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ANIMA

Aperto da Visechi, 04 Dicembre 2024, 23:30:04 PM

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Visechi

Ciò che ci parla dall'interno, con voce flebile, come un'eco appena percettibile, è una legione, non è un demone. 

Noi siamo mille essenze miscelate e aggrumate in un glutine inestricabile. È la nostra anima un caleidoscopio dai mille colori e dai mille significati. Per questo è oltremodo indelicato fornire voce a chi voce non ha, se non quel poco e tanto che urla dal profondo come Vox clamanti, di cui noi udiamo solo un'eco.

Il Cantico dei Cantici, meraviglioso libro ispirato, ci canta appunto questa meraviglia che ammalia... ci canta la vita come essenza forgiatasi nel profondo di ciascuno di noi. Il Cantico dei Cantici è Eros, ma scorda di trasportare con sé la legione che abita il nostro intimo. Dà voce, monocorde, ad una sola parte della vita: la meraviglia, scordando l'abnorme, il terrifico che è in noi. L'anima non ha una sola voce, non canta, non si esprime in poesia, quel che leggiamo composto in versi è solo quel vapore sulfureo che percepiamo come richiamo dagli inferi.

Potremo, forse, dire che l'anima sia il substrato personale entro cui unitariamente sprofonda l'essere in tutta la sua molteplicità di forme, prima che fosse avvertita la scissione dovuta ed operata dall'insorgere della coscienza. Potremo inferire che sia un substrato magmatico, ribollente, che permane nel profondo di ciascuno di noi, in un punto che anticipa e previene la scissione fra ragione ordinativa e follia disgiuntiva e scompaginante. L'anima è così il punto dell'equilibrio fra i due suoi costituenti. Ma oggi si assiste alla sua disfatta al cospetto del trionfo della razionalità scientista che promana dalla coscienza, la quale ha relegato nel campo della patologia la follia dionisiaca del ditirambo, tramutato e costretto in insipiente danza regolata, che preclude così lo sguardo a più sensi e più voci.

La coscienza è una scissione operata fra le due forze: propende verso la ratio ordinativa e rifugge il folle kaos della vita. L'anima è personale e si coniuga con l'anima collettiva rappresentata dall'ambiente e dalla cultura coeva. Anima collettiva intrisa di reminiscenze del passato che la colorano con i colori attinti e trasfusi nel corso del tempo.

L'Anima rappresenta il contrappunto e il complemento della coscienza: là dove l'una unisce e scompagina, l'altra scinde e ordina. Sono due attitudini che si completano per tenere il suo abitatore (abitato), l'uomo, in costante tensione verso la vita. L'anima è l'occulto che ci abita, l'inconscio che ci agisce, l'irrazionale che si appropria di noi e delle nostre azioni e scelte, mai pienamente nostre.

Non vi è una scienza per l'Anima, non vi può mai essere una scienza che dia voce all'anima. L'occhio non può osservare sé stesso nell'atto di osservare sé stesso: la psicologia, logos dell'anima, è la presunzione di dar voce a chi urla nel silenzio. Compie il misfatto di fornire regole universali che la decodifichino. Ma è un assunto dogmatico, è un'aporia, una contraddizione, una violenza ed una violazione della sua intima essenza. Così la psicoanalisi (scomposizione in elementi semplici dei tratti caratteristici della psiche-anima), è un'altra ingiuria perpetrata nei confronti di ciò che non è visitabile ed osservabile per parti da ricomporre. Non è possibile rendere oggettivo ciò che è soggettivo. La scienza imporrebbe un'osservazione del fenomeno priva d'interferenze, la più asettica possibile. Ma nella 'scienza' dell'anima, del profondo, l'osservatore e l'osservato coincidono, e la razionalità necessaria alla sua decodifica e anamnesi è comunque interferita dall'anima stessa; rappresentando, infatti, il nostro conscio (coscienza) circa il 10% del fenomeno denominato nel suo complesso Uomo, qualsiasi azione, atto razionale, ivi compreso anche l'atto di osservare, leggere e ridurre in asettiche e fredde formule di comportamento, sono sempre interferite in buona misura da elementi e fattori occulti, esoterici, che sgorgano e scaturiscono dal profondo occulto. La religione è un'altra assiomatica impostura. Non inferisce circa l'Anima, ma inferisce in ordine al suo promanare e al suo dispiegarsi nell'esistenza, fino a spingere il proprio campo d'indagine verso l'epilogo escatologico e la sua riunificazione con ciò da cui si è in origine scissa. Fino ad argomentare e dedurre la sua intima attitudine a coniugarsi con qualcosa da cui in origine si sarebbe disgiunta. Fino a conclamare ed enunciare la sua perenne e costante correlazione con la fonte primordiale... che assurda pretesa! La religione, argomentando in tal senso, conchiude il senso e la significatività dell'esse in anima entro uno spazio escatologico, rinviando la sua forza agente ad un futuro da compiersi, vanificando e negando il suo carattere ctonio, che attiene più agli inferi che al sublime e celestiale.

L'anima è un flusso che sovverte le regole, imponendosi come forza luciferina insondabile. Per cui non vi può essere logica che la trattenga, che la conchiuda entro leggi ferree e regole irredimibili. L'Anima è al tempo stesso Meme e Lethe, ricordo e oblio. Parla un linguaggio simbolico, esoterico, non decifrabile. È un paradosso che si esprime unitariamente nella sua molteplicità. Dar voce all'anima, farla parlare con il linguaggio dei verbi, degli avverbi, dei sostantivi comuni è una forzatura improponibile: l'inconscio non parla la nostra lingua, urla nel silenzio che udiamo e vediamo in sentimento ed emozioni. Non vi è una sola anima in noi, vi sono tante anime quante sono le percezioni e le risposte che ad esse per buona misura inconsciamente forniamo, con nostre scelte ed atti che ci scelgono e ci agiscono. 

Noi non abbiamo un'anima, noi siamo dell'anima.

iano

#1
Citazione di: Visechi il 04 Dicembre 2024, 23:30:04 PMCiò che ci parla dall'interno
Ciò che ci parla dall'interno potremmo essere  noi stessi che ci percepiamo come un esterno da noi, percezione che è il prodotto di una relazione con altro da noi stessi.
Abbiamo cioè la coscienza di non coincidere con ciò in cui ci riconosciamo.
In questo senso possiamo considerare il ''penso quindi sono'' di Cartesio un progresso, rispetto al ''sono perchè posseggo un corpo''.
Così il ''sono perchè posseggo un corpo'' diventa un ''sono perchè penso''  inclusivo del pensare di possedere un corpo.
Cartesio cioè fa ciò che più amano fare i matematici, attuare generalizzazioni a partire dal particolare.
La centralità dell'essere passa quindi dal possedere un corpo, al pensare di possedere un corpo, inaugurando un processo di dematerializzazione dell'essere portato avanti dalla scienza alla quale Cartesio  ha dato tanto contributo, e questo processo di decentralizzazione potrebbe non essere giunto ancora alla fine.
Potremmo infatti ancora considerare  un ''sono in quanto osservo'', dove il pensiero diventa solo una rotella del meccanismo percettivo.


Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#2
In altre parole, ogni volta che facciamo un passo avanti, precisando meglio in cosa ci riconosciamo, temo dovremo alla fine ammettere ogni volta che non siamo ciò in cui di volta in volta ci riconosciamo, perchè colui che conosce non può essere mai ridotto all'oggetto della sua conoscenza, per quanto questa progredisca.
Il noi che agisce in una realtà ridotta a modelli è un modello esso stesso, e questi modelli sono in continua evoluzione, senza mai poter coincidere con ciò che rappresentano.
L'anima stessa, in quanto cosa che percepiamo di possedere, non coincide con noi, ma semmai con la coscienza di non poter coincidere con ciò che percepiamo di essere.

 
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Citazione di: iano il 05 Dicembre 2024, 17:14:19 PMin continua evoluzione
O in continua trasmutazione, come avrebbe preferito dire lo stesso Darwin.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

green demetr

Citazione di: Visechi il 04 Dicembre 2024, 23:30:04 PMNoi non abbiamo un'anima, noi siamo dell'anima.
Mi piace questa distinzione.

Io non so cosa è questa anima, che naturalmente mi guida, e che naturalmente ritengo che guidi anche tutte quelle altre cose, che siano angeli di luce o demoni raminghi, non saprei, sento che abitano questo piano comune, che gli altri chiamano anima. Ma questo luogo coabitato di elfi e altre strane creature, così dicono, è trasceso da qualcosa d'altro, dunque questo luogo io non lo chiamo anima ma la trascendenza, mentre l'anima è quello spirito che soffia dall'alto, e questo alto è Dio. Esattamente come qualcosa di sconosciuto soffia dal basso (e questo basso non è Satana).
Questo basso io lo chiamo abisso.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Freedom

Citazione di: Visechi il 04 Dicembre 2024, 23:30:04 PMNoi non abbiamo un'anima, noi siamo dell'anima.
Mi pare un'ottima sintesi del post.

Mi hai fatto venire in mente Ouspensky e il suo libro: "Frammenti di un insegnamento sconosciuto" nel quale il suo maestro Gurdjieff parla delle centinaia (forse migliaia :D ) di io dentro di noi.

E nelle tue parole traspare tutta la sensazione (forse più di una sensazione ;) ) di schiavitù e dunque di sofferenza che questa schiera di finti noi stessi, in definitiva di padroni di noi stessi (pur essendo noi stessi!) induce in noi.

Che dire? E' certamente vero quello che affermi. Pur tuttavia, per quanto possa sembrare sciocco, non è, secondo me sia chiaro, la razionalità che può guarire questa malattia. Pur essendo la razionalità (non da sola) che la scopre. Inoltre, è bene dirlo, molti non si accorgono di questa....chiamiamola "patologia". Quindi, per me, vuol dire qualcosa quando qualcuno lo rileva.

Qual è dunque la medicina?

Eh.....sempre secondo me ovviamente, è necessario assumere un farmaco che tuttavia tu ritieni inefficace.

Per non farmi il viaggio di chi dice e non dice ma, allo stesso tempo per non essere ripetitivo e dunque stucchevole, te lo dirò con le parole di Toni Negri all'inizio di uno dei suoi ultimi libri: "Storia di un comunista".  Vado a memoria: "da ragazzo decisi che questo mondo, questa vita, non mi andavano bene e guardai davanti a me le mie possibilità alternative. Erano due: fare la rivoluzione o credere in Dio. Non ce n'erano altre.

Lui ha preso quella che sappiamo. Io l'altra (dopo aver comunque tentato la prima, diversa dalla sua ma comunque politico-sociale-musicale).
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Jacopus

Conosco un terzo modo di vivere in questo mondo, un modo che non cerca mutamenti trascendentali o palingenesi storiche. Un modo stoico fondato sulla accettazione della nostra condizione umana imperfetta mortale, destinata a terminare E che trova in questo termine una giusta collocazione fra le leggi naturali. Nel nostro breve viaggio, dovremmo cercare la solidarietà, la gentilezza, il riconoscimento reciproco, l'Ubuntu. Se rivoluzione deve essere, deve essere rivoluzione dal basso, che parte dai rapporti umani, dalla vicinanza, da leggi miti, dalla concordia. Ma se invece si crede di essere dalla parte del "giusto", sia laicamente che religiosamente, vi sarà subito la creazione di un "ingiusto". Un vero pensiero rivoluzionario è quello che accetta il pensiero opposto e lo accoglie.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Visechi

Cosa sia Anima è un quesito che ha attraversato i tempi, una domanda che tutti, prima o poi, ci siamo posti, le cui risposte hanno riempito e riempiono le biblioteche di tutto il mondo, senza che siano mai giunte a fornire una risposta ultimativa o esaustiva.
Cosa sia Anima, conoscerla, non tanto nella sua spiegazione terminologica, affascina, perché significa entrare in contatto e lambire quel qualcosa d'ultraterreno che parrebbe ci informi. Ma se Anima è davvero l'occulto che ci abita, noi veramente "non possiamo sapere a che cosa esattamente ci riferiamo, perché la sua natura è nebulosa e si rivela più che altro per allusioni, per sprazzi di intuizione, in sussurri e nelle improvvise passioni e bizzarrie che interferiscono nella nostra vita e che noi ci ostiniamo a chiamare sintomi" (J.Hillman). Ma la sentiamo; sentiamo la sua flebile voce che sussurra.
Leggevo un tempo che Anima si esprime in emozioni e sentimenti, in gemiti e gioia, in sofferenza e felicità. Anima ci parla e noi avvertiamo il suono della sua voce ogniqualvolta ci troviamo al cospetto di noi stessi, del nostro intimo, del nostro profondo; Anima è visibile nelle sue manifestazioni esteriori: quando amiamo, quando piangiamo – le lacrime sono forse l'essudazione di Anima, e il sorriso il suo brillio, il suo rilucere -; noi possiamo sentirla, ascoltarla.
Quando Anima è ferita, soffre tutta la persona, non esiste farmaco che lenisca questa sofferenza. Il dolore non porta maschere, si mostra nudo, rendendo palese così Anima e portando alla superficie la sua voce in forma di gemiti. Il dolore è ciò che maggiormente ci avvicina a questo profondo, perché induce colui che soffre a guardarsi dentro: la sofferenza è una introflessione, per cui si scandaglia l'intimo andando a sfiorare quell'essenza occulta che è in ciascuno di noi. La gioia porta all'esterno, è una 'estroflessione', perciò quando si gioisce, quando si è felice – sempre solo un attimo che svapora in fretta – si è meno portati ed inclini a scandagliare il proprio intimo e sentire Anima.
Anima esprime in note dolenti quella che una vera e propria patologia dell'esistere e la 'medicina' che proponi tu, Freedom, e di cui parla Toni Negri (uno dei 'cattivi maestri', se non ricordo male), è la stessa di Sartre e del suo impegno.  Non può esistere guarigione, solo l'accettazione tragica della realtà del dolore e la piena consapevolezza della centralità del tragico nell'esistere umano, possono, per assurdo, consentire un sospiro, un rammendo a quella profonda lacerazione prodottasi fin dall'origine fra coscienza ordinativa e kaos ribollente che permea il fondo abissale entro cui è radicata l'esistenza umana. Da qui, dalla percezione del Nulla che Anima suggerisce in un sussurro denso di significato, nasce l'esigenza di trovare una strada che silenzi o attenui il respiro del Nulla; da qui la necessità dell'impegno: per Sartre fu un impegno politico e sociale, per altri è un percorso di fede, ma in entrambi i casi si tratta di risposte perorate ed istituite dalla percezione del Nulla e dal dolore di fondo che permea Anima.

iano

#8
Citazione di: Visechi il 04 Dicembre 2024, 23:30:04 PMNoi non abbiamo un'anima, noi siamo dell'anima.
Ribaltare la gerarchia fra noi e l'anima è la premessa per mettere in discussione questa dualità, se cambiando l'ordine dei fattori il prodotto non cambia.
Resta invece ineliminabile la dualità fra noi/anima e il resto della realtà, che potrebbe condividere con noi l'apparenza, e con l'anima la sostanza.
Nella misura in cui questo noi appare deve esserci un soggetto a cui appare, l'anima, e nella misura in cui la realtà diversamente ci appare deve esserci un oggetto da cui questa diversità possa trarsi.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Visechi

Anima è la vera essenza dell'uomo. È ciò che ci riempie di caratteristiche peculiari, per cui siamo quello e non altro; siamo unici ed irripetibili proprio perché in noi albergano le nostre personali e profonde sensazioni e non quelle altrui. Il mondo sommerso che affiora in superficie in foggia di sentimenti ed emozioni, è il linguaggio simbolico con cui Anima ci parla.

Ma Anima che parla è intelligibile compiutamente? Penso che il linguaggio, o metalinguaggio, con cui Anima si esprime sia totalmente oscuro, e noi lo percepiamo o intuiamo più che comprenderlo. Lo avvertiamo come un soffio o come una bufera, e il nostro atteggiamento nel mondo diviene conseguenza del suo soffuso parlare, del suo tenue suggerire, del suo risoluto imporre. Per questa ragione, ritengo che noi non siamo quel che mostriamo di noi.  Il suo continuo suggerire è anche il rumore di fondo che, come un'onda emotiva che riempie le notti, diviene il labile suono che scaturisce da questo incessante colloquiare con l'intimo. È un chiacchiericcio continuo, da cui non è possibile discernere le parole, i vocaboli con chiarezza. Perché ascoltiamo locuzioni non verbali, espresse in gemiti, sentimenti ed emozioni che traduciamo in vocaboli, in parole. Nel corso di questa trasduzione si perdono parti essenziali del significato espresso dal profondo. Spengere questa voce significa scordarsi di noi e sopportare quel vivido fluire che è la vita. Ho quasi la sensazione che la vita scorra in senso inverso rispetto al profondo di ciascuno di noi, come se le sedimentazioni depositatesi in Anima, incrostandola, nel corso degli anni ne abbiano mutato il corso. Ci sono così due forze che si contrastano, la vita che scorre a prescindere da noi, e il nostro stesso 'Io', quello vero, quello non egoico, quello che bussa dal profondo, che ci spinge in altra direzione.

E le preghiere sono vani singulti espressi e rivolti a nessuno. A nessuno che esista, o, al più, a nessuno che voglia o possa ascoltare. Non vi è nulla e nessuno verso cui rivolgere preghiere, se non noi stessi, verso quel profondo che è in noi. Dio, qualora vi fosse un Dio (sia quel che sia), non ode i lamenti degli uomini, Dio è distante, e la nostra voce è sempre e solo afasia.  La mente è il danno primigenio; penso, infatti, che la vita dell'ebete felice sia il farmaco che da solo può sanare quelle profonde ferite che la vita scolpisce in Anima... ignorare ed ignorarsi totalmente, fino a giungere all'estremo d'ignorare d'ignorarsi (l'eco delle lezioni di Eckhart non si è ancora spento). Questa è la sola pozione che riesco ad intravedere per suturare le lacerazioni. Penso che più che connetterci dovremo riuscire a sconnetterci da questo profondo fondo che sussurra e strepita, e se la meditazione è l'arte di ascoltare, forse sarebbe meglio apprendere le tecniche per obliarsi, per dimenticarsi, per non udire ... si è più ignoranti, ma si vive meglio... meglio attingere alla fonte di Lethe piuttosto che nutrirsi con il pane di Mneme... non aver biografia emotiva, per non ricordarsi di sé... dimenticarsi totalmente per mai più ricostruirsi. L'ascolto ci connette con la nostra coscienza – mediatrice fra mente e profondo - rendendo presente alla nostra attenzione anche e soprattutto il tramestio che ci abita.

La coscienza, ritengo sia proprio lei la causa della distonia che ci attraversa in lungo e in largo, è questo sapersi, percepirsi, vedersi, sentirsi, quindi la vera responsabile della lacerazione fra 'essere' e illusorietà dell'essere: è la coscienza che ci dilania. Espanderla temo rappresenti un altro di quei veicoli che accentuano la permeabilità alla patologia dell'essere. Noi ci immergiamo in noi stessi per raccogliere in quel fondo buio ciò che ci dilania, che ci raffigura in guisa di in-essenza - di assenza – quel poco o quel nulla che riusciamo ad estrarne per imporre il nostro governo a quanto rifugge l'ordine e la quiete... che insano sproposito. Noi avvertiamo le nostre assenze, ed avvertiamo, ma solo come un alito, la nostra mancanza, eppure per la coscienza 'siamo': individui unici, persone, soggetti, Io. Questo doppio flusso contrapposto acuisce la lacerazione. Credo possa essere esistito un momento, un baleno, uno scintillio di tempo, che ha anticipato questo squarcio dell'essere e in cui l'uomo, l'essere, era unitario. Prima dell'insorgere della coscienza di uomini noi, forse, eravamo un essere unitario.

La Sacra Bibbia esordisce con una locuzione singolare e assolutamente, a parer mio, illuminante: <In principio....>. In principio Dio! Ma prima di quel principio? Prima dell'Origine? Porre un principiare agli eventi, determinando così la nascita della storia, significa de-finire e de-limitare, ma l'eternità di cui tanto si parla non vanisce forse al cospetto di questa locuzione? No! forse no. Forse prima di quell'Origine, che è solo origine della storia, della venuta al mondo dell'uomo, cosa vi era? Volendo credere in un Dio creatore, ritengo vi potesse essere un'anima unitaria. Dio si è deciso (dall'etimo tagliare) per l'Amore, e questa sua de-cisione, concretatasi in Amore, è anche l'atto Creativo in sé. La maledizione dell'umanità da parte di Dio è anche l'insorgere della coscienza, con tutti i danni che questa germinazione si porta appresso. Credo così che la lacerazione fra 'essere' e 'non essere' sia proprio costitutiva nell'uomo, originaria, insita ed irredimibile. Questa lacerazione è la percezione che abbiamo di noi in foggia di entità pensante ed agente. Allo stesso tempo avvertiamo la dicotomia che ci abita, che ci possiede, avvertiamo il daimon che ci conduce, senza però mai riuscire a toccarlo, a vederlo e visitarlo compiutamente. Avvertiamo la fatuità di quel che – come sogno – riteniamo sia il nostro essere costitutivo, e, in una certa misura, comprendiamo, a livello inconscio, che non siamo quel che esso rappresenta di noi esteriormente. La lezione di Qoelet – vanitas vanitatum et omnia vanitas – echeggia ancor oggi, senza che sia ancora sorta una filosofia buona per tacitarla.

Subiamo il richiamo della vita ed in essa ci tuffiamo spesso ricchi di speranze, spesso, troppo spesso, disilluse. Quando solleviamo la testa dal gran banchetto che viviamo vivendoci, ci rendiamo conto, soffusamente, che non siamo stati noi ad aver banchettato, ma che forse eravamo solo commensali o alimenti del lauto convito: siamo pasto che pasteggia con sé stesso, siamo ingredienti di noi stessi, siamo, in definitiva, degli antropofagi pensanti. Le fauci che ci inghiottono e macerano sono i pensieri, la mente pensante, questo glutine che si arrotola in noi e che ci fagocita completamente, che s'impossessa del nostro 'essere' divenendone elemento preminente e dominante.  La mente, come una gran ruota dentellata, ci macera dall'interno, senza mai spegnersi, ci riflette la sua immagine falsata proponendola come unica vera essenza di quel che siamo. La mente s'impone in noi con la sua legione di 'Io', uno per ogni occasione: Io grammaticali, Io sociali, Io ludici, Io introspettivi... siamo proprio 'uno, nessuno, centomila'. 

Credo non vi sia redenzione per questo stato di cose, o forse l'unica è proprio quella d'ignorarsi totalmente, fino a giungere al nirvanico stato d'ignorare d'ignorarsi. Una frattura fra mente pensante e ciò che sta' davanti a noi, o in noi (il Daimon), è sempre un processo che percorre ed attraversa la mente; come dire che la mente, subdolamente, si adatta e forgia, rendendosi duttile e malleabile alle necessità, riuscendo a fingere condizioni estatiche che rendono ancor più orrido il risveglio. La mente si assopisce per rendere la messa in scena più convincente e attrarre così il suo ospite entro i propri avviluppi. La mente è vassallo della vita, ad essa si piega, è un tentacolo, fra gli altri, che la vita possiede; un tentacolo che stringe: rende luminoso ciò che è ombra per poi mutare la luminosità in tenebra.  La vita ha necessità di questo moto ondulatorio perché è movimento, perché è sommovimento, e con l'energia prodotta da questo perenne moto, si alimenta. La vita non può stazionare, perché non è quiete, e quando pare lo sia è solo un suo riposo per riprendere la sua furente corsa, come il contrarsi della fiera prima che spicchi un ulteriore balzo per ghermire la preda. Osservare è solo percepire questa disillusione, quanto intensamente non so, farsene partecipi ed esserne parte; sospendere e obliare le speranze è divenire parte ignorante di quel flusso che ci trascina, senza che si cerchi quel senso di cui la vita e l'esistenza di ciascuno sono totalmente prive. Questo è l'unico ponte fra noi e l'occulto; un occulto insondabile, inconoscibile, e l'unica storia d'amore con noi stessi è quella che ci conduce all'oblio di quel demone che ci accompagna, perché non vi è alcuna vocazione in noi, solo un vagolare incerto fra le forre della vita

misummi

io ho compassione per quei poveri demoni che si trovano dentro esseri umani che se ne fanno un problema.

Visechi

È importante, forse vitale, sicuramente indispensabile guardare dentro questa potenza che abita il profondo di ciascuno di noi. Cercare di coglierne i richiami, gli ammonimenti, i suggerimenti, leggere quei misteriosi segnali simbolici che come vapore giungono alla superficie. Ognuno di noi potrebbe attribuirle i significati che più gli piacciono: emanazione divina; demone mediatore fra empireo e mondo di sotto; anima trascendente; anima mundi; immortale, eterna; oppure, semplicemente, vita psichica che si gonfia o affloscia, si espande o contrae, s'eleva o prostra in connessione e dipendenza degli accadimenti della vita con cui entra in contatto, entro cui si trova coinvolta.
 
Non serve a molto definirla, come a poco serve negarla. È pur sempre un flusso, un fluido, un palpito, un sussurro, un baluginare che da solo trova la strada per farsi udire, sentire, e soprattutto soffrire e che ti vive dentro informando di sé tutto il tuo essere e la tua esistenza.  Le risposte metafisiche circa la sua immortalità, la sua essenza, la sua eternità, il suo karma, il sansara, la metempsicosi, la salvezza eterna, lasciamole, al dopo, sospendiamo per un breve sospiro il nostro giudizio; non andiamo noi, umani limitati, a sondare l'insondabile, a misurare l'incommensurabile, non entriamo nelle stanze del mistero, troppo angusto è il suo uscio, evitiamo di razionalizzare ciò che ratio non è; occupiamoci, almeno per il momento, solo di quel pneuma che c'ispira e ci sorride come un sole o grugnisce contro come una fiera spettrale sortita dall'Averno, il nostro Averno. Quante definizioni ho letto su Anima, una diversa dall'altra, nessuna che colga quel che forse è... la sua vera essenza. Ma credo non sia possibile riuscire a definirla. Anima è indefinibile, incommensurabile, incomprensibile. Non è facile compiere fino in fondo il viaggio che ti porta a scrutare quel buio che vive in noi; sono troppe le contingenze che distraggono, troppa anche la pena che si prova ogni volta che si perfora la crosta spessa o sottile che custodisce e separa il cuore vivo di ciascuno di noi dal resto del mondo. È una visita che conduce a galleggiare dentro l'inferno che è in noi, e in quel magma ribollente non è mai agevole nuotare. Meglio scordarsi, meglio ignorarsi, intanto la vita se ne farebbe ben poco della conoscenza che possiamo avere del nostro intimo. La vita si disinteressa di noi. Temo che il viaggio che conduce a sfiorare, lambire e toccare quel fondo, fino ad immergere le mani e i gomiti nel fango melmoso entro cui ribolle il magma incandescente del nostro essere, sia solo un introdursi nel mondo delle favole. Una sorta di ricreazione che ti porta a contatto con la nostra disneyland, dove scegli tu di partecipare ai giochi, giochi che però ti sono messi a disposizione dall'apparato fieristico... quei giochi, non altri, solo fra quella gamma è possibile 'scegliere'. A quest'imperio è necessario opporre un rifiuto, opporre dei fermissimi 'No' all'impeto che ingloba e muove. I No sgorgano dal nostro intimo. Anima non ama farsi conoscere appieno, Anima è occulta, ha solo l'estro di mostrare qualche barbaglio di sé. Non è paura, solo un naturale stato di cose.  È la nostra condizione questa: vivere nel tormento di non sapere mai chi o cosa siamo, da dove proveniamo e dove sfoceremo come un fiume. Al tempo stesso avvertiamo la nostra alterità, intuendo così di essere altro da quel e quanto portiamo in scena ogni giorno. Siamo una rappresentazione tragica di noi stessi. Ed allora viviamo di quel tanto o poco che raccogliamo per strada...

Siamo la tragedia di Kafka, allorché scorse in sé, nel suo intimo profondo quel mostro orribile che lo dilaniava, che lo adulava, che lo chiamava. Anima è una sensazione... forse in questa definizione mi ci ritrovo. E' una sensazione che ci parla utilizzando un linguaggio che scuote, che rimesta il suo proprio fondo portandolo a galla, di modo che, come vapori sulfurei, la sua voce giunga fino a noi, anche se sempre soffusa, mai chiara e compiutamente intelligibile. E gli errori, gli sbagli, sono forse i messaggeri di questo magma fluorescente e ribollente che è in noi. Ci conducono messaggi, come nella novella di Kafka, 'Il messaggio dell'Imperatore', la trascrivo, credo che valga la pena di leggerla:

<L'imperatore – così si racconta – ha inviato a te, a un singolo, a un misero suddito, minima ombra sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale, proprio a te l'imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero al letto, sussurrandogli il messaggio all'orecchio, e gli premeva tanto che se l'è fatto ripetere all'orecchio. Con un cenno del capo ha confermato l'esattezza di quel che gli veniva detto. E dinanzi a tutti coloro che assistevano alla sua morte (tutte le pareti che lo impediscono vengono abbattute e sugli scaloni che si levano alti ed ampi son disposti in cerchio i grandi del regno) dinanzi a tutti loro ha congedato il messaggero. Questi s'è messo subito in moto; è un uomo robusto, instancabile; manovrando or con l'uno or con l'altro braccio si fa strada nella folla; se lo si ostacola, accenna al petto su cui è segnato il sole, e procede così più facilmente di chiunque altro. Ma la folla è così enorme, e le sue dimore non hanno fine. Se avesse via libera, all'aperto, come volerebbe! e presto ascolteresti i magnifici colpi della sua mano alla tua porta. Ma invece come si stanca inutilmente! ancora cerca di farsi strada nelle stanze del palazzo più interno; non riuscirà mai a superarle; e anche se gli riuscisse non si sarebbe a nulla; dovrebbe aprirsi un varco scendendo tutte le scale; e anche se gli riuscisse, non si sarebbe a nulla: c'è ancora da attraversare tutti i cortili; e dietro a loro il secondo palazzo e così via per millenni; e anche se riuscisse a precipitarsi fuori dell'ultima porta – ma questo mai e poi mai potrà avvenire – c'è tutta la città imperiale davanti a lui, il centro del mondo, ripieno di tutti i suoi rifiuti. Nessuno riesce a passare di lì e tanto meno col messaggio di un morto. Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera

Ecco, spesso Anima ci spedisce un messaggio che s'ingolfa fra la folla dei nostri molteplici Io, dei variegati e stralunati pensieri, e tu lì, alla finestra, che attendi invano che ti giunga quel segno di cui avverti l'eco. Forse è così che quel messaggio che Anima invoca per te, nel tragitto spenge il proprio suono, la propria luce, i propri colori per giungerti in forma di vaga sensazione, di labile suono, di flebile colore, come un tramestio.

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