Credere o non credere: sono due ipotesi con uguale probabilità?

Aperto da Freedom, 01 Aprile 2016, 16:11:34 PM

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Freedom

Ripropongo questo thread fiducioso che possa essere oggetto di ulteriori sviluppi.
L'incipit iniziale era questo:
La tesi di questo thread è che i credenti e i non credenti sono sullo stesso piano per quello che riguarda la probabilità che essi abbiano ragione.
Più che tesi a me sembra di tutta evidenza, tuttavia, ci sono molte persone che contraddicono questa affermazione. Queste ultime sostengono, pur non avendone l'assoluta certezza, che Dio non si percepisce dunque non c'è. E questa posizione è maggiormente veritiera di coloro i quali sostengono che (Dio c'è/Dio non c'è) stanno alla pari.

Qual è la vostra opinione?

Lo sviluppo è questo:
http://www.riflessioni.it/forum/spiritualita/14736-credere-o-non-credere-sono-due-ipotesi-con-uguale-probabilita-ma-di-segno-contrario.html

La direzione verso la quale mi piacerebbe approfondire è quella indicata dall'amico Giuseppe dove "il credere" è qualcosa di più di una idea, qualcosa di più di un convincimento....
Scrive Giuseppe:
Che dire?
Da quando mi sono registrato sto dicendo che per credere occorre avere lo Spirito, che la fede non è un sapere ma un sentire, che chi non crede non crede perché non può credere, che al credere non si arriva attraverso i libri, che la dimora della fede non è il cervello ma il cuore, che la fede alla quale si arriva con il ragionamento è fede mentale cioè non stabile ecc...., ma ancora argomentiamo su l'esistenza del Signore Dio facendo ricorso al metodo scientifico, razionale ecc.
A riguardo delle probabilità di concludere che il Signore Dio esista o no, che in ogni caso non ha nessuna relazione con Fede vera o con la non fede trattandosi solo di elucubrazione mentale, non è un fatto probatorio di tipo incondizionato, ma è una conclusione che dipende dallo stato psicospirituale della persona.
Il credere/la fede è come l'appetito chi è vivo lo sente chi non è vivo non può sentirlo.
Chi non può sentire si diletta a produrre tesi che non stanno ne in cielo ne in terra.
La fede è come l'amore, anzi è l'amore, che non si spiega, ma si sente.
Ciao a tutti - Giuseppe
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Mariano

Ritengo che sostenere che Dio non c'è perché non lo si percepisce denoti un voler dare un significato riduttivo del percepire.
Percepire non è soltanto ricevere una sensazione o una dimostrazione razionale, recepire è anche intuire, sentire; ed è questo l'unico modo per avere Fede aldilà di elucubrazioni mentali come ben dice Giuseppe.

Elyah

Per ricollegarmi a quanto detto da Giuseppe, l'apostolo Paolo mosso dallo Spirito disse:
Citazione20 infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue; perciò essi sono inescusabili, 21 perché, pur avendo conosciuto Dio, non l'hanno glorificato come Dio, né l'hanno ringraziato; ma si sono dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo d'intelligenza si è ottenebrato. 22 Benché si dichiarino sapienti, sono diventati stolti, (Romani 1:20-22)

Sariputra

L'apostolo Paolo ,ovviamente, tira acqua al proprio mulino ( il cristianesimo, come corpo dottrinale , è la religione di Paolo). Noi percepiamo le opere, ma non possiamo percepire il presunto creatore delle stesse. Le opere (il mondo) hanno evidenza ai nostri sensi, il creatore no. E osservando proprio le opere come potremmo descrivere il presunto creatore? Amorevole ? E' molto difficile scorgere una mano oltremodo benevola dietro una massa simile di sofferenze e di necessità, di totale impermanenza di ogni cosa, di spietate leggi/necessità di natura. Quindi ritengo che le povere creature sono sicuramente scusabili se vacillano davanti ad un'evidenza così poco evidente. Siamo di fronte ad un "Deus absconditus", che si cela dietro la nube dell'inconoscenza, che forse trova casa nell'intimo dell'uomo, ma l'uomo non lo conosce se non ipotizzando che alcuni sentimenti che si provano ( a loro volta passeggeri) siano una sua manifestazione. La ragione non può che interrogarsi su questo ( è la sua natura) e non ci vedo nulla di vano. Vanità è accettare una cosa solo per sentito dire, per tradizione, per paura, perchè è scritto in qualche antico libro, perchè così fanno gli altri, per la presunta "autorità" spirituale di qualcuno (il guru, il sacerdote,l 'imam ecc.). La ragione non ottenebra, in quanto la ragione comprende il suo limite e il suo campo. Purtroppo, mille volte, abbiamo visto come, nel corso dei secoli, siano state le religioni organizzate ad ottenebrare i cuori di coloro che non usano ragione e di usarli , nel nome di un dio nascosto, per il loro potere mondano di sopraffazione. Con tutta la sofferenza che ne è scaturita...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

johannes

#4
Se la fede può dirsi adesione dell'intelletto sotto l'influsso della grazia, per cui "credere est cum assensione cogitare", essa non è mai un atto contro ragione ma ad essa conforme entro i propri limiti. Quali sarebbero tali limiti? Quelli connaturati alla finitezza della ragione, alla creaturalità come tale, rispetto la quale ciò che è per essenza infinito non può, di per sé, che esorbitare totalmente. La grazia (della fede) significa quindi una partecipazione gratuita dell'essenza divina - come tale un dono divino - limitatamente recepibile alla maniera delle capacità del recepente. Dono che non toglie la differenza tra finito ed infinito, ma ordina il finito all'infinito nel senso di una partecipazione conforme. Se prendiamo per buona una tale considerazione, dovremmo necessariamente anche ammettere come eccessiva l'idea di una ragione che, nel suo retto utilizzo, possa legittimamente escludere la fede, ma piuttosto riconoscerne l'ambito di sviluppo maggiore proprio nel campo dei cosiddetti preambula fidei. Dimostrata cioè razionalmente l'esistenza di Dio, è del tutto conforme alla ragione che egli si possa anche rivelare nella sua essenza, e che una tale rivelazione possa essere accolta in virtù dell'autorità di colui che si rivela e venire comprovata nella storia (motivi di credibilità). Di certo, ciò obbliga ad una differenziazione tra le varie accezioni di "ragione" : quella che pretenderebbe p. es. di escludere la dimostrabilità dell'esistenza di Dio, non lo sarebbe realmente ma figurerebbe piuttosto come un suo smarrimento. Una ragione che pretenderebbe di escludere la fede, cioè la credibilità della rivelazione divina, non solo sarebbe meno probabile, ma del tutto erronea. In ambito teologico credere è quindi conforme a ragione, il non credere è contrario alla ragione.

Jacopus

"Ripropongo questo thread fiducioso che possa essere oggetto di ulteriori sviluppi.
L'incipit iniziale era questo:
La tesi di questo thread è che i credenti e i non credenti sono sullo stesso piano per quello che riguarda la probabilità che essi abbiano ragione.
 Più che tesi a me sembra di tutta evidenza, tuttavia, ci sono molte persone che contraddicono questa affermazione. Queste ultime sostengono, pur non avendone l'assoluta certezza, che Dio non si percepisce dunque non c'è. E questa posizione è maggiormente veritiera di coloro i quali sostengono che (Dio c'è/Dio non c'è) stanno alla pari."


Intanto ben ritrovati a tutti. A proposito del tema, partirei da una considerazione critica sulla costruzione del tema stesso. Ovvero la contrapposizione netta fra credenti e non credenti, come se fossero due fazioni, due armate che combattono per avere ragione. I partecipanti dei due partiti devono in qualche modo adeguarsi all'impossibilità di dimostrare la verità della loro "ideologia", ma ciò non toglie che comunque "credono" fermamente o ad una divinità o al fatto che non esista una divinità. Sono due schieramenti contrapposti, che firmano una tregua temporanea, finché non sopravvenga la prova che il loro partito era nel "giusto".
Ebbene tutto questo mi sembra molto cattolico e lontano dalla mia sensibilità. Il non credente "ideale" è invece a mio parere, quello che dubita anche della sua infedeltà e che è sempre pronto a mettere tutto in discussione e quindi non ha bisogno di sentirsi superiore a chi crede, perché così facendo perderebbe quella capacità critica che lo rende non superiore ma differente da chi invece "crede" (indipendentemente da cosa).
Se c'è una cosa che bisogna riconoscere ai non credenti è che la loro scelta è sicuramente una scelta libera, senza seconde finalità, mentre talvolta credere, in Italia, nasconde interessi e ipocrisie note. Il contrario accadeva ovviamente, ad esempio, negli ex paesi comunisti.
In uno dei primi interventi nel vecchio forum, Sariputra parlava proprio di questo binomio come di un vincolo e di un limite alla libertà di sentire il proprio senso religioso.
Il binomio credere/non credere fa forse parte di uno strumentario per l'ortodossia e la rieducazione spirituale, per il quale gli eretici vengono malvisti e redarguiti attraverso gli scritti della tradizione?
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Koli

Citazione di: johannes il 04 Aprile 2016, 16:04:22 PM
Se la fede può dirsi adesione dell'intelletto sotto l'influsso della grazia, per cui "credere est cum assensione cogitare", essa non è mai un atto contro ragione ma ad essa conforme entro i propri limiti. Quali sarebbero tali limiti? Quelli connaturati alla finitezza della ragione, ...

Dimostrata cioè razionalmente l'esistenza di Dio, è del tutto conforme alla ragione che egli si possa anche rivelare nella sua essenza, e che una tale rivelazione possa essere accolta in virtù dell'autorità di colui che si rivela e venire comprovata nella storia (motivi di credibilità). Di certo, ciò obbliga ad una differenziazione tra le varie accezioni di "ragione" : quella che pretenderebbe p. es. di escludere la dimostrabilità dell'esistenza di Dio, non lo sarebbe realmente ma figurerebbe piuttosto come un suo smarrimento. Una ragione che pretenderebbe di escludere la fede, cioè la credibilità della rivelazione divina, non solo sarebbe meno probabile, ma del tutto erronea. In ambito teologico credere è quindi conforme a ragione, il non credere è contrario alla ragione.
Quando mi capita di leggere sulla razionalità della fede il mio cervello inizia automaticamente a pensare: "I morti non risorgono, gli arcangeli non rivelano presunti disegni divini a gente chiusa nelle grotte (mi riferisco a Maometto)" ecc.

D'accordo che Kant ci ha insegnato che la ragione ha dei limiti, ci mancherebbe, ma questo non significa "liberi tutti!"
Dico questo perché non bisogna perdere di vista che il Cristianesimo e l'Islam si basano su due episodi che contraddicono completamente la nostra esperienza, rispettivamente la Resurrezione  e l'apparizione del messaggero di Dio a Maometto. Non voglio parlare di probabilità perché non ne ho le competenze, ma di plausibilità. 

Ora, visto che gli storici si scannano per molto meno, e per avvenimenti relativamente recenti (tipo Seconda Guerra mondiale), chi, a mio avviso, cerca di dare una sorta di razionalità (come mi pare che anche tu stia facendo) a presunti avvenimenti, non solo avvenuti tantissimo tempo fa, ma che hanno, in maniera intrinseca, secondo la tradizione, elementi soprannaturali, non può che fallire. Non vedo come potrei rimanere serio, e lo dico senza intento polemico, di fronte a racconti che non sfigurerebbero all'interno di un libro fantasy. Invece resiste per la religione questa sospensione dell'incredulità che ha dell'incredibile. 

Per tagliare la testa al toro, basterebbe poco; basterebbe che Gesù o Allah si palesassero ora in maniera incontrovertibile, dando un segno inequivocabile della loro esistenza (non come le "apparizioni" della Madonna o i "miracoli" di gente guarita).

Se poi si vuole discutere di religiosità/spiritualità a prescindere da un'apparato gerarchizzato e dogmatico, se ne può parlare.

Duc in altum!

**  scritto da Koli:

CitazionePer tagliare la testa al toro, basterebbe poco; basterebbe che Gesù o Allah si palesassero ora in maniera incontrovertibile, dando un segno inequivocabile della loro esistenza (non come le "apparizioni" della Madonna o i "miracoli" di gente guarita).


Troppo comodo così. La fede non può avere una prova sicura, ma solo la speranza certa ...altrimenti che fede è?!?!

CitazioneSe poi si vuole discutere di religiosità/spiritualità a prescindere da un'apparato gerarchizzato e dogmatico, se ne può parlare.


E dove esisterebbe questa religiosità/spiritualità senza dogmi?



Pace&Bene
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

InVerno

L'argomento sembra una rilettura di quella scaltra e disonesta scommessa che ebbe a pronunciare Pascal e che tanti ancora oggi ripropongono a se stessi.
Perchè dal punto di vista puramente probabilistico (che non mi sembra un buon modo di affrontare il tema, ma ben venga la discussione) è ovvia la risposta.
L'ateismo è un lusso, che tuttavia ha una un'infinità di probabilità in più di esser vero, di quanto non lo sia il credo.
Se ci pensate bene, siete tutti atei, nei confronti di circa un migliaio di divinità (la stima degli studiosi si suppone a ribasso per mancanza di dati) nate cresciute e dimenticate su questo pianeta.
Siete atei nei confronti di Thor e Zeus, atei nei confronti di Baphomet e Shiva, atei nei confronti di circa mille altri dei sepolti dalla scienza.
Quindi dal punto di vista puramente probabilistico, la possibilità che un cattolico (per dire) ci azzecchi, è circa 1\1000. Dove gli altri 999 erano illusioni non solo per un ateo, ma anche per lui stesso credente.

Freedom

Citazione di: Mariano il 03 Aprile 2016, 22:21:20 PM
Percepire non è soltanto ricevere una sensazione o una dimostrazione razionale, recepire è anche intuire, sentire; ed è questo l'unico modo per avere Fede aldilà di elucubrazioni mentali come ben dice Giuseppe.
Credo sia proprio ciò che ci voleva trasmettere Giuseppe.
Citazione di: johannes il 04 Aprile 2016, 16:04:22 PM
Se la fede può dirsi adesione dell'intelletto sotto l'influsso della grazia, per cui "credere est cum assensione cogitare", essa non è mai un atto contro ragione ma ad essa conforme entro i propri limiti. Quali sarebbero tali limiti? Quelli connaturati alla finitezza della ragione, alla creaturalità come tale, rispetto la quale ciò che è per essenza infinito non può, di per sé, che esorbitare totalmente. La grazia (della fede) significa quindi una partecipazione gratuita dell'essenza divina - come tale un dono divino - limitatamente recepibile alla maniera delle capacità del recepente.
Sì. Credere, come efficacemente sintetizzi tu, significa fare un salto verso il cielo ma "usando la testa".
Citazione di: Jacopus il 05 Aprile 2016, 01:39:35 AM
la contrapposizione netta fra credenti e non credenti, come se fossero due fazioni, due armate che combattono per avere ragione. I partecipanti dei due partiti devono in qualche modo adeguarsi all'impossibilità di dimostrare la verità della loro "ideologia", ma ciò non toglie che comunque "credono" fermamente o ad una divinità o al fatto che non esista una divinità. Sono due schieramenti contrapposti, che firmano una tregua temporanea, finché non sopravvenga la prova che il loro partito era nel "giusto".
Ebbene tutto questo mi sembra molto cattolico e lontano dalla mia sensibilità.
Non so cosa intendi per "molto cattolico" ma, visto che sono l'autore dell'incipit, voglio dirti cosa mi ha animato nel farlo.
Non la contrapposizione che giustamente stigmatizzi come negativa e lontana dalla tua sensibilità (anche dalla mia) bensì il suo contrario.
Mi sono infatti ispirato alla massima tolleranza e comprensione che dovrebbe instaurarsi tra il credente e il non credente.
Purtroppo così non è ed il credente viene visto come un credulone da tanti (non tutti per fortuna) non credenti. Ora, questo abito mentale così diffuso (almeno nella mia esperienza) trova ANCHE la sua ragion d'essere nella malcelata antipatia che suscitano i credenti. Vuoi per ragioni storiche, vuoi per l'intolleranza (talvolta addirittura fanatismo) verso tanti temi di attualità sociale, vuoi per gli scandali (ahimè meritati!) suscitati da diversi appartenenti alla gerarchia; ecco che i cattolici scatenano questi sentimenti negativi.

Ebbene, se il cattolico deve, in qualche modo, farsi carico di queste problematiche e dunque subirne, per la sua sola appartenenza alla Chiesa, le conseguenze; bisogna altresì riconoscere che quando si parla di Fede il rispetto verso chi ce l'ha (o presume di averla) deve essere assolutamente UGUALE al rispetto dovuto a chi non ce l'ha.

Spero di aver chiarito esaustivamente la ratio iniziale del thread. Il proseguo che mi piacerebbe prendesse è quello suggerito all'inizio del Topic.
Citazione di: InVerno il 06 Aprile 2016, 14:28:23 PM
L'argomento sembra una rilettura di quella scaltra e disonesta scommessa che ebbe a pronunciare Pascal e che tanti ancora oggi ripropongono a se stessi.
Spero, nelle parole spese per rispondere a Jacopus, di aver dato una soddisfacente risposta anche a te. Per quanto riguarda Pascal se ne è parlato ma solo nell'articolazione del Topic, non era il punto centrale.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

paul11

Non conosco Summe Teologiche che eludano il problema di natura e ragione quando descrivono la fede.
La prima cosa che ci mostra la natura del sensibile è una sua potenza interna autorganizzata a prescindere dall'uomo.
L'Opera nella natura si mostra nella sua potenza attraverso il mondo sensibile.
L'uomo vi inserisce la ragione, l'atto che legge l'opera naturale.La fede è ciò che lega l'opera naturale al suo creatore Dio.
Non può esistere una mente umana che non legga l'autoorganizzazione della natura, ciò che la scienza chiama leggi.
O questa organizzazione è autopoietica o esiste una"mano" creatrice che ha determinato un ordine.
Ma ancora di più, quale è il significato della nostra singola esistenza dentro un vettore spazio/temporale.
Tutto finisce in polvere come gioe e sofferenze o rimangono da qualche parte? 
La fede è la relazione fra uomo-natura-Dio, per dare un significato eterno ad ogni singola esistenza,che va oltre alla potenza del mondo sensibile naturale. E' illusione o tutto finisce in nulla? Domanda insolvibile, ma non per questo ineludibile,torna nei frangenti di ogni esistenza prima o poi. Sono i significati le chavi di lettura,i tentativi di risposta che costituiscono il credente e il non credente e sono importanti perchè determinano una cultura.

donquixote

Citazione di: Freedom il 06 Aprile 2016, 21:37:59 PM
Ebbene, se il cattolico deve, in qualche modo, farsi carico di queste problematiche e dunque subirne, per la sua sola appartenenza alla Chiesa, le conseguenze; bisogna altresì riconoscere che quando si parla di Fede il rispetto verso chi ce l'ha (o presume di averla) deve essere assolutamente UGUALE al rispetto dovuto a chi non ce l'ha.
Mi permetto, se me lo si consente, di non essere d'accordo con questa affermazione. Il cosiddetto "credente" (definizione che trovo assai impropria perchè ormai troppo degenerata negli ultimi decenni) crede che ciò in cui crede sia la Verità. e la Verità non può avere la stessa dignità del suo opposto, la menzogna, per cui il "credente" non può (se crede davvero) parificare la sua credenza con quella dei "non credenti". Il rispetto nei confronti delle persone è certamente dovuto, ma quello nei confronti delle idee (che non sono proprietà di nessuno e sono di per sè neutre) non lo è affatto. Allo stesso modo il "non credente", se ritiene che quello a cui "non crede" sia la verità non potrà conferire dignità a quella che egli considera una menzogna: potrà al massimo tollerarla, sopportarla, ma non certo rispettarla e porla al pari della verità, o di quella che lui considera tale.
Quando però questo accade, ovvero quando capita che ognuna delle parti in causa ritenga ugualmente rispettabile la propria visione e quella altrui, non è certamente prova di "maturità intellettuale" oppure di "civiltà" dei diversi interlocutori, ma solo dimostrazione di una estrema superficialità e leggerezza nell'analisi degli argomenti di cui si tratta, che poi si ripercuote pari pari in una "credenza" o in una "non credenza" altrettanto superficiali e annacquate che non sono in grado di argomentare sufficientemente perchè loro stessi per primi non ne sono sufficientemente convinti.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Mariano

Citazione di: donquixote il 06 Aprile 2016, 22:57:09 PM
Citazione di: Freedom il 06 Aprile 2016, 21:37:59 PM
Ebbene, se il cattolico deve, in qualche modo, farsi carico di queste problematiche e dunque subirne, per la sua sola appartenenza alla Chiesa, le conseguenze; bisogna altresì riconoscere che quando si parla di Fede il rispetto verso chi ce l'ha (o presume di averla) deve essere assolutamente UGUALE al rispetto dovuto a chi non ce l'ha.
Mi permetto, se me lo si consente, di non essere d'accordo con questa affermazione. Il cosiddetto "credente" (definizione che trovo assai impropria perchè ormai troppo degenerata negli ultimi decenni) crede che ciò in cui crede sia la Verità. e la Verità non può avere la stessa dignità del suo opposto, la menzogna, per cui il "credente" non può (se crede davvero) parificare la sua credenza con quella dei "non credenti". Il rispetto nei confronti delle persone è certamente dovuto, ma quello nei confronti delle idee (che non sono proprietà di nessuno e sono di per sè neutre) non lo è affatto. Allo stesso modo il "non credente", se ritiene che quello a cui "non crede" sia la verità non potrà conferire dignità a quella che egli considera una menzogna: potrà al massimo tollerarla, sopportarla, ma non certo rispettarla e porla al pari della verità, o di quella che lui considera tale.
Quando però questo accade, ovvero quando capita che ognuna delle parti in causa ritenga ugualmente rispettabile la propria visione e quella altrui, non è certamente prova di "maturità intellettuale" oppure di "civiltà" dei diversi interlocutori, ma solo dimostrazione di una estrema superficialità e leggerezza nell'analisi degli argomenti di cui si tratta, che poi si ripercuote pari pari in una "credenza" o in una "non credenza" altrettanto superficiali e annacquate che non sono in grado di argomentare sufficientemente perchè loro stessi per primi non ne sono sufficientemente convinti.


Io la penso diversamente :
Il mio credere ( indipendentemente da quello che credo ) non ritengo che sia la Verità, è intendere/sentire quello che razionalmente non è definibile.
Tornando quindi al nocciolo della domanda penso che da un punto di vista statistico si possa affermare che la probabilità tra le due ipotesi sia la stessa; se poi si entra nel merito, rimane l'eterna domanda: cosa è la verità? e la risposta a questa domanda non può essere valutata statisticamente.

Paola

Sono decisamente d'accordo con Mariano, poiché il tema riguardava prettamente la probabilità che le ipotesi fossero nella medesima percentuale. Dunque ritengo che si, certamente si può pensare (ma rimane una ipotesi) che al 50% le persone credano! In cosa? In una qualsivoglia ideologia religiosa, purchè vi credano fermamente.
Solo dopo si può dare, o tentare di dare, definizioni di fede, percezione, intuizione od altro.

Jacopus

Citazione di: donquixote il 06 Aprile 2016, 22:57:09 PMMi permetto, se me lo si consente, di non essere d'accordo con questa affermazione. Il cosiddetto "credente" (definizione che trovo assai impropria perchè ormai troppo degenerata negli ultimi decenni) crede che ciò in cui crede sia la Verità. e la Verità non può avere la stessa dignità del suo opposto, la menzogna, per cui il "credente" non può (se crede davvero) parificare la sua credenza con quella dei "non credenti". Il rispetto nei confronti delle persone è certamente dovuto, ma quello nei confronti delle idee (che non sono proprietà di nessuno e sono di per sè neutre) non lo è affatto. Allo stesso modo il "non credente", se ritiene che quello a cui "non crede" sia la verità non potrà conferire dignità a quella che egli considera una menzogna: potrà al massimo tollerarla, sopportarla, ma non certo rispettarla e porla al pari della verità, o di quella che lui considera tale.
Quando però questo accade, ovvero quando capita che ognuna delle parti in causa ritenga ugualmente rispettabile la propria visione e quella altrui, non è certamente prova di "maturità intellettuale" oppure di "civiltà" dei diversi interlocutori, ma solo dimostrazione di una estrema superficialità e leggerezza nell'analisi degli argomenti di cui si tratta, che poi si ripercuote pari pari in una "credenza" o in una "non credenza" altrettanto superficiali e annacquate che non sono in grado di argomentare sufficientemente perchè loro stessi per primi non ne sono sufficientemente convinti.
Buona sera, Donquixote. Penso che tu abbia toccato un punto fondamentale di questa discussione. Ho provato a pensare la mia posizione personale attuale rispetto ai credenti, comprese persone a me molto vicine. Credo di rispettare le loro persone e anche le loro idee, anche perché mi risulta difficile fare una separazione ed anche perché il loro essere credenti non li identifica in modo assoluto. Fortunatamente rivestono anche altri ruoli oltre a quello di "credenti".
Teoricamente si può pensare di scindere le due posizioni: idee e persone, ma di fatto se non si rispettano le idee delle persone, al massimo le si guarda come dei soggetti da educare, oppure dei bambinoni o anche degli esseri che nascondono qualche malvagità. Le nostre idee sono una parte così intima e fortemente identitaria che probabilmente preferiremmo vederci amputata una mano ma conservare la nostra capacità di pensare "liberamente" alle nostre idee  e ai nostri sistemi concettuali. Questo significa quindi che non sono maturo intellettualmente o sono superficiale e leggero negli argomenti? Non so e veramente non ritengo ciò. Il fatto di non essere sufficientemente convinto di un argomento non lo vedo come un difetto, anzi, se ci pensi un attimo è il meccanismo che ha fondato la filosofia della Grecia antica, da Socrate in poi. Ed è proprio per questo motivo, tra l'altro che non posso accettare il concetto di "verità religiosa", così come di qualunque altra verità imposta per dogma, per tradizione, per autorità. Anch'io ovviamente, come tutti, ho i miei riferimenti, quella sorta di mappa culturale che mi permette di orientarmi e di stabilire decisioni, fare ragionamenti e prendere posizioni ma non è scritta sulla pietra della verità ma sull'argilla del verosimile, del presumere  e questo mi fa sentire più libero, più in grado di mettermi nei panni degli altri e di non giudicare nessuno.
Ed in fondo questo relativismo, che è anche alla base di una società aperta e laica, lo hai assorbito anche tu proprio quando distingui fra persone ed idee. In altri tempi ed in altre latitudini succedeva e succede che le idee contrarie venissero/vengano tagliate insieme alla testa che le esprime.
Concludo l'excursus e rientro sul tema caro a Freedom. Io piuttosto che parlare di probabilità, formulerei la domanda nel seguente modo:  credere o non credere sono due ipotesi con uguale dignità? A questa domanda non si può che rispondere: sì.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

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