Che cos'è la crisi interiore secondo voi?

Aperto da Aspirante Filosofo58, 15 Marzo 2025, 09:12:03 AM

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Jacopus

"Resilienza" è in effetti un termine abusato, che ha perso gran parte del suo peso ermeneutico (scusate il parolone) perchè è stato inflazionato. Non si trova nei testi didattici con molta o nessuna frequenza perchè è collegato agli studi sul trauma, che hanno avuto un grande sviluppo negli ultimi 20 anni (Cyrulnik è uno degli autori più citati in questo ambito). Oltre ad essere un termine abusato può essere anche un termine manipolatorio, come dire che se si è "resilienti" si può affrontare qualsiasi avversità e se non sei resiliente è "colpa tua", (un pò come essere povero, ma a livello mentale). Rispetto alle dichiarazioni di Koba non capisco perchè l'assenza dai testi universitari sia concepita come prova a disfavore, mentre la citazione di altri testi (quelli citati da Phil) dove si parla di "resilienza" non sia concepita come prova a favore, proponendo un generico appello alla libertà e alla libera esposizione delle proprie idee. Per carità si può fare anche questo, ed effettivamente può essere un bell'esercizio di libertà, ma, mutatis mutandis, siamo sempre nani sulle spalle di giganti, e di questi tempi dove sono di più i nani che si atteggiano a giganti, preferisco chi fa qualche riferimento a studiosi che hanno maneggiato la materia per decenni, a chi pensa di essere libero di raccontare baggianate.
In secondo luogo però, penso che se a livello epigenetico possiamo ereditare particolari predisposizioni a manifestare ansia, paura, o impulsività, allo stesso modo credo che sia possibile ereditare anche una più raffinata capacità di resistere alle avversità della vita. Anche se il miglior antidoto alle avversità è quella che Winnicott definiva la "pentola d'oro" delle cure genitoriali. Gran parte della nostra resilienza nasce da lì. Chi ha avuto la fortuna di avere genitori amorevoli e comprensivi, presenti e protettivi, avrà sempre una riserva di senso da adoperare nei momenti difficili della vita. Mi scuso anticipatamente con Koba per aver citato Winnicott, invece di far parlare liberamente il mio cervello.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Phil

Citazione di: Koba il 16 Marzo 2025, 21:02:16 PMQuesto non toglie che sia un concetto irrilevante in psicologia.
Se non lo sai puoi facilmente documentarti magari non con autorevolissimi articoli da riviste online ma con i manuali su cui si preparano gli esami alla facoltà di psicologia.
L'ultima fonte che ho citato è una tesi di dottorato dell'Univesità di Milano; magari non un testo che farà storia, ma non proprio una fonte trascurabile o un semplice esame di psicologia, soprattutto se il tutor della dottoranda è un docente ordinario di psicologia (v. qui) che "ci mette la faccia".
Citazione di: Koba il 16 Marzo 2025, 21:02:16 PMUn conto cioè è contestare la mia idea di una presenza ideologica nel concetto di resilienza, sostenendo magari che tale concetto è bellissimo e pregno di conseguenze filosofiche etc., altro invece è richiamare al rispetto dell'uso di tale concetto in qualche testo scientifico.
Se prima non chiariamo cosa sia la resilienza, o meglio, di quale resilienza parliamo (quella in ambito psicologico o quella popolarmente intesa?), non credo abbia senso né vederci legami con le ideologie neoliberiste, né conseguenze per il tema del topic, ossia le crisi interiori. Non trovi?
Citazione di: Koba il 16 Marzo 2025, 21:02:16 PMTempo fa in altro topic riportavo le riflessioni del grande psicoanalista Elvio Fachinelli sui meccanismi di difesa: sintomo, secondo lui, di una visione fortificata dell'Io.
E anche lì a sentirmi richiamare al detto esplicito dell'ortodossia freudiana.
Non ricordo quel topic e sicuramente non sono intervenuto su tematiche strettamente psicologiche perché non sono affatto uno specialista in materia (sebbene sulla resilienza mi so quantomeno orientare un po'); probabilmente è stato qualcuno più competente di me a correggerti (e, a quanto pare, a darti l'opportunità di essere resiliente... se mi passi la battutaccia).
Citazione di: Koba il 16 Marzo 2025, 21:02:16 PMCapisci? Essere liberi, avere uno sguardo d'insieme, andare oltre all'esplicito contenuto per coglierne le forze sottostanti.
Se lo "sguardo di insieme" è soprattutto approssimazione, secondo cui non si distingue una tesi di dottorato da una rivista online, o secondo cui «Il concetto di resilienza in psicologia clinica è praticamente assente» (per questo ho citato una fonte ricca di nomi), o secondo cui la resilienza «Ha iniziato a diffondersi a partire dalla crisi economico-finanziaria del 2007» (per questo ho citato una fonte con date, ben precedenti al 2007), allora più che "cogliere le forze sottostanti" ho il sospetto che si finisca solo con fare affermazioni a spanne (come quella infelice da cui è partito questo nostro discorso).
Comunque grazie, perché la tua "espressione colorita" mi ha spinto a ripassare cosa fosse la resilienza.

Aspirante Filosofo58

Scusate, ma vorrei riportarvi sull'argomento: la (o le) crisi interiore (i). Non so quanti di voi ne abbiano mai avute! Ultimamente io ne ho almeno una al mese, per i più disparati motivi. D'altronde quando a 66 anni si hanno sulle spalle: otto interventi chirurgici, sei "gite" al pronto soccorso, un numero imprecisato di cadute meno gravi, otto mesi di mobbing (come ritorsione, perché non volevo essere trasferito a 20 km di distanza e per aver fatto causa all'azienda, in attesa di trovare un accordo per la mia buonuscita), ecc...ecc... gli argomenti per andare in crisi sono diversi. Ho dei vaghi ricordi di quel tale Ildebrando da Soana, alias l'Innominato, dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, studiati a scuola fino al 1975, ma credo di essere a quel punto di crisi interiore ormai. 
La teoria della reincarnazione mi ha dato e mi dà risposte che altre teorie, fedi o religioni non possono, non sanno o non vogliono darmi. Grazie alle risposte ottenute dalla reincarnazione oggi sono sereno e sono sulla mia strada che porterà a casa mia!

Koba

Citazione di: Jacopus il 16 Marzo 2025, 21:43:51 PM"Resilienza" è in effetti un termine abusato, che ha perso gran parte del suo peso ermeneutico (scusate il parolone) perchè è stato inflazionato. Non si trova nei testi didattici con molta o nessuna frequenza perchè è collegato agli studi sul trauma, che hanno avuto un grande sviluppo negli ultimi 20 anni (Cyrulnik è uno degli autori più citati in questo ambito). Oltre ad essere un termine abusato può essere anche un termine manipolatorio, come dire che se si è "resilienti" si può affrontare qualsiasi avversità e se non sei resiliente è "colpa tua", (un pò come essere povero, ma a livello mentale). Rispetto alle dichiarazioni di Koba non capisco perchè l'assenza dai testi universitari sia concepita come prova a disfavore, mentre la citazione di altri testi (quelli citati da Phil) dove si parla di "resilienza" non sia concepita come prova a favore, proponendo un generico appello alla libertà e alla libera esposizione delle proprie idee. Per carità si può fare anche questo, ed effettivamente può essere un bell'esercizio di libertà, ma, mutatis mutandis, siamo sempre nani sulle spalle di giganti, e di questi tempi dove sono di più i nani che si atteggiano a giganti, preferisco chi fa qualche riferimento a studiosi che hanno maneggiato la materia per decenni, a chi pensa di essere libero di raccontare baggianate.
In secondo luogo però, penso che se a livello epigenetico possiamo ereditare particolari predisposizioni a manifestare ansia, paura, o impulsività, allo stesso modo credo che sia possibile ereditare anche una più raffinata capacità di resistere alle avversità della vita. Anche se il miglior antidoto alle avversità è quella che Winnicott definiva la "pentola d'oro" delle cure genitoriali. Gran parte della nostra resilienza nasce da lì. Chi ha avuto la fortuna di avere genitori amorevoli e comprensivi, presenti e protettivi, avrà sempre una riserva di senso da adoperare nei momenti difficili della vita. Mi scuso anticipatamente con Koba per aver citato Winnicott, invece di far parlare liberamente il mio cervello.
Chiedi scusa per l'uso dell'espressione "peso ermeneutico"?
Ma guarda che non stai mica parlando con tua suocera, stai scrivendo in un forum filosofico, quindi che cosa ci sarebbe di strano nell'usare un termine del genere?
Poi dici di non comprendere perché l'assenza del termine "resilienza" nei testi universitari sarebbe a sfavore del suo concetto etc. Credevo fosse chiaro:
la presenza irrilevante del concetto nella tradizione scientifica della psicologia indica in modo sintomatico che il maggiore uso che se ne sta facendo negli ultimi anni può avere ragioni che non sono solo di natura epistemologica bensì anche ideologica.
Questa la mia tesi, semplicissima come si vede, la cui obiezione più intelligente è stata propormi una lista di pubblicazioni specialistiche – il che finisce in realtà per rafforzare la mia tesi.

Concludi poi con una battutina straordinariamente ironica chiedendomi scusa perché hai citato Winnicott, invece di far parlare liberamente il tuo cervello: anziché risponderti che non mi aspettavo niente di diverso, ti invito a fare questo esperimento: leggiti qualche tuo post del 2016-2017 e poi confrontali con quelli più recenti. Noterai una notevole differenza in complessità e stile, con i tuoi primi interventi che sembrano essere stati scritti da un'altra persona tanto sono più profondi e creativi.
Te lo dico unicamente affinché tu possa prendere le contromisure del caso.

Ps: Ho avuto pochi giorni fa una conversazione molto interessante con chatGPT.
Tema: il confronto dello stile letterario tra M. Lowry, Kerouac e Ballard. Alla fine ci siamo trovati d'accordo sui grandi limiti di stile di Kerouac e sulla superiorità di Lowry.
Domanda: se i livelli della AI sono ormai così sofisticati perché si dovrebbe preferire ad essa conversare con esseri umani su un forum digitale?
Infatti ormai una AI come chatGPT è perfettamente in grado di dirmi quello che mi ha detto Phil sulla resilienza. Avrebbe anche lei preso alla lettera la mia esagerazione sull'idiozia del concetto di resilienza e mi avrebbe corretto e poi mi avrebbe fatto una lista dei testi di psicologia che trattano del tema.
Quindi? Che cosa cerchiamo qua? Che cosa pretendiamo da un utente umano?

baylham

Non condivido affatto gli argomenti a favore della crisi dello scritto iniziale riportato da Aspirante Filosofo58. Sono molto distante dal volontarismo, soprattutto da quello ottimistico che contraddistingue quello scritto,  simile a tantissimi altri negli ambiti psicologici, economici, etici e filosofici.

Riconosco invece la grandissima capacità di adattamento, non di resilienza, dell'uomo alle situazioni più diverse e impreviste, d'altronde nella maggior parte dei casi non ci sono molte alternative.



InVerno

Se non ricordo male la prima volta che mi sono imbattuto nel concetto di resilienza era con Kierkegaard, che fosse una traduzione moderna non so, ma l'idea che sia sbucato nel 2008 mi pare abbastanza infondata, che venga usato o meno nei manuali di psicologia ha una valenza ristretta. C'è una dimensione politica, di chi tende ad affibbiare le colpe al singolo e chi alla società, c'è una tensione tra queste due posizioni che devono temperarsi a vicenda, ma non è la dimensione del problema psicologico. Parlando con le persone mi rendo conto che la tendenza è quella di esternalizzare la ricerca del benessere interiore, vedo di buon occhio qualche voce che riporta il fulcro sulla persona che esperisce, perchè a certi pare proprio essere una possibilità che non balena in mente finchè non incontrano qualche guru indiano a cui lasciare lo stipendio. Con metà dei miei amici in cura da qualche psicologo o sotto pastiglie dico con fermezza che la persone attualmente non sono per niente resilienti, sempre alla ricerca di qualche soluzione esterna che li aiuti, che sia il telefono nuovo o lo psicologo, è sempre cercare fuori e mai dentro, e lì fuori c'è poco o niente che aiuti davvero. Poi quale sia il confine tra dentro e fuori in certi ambienti, come la famiglia o dove\come si vive, è tutto un altro paio di maniche che va affrontato a livello individuale, secondo me, c'è chi interiorizza molte esternalità e chi no.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Alexander

Aspirante filosofo parla di crisi interiore, poi fa un elenco di dolori e sofferenze patite e superate che non sono crisi interiori (stravolgimenti dell'animo), ma piuttosto prove che possono rafforzare, indebolire o non avere conseguenze sull'interiorita'. La crisi interiore è più simile all' impasse davanti adun bivio. La strada vecchia è consunta e ne cerchiamo una nuova. Non è però un cambiare il negozio dove di solito acquistavamo l'abito esteriore. Non è fare del "consumismo d'esperienza" di cui parla anche Inverno. È veramente un cambiamento di prospettiva esistenziale. Cambiamento determinato anche dalle esperienze che si vivono, ma più in profondità dalla stanchezza del vivere, che accusiamo della nostra insoddisfazione e infelicità.

Phil

Citazione di: Koba il 17 Marzo 2025, 11:28:50 AMDomanda: se i livelli della AI sono ormai così sofisticati perché si dovrebbe preferire ad essa conversare con esseri umani su un forum digitale?
Infatti ormai una AI come chatGPT è perfettamente in grado di dirmi quello che mi ha detto Phil sulla resilienza. Avrebbe anche lei preso alla lettera la mia esagerazione sull'idiozia del concetto di resilienza e mi avrebbe corretto e poi mi avrebbe fatto una lista dei testi di psicologia che trattano del tema.
Quindi? Che cosa cerchiamo qua? Che cosa pretendiamo da un utente umano?
Raccolgo questo spunto, a mio avviso interessante: dal mio interlocutore umano ideale (che in quanto tale non esiste) mi aspetterei che risponda "meglio" di ChatGPT, non solo diversamente. Ovvero: se ChatGPT è rigoroso nell'uso dei termini, attento alla filologia, razionale e non polemico nell'esporre, etc. un interlocutore per me ideale (v. sopra) dovrebbe aggiungere a ciò un plusvalore esegetico, ermeneutico, etc. che ChatGPT non è solitamente in grado di dare.
Se invece un utente mi facesse notare delle gaffe che persino ChatGPT segnalerebbe, mi chiederei che tipo di interlocutore sono io, umanamente, per gli altri interlocutori; quanta "cura dell'altro" metto nella mia comunicazione? Quale "etica del discorso" pratico? Forse sono domande filosofiche di autocomprensione a cui anche ChatGPT saprebbe rispondere; il punto è che ChatGPT non risponderebbe parlando di se stessa.
Se la cifra distintiva di un interlocutore umano è che, a differenza di ChatGPT, non riesce a scrivere "Mi scuso per il fraintendimento precedente", "Hai ragione, la mia risposta precedente è errata" (credo chiunque usi i chatbot troverà familiari queste espressioni) o che l'umano può anche non essere preciso e avveduto nei giudizi che esprime (perché "in fondo, le informazioni precise le dice già ChatGPT, noi facciamo altro"), mi viene da chiedere quanto siano davvero "filosofiche" tali conversazioni umane, che fanno del rigore e dell'attenzione ai contesti una pedanteria da chatbot (d'altronde il progetto neopositivista è fallito da un pezzo, no?), se non qualcosa proprio da evitare "perché altrimenti è meglio parlare con ChatGPT" (non mi riferisco strettamente a quanto detto da Koba, l'ho usato solo come spunto).
In fondo è la solita vecchia storia dell'ideologia (in questo Koba ha secondo me ragione), travestita da riflessione filosofica per farsi prendere più sul serio, ma essenzialmente allergica a critiche, correzioni e fact-checking che non depongano a proprio favore. Quindi rivendichiamo la nostra capacità ermeneutica rispetto ai chatbot, ma che non ci si faccia notare che anche l'ermeneutica ha un minimo di epistemologia al suo interno, di "cura per le fonti" e metodo.
Riconosceremo dunque l'interlocutore umano perché è (anche qui non parlo di Koba) ideologizzato, non ammette i propri passi falsi, usa bias di conferma, etc.? Secondo me, sì, e come a suo tempo osservò niko (che ChatGPT mi corregga pure se sbaglio) questo è un buon "test di Turing inverso" (espressione mia che sintetizza il possibile spunto di niko); ossia: per riconoscere se dietro le sembianze di un chatbot c'è un umano, basta controllare se può essere provocato emotivamente su alcuni temi (ad esempio può diventare permaloso se si parla male della resilienza), può contraddirsi sul piano metodologico, può lamentarsi delle correzioni nozionistiche, si inalbera se si parla di politica o calcio e si scredita la sua fazione, etc.
Cosa c'entra questo con le crisi interiori? Direi che una delle crisi interiori dell'uomo contemporaneo è proprio quella del rapporto con l'intelligenza artificiale; ne sono sintomi i vari timori apocalittici (ricorrenti ogni volta che la tecnologia ha fatto un guizzo importante), la suddetta esigenza di distinguersi dai chatbot a qualunque costo (anche a costo di fare un passo indietro sul piano di "epistemologia del discorso", l'importante è non essere "come loro"), la compromissione della dimensione estetica (si pensi all'IA generativa), il sentirsi personalmente inadeguati o minacciati dal suo utilizzo, etc. Ma forse siamo comunque border-topic; che i moderatori facciano pure il loro dovere, prima che un'IA pedante e ottusa li sostituisca.

Alexander

Citazione di: Phil il 17 Marzo 2025, 23:52:49 PMRaccolgo questo spunto, a mio avviso interessante: dal mio interlocutore umano ideale (che in quanto tale non esiste) mi aspetterei che risponda "meglio" di ChatGPT, non solo diversamente. Ovvero: se ChatGPT è rigoroso nell'uso dei termini, attento alla filologia, razionale e non polemico nell'esporre, etc. un interlocutore per me ideale (v. sopra) dovrebbe aggiungere a ciò un plusvalore esegetico, ermeneutico, etc. che ChatGPT non è solitamente in grado di dare.
Se invece un utente mi facesse notare delle gaffe che persino ChatGPT segnalerebbe, mi chiederei che tipo di interlocutore sono io, umanamente, per gli altri interlocutori; quanta "cura dell'altro" metto nella mia comunicazione? Quale "etica del discorso" pratico? Forse sono domande filosofiche di autocomprensione a cui anche ChatGPT saprebbe rispondere; il punto è che ChatGPT non risponderebbe parlando di se stessa.
Se la cifra distintiva di un interlocutore umano è che, a differenza di ChatGPT, non riesce a scrivere "Mi scuso per il fraintendimento precedente", "Hai ragione, la mia risposta precedente è errata" (credo chiunque usi i chatbot troverà familiari queste espressioni) o che l'umano può anche non essere preciso e avveduto nei giudizi che esprime (perché "in fondo, le informazioni precise le dice già ChatGPT, noi facciamo altro"), mi viene da chiedere quanto siano davvero "filosofiche" tali conversazioni umane, che fanno del rigore e dell'attenzione ai contesti una pedanteria da chatbot (d'altronde il progetto neopositivista è fallito da un pezzo, no?), se non qualcosa proprio da evitare "perché altrimenti è meglio parlare con ChatGPT" (non mi riferisco strettamente a quanto detto da Koba, l'ho usato solo come spunto).
In fondo è la solita vecchia storia dell'ideologia (in questo Koba ha secondo me ragione), travestita da riflessione filosofica per farsi prendere più sul serio, ma essenzialmente allergica a critiche, correzioni e fact-checking che non depongano a proprio favore. Quindi rivendichiamo la nostra capacità ermeneutica rispetto ai chatbot, ma che non ci si faccia notare che anche l'ermeneutica ha un minimo di epistemologia al suo interno, di "cura per le fonti" e metodo.
Riconosceremo dunque l'interlocutore umano perché è (anche qui non parlo di Koba) ideologizzato, non ammette i propri passi falsi, usa bias di conferma, etc.? Secondo me, sì, e come a suo tempo osservò niko (che ChatGPT mi corregga pure se sbaglio) questo è un buon "test di Turing inverso" (espressione mia che sintetizza il possibile spunto di niko); ossia: per riconoscere se dietro le sembianze di un chatbot c'è un umano, basta controllare se può essere provocato emotivamente su alcuni temi (ad esempio può diventare permaloso se si parla male della resilienza), può contraddirsi sul piano metodologico, può lamentarsi delle correzioni nozionistiche, si inalbera se si parla di politica o calcio e si scredita la sua fazione, etc.
Cosa c'entra questo con le crisi interiori? Direi che una delle crisi interiori dell'uomo contemporaneo è proprio quella del rapporto con l'intelligenza artificiale; ne sono sintomi i vari timori apocalittici (ricorrenti ogni volta che la tecnologia ha fatto un guizzo importante), la suddetta esigenza di distinguersi dai chatbot a qualunque costo (anche a costo di fare un passo indietro sul piano di "epistemologia del discorso", l'importante è non essere "come loro"), la compromissione della dimensione estetica (si pensi all'IA generativa), il sentirsi personalmente inadeguati o minacciati dal suo utilizzo, etc. Ma forse siamo comunque border-topic; che i moderatori facciano pure il loro dovere, prima che un'IA pedante e ottusa li sostituisca.
Proprio perché non siamo una chatbot dovremmo anche capire che non è molto simpatico rimarcare troppo gli eventuali errori dell' interlocutore. È uno dei sistemi più sicuri per attirarsi delle antipatie. Si rischia di fare la figura del primo della classe; notoriamente amato da tutti.🤭 . Poco giova infiocchettare il tutto con un approccio che vorrebbe sembrare umile. Con questo non voglio dire che non si debba controbattere una tesi che si ritiene in errore, o con qualche errore interno. È preferibile però un approccio poco puntiglioso, sufficiente per instillare qualche dubbio all'interlocutore. Spetterà a questi poi andare a verificare. E, se è persona intelligente i, non mancherà certo di farlo. Le chatbot non hanno amor proprio, noi umani sì. È cosa da considerare. 

Phil

Citazione di: Alexander il 18 Marzo 2025, 10:36:36 AMPoco giova infiocchettare il tutto con un approccio che vorrebbe sembrare umile.
I chatbot si addestrano con le conversazioni e, anche se suonerà retorica, anch'io cerco di "portarmi a casa" qualcosa di utile dalle conversazioni. Da quella avuta con Koba ho ottenuto il ripasso del concetto di resilienza che, almeno per un po' di tempo, mi dovrebbe servire (come "anticorpo") a non avere troppi dubbi se mi imbatto in affermazioni tranchant su di essa (quella di Koba, non essendo io troppo esperto di psicologia, mi aveva fatto dubitare di ricordami bene cosa fossa la resilienza, facendomi anche sospettare che forse, a suo tempo, mi era stata presentata in modo troppo aulico; ripassare qualche fonte è stato come fare un "richiamo vaccinale", evidentemente necessario dato il mio dubitare; ringraziare Koba è stata questione di suddetta "etica del discorso", poiché oltra a parlarne, ne ho anche una che pratico).
Mi "porto a casa" anche lo spunto sul rapporto fra resilienza ("popolarmente" intesa) e ideologie economico-politiche, spunto discutibile (in mancanza di argomentazioni migliori), ma che posso comunque tener presente la prossima volta che qualcuno innesterà la resilienza in contesti sociali esterni alla psicologia (ricordandomi che, una volta, in un forum, già qualcuno l'accostò al neoliberismo e va quindi tenuto presente che è un concetto "evaso" dall'ambito strettamente psicologico in cui personalmente l'avevo conosciuto e a cui, per mia ignoranza, lo credevo confinato).
Citazione di: Alexander il 18 Marzo 2025, 10:36:36 AMLe chatbot non hanno amor proprio, noi umani sì. È cosa da considerare.
Saggia osservazione; l'umiltà non va di moda, ma tant'è.

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