Definire la spiritualità come vita interiore

Aperto da Angelo Cannata, 08 Maggio 2017, 11:46:48 AM

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Angelo Cannata

Un problema fondamentale di cui soffre la spiritualità è la difficoltà a trovare una definizione del termine che rispetti sia le sue origini, nella filosofia e nel Cristianesimo, sia la molteplicità di sensi in cui viene intesa oggi in tutto il mondo. Una definizione che tempo fa ho individuato intuitivamente per mia passione di ricerca è stata quella di "vita interiore". Questa definizione, in realtà, ha dei riscontri che consentono di considerarla sufficientemente oggettiva; intendo oggettiva non in senso metafisico, ma nel senso di condivisa o condivisibile.

Se proviamo a cercare nello Zingarelli il termine "interiore", troviamo "Che appartiene alla sfera dello spirito, della coscienza, dei sentimenti". Possiamo trarne la conseguenza che "vita interiore" si definisce come "vita che appartiene alla sfera dello spirito, della coscienza, dei sentimenti".

Se cerchiamo "interiorità" nel vocabolario d'inglese Ragazzini, troviamo come traduzione "inner life", cioè "vita interiore", preceduta in parentesi dalla specificazione, in italiano, "vita spirituale".

Dunque, se partiamo da una ricerca centrata su "interiorità", "vita interiore", veniamo rinviati a "spirito", "spirituale", mentre non avviene il contrario: se cerchiamo "spirito", "spirituale", "spiritualità", i vocabolari non ci guidano verso "interiore", "interiorità". Ciò avviene, presumibilmente, perché i vocabolari si sforzano, per quanto è possibile, di esprimere il significato delle parole cercando di mantenere un riferimento anche alla loro etimologia. Se cerchiamo un po' più a fondo, notiamo però che nello Zingarelli, alla voce "spirituale", viene citata come esempio d'uso l'espressione "Padre, direttore spirituale", la cui definizione è "il sacerdote che assume la cura personale della vita religiosa di un fedele; nella vita monastica e regolare, chi è preposto alla direzione della vita interiore dei novizi, dei postulanti e degli studenti".

Questi elementi consentono di considerare la definizione di "spiritualità" come "vita interiore" abbastanza oggettiva, cioè rispettosa sia delle sue origini che dei suoi usi attuali. L'individuazione di una definizione che possieda un minimo di chiarezza e condivisibilità consente non solo di portare avanti in proposito discussioni più proficue, ma anche di lavorare collettivamente, non importa in quale credo o non credo, filosofia o non filosofia, ci si riconosca, per valorizzare quest'aspetto che è senza dubbio parte dell'esistenza di ogni uomo di questo mondo, ma solitamente è trascurato, oppure trattato male, e quindi non ci si avvale delle risorse che può dare.

green demetr

Interessante.

Per vita spirituale io ho sempre inteso qualcosa di aristorcratico, un disprezzo per le cose materiali, un vivere fuori dal mondo.
Invece intendo diversamente con la parola spiritualità. (me ne accorgo mentre ci sto pensando)
Intendo come lo zingarelli intende alla voce interiore, come qualcosa legato al mondo dello spirito.
Ma lo spirito per me si è manifestato come alterità totale, come qualcosa che mi sottende.
E' una sensazione decisiva anche per alcune scelte della indagine filosofica.
Spiritualità per me è dunque questa comprensione del mondo "altro".
Rispetto alle grandi narrazioni religiose, infatti per esempio, quello che cerco è dove cade il momento di questa alterità.
Qualcosa che insomma metta in parole una sensazione che dagli 8 anni non mi ha più lasciato.
Quale è la differenza con la filosofia? che la filosofia la ritiene qualcosa di materno, e invece per me non ha mai avuto questa valenza, probabilmente una volta era più paterno (d'altronde anche la religione induista ha divintà maschili).
Ad oggi caro Angelo invece è come se non avesse "gender".
La spiritualità come Nulla, è una sensazione che si acuisce sempre di più.
(un nulla che accompagna sempre, che conforta non so come dire).

La spiritualità come sfera della coscienza o come sfera del sentimento, invece devo amettere che non ha eco nel mio cuore (e nemmeno nel mio intelletto.)

Sarebbe interessante vedere lo Zingarelli cosa scrive (compreso il significato della radice, unico dizionario a farlo).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

anthonyi

Mi trovo concorde con il titolo. Ciascun essere umano vive due categorie di esperienza, quella esteriore, tendenzialmente oggettiva, e quella interiore, soggettiva. La soggettività fa si che molte delle esperienze interiori che viviamo siano non codificate e razionalizzate perché non sono parte del sistema comunicativo e noi tendiamo ad interpretarle come extrafisiche.
E' in un secondo momento che queste esperienze si oggettivizzano, perché evidentemente queste esperienze, pur essendo soggettive, hanno contenuti comuni che favoriscono la nascita di un linguaggio appunto spirituale, teologico.
L'esempio più rappresentativo di questo processo sono i concetti di bene e male, che oggettivizzano le sensazioni interiori di felicità e sofferenza.

myfriend

@angelo

Possiamo trarne la conseguenza che "vita interiore" si definisce come "vita che appartiene alla sfera dello spirito, della coscienza, dei sentimenti".

E la sfera dello spirito che sarebbe?
Non per smorzare il tuo entusiasmo...ma quella definizione non è per nulla chiara.

Ancor meno chiara è la sfera dei "sentimenti".
Conosco diverse persone che, deluse dalle esperienze umane, hanno cancellato i "sentimenti per gli umani" e si concedono solo ai "sentimenti per gli animali".
Cosa significa la "sfera dei sentimenti"?

E' una definizione che dice tutto e non dice niente.
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Angelo Cannata

Citazione di: green demetr il 09 Maggio 2017, 13:52:53 PM
Interessante.

Per vita spirituale io ho sempre inteso qualcosa di aristorcratico, un disprezzo per le cose materiali, un vivere fuori dal mondo.
Invece intendo diversamente con la parola spiritualità. (me ne accorgo mentre ci sto pensando)
Intendo come lo zingarelli intende alla voce interiore, come qualcosa legato al mondo dello spirito.
Ma lo spirito per me si è manifestato come alterità totale, come qualcosa che mi sottende.
E' una sensazione decisiva anche per alcune scelte della indagine filosofica.
Spiritualità per me è dunque questa comprensione del mondo "altro".
Rispetto alle grandi narrazioni religiose, infatti per esempio, quello che cerco è dove cade il momento di questa alterità.
Qualcosa che insomma metta in parole una sensazione che dagli 8 anni non mi ha più lasciato.
Quale è la differenza con la filosofia? che la filosofia la ritiene qualcosa di materno, e invece per me non ha mai avuto questa valenza, probabilmente una volta era più paterno (d'altronde anche la religione induista ha divintà maschili).
Ad oggi caro Angelo invece è come se non avesse "gender".
La spiritualità come Nulla, è una sensazione che si acuisce sempre di più.
(un nulla che accompagna sempre, che conforta non so come dire).

La spiritualità come sfera della coscienza o come sfera del sentimento, invece devo amettere che non ha eco nel mio cuore (e nemmeno nel mio intelletto.)

Sarebbe interessante vedere lo Zingarelli cosa scrive (compreso il significato della radice, unico dizionario a farlo).
Hai usato diverse volte la parola "sensazione". Io trovo significativo definire la spiritualità come vita interiore, poiché chiamarla vita rinvia al tempo, a esperienze vissute, un decorso di fatti, uno scorrere di eventi, un procedere, divenire. È questo che secondo me può guidare a scoprire la profondità della spiritualità. Parlare di sensazioni è anch'esso profondo, ma si scontra facilmente col problema dell'inesprimibilità di tante sensazioni.

Lo Zingarelli dice questo alla voce spiritualità:

spiritualità o †spiritualitade, †spiritualitate
[dal lat. tardo (eccl.) spiritualitate(m), da spiritualis 'spirituale'; sec. XIV]
s. f.
1 Condizione di ciò che è spirituale: quello che m'innamora del corpo è una certa spiritualità che veggiamo in esso (BRUNO).
2 Attitudine a vivere secondo le esigenze dello spirito e a dare loro preminenza: è un uomo di grande spiritualità.
3 Insieme di valori spirituali che caratterizzano una religione, una nazione, un ambiente e sim.: la spiritualità dell'Islam, del Buddhismo, della Compagnia di Gesù; la spiritualità nella cultura contemporanea.

Angelo Cannata

Citazione di: anthonyi il 09 Maggio 2017, 14:35:58 PM
Mi trovo concorde con il titolo. Ciascun essere umano vive due categorie di esperienza, quella esteriore, tendenzialmente oggettiva, e quella interiore, soggettiva. La soggettività fa si che molte delle esperienze interiori che viviamo siano non codificate e razionalizzate perché non sono parte del sistema comunicativo e noi tendiamo ad interpretarle come extrafisiche.
E' in un secondo momento che queste esperienze si oggettivizzano, perché evidentemente queste esperienze, pur essendo soggettive, hanno contenuti comuni che favoriscono la nascita di un linguaggio appunto spirituale, teologico.
L'esempio più rappresentativo di questo processo sono i concetti di bene e male, che oggettivizzano le sensazioni interiori di felicità e sofferenza.
Proprio ultimamente mi sono trovato a riflettere sul nostro oggettivizzare nel momento in cui ci facciamo un'idea delle cose e la esprimiamo. Oggettivizzare ci consente di padroneggiare i contenuti, poterli esprimere. Chi invece soggettivizza è l'artista, il quale dipinge un paesaggio non com'è, ma come sembra a lui; il problema è che se devo scendere delle scale, non ho tanta libertà di immaginarle come sembra a me, perché corro il rischio di cadere a terra e farmi male: devo sforzarmi di mettere da parte la mia soggettività e fare spazio all'imporsi a me dell'oggettività. Questo col tempo uccide la nostra spiritualità ed è per questo che non è facile essere artisti, cioè saper ascoltare la nostra soggettività. Eppure far spazio alla soggettività, alla spiritualità, penso che ci possa aiutare molto ad affrontare i mali della vita, che s'impongono a noi con la forza invincibile dell'oggettività.

Angelo Cannata

Citazione di: myfriend il 09 Maggio 2017, 18:20:35 PM
@angelo

Possiamo trarne la conseguenza che "vita interiore" si definisce come "vita che appartiene alla sfera dello spirito, della coscienza, dei sentimenti".

E la sfera dello spirito che sarebbe?
Non per smorzare il tuo entusiasmo...ma quella definizione non è per nulla chiara.

Ancor meno chiara è la sfera dei "sentimenti".
Conosco diverse persone che, deluse dalle esperienze umane, hanno cancellato i "sentimenti per gli umani" e si concedono solo ai "sentimenti per gli animali".
Cosa significa la "sfera dei sentimenti"?

E' una definizione che dice tutto e non dice niente.
Sì, è vero, dire che la spiritualità è vita interiore non è che apra immediatamente le porte del paradiso. Tuttavia credo che questa definizione apra strade di approfondimento che si fanno intravedere fruttuose, oltre che corrette:

- dire che la spiritualità è vita conduce ad andare a cercarla del decorrere del tempo, dell'esistenza, nel formarsi graduale della storia personale di ognuno di noi; è lo scorrere della vita che crea spiritualità; poi ci si potrebbe chiedere se e come si potrebbe pensare anche il contrario, cioè che la spiritualità possiede la capacità di creare decorsi di vita specifici, capaci di farsi apprezzare;

- se la spiritualità è vita, ci si può chiedere se anche gli animali abbiano una spiritualità, a modo loro; su questo però trovo inutile intraprendere strade di sospetti inutili: trovo infruttuoso sospettare che gli animali possiedano in proposito chissà quali capacità super, soprannaturali, misteriose o esoteriche; trovo fruttuoso piuttosto apprezzare la capacità che tanti mammiferi, come per esempio i leoni, hanno di manifestare tenerezza e affetto, oppure la loro capacità di avvertire il nostro stato d'animo; non, anche qui, per qualche loro capacità super, ma semplicemente perché spesso sono più sensibili di noi nel cogliere movimenti microscopici di un muscolo del volto, o di un braccio; oppure la capacità di un pulcino di suscitare, col suo modo di muoversi, di comportarsi e di pigolare, una simpatia infinita. O la spiritualità del serpente, che senza zampe, né artigli, né denti, riesce a intimidirmi anche quando non è velenoso. Eccetera, eccetera, si potrebbero fare esempi all'infinito;

- dire che la spiritualità è qualcosa di interiore significa non implicare la necessità di riferirsi a religioni, filosofie, credenze, schemi mentali, né di escludere tutto ciò; in questo senso la definizione apre una via di indagine a cercare profondità anche nelle persone normali, quelle che ti stanno accanto; non c'è bisogno di grandi sistemi di pensiero con architetture complicate.

Non aggiungo altro per non dilungarmi troppo: avendo parlato di vita ci sarebbe poi da esaminare la morte e qui non la finiremmo più di aggiungere approfondimenti.

anthonyi

Citazione di: Angelo Cannata il 10 Maggio 2017, 00:45:44 AM
Citazione di: anthonyi il 09 Maggio 2017, 14:35:58 PM
Mi trovo concorde con il titolo. Ciascun essere umano vive due categorie di esperienza, quella esteriore, tendenzialmente oggettiva, e quella interiore, soggettiva. La soggettività fa si che molte delle esperienze interiori che viviamo siano non codificate e razionalizzate perché non sono parte del sistema comunicativo e noi tendiamo ad interpretarle come extrafisiche.
E' in un secondo momento che queste esperienze si oggettivizzano, perché evidentemente queste esperienze, pur essendo soggettive, hanno contenuti comuni che favoriscono la nascita di un linguaggio appunto spirituale, teologico.
L'esempio più rappresentativo di questo processo sono i concetti di bene e male, che oggettivizzano le sensazioni interiori di felicità e sofferenza.
Proprio ultimamente mi sono trovato a riflettere sul nostro oggettivizzare nel momento in cui ci facciamo un'idea delle cose e la esprimiamo. Oggettivizzare ci consente di padroneggiare i contenuti, poterli esprimere. Chi invece soggettivizza è l'artista, il quale dipinge un paesaggio non com'è, ma come sembra a lui; il problema è che se devo scendere delle scale, non ho tanta libertà di immaginarle come sembra a me, perché corro il rischio di cadere a terra e farmi male: devo sforzarmi di mettere da parte la mia soggettività e fare spazio all'imporsi a me dell'oggettività. Questo col tempo uccide la nostra spiritualità ed è per questo che non è facile essere artisti, cioè saper ascoltare la nostra soggettività. Eppure far spazio alla soggettività, alla spiritualità, penso che ci possa aiutare molto ad affrontare i mali della vita, che s'impongono a noi con la forza invincibile dell'oggettività.

Mi sembra che hai colto un punto importante, cioè il rapporto tra spiritualità ed espressione artistica. Potremmo dire che la spiritualità è l'esercizio del leggere la nostra realtà interiore, e l'arte è l'esercizio del trasmettere la stessa agli altri.

Angelo Cannata

La spiritualità è anche esercizio del leggere la nostra realtà interiore, ma non solo: dire "leggere" significa limitare la spiritualità ad un semplice prendere coscienza di ciò che già c'è, mentre invece spiritualità significa anche coltivare di proposito qualcosa che ancora non c'è o non c'è abbastanza, come per esempio l'amore per il prossimo, oppure la meditazione, o l'attenzione ai problemi sociali e politici, ecc. In questo senso la definizione "vita interiore" è più completa perché è in grado di includere anche quest'aspetto, come pure l'attività, intesa come arte, arte di comunicare spiritualità agli altri.

D'altra parte, anche la definizione di arte che hai proposto sarebbe da discutere, perché tanti artisti pongono come scopo primario della loro arte non tanto il comunicarla ad altri, ma il dare espressione a un'esperienza interiore. Cioè, un pittore, per esempio, non è detto che crei un quadro anzitutto perché altri lo vedano: può anche crearlo, come impulso iniziale, primario, solo perché sente dentro il bisogno di far uscire la sua percezione di qualcosa, come un vulcano che ha dentro un fuoco e questo fuoco non riesce a rimanere chiuso dentro. Che poi questo fuoco diventi visibile ad altri, per certi artisti può anche risultare un aspetto presente, apprezzato, ma secondario, rispetto al bisogno primario di far uscire fuori una forza che si sente dentro.
Un fatto esemplificativo che mi sembra confermare questo è l'enorme quantità di tempo richiesta dallo studio della musica classica a livello professionale: il solo fare concerti non può assolutamente bastare a compensare tutto questo lavoro; l'unica cosa che giustifica tanti sforzi può essere solo il fatto che il musicista trova la sua prima soddisfazione nel praticare la musica già mentre la studia; la soddisfazione di fare il concerto è poi bella, importante, ma da sola non basterebbe. Anche questo è spiritualità.

green demetr

Hai ragione Angelo!  :-[

Ancora una volta mi hai fatto pensare del perchè ho ignorato la parola "vita interiore"! 

Ma immagino che forse questa cosa non richieda chissà quali analisi:

E' perchè da tempo non ho più una "vita interiore". (ma ti ringrazio tantissimo, è sempre importante riesumare domande dimenticate).

1 - Una storia personale.

La mia crisi non è mai stata come la tua di tipo fenomenologico (Dio esiste o meno? ed esiste come lo possiamo intendere o in altro modo da intendere? ), bensì legato al sospetto, che fosse una narrazione per sottrarre soldi alla gente, per configurarsi come potere  per avere accesso al femminile tramite una co-optazione.

Un sospetto eminentemente politico, dietro cui ogni singolo "DEVI" delle religioni (sì anche quella indiana) si risolveva facilmente, in un "tu DEVI a ME", principio cardine di ogni gerarchia.

Ma questo non ha mai intaccato il mio sentire interiore. Forse all'improvviso mi piace leggerti proprio perchè anche tu seppur per vie diverse, ti stai ponendo il modo di ri-affronare la vita, prima che la teoria.
Riaffrontarla tentando di mantenere un filo rosso con "un vecchio amore".

Come si evince dalla radice però spiritualità è un termine compromesso, nato nel 1300, ossia molto avanti con il processo di secolarizzazione della ecclesia. (a proposito grazie, ho smarrito il mio zanichelli!!!)

Purtroppo questo nella mia vita ha inciso e tutt'ora incide, visto che la morale è ancora ampiamente sotto l'ala cattolica.

Ora per me nel tentativo di riconcilarmi con un sentire (che ovviamente col passare degli anni acuisce il senso dello svanimento, in quanto il tempo in gioventù è promessa e in eta matura è rimpianto) sto tentando di unire il messaggio metafisco con quello pratico.

2 - In effetti a mio parere se la filosofia è in crisi, la religione lo è ancora di più.

A meno che di non cambiare il quadro antropologico, che per esempio continua a resistere (ma ha subito colpi durissimi dal capitalismo) in India. Dove la sacralità si respira ad ogni piè sospinto.
Noi viviamo in tempi Buj, totalmente addentro ad una immanenza sorda (meglio sarebbe dire, che non sa ascoltare).
Se uno non riesce più ad ascoltare e ad ascoltarsi (ossia a intepretare le proprie trascendenze): come fa ad esistere una vita interiore?
Sopratutto ragioniamo: ma la sacralità riesce ancora a legare la socialità? (domanda mia, non tua, lo so).
E comunque in cosa consiste la vita interiore, seppure sia del tutto individualista? Quale il cammino solitario vissuto?

Perchè se è vero che la scala è reale, anche i vincoli sociali sono reali. (come conciliare un Dio che si fa immanenza, con i vincoli sociali? più che la scala, che voglio dire non so bene cosa c'entri con la divinità, con il sacro).

3 - Alcune Osservazioni

Ecco io non riesco a vivere una vita spirituale, forse è per questo che a me ispira la imitatio christi, e a te spaventa.
Perchè di fatto è una via, praticamente impossibile.

Come nella serie tv del "premio oscar" Sorrentino, il Papa Giovane, immagina: i fedeli sarebbero scossi, impauriti e si allontanerebbero dal credo.
Se veramente la vita coincidesse con lo spirito.
E' per questo che sono un debole, anch'io come tutti i miei fratelli cristiani. (noi possiamo solo "sentire", ma vivere.... quello è un rompicapo difficile!)

Ma questa era solo la mia di narrazione.


4-Le mie Domande per Angelo

Nella tua (narrazione) mi sembra che invece sia più legato ad un discorso di conoscenza.

E allora la tua vita spirituale in cosa consisterebbe : forse in un tentativo di trovare Dio, nel flusso stesso della vita?
(è una tesi di un altro mio vecchio amico, tra l'altro).

Certamente può essere, ma a me non torna mai, il quotidiano uccide qualsiasi tentativo di arte.

La violenza, l'ipocrisia, la superbia, l'individualismo cinico sono ad ogni svolta del "nostro tempo". Come può esserci Dio in tutto ciò?
No! la strada deve essere diversa, non può essere quella conoscitiva.

L'arte...l'arte come diceva sempre Carmelo Bene al massimo è una consolazione. Non ha nulla dei trasporti di un frate Cupertino.
Non ha nulla della vita reale. E in me Dio è reale. Non è una consolazione.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Angelo Cannata

Probabilmente mi sbaglio, ma ho la sensazione che in te ci sia un errore che da prete vedevo commettere a tante persone, che mi dicevano di sentirsi lontane da Dio; e io chiedevo loro come facessero a ritenere di essere lontane da Dio; la loro risposta riguardava il sentire, la sensazione: "Sono lontano da Dio perché non lo sento, non lo sento dentro di me, non sento niente in me".

Mi sembra che ci sia qualcosa di questo genere quando tu dici che non riesci a vivere una vita spirituale: infatti nella mia risposta precedente avevo già osservato il tuo uso della parola "sensazione".

Credo che sia bene chiarire che, se spiritualità significa "vita interiore", ne consegue che la presenza in una persona di una vita spirituale non può essere stabilita in base al fatto se quella persona sperimenta o no sensazioni particolari. La vita interiore non è una sensazione, ma un dato di fatto che è in te anche quando non senti niente. È come la vita: la vita è in te, fin quando sei vivo, anche quando non senti in te assolutamente niente, perché magari stai pensando ad altro, oppure stai dormendo. Avere sensazioni non è il sintomo chiave per stabilire se c'è una vita spirituale.

Riguardo a questo, per me sono state preziose due categorie di concetti offerte dalla Bibbia.

La prima è il concetto di deserto: Dio chiamò Israele ad incontrarlo nel deserto, e il deserto è proprio il luogo non si prova niente, è il deserto dell'anima; ma è lì che Dio volle essere incontrato, non nel vivere sensazioni speciali, affascinanti o romantiche, o misteriose, strane, esoteriche, ecc. Anche Gesù stette simbolicamente (a parte la critica storica, che sarebbe tutta un'altra questione) 40 giorni nel deserto, per dire che la sua spiritualità si basava proprio nel saper affrontare l'assenza di sensazioni confortanti.

La seconda categoria è quella del Getsemani: lì Gesù visse un'esperienza di preghiera disturbata, nervosa, agitata, andava e veniva in continuazione dai suoi apostoli, una volta dice loro di dormire, poi dice loro di alzarsi; eppure quella fu preghiera autentica, vera, preghiera piena. E invece tanti mi dicevano che avevano difficoltà a pregare, perché nella preghiera non sentivano la presenza di Gesù. Non ho mai capito in cosa dovrebbe consistere questo sentire la presenza di Gesù nella preghiera e sono orgoglioso di non averlo mai capito.

Con questo discorso non intendo abolire il sentire, intendo solo chiarire che esso non è la base, né della vita di fede, né della spiritualità intesa come semplice vita interiore. Se capita di avere belle sensazioni, ok, bello, interessante, è capitato anche a me, penso che più o meno capiti a tutti, purché non ci si convinca che esse siano l'essenza, la sostanza della spiritualità, il criterio per valutare se c'è esperienza spirituale oppure no.

La spiritualità non è, nella sua essenza, sentire qualcosa; essa è "vita interiore" e la vita interiore, per esserci, non necessita che si "senta qualcosa". Necessita piuttosto che ci sia un cammino in corso, quello sì; magari non è necessario al mille per mille, ma è molto più importante del provare sensazioni dentro.

Comunque, può anche darsi che questa non sia una questione che ti riguarda, in tal caso ignora tranquillamente questo post che ho scritto.

Sariputra

Citazione di: Angelo Cannata il 11 Maggio 2017, 00:53:02 AMProbabilmente mi sbaglio, ma ho la sensazione che in te ci sia un errore che da prete vedevo commettere a tante persone, che mi dicevano di sentirsi lontane da Dio; e io chiedevo loro come facessero a ritenere di essere lontane da Dio; la loro risposta riguardava il sentire, la sensazione: "Sono lontano da Dio perché non lo sento, non lo sento dentro di me, non sento niente in me". Mi sembra che ci sia qualcosa di questo genere quando tu dici che non riesci a vivere una vita spirituale: infatti nella mia risposta precedente avevo già osservato il tuo uso della parola "sensazione". Credo che sia bene chiarire che, se spiritualità significa "vita interiore", ne consegue che la presenza in una persona di una vita spirituale non può essere stabilita in base al fatto se quella persona sperimenta o no sensazioni particolari. La vita interiore non è una sensazione, ma un dato di fatto che è in te anche quando non senti niente. È come la vita: la vita è in te, fin quando sei vivo, anche quando non senti in te assolutamente niente, perché magari stai pensando ad altro, oppure stai dormendo. Avere sensazioni non è il sintomo chiave per stabilire se c'è una vita spirituale. Riguardo a questo, per me sono state preziose due categorie di concetti offerte dalla Bibbia. La prima è il concetto di deserto: Dio chiamò Israele ad incontrarlo nel deserto, e il deserto è proprio il luogo non si prova niente, è il deserto dell'anima; ma è lì che Dio volle essere incontrato, non nel vivere sensazioni speciali, affascinanti o romantiche, o misteriose, strane, esoteriche, ecc. Anche Gesù stette simbolicamente (a parte la critica storica, che sarebbe tutta un'altra questione) 40 giorni nel deserto, per dire che la sua spiritualità si basava proprio nel saper affrontare l'assenza di sensazioni confortanti. La seconda categoria è quella del Getsemani: lì Gesù visse un'esperienza di preghiera disturbata, nervosa, agitata, andava e veniva in continuazione dai suoi apostoli, una volta dice loro di dormire, poi dice loro di alzarsi; eppure quella fu preghiera autentica, vera, preghiera piena. E invece tanti mi dicevano che avevano difficoltà a pregare, perché nella preghiera non sentivano la presenza di Gesù. Non ho mai capito in cosa dovrebbe consistere questo sentire la presenza di Gesù nella preghiera e sono orgoglioso di non averlo mai capito. Con questo discorso non intendo abolire il sentire, intendo solo chiarire che esso non è la base, né della vita di fede, né della spiritualità intesa come semplice vita interiore. Se capita di avere belle sensazioni, ok, bello, interessante, è capitato anche a me, penso che più o meno capiti a tutti, purché non ci si convinca che esse siano l'essenza, la sostanza della spiritualità, il criterio per valutare se c'è esperienza spirituale oppure no. La spiritualità non è, nella sua essenza, sentire qualcosa; essa è "vita interiore" e la vita interiore, per esserci, non necessita che si "senta qualcosa". Necessita piuttosto che ci sia un cammino in corso, quello sì; magari non è necessario al mille per mille, ma è molto più importante del provare sensazioni dentro. Comunque, può anche darsi che questa non sia una questione che ti riguarda, in tal caso ignora tranquillamente questo post che ho scritto.

Sono molto d'accordo con la critica che fai della spiritualità come ricerca di "sensazioni".  Proprio l'incontro con il 'deserto' ci mostra la spiritualità come 'nudità', come uno spogliarsi di sovrastrutture concettuali romantiche. Anche Yeoshwa viene appeso nudo alla croce... In realtà sembra che la spiritualità esiga un togliere, un levar via, piuttosto che un accumulare, un coprire ed è qui che , la maggior parte delle persone, sono portate a rifiutare la vita spirituale; proprio perché va contro la naturale tendenza del pensiero ad accumulare , a crescere in continuazione, ad arrovellarsi in se stesso, a 'coprirsi' ( per paura) con abiti sempre più raffinati . Se guardo la 'vita esteriore' non mi fermo troppo a guardare quella 'interiore' e così non vedo la mia paura...
Poi ci sono quelli che passano di esperienza spirituale in esperienza spirituale, proprio cercando nuove emozioni e sensazioni, questi sono detti incurabili...
Il cercare il deserto è cercare quello spazio in cui s'impara a morire ( che è, a parer mio, il fine ultimo della vita interiore: imparare a morire...). Qui s'intende l'imparare a morire anche come "attimo per attimo", per ri-nascere sempre nuovi...infatti è l'esperienza del deserto che ti insegna il valore di quell'"acqua che disseta veramente"...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Freedom

Citazione di: Angelo Cannata il 08 Maggio 2017, 11:46:48 AM
Questi elementi consentono di considerare la definizione di "spiritualità" come "vita interiore" abbastanza oggettiva, cioè rispettosa sia delle sue origini che dei suoi usi attuali.
Cos'è la vita interiore? I pensieri, le sensazioni, i sentimenti? Oppure cosa?
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

green demetr

No è vero, hai ragione di nuovo!  :-[

Non credevo potessi andare così a fondo del problema.

Ed allora approfondisco questa questione.

Anche se il mio problema è dovuto proprio al fatto che quella sensazione la ho. (e al contrario dei tuoi ex-parrochiano sento la presenza di Dio, e mentre sto leggendo il vangelo di Giovanni, sento la presenza della trascendenza del Cristo).

Ma come dici tu è nel reale, che vorrei trovare come risultato la trascendenza.

Il punto probabilmente è legato a quello: che se suppongo di sentire una trascendenza poi mi aspetto di trovarla nel reale.

Ma forse come dici tu, è uno sbaglio, e il reale è come un deserto. 

Questa è una cosa che lego molto alla filosofia, come teologia negativa. Eppure pur intendendola razionalmente, non mi soddisfa!

Per questo sento la necessità di trovare una nuova metafisica!

Certamente la spiacevole conseguenza, l'errore come dici tu, risulta nelle aspettative che ci metto.(in questo commetto l'errore stesso dei tuoi parrocchiani, che pretendono di sentire. Ma il sentire è una grazia.)

Ma come sempre dico nei miei scritti filosofici, purtroppo quello è un errore condizionato dal pensiero paranoico, in cui siamo immersi.(io e i tuoi ex-parrocchiani, in questo senso fai bene a essere orgoglioso, è difficilissimo stare fuori dal discorso paranoico!).
Infatti scherzosamente mi hanno chiamato l'ultimo dei cristiani romantici. In quanto pretendo una Salvezza e non ne vedo l'orizzonte.

Si tratterebbe perciò di sottrarsi a questa attesa, cosa che tento di fare (oscillo dentro e fuori dal paranoico).

Ma il risultato non cambia, non sento di vivere una vita spirituale. (se infatti l'attesa svanisce, rimane un'arida consocenza filosofica.)

Molto immaginifiche le 2 scene, la seconda non la conoscevo per niente grazie!


D'altronde aggiungo io l'esodo biblico è anche teologicamente parlando 
il passaggio arduo, stretto per cui conoscere Dio.
Tra 2 lembi minacciosi di acque. Una narrazione altamente simbolica.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

sari In qualche maniera approfondisci quello che ha detto Angelo.

E quindi può darsi che si vittima di un processo che vuole accumulare piuttosto che spogliarsi di.

Ma il punto è questo: l'uomo è feticisita. (marx)

E'insita in lui questo sovraccarico di cose. Come dice Heidegger, l'uomo che vede una pietra la usa, come la usa l'animale, ma la differenza è che l'uomo la ricorda, e la tiene per sè.
La accumula.

D'altronde anche il viaggio è una accumulazione di esperienza. (come dice ligabue, un viaggio in cui si decide cosa prendere e cosa lasciare)

Non credo sia tanto quello il punto negativo, quanto appunto l'attesa che diventa una pretesa.

Il deserto è quella capacità di ascolto, di saper ascoltare (la voce di Dio) fra i 2 lembi di acque del Mar Rosso, nella paura persino dunque.

Non sono d'accordo che la spiritualità sia un saper morire.

Anche perchè in cosa consisterebbe questo saper morire?

Io direi come la teologia negativa insegna (credo eh!  ;)  ) invece importante il saper ascoltare, la dimensione dell'accoglienza.






Vai avanti tu che mi vien da ridere

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