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coscienza: cos'è ?

Aperto da enrico 200, 29 Dicembre 2018, 19:23:08 PM

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sgiombo

#15
Citazione di: Ipazia il 05 Gennaio 2019, 21:04:45 PM
Autocoscienza animale. Test dello specchio:

Gli zoologi confermano la sua esistenza


Citazione di Viator:

Salve. Secondo me la coscienza è posseduta solo dai viventi che siano in grado di malmenare altri viventi. Consiste nella capacità di distinguere il diverso effetto di due morsi : uno dato alle proprie membra e l'altro dedicato ad un altro vivente. Il primo mi fa male, quindi sono io (sono autocosciente); l'altro non mi fa male, quindi p suoi effetti riguarderanno un altro (eterocoscienza). Ma credo che la mia interpretazione verrà vivacemente contestata. Saluti.

E' una cosa arcinota che non ha nulla a che vedere con l' autocoscienza propriamente intesa, tipica della sola specie home sapiens.

Come i gatti sanno che la zampetta che finendo sulle braci provocherà dolore (le loro sensazioni dolorose) é la loro e in generale, salvo ovvie eccezioni "parentali" e "amicali", non si preoccupano della possibilità che ci vada una zampa non loro) così sanno che la testa che potrebbe ad esempio essere colpita da un randello e dolere é la loro (infatti non si scansano da randelli diretti a colpire altre teste), oppure che é la loro quella che prude, e dunque da grattare per avere sollievo dal prurito (infatti non grattano altre teste).
E imparano che lo specchio riflette le immagini in generale, comprese quelle della loro testa, che ciò che capita a quanto é visibile nello specchio capita anche agli oggetti che vi sono riflessi; compresa la loro testa.
Indubbiamente una dimostrazione di intelligenza maggiore di quegli altri animali che non riescono a impararlo.
Ma pensare alla propria esistenza (e a quella dei propri simili e dissimili), al suo passato, al suo possibile futuro, a come potrebbe essere (resa) peggiore o migliore al di là del soddisfacimento di pulsioni o esigenze immediatamente sentite nel presente, fare "progetti" per il futuro, anche lontano (o tenere conto del futuro anche lontano di se stessi anche nello scegliere presentemente) é un' altra cosa che solo l' uomo é in grado di fare (secondo me grazie soprattutto al' invenzione del linguaggio e alle possibilità di pensiero astratto e complesso che consente).
Per non dire del chiedersi cosa e come si é e cosa e come si potrebbe essere per essere migliori, più contenti di se stessi (e non semplicemente contenti in generale, perché ad esempio si ha la pancia piena, una tana confortevole o si può copulare) e i mezzi da impiegare e i prezzi da pagare per riuscirvi.

sgiombo

#16
Citazione di: everlost il 06 Gennaio 2019, 00:22:31 AM


Sugli animali domestici, sappiamo tutti quanto riescono a sorprenderci...non per niente si dice che  'gli manca la parola'.
Citazione
E non é poco!




In realtà fra loro parlano eccome, nella mia zona i cani da guardia per esempio 'conversano' rumorosamente da una casa all'altra. Muoio dalla curiosità di sapere cos'avranno da raccontarsi, dato che non si possono mai vedere e sono pure di razze diverse.
Citazione
Non per fare il prosaico iconoclasta negatore della poesia (che non sono affatto), ma non vedo quali significati che non siano meramente metaforici possano avere in questo contesto le parole "parlare", "conversare" (che metti giustamente fra virgolette) e "raccontarsi".




Sembra che anche loro soffrano di depressione come noi umani.
Perfino i gatti, tacciati malignamente di  egoismo, opportunismo e scarso attaccamento ai padroni, diventano depressi se li si trascura lasciandoli soli troppo a lungo,  dopo un trasloco o in seguito all'allontanamento di una persona nota dalla famiglia.
Secondo me una forma di autocoscienza ce l'hanno tutti i mammiferi, chi più chi meno.
Citazione
Ma questa é coscienza, non autocoscienza!
(Più precisamente comportamenti cui é ragionevole credere "si accompagni", coesista coscienza fenomenica)




Per quanto riguarda i vegetali, beh, non ci sono prove che abbiano reazioni, pensieri o qualcosa di simile ai sentimenti animali. Ma una volta avevo letto di uno studioso torinese che  misurava con un apparecchio le emanazioni elettromagnetiche delle piante .
Ogni volta che si avvicinava ad esse, l'apparecchio registrava una certa 'agitazione', diversa a seconda che avesse in mano le forbici da pota oppure l'innaffiatoio...e il bello è che le piante ogni volta reagivano come se lo riconoscessero!
Con gli estranei, infatti, la reazione era molto più debole o assente.
Ora, non risulta che i vegetali possiedano la vista, neppure occhi rudimentali, perciò non mi spiego il fenomeno.
Citazione
Pur non avendone una conoscenza specialistica credo che semplicemente si tratti di reazioni chimiche fra molecole delle membrane cellulari delle piante e sostanze chimiche emesse dalla diverse persone (un po' l' inverso delle reazioni allergiche che certe piante arrecano a certi animali).
Ma la cosa andrebbe indagata con serietà (microscopi, cimenti sperimentali ben calibrati, ecc.).


Nella pratica, i giardinieri sanno che le piante crescono meglio quando si parla con loro dolcemente, le si cura e si fa loro ascoltare della buona musica...tipico esempio, il famoso investigatore Nero Wolf che coltivava orchidee in serra con sottofondo di raffinata musica classica.
Logico che sia quello il  genere musicale preferito dalle orchidee, essendo fiori originali e d'alta classe (anche piuttosto vanitosi ed eccentrici).
Citazione
Anche questo credo rientri in meri meccanismi molecolari senza corrispondenze coscienti: poiché non tutto ciò cui la selezione naturale consente di esistere é adattivo (contrariamente all' ideologia reazionaria di chi pretenderebbe che la s. n. stessa si riducesse a una "lotta per la sopravvivenza" di tutti contro tutti), si vede che , così come la luce del sole e l' acqua e i sali minerali del terreno, anche le onde sonore fanno bene alle piante (é peraltro per lo meno discutibile quanto l' artificiosamente ipertrofico sviluppo e "sviluppo distorto nel senso della bellezza umanamente intesa" dei fiori e la connessa eliminazione di quelli arbitrariamente ritenuti "brutti" secondo l' estetica umana attraverso la selezione artificiale, le cui differenze dalla selezione naturale furono gravemente sottovalutata da Darwin che come Marx ed Engels non era un profeta portatore della infallibile parola divina ma un uomo geniale e uno scienziato, sia realmente "benefico" alle piante; e in che senso; ovviamente lo stesso discorso vale in varia misura anche per gli animali allevati dall' uomo, anche se in questo caso é più immediatamente evidente, e credo lo sia proprio perché gli animali sono ragionevolmente da ritenersi [senza auto-] coscienti).


Per le galline invece è stato scientificamente dimostrato che adorano il country.  ;D  Scappano dai pollai dove c'è fracasso heavy metal e corrono tutte dove sentono il banjo o lo yodel. Con la musichetta giusta sono più serene e producono più uova.
Ah, a proposito: tempo fa leggevo che le galline sono terribilmente razziste, tradizionaliste e classiste, ma forse dati i loro gusti musicali non c'è da stupirsi.  
Anche nei pollai ci sono le prime donne e le sottoposte. Le anziane non accettano facilmente una nuova arrivata, bisogna mettergliela accanto gradatamente, tenendola separata da una rete, finché non si adattano alla sua presenza. Ma anche dopo, ognuna di loro occupa un posto preciso sul trespolo (le nuove in genere stanno più in basso).
Cos'è questa se non una specie di autocoscienza simile a quella umana? La gallina di rango superiore sembra essere molto consapevole del suo ruolo.
Che ne dite? Se vi sembra troppo O.T. lasciate pure perdere.
Citazione
La mia personale risposta é decisissimamente: con tutta evidenza NO ! ! !

Ipazia

Che ne sappiamo noi di cosa pensano e progettano i viventi di specie diverse dalla nostra ? L'etologia e psicologia animale sono ancora agli albori. Quando un predatore caccia sta progettando il suo futuro. Quando un cane riconosce un umano é cosciente del suo passato. Dimostra di possedere una storia esistenziale.

Trovo abbastanza scolastica e convenzionale, forse funzionale, ma non scientifica sul piano ontologico, la distinzione tra autocoscienza e coscienza, la cui dissociazione é rintracciabile solo in situazioni di grave alterazione chimica o psicopatologia dello stato cosciente. Persino nella condizione particolare del sogno la distinzione tra io e non-io si riconferma.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve Everlost. La difficoltà che troviamo nel definire la coscienza (e un sacco di altre cosucce) nascono secondo me da due aspetti :

- si tratta di definire un nostro attributo, quindi la cosa ci risulta del tutto tautologica ed autoreferenziale impedendoci, se mai ci fosse concesso, di avvicinarci all'obiettività.

- la realtà naturale del mondo non conosce confini e catalogazione dei propri contenuti; siamo noi - costretti dalla nostra limitatezza, a attribuire una limitatezza e quindi poi un confine a ciò che esaminiamo.

Tutte le manifestazioni della vita si trasfigurano più o meno passando da una specie all'altra e persino da un'epoca (evolutiva) all'altra, ma sono in sè presenti - non importa se da noi irriconoscibili o conosciute come diverse - in tutto ciò che appartiene alla vita. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 06 Gennaio 2019, 15:05:02 PM
Che ne sappiamo noi di cosa pensano e progettano i viventi di specie diverse dalla nostra ? L'etologia e psicologia animale sono ancora agli albori. Quando un predatore caccia sta progettando il suo futuro. Quando un cane riconosce un umano é cosciente del suo passato. Dimostra di possedere una storia esistenziale.
Citazione
NO, quando un predatore caccia sta solo provvedendo al soddisfacimento della sua presentissima fame (non é oggettivamente pericoloso -anche se non lo farei mai- passare accanto a un leone ben sazio).
Invece per un leone é pericolosissimo passare accanto a un bracconiere presentemente ben sazio, ma che, essendo autocosciente (nel senso comunemente attribuito all' autocoscienza umana) non pensa solo ai suoi bisogni immediatamente presenti e sa che in futuro la vendita della carcassa del leone potrebbe contribuire a sfamarlo (anche i cani ripongono resti di cibo per il futuro, se presentemente gliene avanzano, ma non programmano un tempo di caccia nelle loro giornate, magari diverso dall' una all' altra giornata a seconda di altre loro esigenze: cacciano -allo stato selvaggio; quelli domestici di regola mai- quando presentemente hanno fame o presentemente gli capita l' occasione e non sono troppo sazi). 

E un cane possiede senz' altro una storia, ma non credo proprio (per quanto ragionevolmente ipotizzabile: che ci sia in questo un ineliminabile margine di incertezza l' ho scritto io per primo) che ripensi mai al passato, compiacendosi di qualcosa e pentendosi di qualcos' altro (se non forse, presentemente, al momento di subirne le conseguenze).




Trovo abbastanza scolastica e convenzionale, forse funzionale, ma non scientifica sul piano ontologico, la distinzione tra autocoscienza e coscienza, la cui dissociazione é rintracciabile solo in situazioni di grave alterazione chimica o psicopatologia dello stato cosciente. Persino nella condizione particolare del sogno la distinzione tra io e non-io si riconferma.
Citazione
Qualsiasi distinzione (di fatto) si fa secondo criteri convenzionali (arbitrariamente convenuti).

Ma io invece trovo interessantissima questa dei diversi gradi di coscienza; e la ritengo riscontrabilissima nella comparazione dei comportamenti (fisiologici) umani con quelli degli altri animali (indipendentemente da eventuali patologie; e anche indipendentemente dai sogni).
Ma la distinzione fra io e non io é altra cosa dalla consapevolezza di vivere una vita, con un passato e un più o meno lungo futuro, salvo "in punto di morte", della quale complessivamente (e non soli dei propri bisogni immediatamente presenti) si può essere più o meno soddisfatti a seconda dei casi.

Comunque qui non si tratta di imporci reciprocamente le parole con le quali affrontiamo la questione, ma di intenderci sulla natura delle cose reali di cui parliamo (nella fattispecie le differenze fra la coscienza umana e la coscienza di qualsiasi altra specie animale; differenze che credo di poter dire innegabili; che altrimenti non siamo per nulla sintonizzati su una lunghezza d' onda atta a comunicare e a farci reciprocamente capire e tanto varrebbe smetterla di discutere).

everlost

#20
Beh, caro Sgiombo, non si può essere sempre d'accordo e in sintonia nemmeno con se stessi.

Per esempio, nella discussione con Carlo Pierini sul darwinismo avevo scritto che gli animali e le piante non possiedono coscienza. Fino a quel momento (meno di un mese fa  ;D ) lo pensavo senza tanti dubbi.
Ma siccome mi piace riflettere sempre e su tutto, ho cominciato a rivedere le vecchie nozioncine scolastiche e a cercare materiale nell'internet.
Certo, su YT si trova anche roba agghiacciante, come questo video che sconsiglio ai più sensibili e che mi ha fatto passare la voglia di preparare soffritti e minestroni per tutta la vita:
L'urlo della carota :o
Horror puro, almeno per me che ho il cuore tenero.
Ma c'è anche qualcosa di meno inquietante, ad esempio questa conferenza del prof. Stefano Mancuso, docente alla facoltà fiorentina di Agraria, convinto assertore della 'neurobiologia vegetale'.
Mostra un esperimento sui fagioli rampicanti che lascia di stucco.
E poi parla anche dell'Ophrys apiaria, quindi piacerà a  Carlo Pierini.  :D
Il professore, con altri suoi colleghi, ritiene che le piante siano molto più sensibili di noi e che possiedano intelligenza anche senza cervello e organi di senso (sembra infatti che l'apparato radicale sotterraneo sia una specie di rete neuronale in grado di dirigere la parte aerea come fa l' encefalo con il corpo dell'animale). Sarebbero, insomma, dei viventi speculari a noi perché capovolti, a testa in sotto. E non è detto che non potersi spostare dal punto di radicamento sia così negativo: dal punto di vista evolutivo le piante sono vincenti sugli animali, costituendo oltre il 99 per cento della biomassa sul pianeta.

Potrebbe sembrare un problema da fricchettoni, però  se riconosciamo l'esistenza di una coscienza vegetale vacilla anche l'assunto che la coscienza sia una funzione umana legata al  cervello ed eminentemente nostra per via di una particolare fisiologia che consideriamo superiore  a quella degli altri viventi.
Non mi sembra una questione filosofica di poco conto.

Ve lo consiglio senza riserve:

Le piante sentono

Vedendo quant'è raffinata e complessa la strategia riproduttiva di certi vegetali, viene da chiedersi come tutto ciò possa dipendere solo da reazioni chimiche o da una somma di mutazioni favorevoli accumulate ed  ereditate dai progenitori.
Viene da pensare che forse Giordano Bruno e Baruch Spinoza non erano poi tanto visionari, forse avevano capito qual è la vera essenza del mondo (disgraziatamente troppo in anticipo sui loro contemporanei).

Sariputra

E se non fosse la coscienza negli uomini o negli animali, ma fossero gli uomini e gli animali nella coscienza? In questo caso in definitiva si potrebbe dire che non ci sarebbe un solo essere che 'ha' la coscienza (ne è il proprietario) e nello stesso tempo non ci sarebbe alcun essere che ne fosse privo. E questa coscienza desidera esistere ( tanha) . Pertanto sarebbe assurdo cercare la coscienza nei cervelli umani o degli animali, essendo questi nella coscienza e non viceversa. Ovviamente a questa coscienza non si potrebbe assegnare un proprietario nè una qualsiasi definizione, né luogo, né dimensione, né spazio... Se vediamo la presenza della coscienza negli altri sarebbe perché gli 'altri' sono (esistenti) nella coscienza stessa...essendo la coscienza un grande spazio indefinito ( senza limiti e confini...)...uno spazio vuoto in cui, come lucciole, risplendono e si spengono i 'fenomeni' (sia mentali che materiali...) ad una tale velocità da dare l'impressione alla coscienza stessa di una 'continuità', di fatto inesistente...la coscienza essendo naturalmente immemore di essere l'unica cosa esistente ( e infatti come potrebbe ricordarselo, visto che i ricordi sono solo fenomeni mentali che appaiono e scompaiono all'interno della coscienza stessa?... :(
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Sariputra

Vive senza il 90% del cervello e sconvolge il concetto di coscienza
 
Il mondo della scienza si sta interrogando sulla storia dell'uomo che vive senza il 90% del suo cervello. Questa vicenda infatti apre molte questioni comprese quelle legate al concetto di coscienza. 

continua su: https://scienze.fanpage.it/vive-senza-il-90-del-cervello-e-sconvolge-il-concetto-di-coscienza/
http://scienze.fanpage.it/

Leggete di questo caso straordinario...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

davintro

#23
intendendo come coscienza quel complesso di vissuti nei quali un Io si dirige verso dei contenuti oggettivi, riconosciuti come tali, allora non si potrebbe considerare ogni forma di vita come necessariamente dotata di coscienza, dato che la coscienza starebbe proprio a costituire uno scarto, una presa di distanza rispetto allo spontaneo scorrere della vita. Di per sé la vita, nella pura accezione biologica del concetto, può intendersi come un flusso energetico del tutto spontaneo, irriflesso, mentre la presenza della coscienza consente di un margine di distacco, tramite cui l'Io può porre la propria stessa vita come "tema", oggetto di valutazione, concetto tra i tanti, e una cosa, nella misura in cui diviene oggetto, diviene anche passivo ricevente di significati da parte del soggetto riflettente e oggettivante. Nella coscienza la vita non è più un flusso impersonale di energie che sovrasta l'Io, ma tema da valutare, e dunque suscettibile messo in discussione nel suo valore, raffrontato a dei modelli ideali in relazione a cui riconoscerne il grado di adeguatezza, in ogni momento la coscienza ci consente di valutare quanto la vita che conduciamo rifletta le nostre aspettativi, il nostro ideale personale di "vita degna di essere vissuta". Ed ecco che ad esempio una cosa come il suicidio è  concepibile solo in soggetti dotati di coscienza, tramite la coscienza l'Io si ribella a lasciarsi trascinare in un mero istinto di autoconservazione, e in alcuni casi, può decidere di interromperlo, questa possibilità presuppone lo scarto, il margine di distanza che la coscienza segna tra l'Io valutante e riflettente e la vita biologica come oggetto da tematizzare, da cui l'Io, a questo punto non solo biologico ma spirituale, si rende autonomo nei suoi criteri di valutazione. Il suicidio è in fondo la più radicale, tragica, ma anche evidente manifestazione della spiritualità. Sicuramente è vero che non possiamo avere certezze dall'esterno della vita interiore di un animale o di una pianta, questo è un problema generale che riguarda l'epistemologia di ogni forma di sapere empirico, la mancanza di adeguate garanzie di corrispondenza fra percezione soggettiva e realtà oggettiva, ma tenuto fermo il richiamo a questo margine di incertezza, mi pare di poter dire che al di fuori dell'essere umano non sembrano notarsi manifestazioni di una esistenza nella quale le finalità trascendano quelli della sopravvivenza biologica, sia quella individuale o di specie, ovvero manifestazione di "coscienza" nel senso stretto del termine. Non solo l'uomo è l'unico essere a suicidarsi, ma anche l'unico che pare impegnarsi nella creazione di cose del tutto "inutili" o gratuite dal punto di vista biologico, la formazione di teorie scientifiche/filosofiche che appaiono del tutto  slegate della soddisfazione di bisogni materiali necessari alla vita, la creazione artistica, espressioni di una bellezza del tutto inutili dal punto di vista biologico, ma esprimente in modo simbolico valori universali, al di là del nostro vivere "qui e ora". Possiamo restare affascinati dall'ingegno di un formicaio o di un alveare, ma non credo potremmo trovarci alcun aspetto che non sia riconducibili ai bisogni di preservazione della vita, mentre un quadro, una scultura, una basilica sono dal punto di vista biologico solo uno spreco, ma dal punto di vista spirituale, di una coscienza slegata dalla funzionalità vitale, esprimono i valori personali dei loro creatori

Poi, se un giorno ci capiterà di scoprire una scimmia,  un cane, un gatto, che si suicidano, che cominciano a elaborare idee filosofiche, a creare per puro e disinteressato amore del bello... potremmo sempre  farli rientrare nella categoria di "animale razionale" che oggi riserviamo solo all'uomo... Le definizioni, le classificazioni in fondo sono sempre convenzioni linguistiche di comodo, che possono sempre essere modificate, allargate, ristrette... sulla base di come l'esperienza effettiva ci pone come maggiormente opportuno. Il lavoro filosofico sulla questione penso possa limitarsi solo a valutare la coerenza logica interna dei singoli "idealtipi", delle singole categorie o schemi terminologici, utilizzando il pensiero analitico e deduttivo per stabilire le implicazioni necessarie di una certa definizione o categoria, lasciando poi al ricercatore empirico il compito di stare sul campo a osservare in quale categoria sia più opportuno collocare il singolo cane, gatto, scimmia in base ai loro comportamenti

Sariputra

#24
Riporto uno stralcio di una interessante intervista di Sergio Benvenuto con il famoso biologo cileno Francisco Varela (Varela negli anni '70 si convertì al buddhismo, e da allora ha intrapreso vari studi che avevano per oggetto gli stati mentali prodotti dalla meditazione buddhista. Nel 1987, assieme a R. Adam Engle fondò il Mind and Life Institute, tuttora attivo, per studiare i rapporti tra le scienze moderne e il buddismo, in particolare le pratiche meditative e contemplative).
Varela  concesse questa conversazione per la RAI (programma Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche) quattro mesi prima della sua morte.


Domanda:Ci può esporre la sua posizione personale - antiriduzionista - in questo dibattito?

Varela - C'è una tendenza riduzionista, per cui la nozione di NCC occupa veramente la maggior parte dei dibattiti. Ma alcuni di noi - evidentemente non sono solo, anche se siamo sempre un po' in minoranza - pensano che la questione posta in questi termini non abbia soluzione, per la semplice ragione che il vissuto in quanto tale è per principio logicamente ed empiricamente irriducibile a una funzione neuronale. È quello che si chiama il problema duro della coscienza. Ciò che appartiene al vissuto ha uno statuto o una natura che non è spiegabile in termini di sistema neuronale. Se ne può trovare un correlato, ma questo correlato non cambia assolutamente il fatto che il lato fenomenico [phénoménal] resta un'apparizione fenomenica, un accesso fenomenico alla mia coscienza. Dunque bisogna porre la discussione in termini diversi.
Si tenga presente il fatto che il dibattito sulla coscienza è cominciato e si è sviluppato per la maggior parte negli Stati Uniti, dove la filosofia della scienza dominante - philosophy of mind - è una filosofia di tipo analitico, che si interessa essenzialmente a dare buone definizioni delle categorie e degli oggetti, mentre il mio background filosofico è piuttosto quello della tradizione fenomenologica. In questa tradizione il punto di partenza è la natura del vissuto e la spiegazione materiale del mondo, la spiegazione delle relazioni tra l'elemento fenomenico e il mondo. Ogni tentativo di riduzione o di dissolvere l'elemento fenomenico [le phénoménal] nell'empirico sarebbe un'impresa destinata a fallire. Qual è l'alternativa? L'alternativa è in un certo senso evidente - non banale - solo che vi si rifletta adeguatamente. In effetti, quando dico che la coscienza è il vissuto, non parlo di qualcosa che esiste solo nella mia testa. Non posso mettermi alla ricerca della coscienza a partire da un tratto di circuito cerebrale. La coscienza non appartiene, per così dire, a un gruppo di neuroni, appartiene a un organismo, a un essere umano, a un'azione che si sta vivendo. Non è proprio la stessa cosa. Voglio dire che non si può avere una nozione della coscienza e della maniera in cui emerge, se non si prende in considerazione il fatto che il fenomeno della coscienza appare in un organismo ed è legato ad almeno tre cicli permanenti di attività. In primo luogo è connesso in permanenza con l'organismo. Si dimentica troppo facilmente che il cervello non è un fascio di neuroni sezionati in laboratorio, ma esiste all'interno di un organismo impegnato essenzialmente nella propria autoregolazione, nella nutrizione e nella conservazione di sé, che ha fame e sete, che ha bisogno di rapporti sociali. Alla base di tutto ciò che pertiene all'integrità degli organismi, c'è infine il sentimento dell'esistenza, il sentimento di esserci, di avere un corpo dotato di una certa integrità. Per un aspetto essenziale la coscienza rientra nell'attività permanente della vitalità organismica che, muovendosi sullo sfondo del sentimento di esistere, è continuamente permeata, attraversata, da emozioni, sentimenti, bisogni, desideri. In secondo luogo è evidentemente in "accoppiamento" diretto col mondo, o in interazione con esso, attraverso tutta la superficie sensori-motrice. Io ho coscienza di questo bicchiere, nel senso che, quando vedo il bicchiere, dico: "ho coscienza di questo bicchiere". Ma il bicchiere non è un'immagine nella mia testa, di cui io debba prendere coscienza dall'interno. Nella buona neuroscienza si è scoperto che il bicchiere è inseparabile dall'atto di manipolarlo. L'azione e la percezione costituiscono un'unità e il mondo non esiste, se non in questo ciclo, in questo accoppiamento permanente. C'è un'interazione col mondo e il mondo emerge solo grazie a questo accoppiamento che è una fonte permanente di senso. È un'evidenza massiccia, costituitasi a partire dallo studio dei bambini, dalla neurofisiologia della corteccia motoria e sensoriale, e via di seguito. Quando parlo di contenuti di coscienza, e dico di vedere un bicchiere, il volto di un amico, il cielo, non parlo di un tratto di circuito [circuiterie] neuronale che capta un'informazione dal mondo e ne fa un correlato della coscienza, sto parlando di qualcosa che è necessariamente decentrato [excentré], che non è nel cervello, ma nel ciclo, tra l'esterno e l'interno, che esiste solo nell'azione e nel ciclo, nello stesso modo in cui il sentimento d'esistenza vive nel ciclo tra l'apparato neuronale e il corpo.
Ma c'è ancora una terza dimensione, valida soprattutto per l'uomo e per i primati superiori: il fatto di essere strutturalmente concepiti per avere rapporti con i nostri congeneri, con individui della stessa specie, di avere l'abilità innata che costituisce l'empatia, il mettersi al posto dell'altro, l'identificarsi con l'altro. Il rapporto tra madre e bambino non è che una faccenda di empatia. Non posso separare - non soltanto nell'infanzia, ma per tutto il resto dell'esistenza - la vita mentale, la vita della coscienza, la vita del linguaggio o la vita mediata dal linguaggio, l'intero ciclo dell'interazione empatica socialmente mediato, da ciò che chiamo coscienza. Dunque ancora una volta tutto questo si svolge non all'interno della mia testa, ma in modo decentrato [excentré], nel ciclo. Il problema del neuronal correlate of consciousness è mal posto, perché la coscienza non è nella testa. Insomma, la coscienza è un'emergenza che richiede l'esistenza di questi tre fenomeni o cicli: con il corpo, con il mondo e con gli altri. I fenomeni di coscienza possono esistere solo nel ciclo, nel decentramento che esso comporta. In tutto questo, evidentemente il cervello ha un ruolo centrale, perché esso è the enabling condition, la condizione di possibilità di tutto il resto.
Quindi la coscienza non è un segmento di circuiti cerebrali, ma appartiene a un organismo incessantemente coinvolto nei differenti cicli e quindi è un fenomeno eminentemente distribuito, che non risiede solo nella testa. Il cervello da parte sua è essenziale perché contiene le condizioni di possibilità perché questo avvenga. La meraviglia del cervello è che permette per esempio il coordinamento sensorio-motore di tutta l'interazione, la regolazione ormonale che assicura il mantenimento dell'integrità corporea, e così via. Ma la nozione di neuronal correlates of consciousness in quanto tale è, per usare le parole di Alfred Norton Whitehead, "una concretizzazione inopportuna". Se si ricorre a questa mossa, si escludono simultaneamente molti fatti importanti. Dunque la mia è una posizione antiriduzionista.

Anche la mia è una posizione antiriduzionista. La coscienza come fenomeno 'olistico' che investe il corpo-mente intero è una concezione interessante...
Ancora un contributo, questa volta di  Jeannette Rutsche:

Pur accantonate le diatribe metodologiche, la coscienza è un terreno scivoloso per chiunque voglia indagarla, a partire dalla sua definizione. Se la inquadriamo come consapevolezza del mondo esterno all'individuo, sulla cui base si decide il comportamento conseguente, parliamo di qualcosa che condividiamo con il mondo animale e che è sicuramente osservabile esternamente. Esistono diversi gradi di consapevolezza, ascrivibili agli stadi di sviluppo evolutivo, filogenetico e ontogenetico. Le neuroscienze possono ben documentare le corrispondenze tra comportamento adottato e attivazione delle diverse aree cerebrali, senza comunque correlare mai in termini di causa-effetto tali attivazioni. Stefano Cappa ha chiaramente stigmatizzato le semplificazioni riportate dai giornali: dire che "possiamo smascherare i terroristi" perché possiamo vedere tramite le neuroimmagini quale area del cervello si attiva se il soggetto mente, è fuorviante. Innanzitutto, le neuroimmagini che vediamo non sono fotografie ma il risultato di complesse elaborazioni di pattern di attivazione. Inoltre, si commette una fallacia logica, come dire "se piove, la strada è bagnata; la strada è bagnata, dunque è piovuto": questo sarebbe vero se la pioggia fosse l'unica causa del bagnato, ma così non è. Il cervello di soggetti con estesi danni cerebrali, in stato vegetativo o con minima consapevolezza, si attiva alla presentazione di stimoli come quello delle persone senza danno cerebrale.
Se, invece, riduciamo la coscienza a ciò che è esplicitabile e condivisibile, evochiamo il linguaggio. In questa cornice è studiabile osservando il comportamento e parlando con il soggetto, che esprimerà il suo vissuto attraverso il codice comunicativo condiviso; il linguaggio indirizzerà lo stato di coscienza. Questa visione rimanda immediatamente al concetto di significato e di comprensione. Vincenzo Costa ha sostenuto una definizione di coscienza come totalità degli atti di comprensione intesi come senso storico del mondo, del contesto in cui ci muoviamo. La coscienza diviene, quindi, quel processo di introiezione di significati iscritti nel mondo.
Il quesito che sorge è: come può un ordine di significati storico e sociale iscriversi in un cervello rendendolo atto ad abitare il mondo? Domanda affascinante, che trova parziale risposta nella scoperta e studio dei neuroni-specchio. Vittorio Gallese mette in guardia, però, da facili entusiasmi. Si è osservato che i neuroni-specchio si attivano in presenza di comprensione, ma si è anche osservato che la comprensione avviene anche in assenza della loro attivazione...
... In più si è visto, studiando i neuroni-specchio presenti nelle aree pre-motorie del cervello, che quanto più ciò che il soggetto vede è congruente con la sua pre-esistente esperienza motoria, tanto più si attiveranno i neuroni-specchio. Come dire: è necessaria una pre-acquisizione esperenziale perché i neuroni-specchio si attivino al fine di una comprensione qualitativamente superiore. E come avviene, allora, tale pre-acquisizione? Le domande diventano sempre più molecolari...
...Possiamo chiederci ancora qual è il rapporto tra le emozioni e la coscienza o se la coscienza è solo un'attività del cervello, ma avremmo ancora risposte frammentate e insoddisfacenti. Tutti siamo coscienti di esistere, nel senso più ampio, inclusivo e globale del termine. La coscienza è per ognuno di noi l'esperienza dei nostri stati mentali che "sentiamo" multidimensionali, pur non riuscendo il più delle volte a scomporli. E' un'esperienza olistica che le neuroscienze possono approcciare solo con la parcellizzazione degli stadi di esperienza e che la filosofia necessita di ricondurre a gabbie semantiche che, se pur ampie, vincolano la ricerca al già "pensato". Vincenzo Costa ha usato un'espressione che mi ha colpito: " Occorre una pre-comprensione della totalità per comprendere ogni singolo elemento". Sembra contraddittorio, ma solo per il pensiero sequenziale. Non lo è per l'arte che da sempre si immerge nel tutto e utilizza la comunicazione diretta, da coscienza a coscienza. I tempi stanno cambiando. Un oggetto di studio extra-ordinario come la mente richiede metodi non convenzionali e libertà da schematizzazioni il cui fine intrinseco è il controllo. L'arte sorride e attende di essere ascoltata.
Jeannette Rutsche

P.S. Sono d'accordo anche con il maestro davintro... :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: everlost il 06 Gennaio 2019, 21:19:26 PM

Potrebbe sembrare un problema da fricchettoni, però  se riconosciamo l'esistenza di una coscienza vegetale vacilla anche l'assunto che la coscienza sia una funzione umana legata al  cervello ed eminentemente nostra per via di una particolare fisiologia che consideriamo superiore  a quella degli altri viventi.
Non mi sembra una questione filosofica di poco conto.

Ve lo consiglio senza riserve:

Le piante sentono

Vedendo quant'è raffinata e complessa la strategia riproduttiva di certi vegetali, viene da chiedersi come tutto ciò possa dipendere solo da reazioni chimiche o da una somma di mutazioni favorevoli accumulate ed  ereditate dai progenitori.
Viene da pensare che forse Giordano Bruno e Baruch Spinoza non erano poi tanto visionari, forse avevano capito qual è la vera essenza del mondo (disgraziatamente troppo in anticipo sui loro contemporanei).

Leggerò (senza fretta perché ne ho altri che mi interessano di più) l' articolo che consigli.

Per ora rilevo che "reagire" (non semplicemente subire semplici effetti da semplici cause) in modi determinati agli stimoli esterni é proprio di ogni vivente (a partire dai batteri) e può essere considerato un criterio di "vita" e non di comportamento cosciente.

Ho seri dubbi sul presunto pampsichismo di Spinoza (Bruno purtroppo lo conosco solo per sentito dire).

Ipazia

Citazione di: davintro il 07 Gennaio 2019, 00:04:36 AM
intendendo come coscienza quel complesso di vissuti nei quali un Io si dirige verso dei contenuti oggettivi, riconosciuti come tali, allora non si potrebbe considerare ogni forma di vita come necessariamente dotata di coscienza, dato che la coscienza starebbe proprio a costituire uno scarto, una presa di distanza rispetto allo spontaneo scorrere della vita.

Un predatore dirige il proprio Io verso i contenuti oggettivi della preda e si può legittimamente supporre faccia dei ragionamenti a tal rigurado perchè l'operazione vada a buon fine. Lo stesso fa la preda nei confronti del predatore per sfuggire alla cattura. La differenza del grado di autocoscienza e di strategie coscienti per garantirsi una sopravvivenza soddisfacente (di prede e predatori) pare andare di pari passo con l'arricchimento neuronico del SNC.

Citazione di: davintro
Di per sé la vita, nella pura accezione biologica del concetto, può intendersi come un flusso energetico del tutto spontaneo, irriflesso, mentre la presenza della coscienza consente di un margine di distacco, tramite cui l'Io può porre la propria stessa vita come "tema", oggetto di valutazione, concetto tra i tanti, e una cosa, nella misura in cui diviene oggetto, diviene anche passivo ricevente di significati da parte del soggetto riflettente e oggettivante. Nella coscienza la vita non è più un flusso impersonale di energie che sovrasta l'Io, ma tema da valutare, e dunque suscettibile messo in discussione nel suo valore, raffrontato a dei modelli ideali in relazione a cui riconoscerne il grado di adeguatezza, in ogni momento la coscienza ci consente di valutare quanto la vita che conduciamo rifletta le nostre aspettativi, il nostro ideale personale di "vita degna di essere vissuta". Ed ecco che ad esempio una cosa come il suicidio è  concepibile solo in soggetti dotati di coscienza, tramite la coscienza l'Io si ribella a lasciarsi trascinare in un mero istinto di autoconservazione, e in alcuni casi, può decidere di interromperlo, questa possibilità presuppone lo scarto, il margine di distanza che la coscienza segna tra l'Io valutante e riflettente e la vita biologica come oggetto da tematizzare, da cui l'Io, a questo punto non solo biologico ma spirituale, si rende autonomo nei suoi criteri di valutazione. Il suicidio è in fondo la più radicale, tragica, ma anche evidente manifestazione della spiritualità.

Si riportano casi di animali domestici che si sono lasciati morire di fame presso la tomba dei loro defunti referenti umani. Forse erano arrivati a concepire il concetto di "vita degna di essere vissuta". Ovvero ad una vera e propria coscienza etica fondata su valori. Cosa che l'antropocentrismo considera prerogativa esclusivamente umana.

Citazione di: davintro
Sicuramente è vero che non possiamo avere certezze dall'esterno della vita interiore di un animale o di una pianta, questo è un problema generale che riguarda l'epistemologia di ogni forma di sapere empirico, la mancanza di adeguate garanzie di corrispondenza fra percezione soggettiva e realtà oggettiva, ma tenuto fermo il richiamo a questo margine di incertezza, mi pare di poter dire che al di fuori dell'essere umano non sembrano notarsi manifestazioni di una esistenza nella quale le finalità trascendano quelli della sopravvivenza biologica, sia quella individuale o di specie, ovvero manifestazione di "coscienza" nel senso stretto del termine. Non solo l'uomo è l'unico essere a suicidarsi, ma anche l'unico che pare impegnarsi nella creazione di cose del tutto "inutili" o gratuite dal punto di vista biologico, la formazione di teorie scientifiche/filosofiche che appaiono del tutto  slegate della soddisfazione di bisogni materiali necessari alla vita, la creazione artistica, espressioni di una bellezza del tutto inutili dal punto di vista biologico, ma esprimente in modo simbolico valori universali, al di là del nostro vivere "qui e ora". Possiamo restare affascinati dall'ingegno di un formicaio o di un alveare, ma non credo potremmo trovarci alcun aspetto che non sia riconducibili ai bisogni di preservazione della vita, mentre un quadro, una scultura, una basilica sono dal punto di vista biologico solo uno spreco, ma dal punto di vista spirituale, di una coscienza slegata dalla funzionalità vitale, esprimono i valori personali dei loro creatori

Poi, se un giorno ci capiterà di scoprire una scimmia,  un cane, un gatto, che si suicidano, che cominciano a elaborare idee filosofiche, a creare per puro e disinteressato amore del bello... potremmo sempre  farli rientrare nella categoria di "animale razionale" che oggi riserviamo solo all'uomo...

Sulla coscienza estetica animale si trova molto materiale in rete. Segnalo questo breve articolo che cita il mio esempio prediletto: l'uccello giardiniere.

Le citazioni di Sariputra evidenziano la perplessità dei ricercatori rispetto al salto quantistico netto che la coscienza umana dovrebbe avere rispetto al resto del mondo vivente. Esiste indubbiamente un salto, mediato dal linguaggio, che evolvendoci verso forme sempre più astratte di ragionamento epistemico ed esistenziale ha approfondito il divario, ma non è sufficiente per esprimere una totale differenziazione qualitativa sul bios originario. Ponendosi dal punto di vista del quale la superiorità astrattiva umana si sgonfia come un pallone di fronte alla lacerante superiorità di pressochè tutto il mondo vivente, rimasto allo stadio naturale, nel garantirsi la sopravvivenza una volta ci venissero a mancare gli orpelli tecno-retorici su cui si fonderebbe la nostra presunta alt(e)ra superiorità.

Citazione di: davintro
Le definizioni, le classificazioni in fondo sono sempre convenzioni linguistiche di comodo, che possono sempre essere modificate, allargate, ristrette... sulla base di come l'esperienza effettiva ci pone come maggiormente opportuno. Il lavoro filosofico sulla questione penso possa limitarsi solo a valutare la coerenza logica interna dei singoli "idealtipi", delle singole categorie o schemi terminologici, utilizzando il pensiero analitico e deduttivo per stabilire le implicazioni necessarie di una certa definizione o categoria, lasciando poi al ricercatore empirico il compito di stare sul campo a osservare in quale categoria sia più opportuno collocare il singolo cane, gatto, scimmia in base ai loro comportamenti

Accettando pure, con filosofico distacco, i risultati, se non propriamente allineati coi pregiudizi antropocentrici così antichi da essere probabilmente radicati perfino in qualche gene del nostro DNA.

@sgiombo

Hai perfino in firma l'eziologia della (auto)coscienza. Essere è percepire la differenza tra io (auto) e altro (oggetto di co(no)scienza). Tale determinazione è negazione dell'io laddove inizia l'altro. Quindi è l'autocoscienza il nucleo della presa di coscienza della realtà, a partire da quell'altro saziante, dolce e amorevole che è, per ogni mammifero, la tetta materna . Il "self" inglese attribuito sia all'io che alla coscienza non potrebbe essere più esplicito di tale comune origine. E' a partire dalla "negatio", dal "percepito", dall'"altro" riconosciuto nella sua piena alterità che si costituisce nell'età evolutiva del vivente quella coscienza universale e sociale nella quale non intravedo null'altro che un dilatarsi dell'autocoscienza iniziale. Quindi qualcosa di totalmente immanente, seppur con attitudini trascendentali particolarmente sviluppate nella nostra specie, che non mitizzerei più del necessario perchè è vero che hanno affinato le nostre facoltà razionali ed  estetiche/etiche (che per L.Wittgenstein sono della stessa "natura"), ma ci hanno regalato pure le guerre di religione/ideologiche e lo schiavismo antico e moderno.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

everlost

@ Ipazia
Condivido tutto. Anch'io leggo spesso gli articoli di Pikaia, un sito che ritengo molto serio e interessante. Anche perché non è solo specialistico.

@ Sgiombo
Ecco, allora non ci perdere il tuo tempo prezioso, perché il mio link contiene un video divulgativo per i non accademici. Forse per questo l'ho apprezzato (mentre invece per te ed altri sarà sicuramente troppo semplice).

@ chi fosse eventualmente interessato

L'esperimento filmato dei fagioli nel video di Mancuso dimostra chiaramente che essi percepiscono, anche senza possedere occhi, l'esistenza di un supporto nelle loro vicinanze e vi si dirigono con sicurezza. Ma c'è di più: in caso di competizione, la pianta 'perdente' si ferma, come se avesse capito che ormai è inutile ogni ulteriore sforzo, perché il supporto l'ha già occupato la pianta rivale.

Cercare il sostegno potrebbe essere un comportamento istintivo, inconsapevole, legato alla necessità di sopravvivenza. Questo è vero. Ma ritirarsi quando si vede che il traguardo sta diventando inutile che cos'è? Forse sbaglio, ma a me sembra già una tappa successiva, un comportamento che  richiede una specie di ragionamento, se pure rudimentale: la piantina, cioè, sembra consapevole che non le conviene più competere con la rivale, perché un solo sostegno sarebbe insufficiente per due.  Non deve sprecare ulteriori energie e  allora smette di farlo.
In realtà, nell'esperimento si vede come, prima di abbandonare la 'corsa' verso il desiderato sostegno, il fagiolino perdente si rivolga anche verso la parete di sfondo. Quando sente di non poterci arrivare malgrado si protenda con tutte le sue forze, letteralmente si ritira, rimanendo immobile nella sua sede.
Parlo di 'movimenti' della pianta non per metafora, infatti guardando il video si capisce che si muove davvero, sarà pure un movimento atipico per noi bipedi, in quanto non può spostarsi dal punto di radicamento e può solo proiettare tutto intorno la sua parte aerea,
ma è proprio ciò che fa.
Altri vegetali riescono però a spostarsi nel sottosuolo grazie a una motilità particolarmente spiccata delle radici o dei rizomi (come certi bambù) o alla capacità di emettere propaggini, (come le fragole) per cui possono allontanarsi dal punto in cui nascono e staccarsi addirittura dalla pianta madre.
Prima dell'invenzione della fotografia a fotogrammi ravvicinati si poteva pensare che i vegetali avessero dei movimenti lentissimi, istintivi, automatici e legati solo a cause fisico-chimiche come la luce solare, la pioggia, la temperatura dell'aria. Ora si scopre che hanno addirittura delle strategie e una specie di vita sociale.
@ Davintro

CitazioneCitazione Non solo l'uomo è l'unico essere a suicidarsi, ma anche l'unico che pare impegnarsi nella creazione di cose del tutto "inutili" o gratuite dal punto di vista biologico, la formazione di teorie scientifiche/filosofiche che appaiono del tutto  slegate della soddisfazione di bisogni materiali necessari alla vita, la creazione artistica, espressioni di una bellezza del tutto inutili dal punto di vista biologico, ma esprimente in modo simbolico valori universali, al di là del nostro vivere "qui e ora". Possiamo restare affascinati dall'ingegno di un formicaio o di un alveare, ma non credo potremmo trovarci alcun aspetto che non sia riconducibili ai bisogni di preservazione della vita, mentre un quadro, una scultura, una basilica sono dal punto di vista biologico solo uno spreco, ma dal punto di vista spirituale, di una coscienza slegata dalla funzionalità vitale, esprimono i valori personali dei loro creatori

Poi, se un giorno ci capiterà di scoprire una scimmia,  un cane, un gatto, che si suicidano, che cominciano a elaborare idee filosofiche, a creare per puro e disinteressato amore del bello... potremmo sempre  farli rientrare nella categoria di "animale razionale" che oggi riserviamo solo all'uomo...
Ciao Davintro, sono onorata della tua risposta.
Non voglio sostenere che gli animali abbiano la stessa coscienza di noi umani, sarebbe folle...
Ma come dicono alcuni di voi, esiste una gradazione di facoltà negli esseri viventi, legata come si pensa a un maggiore o minore sviluppo neuronale, oppure a qualche fattore che per ora ci è ignoto. 
L'interazione sociale dovrebbe favorire lo sviluppo della coscienza, e difatti gli animali più evoluti sono quelli che vivono in branchi e gruppi familiari. Sul linguaggio, osservo che noi umani siamo al vertice della comunicazione ma tutti gli animali ne possiedono uno.
Neppure i pesci e le tartarughe sono muti come ci insegnavano cent'anni fa.
Per la capacità di poiettarsi nel futuro, quando un cane seppellisce gli ossi in giardino, non sta forse programmando? Ovviamente, se fosse un uomo primitivo, troverebbe un sistema migliore, coprendoli di neve o di ghiaccio. Un contemporaneo li metterebbe in freezer (vale la pena ricordare che, comunque, molti esseri umani non ne dispongono neanche oggi e i surgelati furono inventati negli anni sessanta proprio partendo dall'atavica abitudine di conservare carne e pesce nel ghiaccio).
Vale anche per gli scoiattoli e i roditori che fanno scorte per l'inverno.
Non sono sicura che si debba sempre parlare di comportamenti istintivi quando si tratta di bestie e atti coscienti solo quando c'entra l'uomo, anche se il nostro livello di coscienza è altissimo -salvo poche eccezioni individuali.
Non sono convinta che gli animali tendano solo alle proprie esigenze e ai bisogni fisici elementari, basti pensare agli elefanti (intelligentissimi, sociali, altruisti) che hanno veri e propri cimiteri e celebrano la morte dei compagni con vere e proprie scene di lutto.
Inoltre mi risulta che esista il suicidio animale: riguarda soprattutto i pets che a forza di vivere accanto ai padroni umani ne acquisiscono i vizi, le malattie e le nevrosi. Quindi diventano bulimici o diabetici, soffrono di carie, disaddatamento, depressione con sintomi di autolesionismo e in casi estremi decidono di non voler più vivere.
Esiste - documentato- l'eroismo animale, dei cani ma anche di altre specie che si sacrificano per i cuccioli o per il branco. Forse però qui si potrebbe pensare a un istinto, mentre il suicidio dovrebbe (poi non si sa con certezza) essere un atto più ragionato.

Sariputra

#28
Nonostante io sia per una concezione della coscienza enormemente più vasta di quella che ordinariamente viene ritenuta, come ho già scritto, sono però perplesso quando si 'proiettano' desideri, sensazioni, giudizi ed emozioni umane sul comportamento animale. Così quando un cane resta per qualche tempo in attesa del padrone deceduto si proietta su di lui l'idea che si consapevole, stia soffrendo e sia triste come lo siamo noi in siffatta condizione. Ma il cane potrebbe star lì semplicemente perchè abituato da sempre a gironzolare attorno al padrone...quindi senza alcuna partecipazione 'emotiva' al fatto...Non possiamo saperlo. Perciò direi che sia prudente astenersi dal valutare questi fenomeni come dimostrazione di autocoscienza. Così come il merlo che muore se messo in gabbia, come possiamo definirlo un suicidio? Può benissimo essere la conseguenza dell'incapacità naturale di adattarsi alla condizione di prigionia. Ecc. per altri esempi. Quindi... coscienza animale sì, ma attenzione a proiettare il nostro 'mondo' nel loro 'mondo'...così da vedere la  nostra tristezza negli occhi del nostro cane...al quale magari non gliene pò fregà de meno... ;)
Come sappiamo la nostra mente è formidabile nel costruirsi dei mondi 'appaganti'...tirando dentro pure il poveraccio d'animale che vorrebbe forse fare solo l'animale ( per essere realmente 'felice' e non dipendere dall'uomo, come tanti cani col pullover...).

P.S. Senza alcuna offesa se qualche utente del forum va in giro con il cane col pullover, naturalmente. Non voletemene, ma son figlio di contadini... ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

A Sariputra
 
Concordo con te che tutti fenomeni, materiali e mentali sono nella coscienza.
 
E che dunque in articolare sono i cervelli ad essere reali nell' ambito delle coscienze e non le coscienze a trovarsi nei cervelli.
 
Però, posto che ciò di cui può esserci certezza immediata é la coscienza immediatamente accadente (esperita da ciascuno, ***se*** ne esistono più di una e ***se*** per ciascuna esiste un rispettivo soggetto, oltre che rispettivi oggetti): il solipsismo non é negabile con certezza, non é superabile razionalmente.
 
Tuttavia da quanto sento (o meglio: si sente, impersonalmente) dire dagli altri uomini (che potrebbero in teoria essere meri zombi) potrebbero esistere altre coscienze.
 
E inoltre postulare indimostrabilmente l' esistenza anche di soggetti e oggetti in sé mi consente di spiegarmi molte cose (fra cui l' intersoggettività dei fenomeni materiali, senza quale non può darsi conoscenza scientifica, e i rapporti di corrispondenza biunivoca fra determinati processi neurofisiologici cerebrali e gli stati di coscienza, così come rilevati dalle scienze neurologiche).
 
A tutto questo credo (non riuscirei a non credere nemmeno se mi ci sforzassi) fideisticamente, infondatamente (senza prove o fondamenti razionali, logici o empirici).
 
Di Varela consento con la "pars destruens" contro il monismo materialistico, dissento con l' "olismo" e tutto il resto.
 
Quello del 10% del cervello mi sembra un articolo sensazionalistico.
Innanzitutto "a occhio e croce" dall' immagine di RM (per quel che aleatoriamente si può dire da un unico piano) sembrerebbe che ne rimanga intorno al 40%.
E poi non é che sia stato asportato il 90% (o più probabilmente il 60%)  del cervello, ma che l' idrocefalo ha compresso, riducendone l' estensione spaziale, "compattandone" (e certamente danneggiandone, ma non distruggendone proporzionalmente alla perdita di volume neuroni, assoni, sinapsi, ecc.).
Il fatto che quella persona non soffra di gravi sindromi neurologiche e psico-comportamentali resta abbastanza eccezionale (eccezionalmente fortunato), ma non inspiegabile.
 
 
 
 
A Davintro
 
Concordo: in questo caso hai detto meglio di e quello che anch' io penso.
 
 
 
 
A Ipazia
 
Non sono attaccato alle parole e quel che mi interessa nelle discussioni nel forum é il comprendere (e valutare se accettare o meno) le opinioni degli interlocutori.
 
Si può anche usare il termine "autocoscienza" per riferirsi al mero saper distinguere il proprio corpo e le sue membra da quelli altrui, capacità che é indubbiamente propria anche di vari altri animali diversi dall' uomo (basta mettersi d' accordo. "intertradursi" reciprocamente i vocaboli usati; con un po' di volontà ci si può intendere, se non perfettamente -poiché la perfezione non esiste- per lo meno in soddisfacente misura).
Inoltre ho sempre pensato che anche altri animali possono operare induzioni.
 
Ma solo l' uomo, come evidenziato anche da Davintro, può pensare complessivamente, astrattamente alla propria vita in generale al di là dell' immediatamente esperito-vissuto (anziché "autocoscienza" la si può chiamare -che ne so?- "personalità", ma la realtà delle cose non cambia).
 
Anche i cani che si lascino morire per la perdita dell' amico-padrone non mi sembra attendibile pensare che lo facciano in seguito a considerazioni astratte e globali sulle loro proprie vite, ma che avvertano (in maniera veramente ammirevole, che lascia a bocca aperta) un dolore assolutamente sovrastante e paralizzante qualsiasi altra istintiva aspirazione.
Con tutti i dubbi insuperabili del caso, evidenziati anche da me (e da Davintro) non mi sembra ragionevolmente verosimile pensare (anche se é almeno in certa misura opinabile) che pensino che sia per loro preferibile il morire al sopravvivere, ma piuttosto che non sentono più istinti e aspirazioni vitali (immediate).
 
 
La mia "firma l' hai completamente fraintesa.
Berkeley intende dire che tutto ciò che possiamo empiricamente conoscere non é reale se non unicamente in quanto insieme-successione di percezioni sensibili (fenomeni, se vogliamo usare un più fortunato termine kantiano).
E non che l' essere vivi é percepire la differenza fra il proprio corpo e gli altrui, ma invece che il proprio corpo e gli altrui e tutto il resto che esperiamo non é reale se non se e quando e in quanto lo percepiamo (per lui oltre a ciò esisteva Dio, mentre per me esiste il noumeno o cosa in sé completamente diverso dalle sensazioni fenomeniche delle quali può essere oggetto e/o soggetto. Ma questo é tutto un altro discorso da quello sulle differenza fra coscienza in generale e autocoscienza).
 
 
Si può benissimo essere coscienti di avere davanti a sé per esempio un bel panorama e "naufragar dolcemente nel mare" delle considerazioni che ci ispira, come Leopardi di fronte all' "ermo colle", dimenticandosi di tutto il resto, compresa la propria esistenza (== perdendo la coscienza di sé == l' autocoscienza; ma non la coscienza del panorama che si continua a vedere).
 
MI sembra del tutto evidente da tutto ciò che continuamente scrivo in questo forum che nemmeno io mitizzo minimamente la cultura umana, ma la considero parte integrante della natura, esattamente come il Wittgenstein che citi: non mitizzo proprio un bel niente!
 
Sinceramente credo che per pretendere di metterlo in dubbio (perché é questo che mi sembra reiteratamente faccia; se fraintendessi ne sarei ben contentio) mi sembra occorra darsi ad acrobatiche arrampicate sugli specchi degne di miglior causa.
 
 
 
 
A Everlost
 
Ti prego, per favore, di evitare di reiterare questa fastidiosissima (e falsa) attribuzione alla mia persona di un pessimo atteggiamento presuntuoso e "antipaticamente professorale" verso gli altri amici del forum e te in particolare.
 
Credo proprio di avere il diritto di programmare le mie letture secondo le mie preferenze (come tutti ovviamente fanno) senza che per questo si insinui da parte mia disprezzo presunzione, altezzosità, scarsa considerazione degli interlocutori (fra l' altro ho sempre affermato di non essere un "accademico" ma un medico che immodestamente si ritiene filosofo; sempre immancabilmente aggiungendo la precisazione: "cosa ben diversa che essere "professore di filosofia").

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