Dubbio << mentale >>

Aperto da bluemax, 02 Febbraio 2018, 09:51:31 AM

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Apeiron

#15
@green, il messaggio del Sari mi ha lasciato veramente "senza parole" (per certi versi a leggerlo ho provato il senso del "sublime": ho avuto l'impressione di aver davanti qualcosa di veramente "elevato"...)  ;) , motivo per cui non credo di poter rispondere a tutto. Riguardo al mio topic su "filosofia e nevrosi" ti ringrazio: sappi però che il tipo di filosofia che segue, nelle varie forme, chi è interessati alla "spiritualità" segue un tipo di filosofia molto particolare - e lì filosofia e nevrosi si intrecciano (non a caso Gesù, Buddha... ecc ad un certo punto ci "costringono" a smettere di camminare). Ma quello che mi ha colpito dei messaggi di Sariputra è la loro incredibile chiarezza - scavano nel nostro profondo e danno un'idea di cosa significa cercare il "Nibbana" (@Sari ha scritto l'interpretazione Theravada "ortodossa" - Nibbana come "una realtà positiva" che si vede alla Cessazione. Interpretazione che rispetto ma che non mi convince fino in fondo  ;) ). Comunque lo si interpreti (anche quello della "coscienza senza oggetto") ha in sé l'idea della rinuncia a TUTTO. Quindi anche all'attaccamento all'idea di "Nibbana" stessa (nel senso che cercare di "farsi" un'idea del nibbana è problematico).



Ci vuole molto tempo per digerire e comprendere un messaggio simile, motivo per cui di volta in volta, lentamente, dirò la mia. Permettimi però di fare un chiarimento sulla questione "nichilistica". Uno specimen che per me è particolarmente importante!



Dici:
Ma infatti credo che il vero nichilismo buddista sia più a monte per come dire.

Nel caso della cessazione, o della contemplazione del fiume che scorre, si tratta a mio parere di una tecnica di purificazione mentale.

Proprio nella maniera di come Bluemax ce ne ha parlato.
Ossia della cessazione dell'inquietudine.

Non mi pare una posizione nichilista. Ma su questo sentiremo, se avrà pazienza di leggere tutte queste parole, e se ne avrà voglia, Apeiron, che mi pare, ci tiene di più a questi "specimen".




Mia risposta: la questione del "nichilismo" nasce proprio dall'applicare la "cessazione" all'immagine del "fiume". Come dicevo possiamo vedere la nostra mente come un fiume - il "fiume" dell'esistenza "samsarica" è "bhava", parola che preferisco non tradurre. Nibbana è "bhavanirodha", ovvero cessazione del fiume: l'idea è che cessa tutto. E pensare a qualcosa oltre l'esperienza (che cessa...) è visto dal Buddha come una sorta di perdita di tempo: se una cosa è fuori da ogni nostra possibile esperienza, per quanto ci riguarda non cambia niente che esista o no (ovvero: uno può "dilettarsi" nel ritenere che ci sia, ma in realtà non aiuta per niente alla fine) - non a caso Brahman, Dio ecc sono sì entità "trascendenti" nel comune parlare ma in realtà non lo sono perchè "Dio ci ama", Brahman è il nostro più profondo essere ecc. Per Buddha cessa ogni esperienza. Il Sariputra storico, per esempio, - il "numero due" di Gotama - dice: "proprio perchè non ci sono sensazioni si dice che è "felicità"". Nel buddhismo del Canone Pali il fiume è qualcosa che deve cessare: in fin dei conti è "dukkha". Non si cerca di prolungare il processo ma si cerca di cessarlo.

Ma unendo le due cose ovvero che non è indifferente che ci sia o meno una realtà "fuori da ogni esperienza" e il fatto che il processo deve cessare... se il Nibbana non è qualcosa di positivo ma è la "semplice Cessazione" allora qui si è "nichilisti", ovvero il Summum Bonum è "la mera cessazione". Una interpretazione che è logica (e come sai per me è importante la logica) ma veramente "brutta". In fin dei conti questa interpretazione dice che "c'è la sofferenza e la cessazione della sofferenza". E alla domanda "rimane qualcosa dopo la cessazione?" la risposta è un secco "no". Secondo me è una visione delle cose veramente "macabra" (come se non fosse già poco terrificante la concezione del samsara!) e nichilista che il Buddha non può aver avuto. Ma è anche vero che rispettabili buddhisti sia antichi che moderni la accettano come "corretta interpretazione". Ma sinceramene mi sembra che si basi tutta su un infelice sofismo.   


Chiaramente l'interpretazione che ha esposto il Sari (e quindi per i theravada classici) non lo è. Non lo è nemmeno la mia. Ma direi che abbiamo già stabilito nel Topic del buddhismo che l'interpretazione nichilista non è corretta (ad ogni modo, non sono buddhista anche perché non riesco a mandar giù la concezione terrificante del samsara). Alla domanda "cosa rimane dopo la cessazione, secondo il Buddha?" la risposta è "non semplicemente la non-esistenza... ma, per così dire, uno stato indescrivibile". In fin dei conti il Dhammapada recita: "Nibbana è la somma beatitudine"!


Mi chiedo però, per curiosità, come il Madhyamaka per cui non c'è un "Nibbana" con una realtà "positiva" (o almeno non solo negativa, se dire "positivo" è troppo) come riesce a non essere "nichilista". D'altronde il Buddha del Canone Pali ci porta alla Cessazione di "bhava". Non alla sua continuazione in un'altra forma... Il "divenire" per il Canone Pali cessa. Forse il Mahayana dice che non è una vera cessazione (in fin dei conti i "due buddhismi" presentano evidenti differenze)... altrimenti tutto questo discorso della vacuità sinceramente non riesco a capire come faccia ad essere qualcosa che può ispirare, in fin dei conti mi pare che l'idea sia quella di far smettere il "ciclo". In fin dei conti "nirvana" è "estinzione", "nirodha" è cessazione ecc

Detto questo sto ancora meditando su quanto ha scritto il Sari (la mia interpretazione è piuttosto simile, in realtà). Detto questo in fin dei conti quello che conta è "vivere" secondo queste "idee" e la cosa non è per niente facile :(
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

"quello che conta è "vivere" secondo queste "idee" e la cosa non è per niente facile" ...scrive@Apeiron e la cosa non è facile per niente proprio perché sembra un sistema psicologico di "deprogrammazione". In un certo senso si è forzati ad andare contro il senso naturale e comune di percepire e vivere.  Non si tratta più di 'reagire' semplicemente ma di porre costante attenzione all'insorgere della catena del paticcasamuppada così da potersi 'staccare' dall'azione karmica che ne consegue. E il distacco dalla reazione/azione kammica diventa realmente il "cuore dell'Insegnamento". @Green non crede alla validità della meditazione come 'terapia' per giungere a questo 'distacco', ma essenzialmente la meditazione com'è intesa nel Buddhismo non tende a raggiungere 'qualcosa' ( come  stati sovrasensibili o beatitudini, anche se queste necessariamente intervengono come conseguenza della meditazione stessa...) ma bensì servirebbe a creare un'abitudine alla consapevolezza del nostro reagire inconsapevole allo stimolo del Pat. Uno degli effetti della pratica ( che deve essere continua e non saltuaria od occasionale...) è che, a lungo andare, la mente tende spontaneamente a 'rifugiarsi' in questo senso di 'distacco'. Quando questo diventa la sua 'casa' abituale anche le formazioni kammiche perdono la loro forza di condizionamento e di propulsione verso nuove azioni nocive ( dal punto di vista kammico che per il Buddhismo significa il ri-nascere continuo di stati mentali insalubri e di attaccamento...).
Questo penso sia anche il senso della famosa frase attribuita al Buddha che, quando gli è stato chiesto se poteva riassumere il suo insegnamento in un'unica frase, ha risposto: "Nulla a cui aggrapparsi".
@ Green, che ringrazio per la pazienza di essersi letto tutto il 'polpettone' sul paticcasamuppada da me postato, :D  ha una specie di allergia ad ogni forma di spiritualità che si organizza in religione istituzionalizzata ( e questo direi che è molto 'nicciano' senza  che anche lui si offenda per questa valutazione... ;D ). Personalmente tendo a distingurere i piani e distinguere le persone all'interno di un'istituzione stessa ( che poi non è altro che un insieme di persone che condividono una certa visione spirituale...). Facendo un'analogia ...è come trovarsi davanti un piatto pieno di pietanze, ma alcune di queste sono ben cotte e salutari e altre invece malcotte e nocive. Non trovo molto saggio gettare l'intero piatto per la presenza di ciò che è nocivo, ma bensì tenderò a cibarmi solo di quel che è salutare...( Che poi è il classico "non gettiamo anche il bambino insieme all'acqua sporca"...ovviamente bisogna anche ammettere che, soprattutto in certe epoche storiche, l'acqua era piuttosta lurida e il bambino molto piccolo... :().
Vorrebbe anche dire: non giudichiamo semplicemente sulla base di stereotipi ( non diventiamo atei semplicementi perché da piccoli un prete antipatico ci ha ripreso, come è successo a molte persone... ;D).
La "mistificazione" (Distorsione, per lo più deliberata, della verità e realtà dei fatti, che ha come effetto la diffusione di opinioni erronee o giudizî tendenziosi) può senz'altro essere stata il leit-motiv di molti sedicenti interpreti della spiritualità in cerca di potere e autorità, ma sicuramente non lo è stata per tutti e in particolare non per me ( che è la cosa su cui posso avere diretto controllo... :)), ma anche per molti che ho avuto la fortuna di conoscere...anche qui, si tratta sostanzialmente di distinguere il grano dalla pula...
Se poi uno ritiene che l'intera ricerca spirituale sia una buffonata, una perdita di tempo è ovviamente libero di pensarlo...
Su moltissime altre questioni sollevate dal vulcanico @Green ritornerò con calma ( perché ha aperto tantissime 'finestre' , peggio di un sistema operativo windows... ;D ).
Una cosa , per concludere: la riflessione buddhista è lenta, fa della lentezza il suo metodo, in quanto si poggia su un pensare essenzialmente intuitivo che si alimenta nella pratica stessa. Anche questo è in controtendenza con lo spirito attuale del mondo che richiede risposte immediate ( tra l'altro, a mio parere , è un problema che investe lo stesso Buddhismo attuale e che sicuramente nel passato ha giocato un suo ruolo nel sorgere di varie interpretazione all'interno ...) .
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#17
Inizio il mio "commentario" dell'"Abhidhamma-Sariputra"  ;D



PRIMA PARTE


SARIPUTRA
Per il Buddhismo questo processo gestisce l'evoluzione della materia, dei suoi fenomeni ma anche l'evoluzione della mente stessa, con tutti i suoi attributi e proprietà.
Tutti gli eventi che la coscienza può seguire sono contenuti in questo processo. Di più, direi, la coscienza stessa ne è contenuta. La "legge fondamentale", iniziale, che si manifesta nel processo è "anatta ( anatman)". Secondo il Buddhismo delle origini la coscienza è suddivisa in unità elementari , così come la materia, per es., è composta da atomi e questi si raccolgono in molecole e poi in cellula, in organo, ecc. così le unità elementari di coscienza hanno una durata di vita infinitesimale (un miliardesimo di secondo? Boh!... ).

APEIRON
Interessante... questo più o meno è come l'ho sempre capita io.  La PAT regola sia l'esistenza materiale che mentale. Nel caso dell'esistenza materiale ci è molto visibile perchè noi percepiamo "il mondo esterno": vediamo che perfino le montagne sono contingenti. Ben più difficile è vedere questo nell'aspetto "puramente mentale" della nostra esperienza - in particolare il "discernimento/coscienza/vi-jnana". Farei notare la particella "vi" che suggerisce la "discriminazione" - il creare distinzioni, dualità, la separazione. "Discernimento" appunto. Riprendendo una metafora che ho letto da Nanananda Thera ("Nibbana Sermons 21,22" - in inglese: https://www.dhammatalks.net/Books8/Bhikkhu_Nanananda_Nibbana_Sermon_22.htm): "Nello sconfinato oceano possiamo vedere un "qui" e un "là" solo in presenza di un vortice"(21) [Solo in presenza del "vortice" la nostra mente vede un interno ed un esterno]...finché c'è c'è un "qui" e un "là", sé stesso ed altro. Il vortice riflette il conflitto tra l'interno e l'esterno."(22)... La PAT però non è nient'altro che in ultima analisi la legge di causa-effetto, nell'accezione più generale possibile: se ogni stato mentale non esiste in modo indipendente esso è come un'onda nell'oceano. Non-differente ma non-ugule, non-uno e non-due.

SARIPUTRA
Proviamo a pensare una situazione concreta: Un tizio che ci pesta un piede in metropolitana o sull'autobus, inavvertitamente. Cosa proviamo? Un dolore violento al piedone. Che succede? Per la maggior parte di noi questo dolore fisico si accompagna ad un impeto di collera   . E' molto raro che compaia immediatamente uno stato di compassione, d'amore per il calpestatore, uno spirito bello tranquillo e accomodante. Quasi sempre sorge invece un senso di avversione, di irritazione e , a volte, pure di odio. Così prorompiamo in una parola dura o in un gestaccio . Qui osserviamo in azione paticcasamuppada , come avviene, schematizzando e semplificando il 'processo'. C'è una consapevolezza dolorosa e, immediatamente, sorge una sensazione spiacevolissima che l'accompagna. Non sappiamo perché, né come, ma probabilmente tutti ne abbiamo fatto l'esperienza. Sembra una cosa del tutto automatica. A seguito poi di questa collera nasce un'intenzione poco edificante ( che a volte, per fortuna , si ferma lì...), spesso malvagia: "Stai attento, scemo!", oppure:"Pezzo di imbecille!" o altro di poetico...
La situazione può andare avanti e arrivare alla 'vendetta', così affibiamo un bel calcione nella tibia al malcapitato, anche se non l'ha fatto apposta.

APEIRON
E dunque compreso il fatto che la nostra contingenza è la nostra realtà ci rendiamo conto che nella situazione che descrivi qui tutta la sofferenza pare nascere proprio dal non accettare che la Legge/PAT funziona proprio come dici tu... La PAT ci espone all'avversione: il nostro "vortice" si scontra con un altro "vortice" e inizia il conflitto. Ma anche se la metafora è molto forte, il suo limite lo si vede proprio qui! In fin dei conti il mulinello marino non soffre. Noi sì. E se per il mondo animale è impossibile riuscire a ragionare in abstracto in quanto nel mondo animale domina il solo intelletto che valuta l'azione concreta e immediata, nell'uomo c'è anche il logos, la ragione concettuale - che ci permette di ragionare in abstracto. E anche se per il buddhismo - a differenza del platonismo - l'astrazione è sempre astrazione non possiamo non notare come in realtà essa sia di fondamentale importanza nel buddhismo. Solo l'astrazione infatti ci permette di paragonare noi stessi con gli altri esseri umani e vedere come il "colpevole" di averci pestato il piede in realtà ha semplicemente fatto un errore, di cui noi non siamo immuni. Questo avviene anche senza l'esperienza diretta, grazie appunto al ragionamento in abstracto. Vediamo il principio generale della PAT in azione: o più precisamente ne "comprendiamo" in abstracto il funzionamento. Ma anche se alcuni individui riescono ad essere buoni per istinto, ad essere compassionevoli per istinto, ad immedesimarsi nell'altro senza mediazione concettuale - per chi non possiede questa "facoltà" la ragione è la via. Non appena ci si accorge che quello che ci ha pestato il piede pur non essendo uguale a noi, in realtà è molto simile - problematizziamo la collera. Se dunque comprendiamo la nostra sofferenza e riusciamo tramite la ragione concettuale a "comprendere" che gli altri sono simili a noi, vediamo che l'altrui sofferenza è molto simile alla nostra: in sostanza l'analisi della propria mente unita alla capacità di astrarre non solo ci fanno comprendere la nostra sofferenza e il nostro dolore ma anche l'altrui. Da qui si capisce come "prajna" (saggezza) e "karuna" (compassione) in realtà non sono così "lontane" come pensiamo. Tuttavia la bontà non può essere ridotta al ragionamento astratto: in fin dei conti il sadico usa la propria conoscenza astratta per un obbiettivo contrario. Senza tirare in ballo il sadico (ovvero il "malvagio") in realtà anche quando geniunamente abbiamo le migliori intenzioni, falliamo. E nemmeno la "buona volontà" in realtà ci "salva" dal cattivo comportamento, anche se è condizione direi necessaria per essere buoni: la volontà anche buona, è "debole" molto spesso! Questo è un interessante dilemma che interessa tutte le etiche per cui la conoscenza è virtù. Se infatti è grazie all'astrazione che io comprendo che l'altro soffre in certi modi, questo però automaticamente non mi rende "buono": nel cristianesimo c'è una interessante riflessione sull'"akrasia" - la "debolezza della volontà" - che non sono riuscito a trovare in altre filosofie così ben trattata e sviluppata. Nemmeno appunto nel buddhismo, dove però questa importante riflessione sembra essere a suo modo "implicita" nel principio per cui il "sentiero" non è solo conoscitivo e di saggezza ma è ottuplice. E la coltivazione sia della morale che della presenza mentale secondo il buddhismo aiutano a superare questo scoglio dell'akrasia. Perchè tra il capire in abstracto la PAT (o qualsiasi altro "dogma" buddhista e non solo) e arrivare a vivere in concreto la pratica - ovvero a rispondere con "buona volontà" (metta) anche a chi ci pesta il piede - c'è di mezzo il mare, come direbbe un noto proverbio...

CONTINUA...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#18
cit.Apeiron:
Non appena ci si accorge che quello che ci ha pestato il piede pur non essendo uguale a noi, in realtà è molto simile - problematizziamo la collera. Se dunque comprendiamo la nostra sofferenza e riusciamo tramite la ragione concettuale a "comprendere" che gli altri sono simili a noi, vediamo che l'altrui sofferenza è molto simile alla nostra: in sostanza l'analisi della propria mente unita alla capacità di astrarre non solo ci fanno comprendere la nostra sofferenza e il nostro dolore ma anche l'altrui. Da qui si capisce come "prajna" (saggezza) e "karuna" (compassione) in realtà non sono così "lontane" come pensiamo...

La compassione, che è uno dei cardini dello sviluppo nel Mahayana del Buddhismo ( ma che è presente anche nel Theravada seppur con accenti diversi...), è un elemento centrale dell'insegnamento del Buddha. Sappiamo che quattro sono i punti fondamentale nei quali si sviluppa questo Insegnamento:
-una vita etica
-la consapevolezza profonda dell'impermanenza di tutti i fenomeni
-la pratica
-il sostegno della fede
Con "vita etica" ( o pratica di sila ) s'intende, nel Buddhismo, un atteggiamento di base verso tutta la realtà ( quindi dentro e fuori di noi...) che ci veda come "genitori". Essere padri e madri di ogni situazione che attiviamo direttamente e  , con un certo livello di coinvolgimento, di tutte le persone, esseri senzienti e cose con cui veniamo in contatto.
La caratteristica che distingue il genitore è proprio quella di "aver cura",  di nutrire una piena accoglienza nei confronti dei figli. Oltre all'accoglienza e alla cura c'è il "prestar attenzione" , essere quindi mentalmente presenti al sorgere della sofferenza ( propria e altrui...).
Per questo viene spesso usata la metafora del genitore per spiegare la concezione della compassione (karuna) proposta dal buddhismo...
Il vero genitore non è però solamente uno che accoglie ma anche infatti uno che si attiva per il figlio;  la parola karuna deriva dal verbo karoti (fare) e indica quindi non solo l'accoglienza ma anche , per l'appunto, la cura, il darsi da fare, il sorreggere. Nel momento in cui l'unione della saggezza (panna/prajna) sorta sulla visione dell'impermanenza, e quindi della sofferenza, si unisce con la karuna della compassione, prende forma la risposta appropriata: darsi da fare per alleviare la sofferenza altrui. Cercare di operare per dare sollievo alla sofferenza e avere un'iniziativa in tal senso. Si può però avere una compassione saggia o una compassione stupida propria in relazione al grado di saggezza sviluppato. Se opero senza alcuna aspettativa di ricompensa personale ( psicologica o materiale...) sarà uno sviluppo saggio della compassione, viceversa potrò certo dare sollievo lo stesso all'altrui sofferenza ( per esempio un medico che pretende di essere pagato profumatamente per le sue cure...)ma questo non farà che alimentare il mio attaccamento e ricerca di piacere personale e quindi, in definitiva, non farà che creare altra sofferenza a me stesso...
Sulla differenza di enfasi tra il Buddhismo degli anziani e il Mahayana sulla pratica della compassione, sono portato a vederli come momenti diversi che si presentano nell'esistenza di ognuno. A volte sentiamo il bisogno di 'aver compassione' di noi stessi ( e quindi dedicheremo più tempo alla solitudine , al silenzio e alla pratica della meditazione...), altre volte sentiremo invece più profonda la necessità di operare per cercare di dare sollievo alla sofferenza di chi ci circonda ( a partire dai più vicini, ovviamente...).
Un altro aspetto molto importante è quello del "non creare altra sofferenza". Non si tratta quindi solo di agire per alleviare e dare sollievo , ma anche sviluppare la capacità di intecettare tutti quei momenti in cui la paticcasamuppada ci farebbe agire inconsapevolmente come costruttori di nuova sofferenza. E qui entra in campo la pratica della meditazione... :)
La coerenza logica con cui Siddhartha sviluppa il suo Insegnamento è, ancor oggi, dopo 25 secoli, capace di stupirmi... :o
Come amo quest'uomo!!...(in senso spirituale s'intende...) ;D  ;D

P.S. Sono andato ampiamente fuori tema, come al solito e...mi sembra quasi che io stia assumendo un tono predicatorio!  :-\  :-\
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

green demetr

cit sari
"Vorrebbe anche dire: non giudichiamo semplicemente sulla base di stereotipi ( non diventiamo atei semplicementi perché da piccoli un prete antipatico ci ha ripreso, come è successo a molte persone... ;D).
La "mistificazione" (Distorsione, per lo più deliberata, della verità e realtà dei fatti, che ha come effetto la diffusione di opinioni erronee o giudizî tendenziosi) può senz'altro essere stata il leit-motiv di molti sedicenti interpreti della spiritualità in cerca di potere e autorità, ma sicuramente non lo è stata per tutti e in particolare non per me ( che è la cosa su cui posso avere diretto controllo... :)), ma anche per molti che ho avuto la fortuna di conoscere...anche qui, si tratta sostanzialmente di distinguere il grano dalla pula...
Se poi uno ritiene che l'intera ricerca spirituale sia una buffonata, una perdita di tempo è ovviamente libero di pensarlo...
Su moltissime altre questioni sollevate dal vulcanico @Green ritornerò con calma ( perché ha aperto tantissime 'finestre' , peggio di un sistema operativo windows... ;D )."


Ma vediamo di spiegarmi di meglio.

Certamente sono un allievo di Nietzche, partito dall'induismo e convertitomi alla filosofia, mi sono accorto, che non si poteva ignorare l'errore metafisico. Dopo 10 anni di blocco di pensiero, sono "tornato al lavoro" da circa 8 anni.

Quindi per me la discussione, anche la discussione sul Buddhismo, per me è una modalità dell'esercitazione del pensiero.

Procedo molto lentamente per questioni personali, ossia per quello che 
 il reale ha da offrirmi. Molto poco in verità.
Non per che nego la vita, anzi mi sento in fin dei conti un privilegiato.
Ma nel senso delle aspirazioni, che devono portare a qualcosa di reale. Di più alto.

In questo senso, non mi rimane che riprendere tutta la tradizione filosofica, e anzitutto leggerla.

Poichè è un esercizio piuttosto abbruttente, ho deciso di aprire ad altri orizzonti.

Così ho pensato prima alla Bibbia, poi all'Alchimia che ne è strettamente relata, poi grazie a voi al Buddhismo e poi mi son detto perchè non tornare i testi della mia infanzia-adolescenza.

Mi sento come un osservatore, un sismologo, che scandaglia le profondità, dietro le apparenze.

Quando dico che non sono interessato ai maestri, non lo dico perchè i maestri sono in qualche maniera il problema.

Semplicemente essendo maestri essi parlano di cose semplici.
E non è quello il mio ramo.

Non ho mai buttato l'acqua sporca con il bambino.

Essendo il bambino la ricerca spirituale, e l'acqua sporca le mistificazioni morali.

Anzi le distinguo nettamente.

Parimenti non sono così interessato al lato fisicalista dei mondi superiori. (non sono interessato a che siano veri o meno)
Mi interessa piuttosto come questi mondi superiori si relazionino con il singolo. Con il soggetto cioè, che ognuno di noi è.
Perchè è nella verità di relazione, che il singolo sente se è sulla strada maestra o meno.

In generale il buddhismo mi pare che non ammetta la relazione, perchè siamo come dentro una specie di matrioska.

Ma nonostante questo la relazione all'interno di questa matrioska, sussiste.

Quindi benchè non sia interessato al fatto che dicano che non esiste relazione, mi interessa come elaborano la relazione all'interno di questa presunta non-relazione.

Invece mi pare tu Sari sia più interessato al lato morale, alla limitazione dei piaceri.

Ma è vero? ti chiedo semplicemente. E' vero che all'interno delle limitazioni dei piaceri esiste la vera relazione?
O non è forse come io credo esattamente il contrario.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Sariputra

Quindi per me la discussione, anche la discussione sul Buddhismo, per me è una modalità dell'esercitazione del pensiero.

Per me invece non può essere che stimolo per cambiare ( me stesso). Esercitare il pensiero è secondario, non è il mio problema principale. Il pensare è importante, ma non siamo 'solo' pensiero, a parer mio. Se ci riduciamo a questo avremo solo risposte intellettuali che però non saranno in grado di trasformarci seriamente ( come la storia dell'uomo ha dimostrato, purtroppo...). Come mettersi un nuovo vestito sopra un corpo che puzza perché non è stato lavato... :)

Quando dico che non sono interessato ai maestri, non lo dico perchè i maestri sono in qualche maniera il problema.
Semplicemente essendo maestri essi parlano di cose semplici.
E non è quello il mio ramo.


Sì, diciamo che si intuisce  ;D ... Ma sei sicuro che 'complessità' faccia sempre rima con 'profondità'? Mi sembra che, a volta, molte cose che rendiamo complesse in realtà troverebbero soluzioni che riteniamo semplici ( e pertanto le snobbiamo...).

In generale il buddhismo mi pare che non ammetta la relazione..

Al contrario, proprio la comprensione della famosa "catena" ci dimostra che noi siamo anche il prodotto di una continua relazione con tutto ciò che viene a colpire la coscienza. Ed è proprio perché siamo in relazione che assume importanza l'etica/moralità/virtù, chiamiamola come vogliamo ( loro usano semplicemente il termine sila...).
Spesso parli di una "comunità di amici", ma questa comunità potrebbe stare insieme senza il collante di questa sila ? Se all'interno di una comunità ognuno esprime la ricerca della propria personale massima soddisfazione ( di ogni tipo di 'piacere', dal sensoriale all'intellettuale...) è realmente possibile che non sorga conflitto, che è sinonimo di divisione?...
Come ho scritto sopra, se intendo l'etica come un "prendersi cura" devo necessariamente moderare il mio 'appetito' per il piacere e costringermi a fare anche cose che non mi danno piacere, tipo...è 'morale' che in un paese la gente getti l'immondizia nei canali  e nelle rogge che servono per l'irrigazione dei campi?  Certo non è 'piacevole' dover separare i rifiuti e magari fare strada per portarli negli appositi contenitori, è molto più semplice prenderli e gettarli nel canale, meno fastidioso, mi crea meno sacrificio di tempo ...Ecco, per un buddhista sila non è semplicemente 'ridurre la ricerca del piacere' in vista di un risultato , ma proprio quella cosa che serve per creare armonia in una comunità. Il mio 'moderare' lascia spazio anche alla necessità dell'altro...
La mancanza di sila la trovi dappertutto...in una famiglia in cui si continua a litigare perché ognuno dei membri ritiene che i suoi desideri siano frustrati dalla presenza dell'altro c'è mancanza di sila. Balza all'occhio nell'odierno atteggiamento egoistico, nello sfruttamento di un individuo sull'altro, nelle contese tra gruppi in difesa di interessi di parte. Questa mancanza di moralità si coglie in tutte le categorie: studenti, insegnanti, amministratori, negozianti, clienti, avvocati, poliziotti , giudici, ecc...Come conseguenza ci si accusa a vicenda di non occuparsi dei problemi della società. Si accusa la politica, l'economia e così via , senza accorgersi che uno dei motivi principali è la mancanza di sila, di moralità/etica. Se anche un sistema politico fosse sano, uomini senza moralità potrebbero essere governati?...Le cose non funzionerebbero lo stesso...
Il termine sila è interessante perché significa pure qualcosa come normalità e quindi ha un significato come di coincidenza con la natura, di equilibrio. Ciò che porta all'equilibrio e non alla confusione è detto appunto sila..( equilibrio nei pensieri, parole e azioni). Quindi equilibrio di relazioni... 

Invece mi pare tu Sari sia più interessato al lato morale, alla limitazione dei piaceri.


Praticare sila, ossia una vita morale, la vedo come l'unica possibilità per 'fare spazio', ossia vivere una vita che cerca armonia e non conflitto. Se ho fatto spazio posso accogliere l'altro ( ma non solo le persone, l'altro nel senso più ampio che coinvolge il mio rapporto con la realtà naturale in toto...).  Ci sono arrivato perché, per lunghi anni, non ho mai lasciato alcun spazio all'altro , dentro di me, e non vedevo aumentare la mia felicità , ma la vedevo sempre diminuire...temevo d'"impoverirmi"; che poi è sempre il solito problema del restare aggrappato...del voler controllare.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

green demetr

Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2018, 09:45:43 AM
Quindi per me la discussione, anche la discussione sul Buddhismo, per me è una modalità dell'esercitazione del pensiero.

Per me invece non può essere che stimolo per cambiare ( me stesso). Esercitare il pensiero è secondario, non è il mio problema principale. Il pensare è importante, ma non siamo 'solo' pensiero, a parer mio. Se ci riduciamo a questo avremo solo risposte intellettuali che però non saranno in grado di trasformarci seriamente ( come la storia dell'uomo ha dimostrato, purtroppo...). Come mettersi un nuovo vestito sopra un corpo che puzza perché non è stato lavato... :)

Quando dico che non sono interessato ai maestri, non lo dico perchè i maestri sono in qualche maniera il problema.
Semplicemente essendo maestri essi parlano di cose semplici.
E non è quello il mio ramo.


Sì, diciamo che si intuisce  ;D ... Ma sei sicuro che 'complessità' faccia sempre rima con 'profondità'? Mi sembra che, a volta, molte cose che rendiamo complesse in realtà troverebbero soluzioni che riteniamo semplici ( e pertanto le snobbiamo...).

In generale il buddhismo mi pare che non ammetta la relazione..

Al contrario, proprio la comprensione della famosa "catena" ci dimostra che noi siamo anche il prodotto di una continua relazione con tutto ciò che viene a colpire la coscienza. Ed è proprio perché siamo in relazione che assume importanza l'etica/moralità/virtù, chiamiamola come vogliamo ( loro usano semplicemente il termine sila...).
Spesso parli di una "comunità di amici", ma questa comunità potrebbe stare insieme senza il collante di questa sila ? Se all'interno di una comunità ognuno esprime la ricerca della propria personale massima soddisfazione ( di ogni tipo di 'piacere', dal sensoriale all'intellettuale...) è realmente possibile che non sorga conflitto, che è sinonimo di divisione?...
Come ho scritto sopra, se intendo l'etica come un "prendersi cura" devo necessariamente moderare il mio 'appetito' per il piacere e costringermi a fare anche cose che non mi danno piacere, tipo...è 'morale' che in un paese la gente getti l'immondizia nei canali  e nelle rogge che servono per l'irrigazione dei campi?  Certo non è 'piacevole' dover separare i rifiuti e magari fare strada per portarli negli appositi contenitori, è molto più semplice prenderli e gettarli nel canale, meno fastidioso, mi crea meno sacrificio di tempo ...Ecco, per un buddhista sila non è semplicemente 'ridurre la ricerca del piacere' in vista di un risultato , ma proprio quella cosa che serve per creare armonia in una comunità. Il mio 'moderare' lascia spazio anche alla necessità dell'altro...
La mancanza di sila la trovi dappertutto...in una famiglia in cui si continua a litigare perché ognuno dei membri ritiene che i suoi desideri siano frustrati dalla presenza dell'altro c'è mancanza di sila. Balza all'occhio nell'odierno atteggiamento egoistico, nello sfruttamento di un individuo sull'altro, nelle contese tra gruppi in difesa di interessi di parte. Questa mancanza di moralità si coglie in tutte le categorie: studenti, insegnanti, amministratori, negozianti, clienti, avvocati, poliziotti , giudici, ecc...Come conseguenza ci si accusa a vicenda di non occuparsi dei problemi della società. Si accusa la politica, l'economia e così via , senza accorgersi che uno dei motivi principali è la mancanza di sila, di moralità/etica. Se anche un sistema politico fosse sano, uomini senza moralità potrebbero essere governati?...Le cose non funzionerebbero lo stesso...
Il termine sila è interessante perché significa pure qualcosa come normalità e quindi ha un significato come di coincidenza con la natura, di equilibrio. Ciò che porta all'equilibrio e non alla confusione è detto appunto sila..( equilibrio nei pensieri, parole e azioni). Quindi equilibrio di relazioni...

Invece mi pare tu Sari sia più interessato al lato morale, alla limitazione dei piaceri.


Praticare sila, ossia una vita morale, la vedo come l'unica possibilità per 'fare spazio', ossia vivere una vita che cerca armonia e non conflitto. Se ho fatto spazio posso accogliere l'altro ( ma non solo le persone, l'altro nel senso più ampio che coinvolge il mio rapporto con la realtà naturale in toto...).  Ci sono arrivato perché, per lunghi anni, non ho mai lasciato alcun spazio all'altro , dentro di me, e non vedevo aumentare la mia felicità , ma la vedevo sempre diminuire...temevo d'"impoverirmi"; che poi è sempre il solito problema del restare aggrappato...del voler controllare.

Non apprezzo la semplicità sono uno "scorpioncino"(che in astrologia è un segno delle inferiorità).
Pago pegno  ;) per assurdo per apprezzare la semplicità devo fare uno sforzo terribile.  :'(

+ + +

Certamente la vita non è solo pensiero, ma per vivere c'è bisogno oggi di pensiero.
(filosoficamente parlando, sposo la tesi di Zizek, per cui se il mondo capitalista vuole che smettiamo di pensare, allora invece che agire, dobbiamo fermarci e pensare.)

+ + +

La comunità degli amici ha una etica, ma è quella insegnata da Nietzche. Non dai preti.
Proprio per questo il conflitto fa parte integrante dell'etica nicciana.
Laddove non c'è conflitto non c'è etica. E quindi non c'è comunità.

+ + +

La mancanza di moralità dei preti, si riscontra ovunque, perchè non esiste in quanto moralità. E' solo una volontà di potenza, de-pensata: è questo il vero motivo di condanna.

+ + +

Io intendo la morale sessuofoba. Non fare il solito giochetto, di fraintendere la civiltà con la vera meta dell'essere umano: la donna.
Comunque non insisto, non mi pare il caso, le tue risposte sono già esplicative in sè.
Nulla che possa impedire il dialogo. Basta non toccare questo tasto. ;)

+ + +

Mi sembra che sottovaluti il messaggio stesso del Pat. se però dici che siamo tutti all'interno della causalità, infatti in realtà non esiste alcuna causalità.

Non ho ancora capito se per te Dio esiste o meno.

Da quanto avevi scritto mi pareva di no, ma ora forse devo dedurre, che in realtà sì, tu pensi che esista, come lo pensa Apeiron.

Ovviamente sono distante da entrambe le vostre posizioni, perchè portano esattamente alla stessa funzione del cristianesimo, ossia ad effettuare l'elenco di ciò che è giusto o sbagliato.

Ritengo molto interessante invece proprio il fatto che se nulla esiste (e dunque anche la morale) allora quale possa essere la morale nuova libera sotto il cielo?

Certo penso al fumetto Ikkyu, che continuerò a citare fin che non lo leggerete!!!!
Una pietra miliare del fumetto, e della cultura tutta.
Un capolavoro di compassione vera!

Grrrr datevi da fare    ;D  ;D  ;D

+ + +

Trovare l'equilibrio è importante. Su questo concordiamo.

Forse da giovani è più facile, non mi riesce più  :-[

Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

cit apeiron

"In fin dei conti questa interpretazione dice che "c'è la sofferenza e la cessazione della sofferenza". E alla domanda "rimane qualcosa dopo la cessazione?" la risposta è un secco "no". Secondo me è una visione delle cose veramente "macabra" (come se non fosse già poco terrificante la concezione del samsara!) e nichilista che il Buddha non può aver avuto. Ma è anche vero che rispettabili buddhisti sia antichi che moderni la accettano come "corretta interpretazione". Ma sinceramene mi sembra che si basi tutta su un infelice sofismo."  

ciao Apeiron

Forse hai perso il segmento della mia rispota bluemax dove ti tiravo in ballo.
Infatti mi autocito:

cit  Green

"Il secondo caso è invece quello più interessante ed è quello su cui sto lavorando.

E si può seguendo le mie discussioni (con Apeiron sopratutto) dividere in ulteriori 2 soluzioni.

Le soluzioni hanno in realtà una variabile in comune ma 2 risultati diversi.

La variabile è che la vacuità sia la complementarità. Ossia che qualcosa si presenti come forma, ma che questa forma sia solo una parte che noi possiamo vedere (percepire).

Questo avrà per risultato che O ciò che noi non possiamo percepire è NULLA O che ciò che non possiamo percepire sia QUALCOSA.

(e che equivale alla famosa questione occidentale di Leibniz mi pare, perchè NULLA e non QUALCOSA????

Mi par di poter dire che qui si possa innestare la discussione che abbiamo ribatezzato del nichilismo o meno del BUDDISMO.

Per Apeiron, ovviamente la variabile è qualcosa, di indagabile a livello fisico.

"

Credo che questa tua lettura sia parimenti leggibile/Interpretabile.


Buon lavoro! Ti seguo.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Sariputra

#23
cit.Green demetr:
La comunità degli amici ha una etica, ma è quella insegnata da Nietzche. Non dai preti.
Proprio per questo il conflitto fa parte integrante dell'etica nicciana.
Laddove non c'è conflitto non c'è etica. E quindi non c'è comunità.


Non capisco cosa c'entrano i preti con la definizione che ho cercato di dare di sila...va bene che Nietzsche aveva l'ossessione verso i preti, ma il mio discorso non aveva nulla a che fare con i preti...
Devi però spiegare cos'è concretamente, nella fattibilità, l'etica nicciana. Ovviamente al di là della mera utopia...
Se c'è conflitto come costruisci "comunità" ? Almeno in quello che s'intende per comunità ossia: "Insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni". Il termine "unite" indica la possibilità del conflitto?...
Capisco che N. possa essere stato un genio, il sommo, ecc. e mi dirai che è troppo per me, che non capisco una mazza, che è meglio che lasci perdere , ma ...concretamente la risposta ...qual'è? Come si attua, si organizza, si fa esperienza possibile questa utopistica comunità di amici fondata sull'etica del conflitto continuo ?

Io intendo la morale sessuofoba. Non fare il solito giochetto, di fraintendere la civiltà con la vera meta dell'essere umano: la donna.
Comunque non insisto, non mi pare il caso, le tue risposte sono già esplicative in sè.


Io invece parlavo di moralità in senso generale. Proprio come possibilità di vivere insieme in armonia, senza violenza e sopraffazione. Non ho nemmeno menzionato il sesso. Comunque il sesso non è mai stato, storicamente, un grande problema per i buddhisti... ;D E' semplicemente considerato una manifestazione del desiderio, come altre...
Non puoi generalizzare. La "donna" sarà magari la vera meta di molti ( o quella di N. che sembra avesse i suoi bei problemi al riguardo... ;D ) ma come fai a sostenere che è l'ossessione di tutti?...( per inciso credo che sia un problema grosso per chi ha poco...diciamo...dimestichezza  ;)  su cos'è, alla fine, la sessualità...ehm!).

Non ho ancora capito se per te Dio esiste o meno.

La mia posizione  è perfettamente riassunta nel paragone dell'uomo colpito da una freccia. Bisogna levare la freccia prima di chiedersi chi l'ha scagliata, da quanto lontano, con che legno era fatto l'arco, quanti anni aveva l'arciere . Prima di conoscere...sarai morto! Bisogna levare la freccia...altrimenti non ti resta che creare una divinità e supplicare che ti levi la freccia...ma di solito...non risponde! :)
Ritengo che ci sia, una volta levata la freccia, la possibilità di conoscere qualcosa di "vero". Ma non c'è formula verbale per definirlo...al massimo per indicarlo.

Ritengo molto interessante invece proprio il fatto che se nulla esiste (e dunque anche la morale) allora quale possa essere la morale nuova libera sotto il cielo?

Credo che , per il momento, come io sono lontano dal comprendere Nietzsche, tu lo sia parecchio dal comprendere il significato di vacuità ( shunya) come è interpretato nel Buddhismo. :)
Comunque, non preoccuparti, non lo capiscono neanche un buon 80% degli stessi buddhisti...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#24
@green demetr, ti rispondo velocemente.

Per come interpreto io la questione della vacuità, secondo me ci dice che ogni nostra possibile concettualizzazione delle cose è inconsistente (anche se certe concettualizzazioni sono migliori delle altre*). In fin dei conti i nostri concetti sono "fissi" e "stabili", mentre la realtà è chiaramente in divenire. In un certo senso come il buon vecchio Cratilo diceva, a rigore, "non è possibile toccare una volta lo stesso fiume"...  
Ma non direi che la vacuità per me è "nulla". Anzi sono d'accordo che è proprio grazie al fatto che "non abbiamo una natura fissa" ci è possibile evolvere ecc. In un certo senso il fatto che siamo "vuoti di natura fissa" può essere vista come potenzialità (in un certo senso forma e vacuità forse si possono dire certamente "complementari"). Tuttavia a livello veramente ultimo anche dire ciò è "incoerente".

Quello che non mi torna è che da un lato il Madhymaka (una branca del buddhismo "Mahayana") sembra dirci che dobbiamo cercare di fare in modo che tale "flusso" scorra "naturalmente", ovvero senza l'"ostacolo" dovuto al nostro tentativo di afferrare le cose (e se tutto fluisce in questo modo, già nominare le cose ci può dare l'illusione che esse siano fisse!). Dalla lettura delle "suttas" del Canone Pali invece mi pare che l'idea sia di fare in modo che questo processo cessi, termini. Il problema è che se unisci le due cose viene fuori che "tutto cessa". In questo senso c'è il rischio del nichilismo, secondo me (ovviamente non sarebbe un "nichilismo" a livello morale, etico... ma, per così dire, ontologico). E sinceramente il Madhyamaka mi pare molto coerente ma non riesco a conciliarlo con la visione delle cose del Canone Pali senza scivolare nel nichilismo.

*nel senso che per il buddhismo chiaramente dire che "ogni cosa condizionata è impermanente" è "retta visione". Tuttavia per il Madhyamaka che si fonda sulla vacuità strettamente parlando non ci sono a livello ultimo "cose", ma solo a livello convenzionale. Tuttavia a livello convenzionale dire che "una fiamma (che è un fenomeno condizionato) è permanente" è chiaramente sbagliato. Se pensi poi all'etica (sila) il buddhismo chiaramente non né un relativismo epistemologico né etico (e quindi non è ovviamente un nichilismo etico).

Ad ogni modo aggiungo che sono d'accordo col @Sari sulla questione della moralità. Secondo me non stai considerando che forse una vita virtuosa può dare un piacere che molti altri piaceri non saranno mai in grado di eguagliare (purtroppo già seguire i cinque precetti non è facile  ;D ). In fin dei conti tutti i "moralisti" dell'antichità, greci (e cristiani...) compresi, ritenevano che seguire i "precetti morali" aiutava a raggiungere l'eudaimonia, ovvero la felicità autentica.

Riguardo a Dio... sinceramente ho un'opinione simile a quella del @Sari. Non avendo mai avuto un'esperienza che non mi abbia fatto credere veramente all'esistenza di un Dio Personale non posso dire di crederci anche se riconosco che, per esempio, proprio il problema degli universali (e quindi anche del "platonismo matematico") è un argomento a favore. Un Dio "non-personale" è una posizione più vicina alla mia, ovvero ad un "qualcosa" che trascenda il divenire, ovvero il "trascendente" e che sia il "Summum Bonum". Ma sto anche veramente apprezzando l'idea buddhista di una "trascendenza" senza necessariamente un "trascendente" e che questa trascendenza senza necessariamente trascendente sia il "Summum Bonum"**  ;) come vedi sono piuttosto confuso e indeciso (cerco tra l'altro di tenermi aperto alle varie possibilità). Ma cerco di non essere troppo ossessionato dal problema, altrimenti rischio di essere come l'uomo colpito dalla freccia di cui parla il @Sari.

P.S. ** ovviamente purtroppo per la mia "fissa" con la questione del "nichilismo" la cosa non è molto semplice  ;D :(
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

#25
@green,

per fare un sommario.

Le suttas del Canone Pali (in realtà il "Canone Pali" contiene anche l'Abhidhamma che sono i primi "commentari") asseriscono la cessazione dell'ignoranza, dell'avversione e della brama conducono al Nirvana "in vita" (o "con residui"). Alla morte fisica per uno che è privo di ignoranza, avversione e brama c'è la "cessazione" dell'esistenza samsarica ("bhava") e in effetti un sinonimo del "nirvana senza residui" è "bhavanirodha". La tradizione Theravada (dall'Abhidhamma in poi) non asserisce che tale "cessazione" equivale al "nulla" (come lo intendiamo noi occidentali ovvero come "non-essere", il nero nulla...) ma rimane l'unico "fenomeno" (dhamma) incondizionato, il "Nirvana".

Il buddhismo Madhyamaka invece dice che non ci sono "cose" nel senso ultimo perchè non è possibile trovare una "cosa" che sia effettivamente "distinta" e "fissa" (e quindi nemmeno il "Nirvana"). La realtà è un po' come un enorme fiume, un inarrestabile divenire. Noi soffriamo perchè mal comprendiamo questo continuo divenire e mutare, assumendo anche a livello inconscio che ci siano "cose" distinte, fisse ecc. Paradossalmente però non essendoci cose "distinte e fisse" si conclude che in realtà niente in realtà sorge, niente in realtà cessa o viene distrutto. Allo stesso tempo però non si può dire che tutto si riduca ad una "cosa" che non sorge e non cessa o che ci sia qualcosa "dietro" il flusso dei fenomeni che non sorge e non cessa. Il che pensando ad una ontologia che tratta di processi e non di cose ha anche il suo senso. Chiaramente il "flusso" è anche mentale ed è proprio grazie al fatto che non ci sono "ostacoli fissi" che il flusso può, per così dire "vivere". L'idea che in genere sta dietro al Mahayana in generale (e ovviamente al Madhyamaka essendo una sottoscuola) è che l'obbiettivo è "vedere le cose nel modo giusto" e quindi di per sé ciò non implica la cessazione completa del "flusso".

Il punto è che se porti l'ontologia del Madhyamaka nelle "suttas" (del Canone Pali) ottieni che non c'è nient'altro che il processo che alla "totale liberazione" cessa! ::)

Per non cadere dire che nirvana="mera assenza" ci sono credo due soluzioni:
1) ammettere che ci sia un "Nirvana" incondizionato, che non sorge e non cessa...
2) che quello che si arresta non è il fluire in sé, ma solo un modo in cui tale fluire avviene. Ma il flusso in sé non cessa.

Ovviamente in ambo i casi si può interpretare cosa "realmente significa" tale soluzione.

La tua proposta di vedere forma e vuoto complementarsi somiglia alla seconda soluzione.  


Più chiaro adesso il mio "dubbio" con questi due messaggi?  ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

cit sariputra
"Non capisco cosa c'entrano i preti con la definizione che ho cercato di dare di sila...va bene che Nietzsche aveva l'ossessione verso i preti, ma il mio discorso non aveva nulla a che fare con i preti...
Devi però spiegare cos'è concretamente, nella fattibilità, l'etica nicciana. Ovviamente al di là della mera utopia..."

Ne sto parlando, a volte condividendo, a volte scontrandomi, con Garbino, sul 3d, quale filosofia per il futuro.
Nella mia interpretazione significa andare oltre il discorso paranoico.
Ritengo Nietzche lo abbia fatto. Cioè abbia affrontato di petto il discorso paranoico.
(in teoria le basi per lavorare ce le ho da febbraio scorso, ma per darti idea di quanto per me sia penoso proseguire, sono fermo alle premesse).
Detto questo, è per dovere di precisazione, nel buddhismo, e nell'induismo non possiamo proseguire su questi binari.
Infatti per "loro" il problema non esiste.
Diciamo che mi interessa la saggezza che scaturisce da un percorso di meditazione, più che da una prassi etica.
Mi pare inutile qua affrontare una tematica complessa come quella nicciana.

cit sariputra
"Capisco che N. possa essere stato un genio, il sommo, ecc. e mi dirai che è troppo per me, che non capisco una mazza"

Ma queste cose potevo pensarle a 18 anni, non a 40....
Semplicemente credo che tu abbia interessi diversi.
E con interessi intendo proprio "uno stare nel mondo".
Per questo mi piace dialogare con te.

cit sariputra
"ma ...concretamente la risposta ...qual'è? Come si attua, si organizza, si fa esperienza possibile questa utopistica comunità di amici fondata sull'etica del conflitto continuo ?"

Il conflitto ovviamente non è inteso uno contro l'altro a livello fisico, ma a livello di preconcetti. Ammesso che la comunità, che per Nietzche, ovviamente, è da venire, sia consapevole del problema a monte dello "stare insieme".

cit sariputra
"Insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni".

Non intendo certo questo. Per me questo è impossibile, non tanto a livello organizzativo, quanto per via del crocevia degli interessi.
Che sono direttamente influenzati dalla società in cui viviamo.
Una società edonista, come scopo avrà il piacere di tutti, e qualsiasi "devi" ipotizzabile, sarà sempre un controsenso.
Che poi nella realtà l'edonismo è per pochi è solo un dettaglio.
Non fare i conti con questo è per me sognare ad occhi aperti di nuove forme di civiltà. E comunque sia mi pare più un discorso politico.
Che spirituale.

cit sariputra
"ma come fai a sostenere che è l'ossessione di tutti?"

Sarà per via della forte impressione che Freud, Marcuse, Reich hanno avuto su di me. ;)
Ovviamente non è detto affatto. Infatti in realtà la mia è una posizione un pò più "morbida".


cit sariputra

"Credo che , per il momento, come io sono lontano dal comprendere Nietzsche, tu lo sia parecchio dal comprendere il significato di vacuità ( shunya) come è interpretato nel Buddhismo. :)
Comunque, non preoccuparti, non lo capiscono neanche un buon 80% degli stessi buddhisti..."

Ah ah beh ci ho provato ;)

Rimaniamo sintonizzati sul tema però!  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

cit Apeiron
"Più chiaro adesso il mio "dubbio" con questi due messaggi?"

Mica tanto  :-[

Vediamo di fare domande più semplici per poi reimmentterle nel discorso generale.

Allora tu mi pare propenda di più per questa visione del tutto in divenire.
E che non ti torni perchè poi sia necessaria la nichilazione del "tutto cessi!".
E non del "tutto scorra!".

Mi pare una domanda legittima.

Non ho idea di come mai la tradizione abbia sviluppato questo ulteriore (non necessaria?) distinzione.

Forse perchè proviene proprio dall'insegnamento Induista.

Infatti ho scaricato un paio di giorni fa la biblioteca buddista, e ho letto che il buddismo è considerato una branca dell'induismo, una forma non ortodossa.
Pensavo fossero distinte, ma in effetti anche ad un primo sguardo non lo sono affatto.  :)

Una curiosità ma il buddismo non ha una cosmologia?
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Apeiron

@Green scrivi:
Allora tu mi pare propenda di più per questa visione del tutto in divenire.
E che non ti torni perchè poi sia necessaria la nichilazione del "tutto cessi!".
E non del "tutto scorra!".

Mi pare una domanda legittima.


Esatto! La tradizione Mahayana - quella che tu tempo fa hai chiamato "sociale"* - dice appunto che "tutto è in divenire". La "cessazione" in questa tradizione è la cessazione di un modo di esistenza.
La tradizione Theravada - quella che chiamavi "elitaria"* - dice che l'obbiettivo è la "cessazione della sofferenza" che causa la cessazione del "divenire". Quest'ultima non scivola nel nichilismo perchè quando "tutto cessa", in realtà "si mostra", per così dire, l'Incondizionato.  


*https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/buddhismo/135/


Se però devo limitarmi all'esperienza mi accorgo che - a parte forse le "leggi della fisica" e poco altro - tutto nella mia esperienza scorra (sottolineo "esperienza" perchè è qui che ci si concentra)! E che quindi è più semplice (Rasoio di Ockam) l'ontologia del buddhismo "sociale". D'altro canto però c'è abbastanza "evidenza" per dire che molto probabilmente la variante Theravada è quella più antica (e quindi è più facile che rappresenti meglio il pensiero del Buddha). Ora se dunque metti le cose assieme, ovvero vuoi tenere da una parte la "storicità" e dall'altra la "semplicità" ottieni che tutto ciò che c'è è il processo e quello che avviene alla fine della pratica è la cessazione di questo processo. Ora siccome io penso che il Summum Bonum abbia una realtà positiva (e che quindi non può essere una "semplice assenza") non posso esserne entusiasta, diciamo  ;D



La tradizione ha fatto questa distinzione perchè alcune comunità (pare che) non hanno voluto accettare le "nuove" rivelazioni. Ma è anche vero che prima dell'inizio del Mahayana sembra che ci fossero qualcosa come 18 o 20 (!) scuole (ad esempio https://en.wikipedia.org/wiki/Early_Buddhist_schools). Quindi in realtà differenti interpretazioni erano presenti fin dai primi secoli (ovvero ben prima dell'anno 0 d.c.), in realtà. Il Theravada ("la scuola degli anziani") era una di queste. Il Mahayana (o "grande veicolo") sembra che sia sorto attorno al primo secolo a.c. (ma chiaramente ciò non significa che le idee siano nate in quel periodo).


Comunque secondo me hai compreso il "dissidio".

Ci sono altri motivi che mi causano "dissidio" ma direi di non fare troppa confusione adesso  ;D

Forse perchè proviene proprio dall'insegnamento Induista.

Infatti ho scaricato un paio di giorni fa la biblioteca buddista, e ho letto che il buddismo è considerato una branca dell'induismo, una forma non ortodossa.

Pensavo fossero distinte, ma in effetti anche ad un primo sguardo non lo sono affatto.  


Il buddhismo è una delle 6 dottrine considerate "nastika" (direi più "eretiche" che "eterodosse")  perchè non accetta la validità dei Veda (come fanno le "astika", ovvero Vedanta, Yoga...). Condividono però concetti come "samsara", "karma", "moksha" (ovviamente la comprensione degli stessi cambia) e il pantheon (almeno per quanto riguarda il buddhismo indiano).


Una curiosità ma il buddismo non ha una cosmologia?


In realtà sì... Ci sono molti piani di esistenza, molti (infiniti) mondi dove esistono esseri senzienti, l'universo è ciclico... per farti un'idea approssimativa https://it.wikipedia.org/wiki/Cosmologia_buddhista

Come immaginerai su tale questione sono, diciamo, scettico LOL
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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