darne una mia interpretazione, facendomi aiutare da un testo 'segreto' che tiene un posto particolare nella polverosa biblioteca di Villa Sariputra. Così, se il mitico nicciano  Green, non intenzionato a leggersi la Mulamadhyamakakarika del grande Nagarjuna per il momento, ne è ancora un poco interessato,potrà farsene una parziale opinione...

Grazie  ;) 


Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:10:17 PM
....
Buddha espose ripetutamente in molti sutra la teoria della Pat., di questa genesi da produzione condizionata. Una volta un tale gli chiese:" Voi affermate che non esiste reincarnazione; però, malgrado questo, parlate di vite passate, di vite future, di rinascite."
Al che Gotama , per tutta risposta, con un leggero sorriso sulle labbra, gli dette esattamente la lista dei dodici elementi che formano la catena di Pat., che formano questo processo, in ordine logico ma inverso. Ecco in cosa il Buddha riassume la sua concezione, la sua visione del ciclo delle rinascite, proprio in Pat.
Pat. è un 'processo' ( senza imputati... :) ); cioè si tratta di una successione di avvenimenti che sorgono senza l'intervento di alcun agente, o "essere". E' un susseguirsi del tutto incontrollabile, ineluttabile e irreversibile ( salvo quando il 'processo' termina il suo ciclo...).
Per il Buddhismo questo processo gestisce l'evoluzione della materia, dei suoi fenomeni ma anche l'evoluzione della mente stessa, con tutti i suoi attributi e proprietà.
Tutti gli eventi che la coscienza può seguire sono contenuti in questo processo. Di più, direi, la coscienza stessa ne è contenuta. La "legge fondamentale", iniziale, che si manifesta nel processo è "anatta ( anatman)". Secondo il Buddhismo delle origini la coscienza è suddivisa in unità elementari , così come la materia, per es., è composta da atomi e questi si raccolgono in molecole e poi in cellula, in organo, ecc. così le unità elementari di coscienza hanno una durata di vita infinitesimale (un miliardesimo di secondo? Boh!... :-\ ).

Certo, per quel che mi riguarda non ho mai prestato particolare attenzione alla spiegazione cosmologica.

Riassumo quindi questa prima parte con il fatto compiuto che l'anatma, è la forza che costituisce la cosmogonia del PAT.

Poichè asserisci, ma non mi è molto chiaro, che la cosmogonia del PAT è materiale, dunque il principio anatman è all'interno di un mondo materiale. (presumo che sia un principio, mi viene da pensarlo così).
Le leggi sono costituite da questo principio (e vengono chiamate concause? mi chiedo)
Ma questo principio è niente. (sarebbe da capire qui caro Sari, se con "niente" si intende "non materiale" o come "materiale").
Perchè nello schemino del punto 2 risulterebbe se Apeiron ci segua o meno. (se il niente è immateriale, allora Apeiron non ci segue, e mi sembra un ipotesi più convincente).
Per me non fa molto differenza comunque. Ripeto io parto sempre dal fatto compiuto. Che siamo nella materia.


Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:10:17 PM
...... che pertanto ogni concetto di 'essenza' è completamente assente . Assente addirittura dall'universo intero...

Questo deporrebbe a favore dell'ipotesi antimaterialista, ma non è detto, perchè "essenza" è un termine molto generico (e come sappiamo poichè è un concetto piuttosto complesso del canone occidentale, lo prendo "con le molle").



Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:10:17 PM
Proviamo a pensare una situazione concreta: Un tizio che ci pesta un piede in metropolitana o sull'autobus, inavvertitamente. Cosa proviamo? Un dolore violento al piedone. Che succede? Per la maggior parte di noi questo dolore fisico si accompagna ad un impeto di collera  >:( . E' molto raro che compaia immediatamente uno stato di compassione, d'amore per il calpestatore, uno spirito bello tranquillo e accomodante. Quasi sempre sorge invece un senso di avversione, di irritazione e , a volte, pure di odio. Così prorompiamo in una parola dura o in un gestaccio . Qui osserviamo in azione paticcasamuppada , come avviene, schematizzando e semplificando il 'processo'. C'è una consapevolezza dolorosa e, immediatamente, sorge una sensazione spiacevolissima che l'accompagna. Non sappiamo perché, né come, ma probabilmente tutti ne abbiamo fatto l'esperienza. Sembra una cosa del tutto automatica. A seguito poi di questa collera nasce un'intenzione poco edificante ( che a volte, per fortuna , si ferma lì...), spesso malvagia: "Stai attento, scemo!", oppure:"Pezzo di imbecille!" o altro di poetico...
La situazione può andare avanti e arrivare alla 'vendetta', così affibiamo un bel calcione nella tibia al malcapitato, anche se non l'ha fatto apposta.
Ecco esposto, in modo molto stringato, questo processo: vi è l'apparizione della coscienza (esempio: coscienza dolorosa), che farà rapidamente nascere un fenomeno materiale (esempio: movimento della mano, emissione di un suono, sotto forma di una parola offensiva). E' così che tutto funziona in quel che noi chiamiamo universo, mondo cosciente. E per ogni essere, in ogni momento. Però tutto quello che noi possiamo pensare, dire o fare è solo la fase finale di un 'processo' iniziato prima, semplicemente attraverso un impulso cosciente, una percezione sensoriale.

Certo, ti seguo.



Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:10:17 PM
Discutiamo di filosofia e di spiritualità sul forum, di cose esistenziali, del tran tran giornaliero, del tempo che fa, di politica...tutte queste chiacchere interiori ed esteriori, con altri, sono solo la fase finale, in larga misura, del 'processo' . Di solito la parte con cui passiamo la maggior parte del nostro tempo è quella del discorso dialettico, del parlare dentro di noi, a cui dedichiamo indagini e riflessioni. Assai raramente, soprattutto se non pratichiamo  la meditazione, riusciamo ad osservare i momenti precedenti . Diciamo, a volte:" Sono consapevole che la vita è proprio questa, sono consapevole della sofferenza, spesso ci penso...". Però di solito manchiamo per inavvertenza, per disattenzione e diamo importanza solo alla fase finale, alla riflessione e ai discorsi , banali o intellettuali e filosofici.
Quando mai siamo consapevoli della mascella che si muove o dell'aria che respiriamo?
Non diamo alcuna importanza alle fasi anteriori del processo. Non lo osserviamo, ci fermiamo, invece, nei nostri discorsi...oscilliamo costantemente tra una situazione di pensieri basati su idee negative ad altri su idee positive, per tutto il tempo.
Se riflettiamo un po', potremo giungere a capire, a percepire che, quando, nella giornata, abbiamo degli attimi di riflessione sull'esistenza ,nel senso che essa è insoddisfacente, piena di problemi... vi sono anche dei momenti in cui non si pensa affatto a tutto questo, visto che ci troviamo occupati ad assaporare una deliziosa bevanda, un piatto squisito. A quel punto, ci gettiamo, piuttosto, su delle considerazioni, tipo "la fortuna che abbiamo di essere nati in italia, che è il paese dell'arte culinaria". Sfortunatamente, passiamo da una situazione di pensieri, basati piuttosto su delle idee negative, ad un'altra, fondata su idee positive; ed oscilliamo dall'una all'altra, per tutto il tempo.

Certo, a parte la considerazione ottimistica, che ci poniamo dialetticamente  ;D , comunque sia, siamo nel mondo materiale.




Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:10:17 PM
Nella vita sembra esistere soltanto l'"appetito": cioè desiderio, tendenza verso qualcosa.
In pali viene chiamata tanha. Tanha è quella cosa che fa proiettare la nostra coscienza sul proprio oggetto, o su altro.

Non esiste alcun tanha per me. Mi sa tanto di "diavolo".
Comunque condivido che il desiderio tende a farci gravitare sull'oggetto desiderato. Se questo è il senso morale che vogliamo dargli. (ovviamente la cura del desiderio, equivale alla filosofia più alta. Ma è solo un inciso il mio).




Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:10:17 PM
....chiamata upadana, che significa appunto 'fissarsi'..... Taṇhā è il termine impiegato per sintetizzare, in senso lato, l'avidità, il desiderio e la propensione. Così, alla partenza, vi è l'ignoranza, la mancanza di conoscenza, l'incapacità di sapere cosa è, per esempio, quel dolore che appare e la coscienza che lo accompagna. Poiché esiste questa incapacità, vi è, di conseguenza, l'ignoranza che produce il processo che si chiama formazione. La formazione, che accompagna la coscienza è, da una parte, la sensazione (piacevole, o spiacevole) e, dall'altra, la necessità che abbiamo di esprimere, in tale momento, un'azione.

upadana....nel libro della Bibbia, viene detto da Satana: "noi siamo moltitudine".

Speriamo che dopo tanha siamo risparmiati da altri diavolacci.

Un "piccolo" approfondimento.
E' tipico del discorso schizoide la proiezioni di infinite divisioni, che sono sempre proiezioni a cascata del primigenio errore.


Se vogliamo intendere che l'uomo è formato dai suoi oggetti, possiamo tranquillamente dire che la sapienza buddista, anticipa il marx del feticismo. (ma ovviamente non è così, in quanto il buddismo è mistificazione, il buddismo è feticismo! mi viene subito in mente l'armadietto dei namiore nghenchiò!).

Dunque ragionevolmente mi pare di poter essere d'accordo.


Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:10:17 PM
"Naturalmente non è facile da spiegare a parole perché il paticcasamuppada è una specie di serpente che si morde la coda." 

Un "piccolo" approfondimento.
La figura del serpente che si morde la coda, è a livello psicologico-analitico, il discorso paranoide.
Che sta alla base di quello schizoide. (quello dei diavolacci).



Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:10:17 PM
.....Semplificando, si può dire che, all'inizio esiste una ignoranza di quanto sta per capitarci, sino al momento in cui sopraggiunge la consapevolezza. dalla consapevolezza appare una sensazione, piacevole o spiacevole,; poi sorge una reazione, cioè il nascere di un'intenzione, di un progetto motivato dal desiderio di soddisfare qualcosa. Acquisito l'oggetto, nasce l'attaccamento ad esso. Lo si accaparra e si crea un legame..

Un "piccolo" approfondimento.
Si crea il feticcio. Il totem.

Si sono d'accordo.

Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:10:17 PM
All'inizio dunque ci proiettiamo su qualcosa, però arriva il momento che l'impulso che ci ha spinti, che è diventato abitudine...svanisce. Non sappiamo nemmeno dire perché. Fa parte dell'attaccamento che è , in sostanza, la facoltà che ci trattiene sugli oggetti o sui nostri ragionamenti, discorsi, ecc..
Esiste l'attaccamento alle nostre opinioni e punti di vista. Un buddhista, un cristiano o un ateo possono essere molto attaccati ai loro punti di vista, per esempio. Spesso non ne sappiamo nemmeno il perché. E' una sorta di rinnovo dell'appetito alla vita...
Aderiamo, ci attacchiamo ovviamente anche a questa idea del 'divenire', ossia di 'vivere'. Crediamo nell'"essere" e siamo molto avvinti da questo. Non soltanto all'idea: sono Sari, sono Piero, sono un uomo, sono una donna, sono buddhista, sono cristiano , sono ateo, ma semplicemente al fatto. Questo attaccamento alle opinioni fa sorgere numerosi momenti di tanha  e iniziamo ad attivare di nuovo progetti futuri, iniziative, ecc.

Fine prima parte...


Un "piccolo" approfondimento.
Come sappiamo dal totem deriva il tabù. Perciò l'appetito, presunto, per la vita, si trasforma nel suo esatto contrario, ossia nel sacrificio, dell'altro di solito, ma anche e direi sopratutto di se stessi.

Nel discorso, psicoanalitico dopo Lacan, si parla del fantasma di morte.

Quindi unendo quanto giustamente detto da te, con i dovuti approfondimenti, la sete di vita, si trasforma in sete di morte.

Ci sarebbe da chiedere come la saggezza del PAT. risponde a queste tue, necessarie, premesse.

Perchè benchè è assai arduo che la saggezza antica, fosse consapevole dei propri demoni, dei suoi errori psicologici, è comunque vero, che, come insegna freud, la fine della traversata dell'incubo, era di solito la fissazione di una grande legge morale. Ovvero per conto mio, la fissazione di un mito, è una regola psicologica.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:13:37 PM
Seconda parte...

Si può arrivare ad essere attaccati ad uno dei legami più 'pericolosi', quello alla 'divinità', oppure all'idea della 'buddhità'. Ossia allo stato d'essere "assoluto" che nel Theravada viene definito come "l'estremo positivo della metafisica". Quello in cui si tenta di 'trascendere'  le nozioni di base, elementari, quali quelle di uomo, donna, società, cultura, ecc.
Bisogna essere consapevoli di questa possibilità d'attaccamento pernicioso insita in ogni cammino che comunemente viene definito come 'spirituale'. Si rischia di costruire un 'fantasma' che immaginiamo come puro, ineffabile, eterno...Si arriva a concepire una sorta di 'coscienza primordiale', coscienza "tout court" trascendente, senza oggetto, senza proprietà, attributi e stato. Qualcosa di "elevato".
Questo attaccamento all'idea di divinità arriva all'ossessione dell'identificazione diretta con la divinità stessa, la fusione in essa...
Non sto dicendo che non esiste divinità. Sto dicendo semplicemente che l'attaccamento tende a costruirsela in modo da 'provarne piacere'...


Non sai quanto sono d'accordo amico mio!  :)

Certo che però qua passiamo veramente ad un livello di consapevolezza a cui pochi arrivano.
Il nostro giovane Apeiron, si è avvicinato con il 3d sulla nevrosi della filosofia.
(anzi nella sua intuizione essenziale, è andato oltre credo, posso solo augurargli di continuare a snocciolare bene la questione, a cui sono giunto mica nei 20 piuttosto nei 30).

Quindi lascerei la questione in queste tue parole preziose. Gli altri non si spaventino.
Diciamo che si può soprassedere su questo punto.

"Se incontri il Buddha per la strada uccidilo"


Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:13:37 PM
......... No, egli dice:" vi è la cessazione dell'ignoranza", poiché, giustamente, appare l'interruzione del fenomeno. E se questo non si mostra più, come lo si può conoscere? Il concetto non è di acquisire i fenomeni che ci circondano sulla base della consapevolezza. Ma, che questi fenomeni apparenti cessano di mostrarsi, poiché, di conseguenza, la coscienza che si esprime con essi si interrompe. Per Buddha, è la conclusione dell'ignoranza. E' un fatto così stupido, che, nel sentirlo, si potrebbe dire che si tratta di una cosa da sempliciotti! E, invece, ci parlano di conoscenza trascendente, di modi di conoscenza, della coscienza che non sa, quando si trova nel samsāra, mentre, invece, esiste quella soprannaturale, che sa...

Certo



Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:13:37 PM
L'esperienza vissuta da Siddharta è sconcertante, incredibile. D'altronde questa questione non si può porre in termini di 'credenza'. La cessazione dell'ignoranza accompagna anche quella della conoscenza. E' proprio quando non c'è più nulla da conoscere che paradossalmente cessa l'ignoranza, o quel che Buddha chiama ignoranza.
Nel momento in cui la coscienza appare si manifesta, si mostra con il suo oggetto, c'è come una falla, un'increspatura...da qualche parte c'è un 'buco', perché c'è dell'ignoranza ( avidya). Buddha ha fatto l'esperienza della Cessazione della coscienza conoscitiva e del suo oggetto. Così, egli dice, si arriva alla fine dell'ignoranza. E' un concetto...un pò radicale! Però...però...c'è un però...non si tratta di annichilimento, di annientamento completo. Semplicemente la coscienza che appare incatenata con il suo oggetto, in funzione di un ciclo ben definito di successioni e che in seguito sperimenta ogni sorta di brama, odio e illusione, non si manifesta più.

Ma infatti credo che il vero nichilismo buddista sia più a monte per come dire.

Nel caso della cessazione, o della contemplazione del fiume che scorre, si tratta a mio parere di una tecnica di purificazione mentale.

Proprio nella maniera di come Bluemax ce ne ha parlato.
Ossia della cessazione dell'inquietudine.

Non mi pare una posizione nichilista. Ma su questo sentiremo, se avrà pazienza di leggere tutte queste parole, e se ne avrà voglia, Apeiron, che mi pare, ci tiene di più a questi "specimen".





Citazione di: Sariputra il 04 Febbraio 2018, 17:13:37 PM

Tuttavia, nel momento in cui la coscienza cessa di mostrarsi con il suo oggetto, essa ne assume comunque un altro, che è il Nibbana/Nirvana.Questo è un fatto molto particolare, direi quasi incredibile. La coscienza non può impedirsi di fare vedere; anche quando non ha più alcun oggetto da 'afferrare' essa esprime la sua tendenza che è tanto forte che, anche quando non ha più un qualcosa di 'prendibile', allora assume il Nibbana come oggetto, si radica nel Nibbana si potrebbe dire.
E' qui che il Buddha ha fatto una scoperta importante (quella decisiva direi...). Ha realizzato  non soltanto Nirodha, cioè la cessazione dell'apparizione della coscienza e dei suoi oggetti, ma pure che, quando tutto ciò cessa, sparisce...rimane ancora qualche cosa. Non è il nulla, nè IL NULLA. La coscienza /vinnana non può che seguire la sua 'natura' e allora prende come oggetto il Nibbana. Questa coscienza che prende come oggetto il Nibbana però funziona sempre nel ciclo di paticcasamuppada .
Così, quando il bhikkhu raggiunge il Nibbana, contempla il nibbana, Buddha sostiene che questa coscienza che prende per oggetto il Nibbana è ancora una fabbricazione insoddisfacente, impermanente. E tuttavia, se Buddha non avesse toccato il Nibbana come avrebbe potuto sapere che esiste?E' molto particolare il Nibbana...Sarebbe una cosa perfettamente vana cercare di dargli una descrizione definitiva.
Perché è particolare? Perché il Nibbana "non appare". Malgrado questo la coscienza può assumerlo come oggetto, anche se quello non offre nessun appiglio. La particolarità dell'elemento Nibbana è che può venire conosciuto dalla coscienza/vinnana.
Quando la coscienza che può prenderlo come oggetto può totalmente svanire e sparire nel  Nibbana c'è quello che viene definito come Parinibbana.
C'è un'altra differenza importante da rimarcare:  quando la coscienza prende come oggetto il Nibbana, tale oggetto non è legato al paticcasamuppada. Non è un oggetto che appare, dispare ed ha una forma. Non possiede qualità ed attributi intrinsechi ( e neppure estrinsechi...). Non possiede una forma, non ha una 'pietra angolare', è senza asperità. E' molto particolare perché Siddhartha ci dice che è vuoto. Ma non è IL vuoto; è semplicemente vuoto. Finchè esiste la coscienza non può che avere una certa 'forma', una sua certa proprietà. La coscienza senza proprietà...semplicemente non esiste. Così, quando la coscienza prende ad oggetto nibbāna, a causa dell'assenza di 'legame', di natura, di definizione; per il fatto che esso non appare, la medesima coscienza non ne risente per nulla. Non ha nulla da risentire. Poiché, non è né buono, né cattivo; e neppure neutro.
Si adopera , per tale coscienza che prende come oggetto il Nibbana, una definizione che ,spesso, è mal compresa: santi sukha, che significa 'piacere' dovuto ad uno 'stato pacifico'.
Però chi conosce il Nibbana non prova alcun 'piacere'. Proprio perché non vi nulla da vedere in Nibbāna, nulla da conoscere, nulla da ascoltare e per definizione è inconcepibile che possa esistervi una reazione, una collera, un pensiero, una parola, oppure un movimento.
Proprio perché non esistono sensazioni...appare la beatitudine; questo famoso santi sukha.
Questa esperienza di Nibbana Buddha l'ha fatta , quella della coscienza che prende il Nibbana come oggetto e prova beatitudine. Per sette giorni ne è rimasto assorbito. Assorbito nella conoscenza del Nibbana. Così, egli ha compreso che la coscienza che assume ad oggetto nibbāna, se è, beninteso, calma, sta, tuttavia, ancora... là.
Poi, per altri sette giorni narra la tradizione, ha avuto un'altra esperienza: è pervenuto alla Cessazione di paticcasamuppada , del ciclo di sorgere della coscienza e dei suoi oggetti ed è riuscito a far sì che la coscienza non riapparisse prendendo come oggetto il Nibbana. Ha sperimentato cioè il Nibbana senza alcuna coscienza residua.
Evidentemente non se n'è potuto accorgere...non essendoci più coscienza con oggetto il nibbana ma solamente Presenza dell'elemento Nibbana.
Per avere fatto questa esperienza, Siddhartha è giunto alla conclusione che il Nibbana è proprio la Liberazione definitiva, irreversibile. E' proprio quando è giunto a questa esperienza di Nibbāna, stavolta definitiva, senza alcuna coscienza residua, che ha compreso che Nibbāna è proprio la fine definitiva del 'processo' del paticcasamuppada e della sofferenza insita in questo. Assenza totale di sofferenza, attraverso l'assenza totale di infelicità, di collera, di odio, di desiderio, di gioia, di amore, o di qualunque cos'altro; attraverso l'assenza totale di proprietà, di coscienza, di sensazione, di oggetto, di colorazione, di forma...

Se siete arrivati a leggere tutto questo ...avete buone possibilità di aver svilupppato la mente chiamata "paziente sopportazione del non-creato". ;D  ;D  ;D

P.S.  A proposito della ricerca continua di ciò che ci dà piacere. Eccola qua in azione: il piacere di scrivere!... ::)  ::)



Diciamo che questa ultima parte è la più difficile da accettare per me.

Perchè parla di uno stato di coscienza, che percepisce ancora qualcosa.

Siccome è una cosa che come ho detto più volte, ho sperimentato, io rifiuto di credere che sia una cosa.

Invece nella PAT, si parla chiaramente di oggetto, che ha la proprietà di essere niente.

E che nella sua versione materiale, e cioè para-nirvana, si manifesta come vuoto.

Devo dire che dottrinariamente è una distinzione interessante.

Negli stati di meditazione iniziali, infatti la condizione da raggiungere al più presto è quello dell'ascolto.

Per poter "ascoltare" bisogna prima ripulirsi delle percezioni che ci fanno rimanere nel ciclo della vita.

Questa pratica ha il merito indubitabile di calmare la mente, e devo dire che effettivamente la fase in cui siamo pronti a ricevere le percezioni "per come sono", coincide con questa predisposizione, che chiamerei anch'io di mancanza, di svuotamento, di purificazione (termini che oggi per me significano veramente poco).

Ma quando la meditazione si fa più profonda, le percezioni cessano, ed è allora che si percepisce la trascendenza.

La trascendenza, è una sorta di gravitazione al contrario. Anche nella mia esperienza è coincisa con una sensazione di levitazione.

Sono anche abbastanza convinto che questa sensazione sia indagabile a livello di TAC, in maniera scientifica.

Perchè ti rendi conto che è una cosa che avviene all'interno del mondo materiale.

La cosa che più mi interessa è però che quella modalità della coscienza, se di coscienza si tratta, a livello buddista, mi par di capire sia proprio così, sia l'origine di tutte le intuizioni che scaturiscono dentro di me.

E' come una fonte di illuminazione.

Ma le intuzioni, non nascono come se fossero esterne a me, esse nascono dentro di me.

Quindi dire che è una fonte di illuminazione è scorretto in effetti.

Credo che la considerazione di Nietzche sia quella corretta, perchè l'ho sperimentata.

Che noi siamo una corda sopra l'abisso.

L'abisso NON è avidya, non è il diavolo, non è un oggetto.

Se lo fosse non cadremmo caro Sari proprio in ciò che da principio avevi detto che potrebbe succedere.

E che io liquido dicendo, che staremmo feticizzando Dio.

In fin dei conti, l'ebraismo è più preciso, perchè il diavolo è il 2.

Ma il due, il dualismo esiste solo con l'uno.

Il delirio religioso è quello di credere che l'uno sia DIO.

Quando invece per me l'uno è l'uomo, mentre il due è DIO.

Ossia Dio viene percepito da noi, non come oggetto, ma come trascendenza rispetto a noi.

E' interessante come questa trascendenza assuma i colori del mito.

In poche parole quale è la legge, in termini buddisti, la psicologia, in termini psicoanalitici, che ci informa?

Che Dio sia l'uno, è mito.

Vuol dire che esiste una funzione psicologica tra soggetto e ciò che lo trascende.

Di solito DIO è qualcosa, ci viene presentato come bene.

Ma proprio per tutto quello che abbiamo detto prima.

E' invece "niente". Non potrebbe essere altrimenti!

E' necessario che sia niente.

Se fosse qualcosa vuol dire che la funzione psicologica che ci lega a lui, sarebbe sempre una.

E invece per esempio, le religioni sono molte.

Certamente vi è una funzione, che possiamo chiamare legame.

Ma questo legame testimonia di un qualcosa, di un risultanza, fra ciò che non può essere conosciuto, e per questo è niente. E ciò che invece conosciamo, che è poi la nostra esperienza di fede, o di vita, qual si voglia.


Il nichilismo sotteso al buddismo e a tutte le religioni è invece più proriamente la negazione che si tratti di cose umane.


Il Buddismo però ha una chance in più però.

Proprio perchè nel riconoscere che esiste la mancanza, non ha bisogno come la teologia contemporanea di desumerla dalla storia, risparmia chilometri di viaggio spirituale.

Tra l'altro la PAT mi sembra che non risponda proprio a nulla.

Infatti io propongo questo errore logico.

Che abbia fatto la solita inversione logica.

Che per spiegare la vuotezza, presuma il nulla.

E invece dovrebbe essere il contrario, che presunta (a buona ragione, per praticantato, per esperienze personali, che tutti possono sperimentare) la vuotezza, debba dimostare perchè il nulla anzichè qualcosa.

Tra l'altro come dici tu la PAT è il tipico serpentone agnostico, sta lì a guardarci negli occhi, a incantarci, e ci consegna al depansamento e alle mistificazioni di ogni religione.


Proprio lei, la PAT, (a meno che le considerazioni iniziali sono solo del SARi, che si dimostrerebbe più saggio della PAT, e scommetto che è così!  ;)  ) che aveva proprio posto il problema dell'uscire dagli errori mentali!!!!


Spero non ti sia offeso, comunque è stata per me una quantomeno utilissima full immersion nel mondo buddhista.
Ovviamente sono aperto ad ulteriori approfondimenti.
E anzi caldeggio una rilettura delle parti più interessanti riguardanti il rapporto mente-oggetto.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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