Che cosa ne pensate del relativismo religioso?

Aperto da Socrate78, 30 Luglio 2020, 12:55:07 PM

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Ipazia

Citazione di: Eutidemo il 18 Settembre 2020, 05:13:59 AM
Rifiutare "per principio" l'esistenza di Dio, più che un "peccato", è un "errore"; ed infatti non si può mai negare con certezza tutto ciò che non è verificabile ;)

Altrettanto vale per tutte le affermazioni della sua esistenza e per le dimostrazioni ontologiche di essa.

L'avveduto Pascal giró il tutto in scommessa, in cui non vi è né peccato né errore. Alla luce delle conoscenze cosmogoniche e storiche attuali ritengo più ragionevole scommettere sull'inesistenza.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Dante il Pedante

#46
Citazione di: Eutidemo il 18 Settembre 2020, 05:13:59 AM
Citazione di: Dante il Pedante il 17 Settembre 2020, 15:33:29 PM
Non credere non è peccato, ma la Chiesa cattolica considera  invece peccato il rifiutare convintamente anche solo l'idea di Dio, cioè l'ateismo convinto che va contro il primo e il sec.comandamento. Il non credere invece ma essre in ricerca viene valorizzato "Chi sei Tu, perchè io possa conoscerti?

Rifiutare "per principio" l'esistenza di Dio, più che un "peccato", è un "errore"; ed infatti non si può mai negare con certezza tutto ciò che non è verificabile ;)
Ciao Eutidemo

Sono Dante :)
Gesù spiega quali sono i peccati gravi secondo la risposta data al giovane ricco:"« Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre » . Non dice "non credere in Dio" perché si può essere giusti anche senza credere  e invece malvagi credendo.Infatti San Paolo dice che la carità è la cosa più importante.Se uno crede ma non prova pena verso i suoi simili è come una canna vuota ,invece colui che non crede ma ama mostra lo stesso l'opera di Dio.Dice anche al giov.ricco"Vendi tutto e seguimi" .E qui si fa dura eh? ;) Che molti credenti siano relativisti questo è vero.Infatti credono ma in modo relativo.Ossia non vendono tutto e lo seguono.E nenache i preti,vescovi,ecc.lo fanno che è ancora peggio  >:(
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

Jacopus

Per Eutidemo. Se si accetta il metodo scientifico, l'onere della prova spetta sempre a chi afferma qualcosa non a chi la nega, il quale usa il sempre valido rasoio di Occam.
È famosa in proposito la teiera di Russell che ripropongo in tutta la sua lucidità:


CitazioneSe io sostenessi che tra la Terra e Marte ci fosse una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al Sole su un'orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi purché io avessi la cura di aggiungere che la teiera è troppo piccola per essere rivelata persino dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io dicessi che, giacché la mia asserzione non può essere smentita, dubitarne sia un'intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si penserebbe giustamente che stia dicendo fesserie. Se però l'esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità e instillata nelle menti dei bambini a scuola, l'esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all'attenzione dello psichiatra in un'età illuminata o dell'Inquisitore in un tempo antecedente.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Dante il Pedante

#48
Citazione di: Jacopus il 18 Settembre 2020, 09:23:18 AM
Per Eutidemo. Se si accetta il metodo scientifico, l'onere della prova spetta sempre a chi afferma qualcosa non a chi la nega, il quale usa il sempre valido rasoio di Occam.
È famosa in proposito la teiera di Russell che ripropongo in tutta la sua lucidità:


CitazioneSe io sostenessi che tra la Terra e Marte ci fosse una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al Sole su un'orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi purché io avessi la cura di aggiungere che la teiera è troppo piccola per essere rivelata persino dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io dicessi che, giacché la mia asserzione non può essere smentita, dubitarne sia un'intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si penserebbe giustamente che stia dicendo fesserie. Se però l'esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità e instillata nelle menti dei bambini a scuola, l'esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all'attenzione dello psichiatra in un'età illuminata o dell'Inquisitore in un tempo antecedente.
Non ha senso.Perché se si provasse scientificamente che Dio esiste sarebbe dire che Dio è sensibile e percepibile.Una cosa tra le altre cose.Ma allora non sarebbe più Dio.Infatti nessun credente pretende che l'esistenza di Dio sia scientificamente dimostrata,come la teiera.Sono i non credenti che pretendono che sia applicato il metodo scientifica alla dimostrazione dell'esistenza di dio.Questo è assurdo.Il metodo scientifico si basa sulla ragione,ma la conoscenza di Dio non è una cosa ragionevole (lo è solo nel senso di Principio),perché si conosce con il cuore,l'esistenza,il proprio vivere,ecc. Non è una cosa in piena luce da misurare,ma è più come un'ombra,secondo me :) Sarebbe come dire all'amata "Tu dici che esiste il tuo amore verso di me.Provamelo".L'altra può anche mettersi a fare tutto per te ,ma cosa proverebbe questo?Che lo ama davvero?Come potresti esserne certo? Non tutto è scientificamente dimostrabile.

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bobmax

Discutere sull'esistenza o meno di Dio è un non senso.

In quanto esiste solo ciò che può essere oggetto per un soggetto.
L'esistenza è a valle della scissione originaria soggetto/oggetto.

A monte della scissione non si può parlare di "esistenza".

L'Uno prescinde dall'esistenza. Ne è la fonte.

L'Uno non esiste, l'Uno è!
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

InVerno

Non andiamo offtopic, aprirne di nuovi con un argomento diverso è gratis.

Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Phil

Tornando in topic, mi sembra che ogni religione sia piuttosto esplicita riguardo il proprio posto nella gerarchia rispetto alle altre: il primo comandamento, il primo pilastro dell'Islam, il primo gioiello del triratna buddista, etc. lasciano poco spazio al relativismo e al «secondo me» dei fedeli.
Come ricordatoci indirettamente da paul11, mentre le costituzioni umane hanno necessariamente un limite geografico e possono essere modificate, quelle divine si (auto)presentano come ecumeniche e as-solute nel tempo. Con quale diritto dunque gli umani ministri del dio potrebbero proporre una "riforma costituzionale" dei comandamenti dettati direttamente dalla divinità? Può l'uomo metter la sua parola sopra quella del dio e forzare un'esegesi relativista del primo comandamento?
Il percorso (post)religioso mi sembra avere una direzione piuttosto chiara: nel tentativo di attualizzare le religioni, di renderle più compatibili con la globalizzazione culturale, se ne stanno indebolendo i fondamenti dottrinali (con annessa valenza veritativa), senza i quali la religione diventa un'(est)etica esistenziale.

viator

 Salve phil. Per il credente, il tuo quesito dalla insondabile profondità, "Può l'uomo metter la sua parola sopra quella del dio e forzare un'esegesi relativista del primo comandamento?" non è risolvibile poichè esso affonda la propria radice nella problematica del possesso o nella mancanza del libero arbitrio umano.




Se invece non ci piacciono le insondabili profondità dovremo ipotizzare che l'uomo certamente mette la propria parola sopra quella del "proprio" Dio per la semplice ragione che sia Dio che il primo comandamento e poi i restanti sono strumenti umani elaborati posteriormente alla comparsa biologica della nostra specie.


Per queste ragioni (l'una o l'altra delle due) non capisco perchè ci si debba arrovellare. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

InVerno

Citazione di: Phil il 18 Settembre 2020, 12:04:36 PM
Il percorso (post)religioso mi sembra avere una direzione piuttosto chiara: nel tentativo di attualizzare le religioni, di renderle più compatibili con la globalizzazione culturale, se ne stanno indebolendo i fondamenti dottrinali (con annessa valenza veritativa), senza i quali la religione diventa un'(est)etica esistenziale.
A me pare che ciò che veramente è superato non è la religione di per sé, ma l'esclusivismo religioso, e che al contrario di quanto affermi  la strada è tutto fuorchè chiara, e lo si evince chiaramente dal fatto che sotto l'ombrello del "relativismo" vengono caoticamente inserite tre posizioni invece molto diverse: l'inclusivismo, il soggettivismo e il pluralismo. L'abbandono dell'eslusivismo tuttavia è un problema esclusivo (scusa il gioco) dei monoteismi abramitici, non delle religioni orientali che non mi pare abbiano problemi ad affacciarsi verso queste realtà, per questo non credo sia appropriato di parlare di percorso "post-religioso", quanto al massimo all'inevitabile declino di un ceppo di religioni mediorientali.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Phil

Citazione di: viator il 18 Settembre 2020, 13:00:24 PM
Per queste ragioni (l'una o l'altra delle due) non capisco perchè ci si debba arrovellare
Di certo l'ateo o il cultore del "vitello d'oro fatto a propria immagine e somiglianza" (rovesciamento biblico) non devono arrovellarsi su tale quesito; ma il credente "alla vecchia maniera" e ancor più il ministro del culto (per sua "deontologia"), sono chiamati a fare i conti con tale domanda perché è la comunità che oggi glielo (e se lo) chiede. Mentre qualcuno può liquidare il cruccio in quanto «non è risolvibile poiché esso affonda la propria radice nella problematica del possesso o nella mancanza del libero arbitrio umano»(cit.), all'interno di una prospettiva religiosa tale risposta non è percorribile. La religione si propone perché deve dare risposte, fossero anche sotto forma di «mistero della fede», ma non può concedersi il lusso (o la pigrizia) di etichettare una questione semplicemente come "non risolvibile perché problematica". Soprattutto considerando che la suddetta domanda è gravida di conseguenze pratiche, non solo dottrinali; conseguenze che condizioneranno il futuro ruolo sociale della chiesa. Sperando che la situazione non degeneri troppo come stigmatizzato da questo e questo sketch.

Citazione di: InVerno il 18 Settembre 2020, 14:01:20 PM
la strada è tutto fuorchè chiara, e lo si evince chiaramente dal fatto che sotto l'ombrello del "relativismo" vengono caoticamente inserite tre posizioni invece molto diverse: l'inclusivismo, il soggettivismo e il pluralismo. L'abbandono dell'eslusivismo tuttavia è un problema esclusivo (scusa il gioco) dei monoteismi abramitici, non delle religioni orientali che non mi pare abbiano problemi ad affacciarsi verso queste realtà, per questo non credo sia appropriato di parlare di percorso "post-religioso", quanto al massimo all'inevitabile declino di un ceppo di religioni mediorientali.
Una religione non esclusivista non è forse un'(est)etica esistenziale? Nel momento in cui il dio di una precisa religione non è l'unico (o gli unici, per i politeisti), non è la verità, non è trascendente le contingenze storiche, etc. ma è solo uno dei re nel mazzo di carte antropologico, re equivalenti seppur differenti, allora quanto è attendibile tale "religione"? Se invece supponiamo che ci sia un dio, di cui non sappiamo nulla perché nessuna religione presistente ce lo spiega, quale religione pragmatica, strutturata (futuribile), possiamo fondare su tale (pre)supposizione?
Inclusivismo a parte (essendo, se non erro, una forma di "dogmatismo tollerante" non relativista), il soggettivismo e il pluralismo, se estesi a tutte le religioni, diventano ognuno una forma di teismo o deismo (a seconda dell'approccio) consistente nel minimalismo di «un dio c'è», affermazione (in)fondata sul comun denominatore religioso, insufficiente a fornire, da solo, una religione fruibile, poiché presuppone proprio la destituzione (o almeno la non credenza) dei fondamenti delle religioni istituzionali, nei cui dogmi fondanti c'è, come sopra detto, l'esclusivimo. Questo vale anche per i buddisti: nei loro "tre gioielli", il primo è appunto il Buddha, poi c'è il Dharma (legge universale, intesa distintamente à la buddista) poi lo Shanga, ovvero la comunità di praticanti (del loro culto, non di un qualunque culto religioso). Notoriamente i buddisti non incitano alla guerra santa e sono ragionevoli sulle differenze, tuttavia se gli chiediamo se una religione rivelata e monoteistica è equivalente al loro Dharma, al di là delle risposte diplomatiche e politicamente corrette, è evidente che la loro dottrina (com)pone una chiara gerarchia valoriale e "qualitativa".

P.s
La «direzione piuttosto chiara» che mi sembra si stia compiendo (magari sbaglio) è la "retrocessione" da una divinità esclusiva, legiferante e giudicante (quest'ultima più in occidente), ad una vaga, silenziosa e trasversale (magari persino ammiccante alla quantistica?). Salvo corsi e ricorsi storici, il prossimo passo suppongo sia una divinità così relativizzata da essere non più essenzialmente divina, ma solo una metafora, una "nostalgia ontologica", in una parola «assente».

InVerno

#55
Citazione di: Phil il 18 Settembre 2020, 16:04:03 PM
Una religione non esclusivista non è forse un'(est)etica esistenziale?
Dipende come definisci religione e dove essa finisce, la mia definizione è talmente ampia che ammetto di occulturla per non intorbidire le acque e non far inviperire qualche "ateo", ma anche altre che mi sono capitate sottomano mi pare che non intendano l'esclusività come un imprescindibile. Il pluralismo non sacrifica la veridicità dottrinale perchè pone la trascendenza in cima alla montagna da cui sgorgano i fiumi dottrinali (per dirla con Ghandi), tutti paradossalmente "veri" (o tutti falsi), da non sincretizzare perchè hanno nel tempo tracciato una valle peculiare, ma pur sempre equamente diretti alla cima. Sono semmai i pesci che abitano questi fiumi a prendersela a male perchè la nuova ampiezza del panorama li destituisce della loro eccezionalità, abituati a vivere in sistemi di neotenia culturale. Ma si può uscire dall'infanzia e accorgersi che oltre a sé stessi e alla propria famiglia ci sono altre persone, è spesso una transizione dolorosa e confusa, c'è una crisi di identità e di modelli, ma anche nuove avventure e nuove possibilità, un ana-teismo (Kearney) di cui nessuno può conoscere le forme e fattezze. La storia degli uomini mi pare che sia passata da tutte le porte, compreso l'enoteismo di Costantino che riuscì a stabilire l'uno come trino, se da un bizzarria simile è nata una fede di così grande successo, c'è speranza per qualsiasi tentativo. E concludo: in un mondo che si affaccia alla possibilità di vivere in un multiverso, non perchè gli è stato rivelato, ma per rispettare quei principi della termodinamica su cui tutto il resto del mondo antropico è fondato, che spazio c'è per l'Uno? Se anche si trovasse uno spazio, sarebbe come dici tu niente più che una "nostalgia ontologica", adattarsi o morire è la regola su questa terra.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Ipazia

Citazione di: InVerno il 18 Settembre 2020, 10:42:58 AM
Non andiamo offtopic, aprirne di nuovi con un argomento diverso è gratis.

E' proprio la indimostrabilità di Dio a produrre il relativismo religioso. Se Dio fosse dimostrato aldilà di ogni ragionevole dubbio, inclusa la sua parola autografa, secondo quanto previsto dal metodo scientifico, non vi sarebbe alcun relativismo religioso: il gatto è un gatto e se uno si ostina a dire che è un cane non resta che il manicomio.

Il relativismo religioso è l'ennesima dimostrazione della fragilità della tesi teista; un argomento in più a favore di chi scommette sull'inesistenza di Dio.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

@InVerno

La religione può avere "50 sfumature di dio", a partire della sua etimologia sino all'anateismo (che non conoscevo, grazie per la segnalazione), tuttavia il problema centrale, almeno secondo me, è sempre quello: il fondamento. Se escludiamo le religioni istituzionali, caparbie ed esclusiviste, ma, per non buttare sia il bambino che l'acqua sporca, manteniamo in gioco il concetto di dio, qual'è il fondamento di tale concetto, una volta "emancipato" da rivelazioni, libri sacri e tradizioni? Senza rispondere a questa domanda, chiunque può farsi il suddetto "vitello d'oro a propria immagine e somiglianza" e fondare la sua religione.
"Riciclare" un concetto fuori dal suo paradigma originario non è sempre solo una mossa nostalgica o di mancata elaborazione del "lutto", spesso è anzi indice di attenta analisi e abilità ermeneutica. Possiamo infatti parlare di "religiosità" (concetto afferente-a, ma differente-da, quello di dio, quindi non sempre negato dagli a-tei) nella tonalità spirituale che percepiamo quando siamo serenamente ospiti di un bosco (shinrin-yoku), anche se quei noiosi neuroscienziati spiegherebbero tale "religiosità" con neurotrasmettitori, chimica, etc. (e magari un giorno una fiala ci farà provare le stesse sensazioni "spirituali/religiose").
Credo però che quella boschiva (esempio, ma il discorso vale anche per altre) sia una religiosità psicologica (percettivo-individuale) da distinguere dalla religiosità sociale (storica e interpersonale), ovvero quella delle religioni che suggeriscono un'etica, risposte al post-mortem (e al "pre-vitam"), etc. Anche perché la "religione del bosco", a differenza delle "classiche", in virtù del suo fondamento chimico, non richiede particolare fede, è universale (a prescindere dai tempi e dalla geografia, presenza di boschi permettendo), non può essere strumentalizzata dalla politica (almeno credo) e non avendo un dio accontenta anche gli atei; suppongo però sia insufficiente per essere la religione e l'etica di riferimento di una civiltà urbanizzata (sicuramente ha tangibili effetti benefici psico-fisici, ma credo vada ben oltre il relativismo religioso inteso... religiosamente).


P.s.
Anche questo allontanare la religione da (la trascendenza di) un dio, per immanentizzarla in un bosco, nel volto del mio prossimo o in altro, mi pare vada sospettamente nella direzione della suddetta "assenza" o "presenza metaforica".

Dante il Pedante

E' proprio nel volto del mio prossimo che vedo Dio.Se no dove? questo è già presente nei testi e quindi non è realtivismo immanentista moderno,come erroenamente riporta Philip."35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 40  In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.
Quindi non è assenza  e presenza metaforica ma concreta presenza nel mio prossimo nella fede cristiana da sempre.Studiare un pò la Bibbia, please e non solo i libri moderni ;D
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

bobmax

Citazione di: Dante il Pedante il 18 Settembre 2020, 22:15:48 PM
E' proprio nel volto del mio prossimo che vedo Dio.Se no dove? questo è già presente nei testi e quindi non è realtivismo immanentista moderno,come erroenamente riporta Philip."35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 40  In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.
Quindi non è assenza  e presenza metaforica ma concreta presenza nel mio prossimo nella fede cristiana da sempre.Studiare un pò la Bibbia, please e non solo i libri moderni ;D

Infatti il prossimo è Dio.

Che altro mai potrebbe essere?

Vi è solo il figlio unigenito e Dio.
Non vi è nient'altro.

Il figlio unigenito sono io.

E lo stesso vale per te: sei il figlio unigenito.

E il figlio è tale sino al suo ritorno al Padre.

Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

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