Agnostici e Agnosticismo

Aperto da David Giuliodori, 02 Aprile 2020, 21:26:35 PM

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viator

#30
Salve Freedom. "Arrivavano, per paradosso, a postulare il fatto che la proposizione: "domani sorgerà il Sole", fosse evento creduto e non certo".
E giustamente dicevano. Essi assimilavano tra di loro non due certezze (alba e fede) bensì due scelte date come entrambe  (al minimo) PROBABILISSIME e QUINDI DI CONVENIENTE ASSUNZIONE DA PARTE di chi era chiamato a regolare su di esse i propri comportamenti futuri.

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Mi sembra che tu non voglia distinguere tra i concetti di "certezza interiore" (appunto la fede), cioè quell'aspetto del nostro SENTIRE INTERIORE che ci fa compiere le nostre scelte relative ad un "certo" ed "immodificabile" domani................e la certezza assoluta, la quale richiederebbe la completa padronanza e conoscenza di ciò che determinerà quel tale evento futuro (determinismo perfetto). Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

baylham

La definizione di Lou riassume bene la distinzione tra ateo ed agnostico: agnostico è chi sospende il giudizio sull'esistenza di dio, ateo è chi giudica che dio non esiste.

Io sono ateo: non credo, sono certo del mio ateismo. Non mi riconosco affatto nel credo di Odifreddi, logicamente confuso, e non mi piacciono affatto simboli atei. La parola ateo riassume stupendamente parte della mia filosofia, non c'è bisogno d'altro.
Ateismo e relativismo sono le mie coordinate filosofiche, strettamente relazionate.

Ipazia

Odifreddi ha messo al posto dei fondamenti cristiani i fondamenti di un ateo. Non credo che intendesse fondare religioni, nè proporre professioni di fede in ogni concistoro di atei. Vi intravedo anche una nuance di caricatura nel suo parafrasare il credo cristiano. Cosa che, conoscendo il personaggio e il suo istrionismo, ci sta pure.

Ponendo l'Uomo al posto di Cristo pecca di un certo antropocentrismo di stampo umanistico, cosa che l'ateoscientismo più radicale probabilmente non condivide. Ma qui più che sull'epistemico si va sul filosofico-esistenziale. Piano sul quale grande è la pluralità di vedute pure nella galassia atea.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

anthonyi

Citazione di: David Giuliodori il 04 Aprile 2020, 16:35:36 PM



Rispondo ad Ipazia che ha citato Odifreddi e per rilanciare la discussione.
Lo sapete che esiste anche un Segno della Croce Agnostico che potrebbe andare bene per tutti quelli che sono alla ricerca di fede?




Ciao David  , l'idea di un segno della croce agnostico mi lascia un po' sconcertato, i segni sono strumenti per rafforzare la fede e quindi l'agnostico, che non ha fedi, non dovrebbe sentirne il bisogno. La preghiera di Odifreddi invece è comprensibile perché l'ateismo ha anch'esso caratteristiche fideistiche. Questa differenza riguarda più in generale l'atteggiamento nei confronti di tutte le strutture simboliche, riguardo alle quali io mi aspetterei un atteggiamento indifferente da parte di un agnostico, mentre da parte di un ateo mi aspetto una maggiore sensibilità, nel senso che si sente disagiato dalla presenza di simboli non conformi alla sua visione, e quindi preferirebbe che quei simboli non ci fossero.


Ipazia

Citazione di: anthonyi il 05 Aprile 2020, 08:21:30 AM
...mentre da parte di un ateo mi aspetto una maggiore sensibilità, nel senso che si sente disagiato dalla presenza di simboli non conformi alla sua visione, e quindi preferirebbe che quei simboli non ci fossero.

L'ateo si sente disagiato quando vede quei simboli, branditi come clave, spade e scimitarre, sulla testa di chi non li condivide. Per il resto l'ateo è l'animale umano più pluralista che ci sia di fronte ai simboli della fede. Cosa che non si può dire del teista per cui i simboli della fede si caricano di significati che sconfinano spesso nel fanatismo e nell'abominio.

L'agnostico che confabula coi segni del cristianesimo, caricandoli di significati mistici, mi pare poco agnostico, oppure di un'agnosticismo poco filosofico e molto psicologico-esistenziale. Evidentemente anche l'agnosia ha tante varianti tra lo scepsi e la fede. Quindi si torna al medium stat virtus di cui parlavo all'inizio, che ha la virtù della tolleranza dubitativa, ma il difetto dell'impotenza decisionale. Mentre la vita, troppo corta, bisognosa e prevaricante, nei fatti costringe a decidere su quale cavallo scommettere. Se non altro per il fatto che il cavallo bisogna alimentarlo. Il che sarà poco filosofico, ma coinvolge anche i filosofi, pur se di razza agnostica.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

baylham

Sono convinto anch'io che il credo ateo di Odifreddi sia una caricatura.
Ma il credo ateo non contiene affatto i fondamenti atei, forse quelli di Odifreddi, certamente non i miei.
Ci tengo a ribadire due punti essenziali per cui non condivido quel credo ateo e poi mi taccio.

1) il mio ateismo non è fideistico, lo era fino a pochi anni fa. Oggi il mio ateismo è filosofico. Per quanto mi riguarda non è una mia credenza, tanto meno una scommessa, è una mia certezza come sono certo della mia esistenza, qualunque cosa essa sia, come sono certo dell'inesistenza del nulla.

2) Odifreddi è un matematico, logico di professione. Però nel credo ateo pecca di un errore di comprensione della distinzione dei tipi logici proposta da Russel: per esempio, la Natura non può generare l'uomo perché l'uomo è parte della Natura.


Il tema dei simboli è già stato discusso in un altro topic.

Ipazia

#36
Infatti esistono tanti ateismi quanti sono gli atei, nel rispetto del paradigma del libero pensiero (che include anche gli agnostici).

1) La certezza umana è sempre sub iudice, non dei numi, ma del fluire evolutivo del tempo e del caso. Tenuto conto di ciò, anche la mia scommessa atea ha un adeguato bagaglio razionale di affidabilità.

2) La fecondità della natura è del tutto evidente. Se essa è sostanza, tra i suoi vari accidenti sta incluso anche l'uomo, col suo peculiare microcosmo che agisce sulla madre, così come il pargolo rompe gli zabedei a chi lo ha generato pur essendone cosostanziato. E generalmente ne sconvolge anche l'esistenza. Che poi è la sostanza.
...
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

davintro


non vedo l'agnosticismo tanto come una categoria a se stante, un' posizione realmente distinta dalle altre circa l'esistenza di Dio, ma più come quel margine di incertezza presente in ciascuno di noi stante la nostra finitezza, atei o teisti che siano. Agnostici lo siamo tutti e nessuno, per così dire. Tutti, perché anche quando un'argomentazione razionale ci sembra del tutto valida per convalidare un'affermazione o negazione dell'esistenza di Dio, la certezza che ne consegue resta di fatto sempre ad un livello meramente intellettualistico, logico, ma non davvero emotivo/psicologico. Questo, penso perché su quest'ultimo piano incidono tendenze come l'abitudine e l'influenza sociale. La forza dell'abitudine porta ad avvertire il bisogno di confermare una certa convinzione a livello di accadimenti empirici, verifiche sensibili, perché questo è il livello in cui siamo, per l'appunto, abituati a trovare i fini pratici verso cui organizzare i nostri pensieri, mentre una pura speculazione logica, anche quando ben coerente, ci appare (dico "appare", perché razionalmente per me non sarebbe così, ma emotivamente è qualcosa che posso anch'io rilevare) debole, vacua. Un altro fattore è il condizionamento sociale, per cui il peso delle convinzioni diverse dalle nostre, anche quando ci appaiano razionalmente erronee, ci influenzano, premono sulle nostre insicurezze, su un certo spirito gregario, per cui la semplice esistenza di opinioni esterne finisce col rafforzare o indebolire le nostre, si innestano tramite il varco consistente in quel senso di fallibilità che avvertiamo sempre riguardo noi stessi. Ad esempio, è una cosa che sento anche nella mia esperienza personale. Dovessi basarmi sulla pura logica sarei certo dell'esistenza di un Dio e anche di una vita dopo la morte, sulla base di "percorsi argomentativi" più volte meditati e che penso portino a delle conclusioni necessarie. Ma questa certezza "intellettuale" non si traduce in certezza emotiva/psicologica proprio perché l'influenza della stima (sia qualitativa che quantitativa) che ho verso chi ha idee diverse dalle mie mi porta ad ammettere la possibilità che i miei ragionamenti siano sbagliati, e anche quando sono stimolati a tornarci sopra per rimetterli in discussione e continuo a trovarli validi, così come colgo gli errori logici degli interlocutori, la coscienza di non essere infallibile, la mia insicurezza personale continuano a impedire alle mie certezze logiche di produrre uno stato d'animo che sia davvero coerente con esse, ed emotivamente continuo a sospettare circa le conclusioni a cui la ragione ritiene di aver sufficientemente argomentato. Per questo potrei definirmi "teista razionale" ed "agnostico emotivo" o, meglio avente una "parte" di agnosticismo nell'emotività.


Nessuno è agnostico, nel senso che ciascuno di noi, ovviamente con livelli di tematizzazione esplicita che variano da individuo a individuo, sia attraverso la ricezione di una tradizione culturale via famiglia/scuola, che attraverso una sguardo più "puro" che, nelle pause del tran tran quotidiano, mette a fuoco una visione del mondo nel suo complesso, più o meno vaga, che può apparire immanente nella sua ragion d'essere o richiedente di essere il prodotto di una causa creatrice trascendente. L'incertezza, pur sempre, presente, penso non arrivi mai al punto di determinare uno sguardo completamente neutro, in cui non ci sia mai, in qualche forma, un avvertimento, sentimentale o razionale che sia, della presenza o dell'assenza di un "Oltre".

niko


Alcune considerazioni su ateismo e agnosticismo, e poi una mia divagazione sul credo di Odifreddi...




L'agnosticismo si dispiega come un medio tra i due estremi del teismo e dell'ateismo, e in questo senso siamo tutti un po' agnostici: per essere completamente atei bisognerebbe non avere in generale il minimo dubbio sull'inesistenza di dio, e per essere completamente credenti pure, sull'esistenza,  ma non avere il minimo dubbio non è umano, e prescindere dal problema non è certo ateismo, semmai è anche quello una forma di agnosticismo.


Si possono fare ipotesi teiste e ipotesi atee, ma il vero teismo e il vero ateismo corrispondono alla scelta di prendere queste ipotesi come certezze, quindi sono più che altro stati mentali, esistenziali, che si possono assumere davanti all'indimostrabile; mentre l'agnostico resta agnostico se preferisce l'ipotesi teista o l'ipotesi atea su un piano di plausibilità o di desiderabilità pur considerandola sempre ipotesi (posizioni come: è più desiderabile che dio esista, ma non so se esiste; oppure è un'entità indesiderabile perché limita la libertà, ma non so se esiste, eccetera, sono posizioni agnostiche!). Per contro desiderare dio da una posizione atea è ateismo, e odiarlo da una posizione teista è teismo (non credo in dio, ma sarebbe bello se esistesse: posizione atea... credo in dio e lo odio: posizione teista).


La differenza tra la credenza personale e la religione rivelata anche non è una questione di ateismo teismo o agnosticismo, io posso credere in dio, ma pensare che il mio dio non è quello di nessuna religione rivelata: pensare che dio debba essere incorporeo, onnipotente, buono, unico eccetera, spesso lo diamo per scontato, ma non è una condizione necessaria in generale per credere in qualsivoglia dio, è semmai una condizione necessaria per credere specificamente nel dio delle principali religioni monoteiste per come esso risulta dalla loro tradizione teologica e di interpretazione scritturale.
L'esistenza stessa dell'ente dio è fuorviante anche da un punto di vista teologico, perché il dio delle principali religioni monoteiste è la causa dell'essere, e la causa dell'essere non è essente, e quindi non è neanche ente: l'identificazione di dio con il nulla è compatibile con un'ipotesi o una credenza teista (misticamente vissuta o teologicamente fondata), è per contro il vero ateo, o la vera ipotesi atea presa in considerazione da un agnostico, non tende a dire che dio è nulla, ma che dio non esiste.


Anche il nichilismo della morte come fine di tutto (ad esempio Odifreddi nel suo credo ateo vuole credere nella "dissoluzione" della morte), che si tende ad attribuire all'ateo, è solo espressione di un ateismo filosoficamente frequente e politicamente polemico contro una certa tradizione, ma non è un presupposto universale dell'ateismo: un ateo può pensare che ci sia vita dopo la morte, semplicemente questa vita in un'ipotesi atea non deriverà dal sovrannaturale, ma dalla natura stessa e dalla tecnologia; ipotesi più banale di tutte: se la natura è non solo ciclica, ma anche periodica, allora c'è vita dopo la morte, perché la vita stessa è eterna nella periodicità della natura, e questa eternità non le deriva dal sovrannaturale, ma dal funzionamento della natura stessa; ma anche, per fare altre ipotesi, qualunque alieno tecnologicamente evoluto può resuscitare un morto, e se una determinata vita è o sarà simulata al computer, la morte di quella determinata vita è o sarà da considerarsi reversibile come tipo di evento, e questo secondo l'ordine naturale delle cose, senza intervento di esseri sovrannaturali. Anche da un punto di vista atomistico, se la vita è combinazione casuale di materia, la combinazione è ripetibile nel tempo al ricorrere dello stesso caso in circostanze diverse, anche senza bisogno di ripetizione dell'intero universo.





Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

viator

Salve niko. Citandoti : "................Anche da un punto di vista atomistico, se la vita è combinazione casuale di materia, la combinazione è ripetibile nel tempo al ricorrere dello stesso caso in circostanze diverse, anche senza bisogno di ripetizione dell'intero universo".

Assolutamente  no. Nessun evento particolare può venir riprodotto perfettamente isolandolo dal contesto universale che l'ha - non importa quanto direttamente o remotamente - espresso.


Non sto ad affannarmi in laboriose giustificazioni. Se vorrai, potrai documentarti sia attraverso il "principio di indeterminazione" che la "teoria delle catastrofi". Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

niko

#40
Citazione di: viator il 06 Aprile 2020, 21:26:49 PM
Salve niko. Citandoti : "................Anche da un punto di vista atomistico, se la vita è combinazione casuale di materia, la combinazione è ripetibile nel tempo al ricorrere dello stesso caso in circostanze diverse, anche senza bisogno di ripetizione dell'intero universo".



Assolutamente  no. Nessun evento particolare può venir riprodotto perfettamente isolandolo dal contesto universale che l'ha - non importa quanto direttamente o remotamente - espresso.


Non sto ad affannarmi in laboriose giustificazioni. Se vorrai, potrai documentarti sia attraverso il "principio di indeterminazione" che la "teoria delle catastrofi". Saluti.




Tu assumi il mondo della vita come il mondo degli oggetti, ma solo alcuni oggetti (nello specifico microscopici) sono sensibili a cose come quelle che indichi tu: a micro variazioni infinitesimali.


Se consideri un uomo come un oggetto dotato di una memoria neurale e biologica, e al netto di queste due caratteristiche identico a tutti gli altri oggetti, interfacciato con gli altri oggetti, ecco che tutte le variazioni subliminali ed esterne a quelle che su tali supporti (neurale e biologico) si possono "registrare", non esistono per l'uomo, per quanto esistano "oggettivamente" come variazioni.


Anzi si può dire che l'attività della coscienza sia raggruppare (accorpare) tutti questi innumerevoli eventi simili subliminali ed ulteriori a quello che per somma (catastrofica) di micro eventi simili determinerebbe un cambio discreto di percezione (come un pixel di un colore o di un altro su un computer), e catalogarli come uguali. Determinando quel senso di unicità e continuità che pertiene alla vita nella sua soggettività, ma che non pertiene realmente al corpo e all'ambiente prossimo che lo determina, che mentre la vita va avanti, subisce miliardi e miliardi di variazioni non percepite e eventi irrilevanti.



Un computer non è fatto per registrare tutto. E' fatto per registrare quello che lo cambia almeno di un bit, di un interruttore su uno o su zero. E' penso che la mente, e la biologia, siano memoria computazionale, infinitamente più complessa, ma sempre di quello stesso tipo. Sono materialista, e determinista. La vita è l'effetto che ci fa il fatto di vivere, non ha una locazione o una datazione al di là delle locazioni e datazioni che conosce, e che hanno qualche effetto per lei.


Sei tu in grado di percepire una qualche conseguenza reale (macroscopica) del principio di indeterminazione? Sei tu in grado di percepire i virus? sei tu in grado di percepire un topo che passa fuori dal tuo campo visivo e non fa rumore? Penso proprio di no.


Dunque tutte queste cose non esistono per te, non perché non abbiano conseguenze reali, soprattutto nel tempo (se prendi il raffreddore ti ammali, e se cambi punto di osservazione e guardi nel buco, puoi anche vedere il topo), ma perché non esistono ai fini dell'autopercezione del tuo corpo e del tuo ambiente in un dato istante. Punto.


Se ti fotografi in un istante della tua vita, ad esempio adesso mentre sei al computer, tu in quell'istante sei lo stesso con un virus in più o in meno, con un topo non visto in più o in meno e con tutto ciò che non cambia la tua configurazione neurale e biologica in quell'istante. Non hai bisogno di sapere dove stanno tutti i positroni e tutti i quark dell'universo, o della tua stanza, per vivere questo istante, e di fatto non lo sai. Tu, anche cambiando i positroni, vedresti sempre la stessa foto. Dio, che sa dove sono i positroni, vedrebbe miliardi di foto diverse, a seconda dei positroni. Questo vuol dire che esistono miliardi (fantamiliardi) di versioni di te stesso, del tuo ambiente e del tuo corpo in questo attimo simili, che la tua coscienza scambierebbe, in buona o in cattiva fede, per uguali.

Le versioni dell'universo che riproducono questo attimo come vissuto sono infinitamente di più di quelle che lo riproducono come oggetto e configurazione di oggetti. Perché le configurazioni di oggetti possono essere sensibili al principio di indeterminazione e all'effetto catastrofe, (ma soprattutto non hanno limiti arbitrari di dettaglio ed estensione nella descrizione possibile) il tuo ricordo e la tua percezione di questo attimo no (e hanno limiti arbitrari, quelli della tua coscienza, che ad esempio non vede attraverso i muri).


Se in un pianeta o in un ciclo cosmico lontano la materia assumesse configurazioni anche solo approssimativamente simili, questo tuo attimo rinascerebbe al netto dei positroni e dei virus. E al netto di cosa fa il tuo vicino al di là del muro. Di cui non te ne importa niente adesso, e non te ne importerà niente fra un fantamiliardo di anni luce, fra due, fra tre eccetera. Collezioni di simili scambiati per uguali. Attività della coscienza. Non rinascerebbe certo l'attimo per Dio, che conosce la differenza, e direbbe: "oh tò, due attimi simili, ma coi positroni diversi". Ma tu non la conosci. E diresti "oh tò, lo stesso attimo".


La vita, sfocando gli oggetti, mettendo delle soglie arbitrarie di percezione a ciò che non ne ha, prescindendo dalle differenze infinitesimali, è un immenso sistema di ubiquità e di rinascita. Che serializza i corpi. Che conquista l'infinito come territorio. Che si trova mondi abitabili, nicchie di simili/uguali.  Funziona per sottrazione, di conoscenza, non per accumulo. Gli importa solo di esistere. Ancora, ancora e ancora. Non gli importa di me e di te.


PS


Mi scuso per essere andato fuori tema per rispondere a questa obiezione.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

viator

Salve niko. Tu non devi scusarti ed io ti devo ringraziare per fatica (spero poca) e buona volontà (sembra tanta) spese nel rispondermi. Comunque, citandoti : "Sei tu in grado di percepire una qualche conseguenza reale (macroscopica) del principio di indeterminazione? Sei tu in grado di percepire i virus? sei tu in grado di percepire un topo che passa fuori dal tuo campo visivo e non fa rumore? Penso proprio di no".

Non ha alcuna importanza il percepire effetti "reali" del principio di indeterminazione, i cui effetti riguardano chiunque indipendentemente dalla sua dotazione sensoriale. Poichè tu parli di percezione (funzione esclusivamente sensoriale), in pratica tu hai affermato che - ad esempio - i ciechi non percepiscono la luce ed i sordi non percepiscono i suoni.


Se invece parlassimo di "concezione" (altra funzione, esclusivamente mentrale, consistente nell'assemblare, confrontare ed estrapolare concetti derivandoli dalla propria massa mnemonica di nozioni e percezioni), potrei dirti che - osservando la competizione tra Achille e la tartaruga i miei sensi non riuscirebbero a cogliere il momento o luogo in cui Achille non si trova nè avanti nè indietro alla tartaruga, perciò la mia mente forse concepirebbe che è affar sciocco cercare di affettare tempi e spazi per estrarne il fenomeno del sorpasso il quale quindi risulterà in un fenomeno contemporaneamente impercepibile, concepibile e pure "reale".



Un aspetto interessante del principio di indeterminazione sarebbe il concepire il classico "viaggio nel tempo", esperienza da sempre vagheggiata dagli ingenui i quali non capiscono che è sia impossibile (par. 1A) che inutile (par.1B) :


       
  • A - viaggiare localmente od individualmente nel tempo (cioè all'interno del ciclo delle cause e degli effetti che generano gli eventi, accellerandolo o facendolo scorrere all'indietro) non è possibile poichè non è consentito "scollegare, spostare e reincollare" solo alcune cause od effetti (locali o che ci riguardano) lasciando "da parte" tutte le altre cause ed effetti dell'esistente le quali sono invece rigorosamente "sincronizzate" ed "interconnesse. Tale principio vale a livello sia micro- che macroscopico. Persino "alla faccia" di qualsiasi acrobazia quantistica oggi tanto di moda.

       
  • B - Se anche qualcuno affermasse di essere riuscito a "viaggiare nel tempo" lo si potrebbe sbugiardare immediatamente poichè il primo effetto certo di un  ritorno dal passato o dal futuro (al pari del "recarsi" nel passato o nel futuro) agirebbe sulla fisicità corporale del soggetto provvedendo a modificarne la memoria (se vado nel passato (es. dal 2020 al 1990) non avrò più i ricordi relativi al trentennio appena "cancellato da me")(se vado nel futuro non avrò ricordi relativi al trentennio appena "saltato") - (in entrambi i casi, tornando poi al presente perderei le memorie relative ai miei "soggiorni" nel passato o nel futuro).   La beffa poi sarebbe che - se anche il mondo tutto insieme compiesse un balzo nel tempo - nessuno avrebbe modo di accorgersene.

Se poi la tua visione del mondo è di stampo solipsistico (il mondo esiste solo nella misura in cui io ne ho percezione).............allora si tratta di una rispettabilissima opinione la cui conseguenza sarà che il mondo - per te - sarà come più di piace pensarlo. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

niko



Io non ho parlato di viaggi nel tempo, però sono d'accordo a "ridurre" il pensiero alla percezione, nel senso che sono un determinista materialista, per me il pensiero deriva dai rapporti materiali (tra corpo e ambiente)  quindi è "passivo" rispetto all'automovimento della materia, si limita a registrarlo.


Non esiste il pensiero come spazio ulteriore, terzo incomodo, tra involontarietà della percezione e istinto, il pensiero è organizzazione, della percezione e dell'istinto. Di questa organizzazione fanno parte il senso della libertà, dell'unicità eccetera, ma sono artifici necessari alla vita, non realtà.


Un po' come gli atomisti, che pensavano che il pensiero fosse determinato dagli urti tra gli atomi.
La coscienza è fenomeno aggregato, emersione di qualcosa di apparentemente immateriale dalla complessità, quindi quanto è dominio e struttura è molto più reale, nella coscienza, di quanto è sentito come unicità e libertà.

La mente è l'idea del corpo, e dunque la mente è anche l'idea del corpo e dell'ambiente nella misura in cui il corpo è modificato dall'ambiente e lo modifica; il corpo è mondo, luogo abitato, ma solo entro certi limiti, appunto perché esistono micro variazioni del corpo che non riverberano nella mente (che non la modificano), e perché, oltre una certa distanza, l'ambiente non modifica più il corpo in maniera rilevante.


Il rapporto corpo-ambiente è ripetibile nel tempo e nello spazio per quello che mi concerne, cioè per l'emersione della mia coscienza da una certa complessità data, statisticamente possibile come macro stato di un sistema a prescindere da micro stati irrilevanti, evento non-singolo che risulterà  dal ricorrere di una certa struttura: l'infinita varietà del cosmo si può consumare oltre i miei limiti, di pensiero e percettivi, ma entro i miei limiti ricorre una serie di simili scambiata per uguale, come se io fossi il centro di comando di innumerevoli gemelli del mio corpo sparsi per l'infinito, agenti secondo una certa armonia prestabilita, che è appunto la mia coscienza ridotta a percezione. La libertà è libertà di ignorare.


Quindi tutto ciò che non è da me percepito, non esiste per me; forse per te questo è solipsismo, ma pazienza.


Tu hai voluto dimostrare l'impossibilità dei viaggi nel tempo, io ho voluto dimostrare che c'è e ci sarà sempre al mondo un qualcosa di equivalente ai viaggi nel tempo (e al teletrasporto), finché esisterà un meccanismo operante nel mondo per cui cause diverse, per luogo e per tempo, producono effetti uguali (lo stesso identico, e quindi intemporale, effetto).


Chiamo questo strano meccanismo "vita". Che fa fare il viaggio nel tempo a chi vive, con altri mezzi.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

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