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Agape > Carità

Aperto da doxa, 30 Dicembre 2023, 09:49:54 AM

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Il sostantivo "carità" evoca il sostantivo  greco "àgape" = amore, di tipo  fraterno, ma allude anche al convito, al banchetto comunitario nei primi secoli dell'era cristiana  per commemorare l'ultima cena di Gesù con gli apostoli e la celebrazione eucaristica.

Il filosofo e apologeta cristiano Tertulliano nell'Apologetico (cap.  39) descrive il banchetto comunitario a lui noto nel III secolo. La modalità era simile a quella degli Ebrei la sera del venerdì: cominciava con la benedizione del pane da chi presiedeva la mensa, poi lo distribuiva ai commensali; seguivano altri cibi e si concludeva con un'altra benedizione e la bevuta del vino.

Invece nel banchetto conviviale cristiano il pane e il vino venivano ugualmente benedetti, ma consacrati  in memoria del corpo e del sangue di Gesù, la sua morte e resurrezione. Questa parte del rituale era detta "eucharistia", seguita dalla preghiera di lode e di ringraziamento a Dio.   

Il lemma "àgape" è presente 320 volte nel Nuovo Testamento redatto in lingua greca antica nel IV secolo (Vulgata) e tradotto in latino con il sostantivo "caritas", utilizzato dai filosofi neoplatonici cristiani come  amore spirituale, superamento dell'eros.

Eros e àgape: i due modi complementari di intendere l'amore:

eros, come desiderio di possesso, di inglobare l'altro nell'io;

àgape, come dono disinteressato, andando oltre sé stessi.

Dal latino càritas deriva il sostantivo "carità", e di questa ci sono anche attinenti immagini.

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raffigurazione di un agape. Questa parola si può leggere sul muro, sulla sinistra,  tra il primo e il secondo individuo.  L'affresco è nelle catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, a Roma.

Il Vangelo di Luca è quello che maggiormente narra di banchetti conviviali come occasione di insegnamento dell'amore fraterno da parte di Gesù, in particolare il cap. 14, 1 – 24.

Paolo di Tarso nella prima lettera ai Corinzi ne parla nel capitolo 11.

Anche altri autori descrivono l'agape.



affresco della seconda metà del II secolo, banchetto eucaristico (fractio panis), catacomba di Priscilla, Cappella greca, Roma.
Intorno alla tavola sono assise sette persone di cui la prima tende le mani nell'atto di spezzare il pane, sono raffigurati sette cestini, che alludono al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, quando Gesù promette il pane della vita eterna.


Catacomba di Priscilla, Cappella greca

In Italia ci sono numerose chiese e opere d'arte dedicate alla Virgo Caritas, la  Madonna della Carità.

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L'iconografia tradizionale della Carità presenta una donna che allatta più neonati, simbolo dell'amore verso gli altri.


William-Adolphe Bouguereau, Carità, olio su tela, 1878, collezione privata


Dello stesso pittore francese un'altra allegoria della Carità


William-Adolphe Bouguereau, La carità, olio su tela, 1859

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Tino di Camaino, allegoria della Carità, scultura marmorea a tutto tondo, 1320 circa, Museo Bardini, Firenze

(Camaino era il nome del padre dello scultore e architetto senese Tino: 1285 – 1337 circa).

Questo gruppo scultoreo è ispirato dall'iconografia tradizionale della Carità che allatta più fanciulli.

La donna ha i capelli raccolti in una treccia avvolta attorno alla testa.

Il suo vestito ha aperture sui seni.

Regge  due "pargoletti", poco più che neonati: uno voltato di spalle,  ha la mano destra poggiata sul seno della donna ed è intento a suggere il latte dalla mammella;

invece l'altro, in posizione frontale, ha la mano sinistra sotto il seno  della donna è  tenta di raggiungere il capezzolo.


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In questo topic nel post che ho dedicato al pittore francese William-Adolphe Bouguereau ho scritto che l'iconografia tradizionale della Carità è quella di una donna che allatta più neonati o bambini, ma ci sono anche varianze.

Un esempio è l'allegoria della Carità dipinta in monocromo da Giotto con i suoi collaboratori nella Cappella degli Scrovegni, a Padova.


Cappella degli Scrovegni, Padova. In origine la chiesa era dedicata alla Beata Maria Vergine della Carità.

Fu commissionata da  Enrico degli Scrovegni, figlio di Rinaldo, facoltoso usuraio padovano, che Dante Alighieri nella Divina Commedia lo colloca nella cantica dell'Inferno. Nel XVII Canto (64 – 75) il poeta dice di aver visto Rinaldo nell'anello interno  del VII cerchio, dove i sono puniti i violenti. 

L'anello interno del VII cerchio è un deserto rovente con una continua pioggia di fuoco. Gli usurai  sono seduti sulla sabbia, tentano di scacciare il fuoco, ma inutilmente.  Intorno al collo hanno delle borse decorate con i loro  stemmi.

Dante va ad osservare gli usurai: ....

"E un che d'una scrofa azzurra e grossa
segnato avea lo suo sacchetto bianco,
mi disse: «Che fai tu in questa fossa

Or te ne va; e perché se' vivo anco,
sappi che 'l mio vicin Vitaliano
sederà qui dal mio sinistro fianco.                               

Con questi Fiorentin son padoano:
spesse fiate mi 'ntronan li orecchi
gridando: "Vegna 'l cavalier sovrano,                             
che recherà la tasca con tre becchi!"».
Qui distorse la bocca e di fuor trasse
la lingua, come bue che 'l naso lecchi". 


[= "E un dannato, che aveva una borsa bianca con l'immagine di una grossa scrofa azzurra (lo stemma degli Scrovegni), mi disse: 'Cosa fai tu in questo Inferno?

Ora vattene; e poiché sei ancora vivo, sappi che presto siederà qui alla mia sinistra il mio concittadino Vitaliano del Dente.

Io sono padovano e sto qui con questi Fiorentini: molte volte mi urlano nelle orecchie, gridando: 'Venga il nobile cavaliere, che porterà qui la borsa col simbolo dei tre caproni!' (Giovanni di Buiamonte). A quel punto storse la bocca e tirò fuori la lingua, come un bue che si lecca il naso"].

Dall'Inferno dantesco  torno in superficie per ammirare il  ciclo di affreschi dei primi anni del XIV secolo, considerato uno dei capolavori dell'arte occidentale.

La superficie è di circa 700 mq., compresi i circa 180 mq. della volta dipinta quasi solo di colore azzurro.


Presbiterio




Navata e controfacciata

Nella fascia inferiore delle pareti ci sono 14 allegorie a monocromo,  alternate a specchiature in finto marmo.

Nella parete destra, in basso, le virtù;

nella parete sinistra, in basso, i vizi.

In ogni figura il nome del vizio o della virtù è scritto in alto in lingua latina



Giotto, Carità,  dipinto murale in monocromo, 1306 circa, Cappella degli Scrovegni, Padova.

La Carità è una figura femminile, giovane e incoronata di fiori. 

Con la mano sinistra offre a Dio il suo cuore, come  simbolo dell'amore caritatevole; 

nella mano destra, offerente, regge un contenitore in ceramica con dentro frutta,  fiori e spighe.

Per contrappasso, con i piedi calpesta i sacchetti pieni di denari. 

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Nel capitolo 13 della prima lettera di Paolo di Tarso ai Corinti  c'è il brano detto "Inno alla carità" o anche "Inno dell'amore", che esalta la virtù teologale della carità (1 – 13):

"Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità.  Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà.  La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà.  Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.
Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!".


La chiusura del cosiddetto "inno dell'amore" si conclude citando le tre virtù teologali, allora ne approfitto per mostrarvi un dipinto con la loro presenza.


Ambrogio Lorenzetti, Madonna col Bambino  assisa in trono (detta anche "Maestà di Massa Marittima),  con le virtù teologali, gli angeli musicanti, i santi e i profeti, tempera e oro su tavola,  1335 circa, Museo d'arte sacra di Massa Marittima (prov. di Grosseto). 

La tipologia mariana è quella della "Eleousa" (la misericordiosa).

Maria è seduta sullo scanno; ai lati  due angeli, uno per  parte, ognuno regge  un  cuscino a rotolo di colore marrone  con la funzione di bracciolo del trono;  più in alto, altri due angeli, uno a sinistra l'altro a destra,  lanciano fiori.

La Madre di Gesù indossa la tunica rossa e il maphorion di colore blu; regge il Bambino sull'avanbraccio sinistro e con entrambe le mani;  ha la testa chinata verso di lui in segno di affetto. Il pargolo, con la tunica rosacea,  ricambia l'amore materno con le labbra poggiate sulla guancia della Vergine, mentre si regge con la mano destra sul bordo ornato della tunica della  donna.

Il  seggio ha il basamento ligneo tripartito  e  di diversi colori: bianco quello poggiato in terra, verde quello mediano, dorato quello del trono. Su ognuno dei tre gradini l'iscrizione indica la virtù teologale che  vi è seduta. 

Le personificazioni di fede, speranza, carità sono coronate, hanno i capelli biondi ed ali angeliche.

Le allegorie delle tre virtù.

Fede (Fides),  è seduta a destra  sul basamento bianco.  Indossa  un abito l'abito bianco, tale colore simboleggia il candore della fede:  ha la mano sinistra poggiata sul petto all'altezza del cuore; con la mano destra regge un piccolo specchio (lo speculum fidei, allegoria della rivelazione divina che viene mostrata al fedele) nel quale è riflessa la Trinità.

Speranza (Spes), indossa l'abito verde scuro. Nella simbologia cristiana il verde evoca la speranza. La figura è seduta nel lato sinistro della struttura lignea verde; ha gli occhi rivolti verso l'alto e con le mani sorregge il modello di una torre di 4 piani: per sant'Agostino la speranza è "turris fortitudinis", "torre di fortezza"; per sperare è necessaria la forza morale per non disperare.

Carità (Caritas), indossa un vestito rosaceo (anziché rosso) ed è seduta sulla pedana del trono, nello spazio tra i piedi della Theotòkos, = Madre di Dio, titolo attribuito a Maria di Nazaret nel 431 durante il Concilio di Efeso.

La Carità ha le braccia spalancate: nella mano sinistra sorregge un cuore, nella mano destra una freccia, secondo le indicazioni della teologia agostiniana.

Notare gli angeli musicanti, tre per lato,  ognuno  ha un diverso strumento musicale:  due vielle gli angeli in primo piano, un salterio l'angelo in secondo piano a sinistra, una cetra quello a destra.

Questo dipinto evoca anche il  XXIX canto  del Purgatorio (versi 121 – 129). 

"Tre donne in giro da la destra rota
venian danzando; l'una tanto rossa
ch'a pena fora dentro al foco nota;                               

l'altr'era come se le carni e l'ossa
fossero state di smeraldo fatte;
la terza parea neve testé mossa;                                 

e or parean da la bianca tratte,
or da la rossa; e dal canto di questa
l'altre toglien l'andare e tarde e ratte".


[= "Tre donne venivano danzando in cerchio accanto alla ruota destra; una era rossa (la Carità)  a tal punto che si sarebbe a malapena notata dentro il fuoco;

la seconda aveva le carni e le ossa che sembravano fatte di smeraldo verde (la Speranza),  la terza sembrava neve (la Fede) appena caduta dal cielo;

e ora sembravano guidate nella danza dalla bianca, ora dalla rossa; e dal canto di quest'ultima le altre assumevano un ritmo di danza lento o veloce"].

Scrisse Agostino d'Ippona: "caritas est animae pulchritudo" =  "la carità è la bellezza dell'anima" (Agostino, Commento alla prima Lettera di Giovanni 9,9).

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Oggi vi racconto "brevemente" la storia che indirettamente indusse Raffaello Sanzio a realizzare  la  pala d'altare conosciuta come "pala Baglioni". Questa composizione pittorica del "gran pittor d'Urbino" comprende anche la personificazione della Carità.  Per descrivere quest'opera ho bisogno di "spazio", perciò uso quattro post. Questo è il primo.

prima parte

Tutto cominciò con le cosiddette "nozze rosse (sangue) dei Baglioni," nobile casata che in quel tempo aveva il potere  a Perugia. 

Il 28 giugno del 1500 si celebrò il matrimonio tra Astorre Baglioni e Lavinia Orsini Colonna. L'evento venne festeggiato con grande sfarzo per 12 giorni: vestiti sontuosi, gioielli ostentati, banchetti gastronomici, balli e canti.

Il cugino dello sposo, Carlo Oddo Baglioni detto il Barciglia, avido di potere, organizzò una congiura familiare per  eliminare Astorre, Guido e Rodolfo Baglioni  ed assumere il governo di Perugia. Ebbe la complicità del ventiquattrenne Federico Baglioni (detto Grifonetto) e di altri  ambiziosi personaggi.

Nella calda  notte tra il 14 e il 15 luglio le residenze  dei Baglioni furono assaltate e i Signori di Perugia assassinati. Dalla strage si salvò Gianpaolo Baglioni che riuscì a fuggire. 

Compiuta la strage i congiurati tentarono di aggregare altri maggiorenti perugini, ma inutilmente.

Nel frattempo Gianpaolo radunò degli armigeri e con loro il 16 luglio tornò a Perugia. I congiurati scapparono ma non Grifonetto, che fu ucciso in strada. Aveva 23 anni. All'età di circa 18 anni sposò la bella Zenobia Sforza (anche lei ritratta da Raffaello), dalla quale ebbe tre figli.

Il corpo di Federico fu tumulato a Perugia nella Cappella funeraria di famiglia,  dedicata a San Matteo, nella Chiesa di San Francesco al Prato.

Nel 1505 circa, la madre, Atalanta, commissionò a Raffaello, quell'anno presente a Perugia per altri impegni, "un Cristo morto portato a sotterrare", da collocare  sopra l'altare  sovrastante la tomba del figlio.

L'artista urbinate nel 1507 completò il dipinto sul quale scrisse il suo nome: RAPHAEL URBINAS MDVII, sullo scalino in basso a sinistra,  ma è poco visibile.

In origine la composizione era alta circa 5 metri, composta dalla cimasa, il fregio, la parte centrale con la Deposizione, e la predella, ma poi la composizione fu divisa in parti. 


com'era strutturata la pala d'altare Baglioni nel 1507

Nella cimasa, dipinta ad olio su tavola,  è personificato Dio benedicente a mezza figura, con folta barba bianca, testa inclinata verso il basso,  circondato da angeli. Questo dipinto fu eseguito dal pittore Domenico Alfani, collaboratore del Sanzio.
La cimasa è conservata a Perugia nella Galleria Nazionale dell'Umbria.


Il fregio, in origine un'unica tavoletta di legno,  poi  divisa in quattro segmenti; alcune parti sono disperse.
Ci sono  quattro coppie di putti alati seduti su teste di ariete, che offrono vasi con frutti a otto grifi coronati. La corona allude o allo stemma di Perugia, o a Grifonetto Baglioni, figlio della committente: Atalanta. 


Raffaello Sanzio,  frammento del fregio con putti e grifi, 1507. Tempera su tavola, 21 x 37 cm. Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria

Il grande pannello centrale con  la scena del  "Trasporto di Cristo nel sepolcro" è custodito a Roma nella Galleria Borghese, perciò detto "Deposizione Baglioni" o "Deposizione Borghese". 

La predella: è divisa in tre tavolette rettangolari dipinte con la tecnica pittorica in monocromo, detta "grisaille",  in italiano "grisaglia".

Ognuna delle figure delle virtù è inserita in un tondo nell'ambito di una superficie quadrata. Ai lati di ogni virtù  ci sono i putti in finte nicchie, correlati alle figure principali.

I tre scomparti che formano la predella sono esposti ai Musei Vaticani.


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seconda parte

Vediamo  la pala d'altare che raffigura il trasporto di Gesù al sepolcro. Nel successivo post  descriverò la predella con le immagini delle tre virtù teologali

Per  questa rappresentazione  Raffaello si ispirò ad un dipinto  del suo maestro, Pietro Perugino:  il "Compianto su Gesù Cristo", realizzato nel 1495,  attualmente a Firenze,  conservato a Palazzo Pitti.


Raffaello Sanzio, comparto centrale della  pala d'altare Baglioni, olio su tavola, 1507, Galleria Borghese, Roma.

Dopo la deposizione di Gesù  dalla croce sul Calvario (in alto a destra visibili le tre croci, la scala per la deposizione dalla croce centrale e due figure),  il corpo  di Cristo viene  disteso sul lenzuolo per il trasferimento nel sepolcro.

La scena è composta da due parti, con due gruppi di figure:  quello di sinistra è intorno al Cristo morto, quello di destra è attorno a Maria, la madre di Gesù, svenuta.

Tre uomini sono raffigurati  inarcati durante lo sforzo per trasportare la salma, sulla quale si vedono i fori dei chiodi per la crocifissione e la ferita sul costato. Quello dietro il capo di Gesù potrebbe essere  Giuseppe d'Arimatea, quello anziano con la barba folta Nicodemo, oppure San Pietro, in genere assente nei dipinti con la scena della Deposizione di Gesù, ma qui identificabile per i colori degli abiti: giallo e verde, tipici della sua iconografia. Nicodemo o Pietro  guarda verso l'osservatore. 

Dietro i due è raffigurato l'evangelista Giovanni con le mani giunte nell'atto di pregare.

Il viso del giovane che sorregge il lenzuolo dalla parte inferiore del corpo di Gesù è  quello del defunto Grifonetto Baglioni.

Al centro della composizione Maria Maddalena dolente, guarda Gesù e gli tiene la mano.  Il suo volto è quello di Zenobia  Sforza, moglie di Grifonetto Baglioni. 

A destra c'è  il gruppo delle pie donne che sostengono Maria, la madre di Gesù, svenuta. Il volto è quello di Atalanta, la madre di Federico,  alias Grifonetto.  E' sorretta dalla donna dietro di lei, un'altra le regge il capo reclinato sulla spalla, ancora un'altra, inginocchiata, allunga le braccia per sostenerla.

I due gruppi principali sono raccordati dal giovane con il volto di Grifonetto, che si proietta all'indietro.

L'oscuro sepolcro nella roccia aiuta a stagliare i personaggi a sinistra,

A destra le figure sono nelle vicinanze  della collina del Golgota. 

Al centro la veduta  è  sulle colline e su un castello, ben visibile il maschio.  Il panorama è quello della località denominata Antognolla, circa 30 km a nord di Perugia. Al tempo di Raffaello apparteneva alla famiglia Baglioni. La scoperta è avvenuta alcuni anni fa.  Alessandra Oddi Baglioni, discendente diretta della committente, sapendo che la tavola era in restauro, chiese di poterla osservare da vicino. In tale occasione la Oddi Baglioni riconobbe il paesaggio  di Antognolla, visto molte volte, durante la sua infanzia, quando quel luogo ancora faceva parte dei possedimenti della famiglia.

In lontananza si vedono le montagne velate dalla foschia. 

L'opera è firmata e datata  sullo scalino del  sepolcro: "RAPHAEL VRBINAS M. D. VII", ma è poco visibile.

Su richiesta del pontefice Paolo V (Camillo Borghese), nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1608, con la complicità dei frati  della chiesa di San Francesco al Prato, la composizione raffaellesca, alta cinque metri, fu prelevata e  segretamente inviata a Roma. Il papa la donò al nipote, il cardinale Scipione Borghese, che l'aveva ammirata durante i suoi studi universitari nel capoluogo umbro.  Di solito Scipione, appassionato d'arte, non aveva scrupoli ad usare ogni mezzo, lecito e illecito, per arricchire la propria collezione.

Le proteste dei perugini indusse Paolo V a farne fare una copia,  commissionata al Cavalier d'Arpino, pittore tardomanierista molto apprezzato a quei tempi. Questo dipinto è conservato a Perugia nel Palazzo dei Priori.

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terza parte

La predella della Pala Baglioni con le tre virtù teologali è custodita nella Pinacoteca dei Musei Vaticani.

E' suddivisa in tre tavolette, le figure sono dipinte a monocromo.

Nella predella la Carità forse occupava la posizione centrale, fiancheggiata dalla Speranza a sinistra e dalla Fede a destra.


Iconografia della carità



Raffaello raffigurò  la Carità  di profilo, mentre allatta i figli e guarda verso un osservatore. 

Ai lati ci sono due putti alati:

quello a sinistra ha sulle spalle un braciere fiammeggiante, simbolo della Carità come  fuoco che riscalda;

a destra, il putto versa  da un contenitore un grappolo d'uva, segno dell'abbondanza che la carità offre.


Iconografia della fede



Un'altra figura femminile raffigura la fede. La donna ha in mano l'ostia e il calice.

I due putti angelici ai lati  sorreggono cartigli con abbreviazioni che rimandano all'Incarnazione.

Il putto a destra ha il cartiglio con l'iscrizione in latino  JHS, cioè Jesus hominum Salvator;

il putto sulla sinistra reca sul cartiglio l'abbreviazione in greco CPX: è il monogramma di Cristo.



Iconografia della speranza



La speranza è rappresentata da una donna in preghiera che crede nella provvidenza divina. Il suo sguardo è rivolto verso l'alto, a Dio.

I due putti alati suggeriscono di avere la serenità nell'attesa.

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quarta ed ultima parte

In un precedente post ho scritto che in origine, nel 1507,  la pala d'altare "Baglioni" era alta circa 5 metri, composta dalla cimasa, il fregio, la parte centrale con la Deposizione, e la predella, ma poi fu divisa in parti.


composizione della pala d'altare Baglioni nel 1507

Nel marzo del 1608  il pontefice Paolo V  (Camillo Borghese)  fece prelevare la pala-Baglioni dalla chiesa di San Francesco al Prato per donarla al "cardinal-nepote", Scipione Borghese. Ma la predella rimase nella Cappella di San Matteo, anche detta "Cappella Baglioni".

Poi ci furono le campagne militari napoleoniche in Italia, come la  campagna militare francese del 1796–1797 con la cosiddetta "Armata d'Italia" comandata da Napoleone I Bonaparte contro il Regno di Sardegna, gli austro-ungarici ("Sacro Romano Impero") e lo Stato Pontificio.

Ed anche per la raffaellasca "pala Baglioni" ci furono traversie. Ma per capirle è necessario riaprire i libri di storia...

In dieci giorni il Regno di Sardegna  fu sconfitto e Vittorio Amedeo III costretto a firmare il 28 aprile 1796 l'armistizio di Cherasco. Il  15 maggio dello stesso anno ci fu con i sabaudi il  trattato di  pace di Parigi con gravose condizioni per il Regno di Sardegna,  fra le quali  la cessione  alla Francia del  ducato di Savoia, della contea di Nizza, della contea di Tenda e di Breglio.

Nello Stato Pontificio, Bologna si arrese alle truppe francesi il 19 giugno 1796. Nella città il 23 giugno 1796 venne firmato  l'armistizio fra Napoleone e i rappresentanti dello Stato Pontificio: "armistizio di Bologna".

Al Papa  furono obbligate contribuzioni in opere d'arte, in denaro (21 milioni di lire, di cui  15 milioni  in lingotti d'oro e d'argento), in derrate e in animali, di solito cavalli, muli.

Nel luglio del 1796 a Parigi  iniziarono i negoziati fra la Sede Apostolica e la Repubblica Francese per una pace definitiva, ma non si giunse ad un accordo, perché Napoleone I voleva continuare con le requisizioni per avere  denaro, armi, vettovaglie per proseguire a nord lo scontro con l'esercito imperiale.

Il 19 febbraio 1797 tra la Francia e lo Stato Pontificio fu firmato il "Trattato di Tolentino"  (prov. di Macerata), imposto da Napoleone a Pio VI a seguito delle sue vittorie militari. Questo trattato  completava (e aggravava) le clausole del precedente  accordo (armistizio di Bologna):  cessione alla Francia di tutti i territori dello Stato Pontificio a nord di Ancona; l'indennità di guerra passò da 21 a 36 milioni di lire; inoltre,  il papa dovette rinunciare alla Romagna, alla città di Avignone  con il suo territorio (in Francia). Non basta, lo Stato Pontificio  dovette cedere tante  opere d'arte conservate nei Musei Vaticani, come il famoso Laocoonte. Statue e Dipinti vennero trasferiti a Parigi.

I francesi si riservarono il diritto di entrare in tutti gli edifici (pubblici, privati o religiosi) per sottrarre le opere.
Questa parte del trattato fu estesa con i trattati del 1798  a tutto il territorio italiano. Infatti anche Venezia fu costretta a cedere numerose opere d'arte, tra le quali i cavalli di San Marco e il leone bronzeo, poi tornati per merito dello scultore neoclassico Antonio Canova. 

Gli scopi della Campagna d'Italia comandata  da Napoleone I Bonaparte possono essere così riassunti:
accaparrare quanto più possibile denaro, opere d'arte, generi alimentari, animali e armi attraverso furti e contribuzioni forzate; occupare territori da scambiare al momento delle trattative con l'Impero asburgico.
La cessione all'Austria della Repubblica di Venezia con il Trattato di Campoformio (prov. di Udine), del 17 ottobre 1797, costituisce l'esempio più noto di tale intenzione. In cambio l'impero austriaco dovette cedere  alla Francia alcuni territori,  per esempio il Belgio.

Nel 1797 terminò la prima "campagna militare d'Italia" napoleonica.

Dal 1797 fino al Congresso di Vienna nel 1815, nei territori conquistati  dai francesi in diverse aree d'Europa, le armate di Napoleone effettuarono spoliazioni,  sottrazioni e requisizioni di beni  e opere d'arte.  Dall'Italia trasferirono in Francia molti capolavori, soprattutto a Parigi nel Museo del Louvre.

Dipinti, sculture, disegni, incisioni, libri, manoscritti, medaglie, strumenti scientifici, oro, argento e gioielli, cristalli, tessuti, oggetti di qualsiasi tipo che avessero un interesse economico e culturale.  Numerose opere venivano dalle chiese  a seguito delle "soppressioni napoleoniche":  i provvedimenti con i quali gran parte delle istituzioni ecclesiastiche (ordini religiosi, congregazioni, confraternite e simili) venivano cancellate e secolarizzate, i beni venivano requisiti oppure ceduti alle istituzioni civili o al demanio statale francesi.

Nel 1815 durante il Congresso di Vienna le potenze vincitrici ordinarono alla Francia la restituzione di tutte le opere sottratte, "senza alcun negoziato diplomatico". Venne affermato il principio di come non ci potesse essere alcun diritto di conquista che permettesse alla Francia di detenere beni e opere d'arte sottratte da spoliazioni militari.
Ma dopo il periodo napoleonico tante opere d'arte rimasero in Francia, altre furono riportate nei luoghi d'origine, altre ancora finirono nei musei e collezioni in varie parti del mondo. Altre, invece, furono danneggiate.

Per quanto riguarda la pala d'altare Baglioni,

la cimasa e il fregio trasferiti in Francia nel 1797, furono  riportati in Italia nel 1816. Sono conservati  a Perugia nella Galleria Nazionale d'arte. 

Il grande pannello centrale con il dipinto che raffigura il  "Trasporto  di Cristo morto nel sepolcro" è custodito a Roma nella  Galleria Borghese, perciò detto "Deposizione Baglioni" o "Deposizione Borghese". 

la predella (i pannelli con le Virtù) rimasta a Perugia fin dall'origine nella chiesa  di San Francesco al Prato, dopo la chiusura di questa,  fu presa dai francesi nel 1797 e riconsegnata all'Italia nel 1816. Dal 1820 è esposta nella Pinacoteca dei Musei Vaticani.

Ipazia

E meno male che della più ipocrita religione dell'amore ci resta alfine almeno un Raffaello.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

doxa

#11

Guido Reni, "La Carità", olio su tela, 1630 circa, Metropolitan Museum of Art, New York.

La  donna, figura allegorica della Carità, indossa un sontuoso abito rosaceo ed un ampio foulard color nocciola che le copre le spalle e parte della testa.

I tre  bambini hanno i capelli di colore ramato.

Uno è attaccato al seno materno per la poppata e mentre sugge guarda il viso della donna;  quello a fianco ha già soddisfatto la sua fame e dorme; il pargolo vicino al viso della madre col dito indice della mano destra  indica la mammella perché vuole suggere la sua parte di latte. La madre lo guarda quasi con un sorriso.

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Propongo alla vostra visione un dipinto del  pittore fiorentino Piero Benci, detto "Piero del Pollaiolo", fratello minore del più noto Antonio Benci "del Pollaiolo", pittore,  scultore e orafo.
 
Lo pseudonimo "pollaiolo" ai due artisti deriva, secondo consuetudine fiorentina nel passato, dal mestiere del padre: era un pollivendolo, o "pollaiolo" (in dialetto romano o romanesco si diceva "pollarolo": questo  specifico mestiere e di venditore è  ormai scomparso).
 
Piero nell'estate del 1469 ricevette dal Tribunale della Mercanzia di Firenze la commissione per una "pala" destinata alla sala dell'Udienza nello stesso edificio: raffigura l'allegoria della Carità, oggi alla Galleria degli Uffizi. 
 Al primo sguardo il dipinto sembra che raffiguri  una "Madonna del latte", invece un altro attributo la caratterizza come allegoria della Carità. 
 

Piero del Pollaiolo, Carità,  tempera grassa su tavola 1469 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze.
 
L'allegoria della Carità ha l'aspetto di una giovane donna che allatta al seno un bimbo, per  indicare la sua misericordia verso il prossimo.
 
Sui  primi tre diti della mano destra sorregge una fiamma, simbolo dell'amore ardente di Dio, che ha corrispondenza sopra la corona che  le cinge il capo, dalla quale scaturisce la stessa fiamma.
 
[Precedo la vostra perplessità: il sostantivo dito (dal latino dĭgĭtus) ha due plurali:
il dizionario dice che se mi riferisco alle dita divaricate della mano o a un singolo dito debbo usare il plurale maschile "diti"; se invece alludo al loro insieme debbo usare il plurale femminile: "le dita"].
 
La donna è assisa su un seggio. E'  un trono o uno scanno ? L'aspetto  mi evoca l'ambiente ecclesiastico e non una règia, perciò va bene "scamnum", di forma imponente, "solenne", riservato a persone con speciali funzioni, come in questo caso.
 
La figura femminile siede sullo scanno, poggiato su un ornato basamento ligneo; è  in un ambiente indistinto che riceve luce dalla parte destra e illumina il suo sontuoso abito  in velluto rosso con bordura all'estremità e maniche di color marrone; una cintura avvolge la veste  sotto i seni. Notare i sandali tipo "infradito" poggiati sulla pedana. 
 
Sopra l'abito rosso, richiamo alla passione spirituale, ha un mantello di broccato (color castoro ?) fermato in alto da una preziosa spilla.
 
La donna e il bambino hanno i capelli di colore ramato. Il piccolo  infante è nudo, sorretto dal braccio sinistro della donna; egli ha staccato le sue labbra dal seno per guardare un ipotetico osservatore. 
 
p.s. Il Tribunale di Mercanzia, committente del ciclo di dipinti, era l'organo che si occupava delle controversie commerciali dei mercanti fiorentini e amministrava la giustizia fra i componenti delle Arti. Il patrimonio di questa magistratura nel XVIII secolo confluì nella Camera di Commercio, da cui i sette dipinti con le Virtù pervennero alla Galleria degli Uffizi nel 1777.

doxa

Ultimo post in questo topic per non annoiare e annoiarmi dilungando il tema,  sufficientemente illustrato con varie immagini.

Ho presentato alcuni esempi di personificazione della "Carità" nell'arte, ma questa donna caritatevole è presente anche nei logo  di confraternite e di enti assistenziali oppure ospedalieri.

Due esemplari di origine medievale: il logo dell'Ospedale Maggiore di Novara e quello di Varese.



Novara: logo dell'Ospedale Maggiore della Carità. Sulla destra la figura femminile allatta un bambino. Insieme a loro ci sono altri due pargoli.



ingresso nell'ospedale di Novara.




Nel logo dell'ospedale di Varese c'è una donna che tiene in braccio un bambino e stringe l'altro a sé. Le figure sono accompagnate dalla parola Caritas, rendendo ulteriormente esplicito il riferimento alla carità cristiana.




The end

green demetr

Che topic meraviglioso e colorato.

Purtroppo associo la carità a quella dei poveri, che puntualmente si presentano alle mense dei poveri proprio sotto casa mia...
Un idillio molto poco colorato.

La carità è entrata però di forza nel mio pensiero sempre grazie a Platone.
Nella vecchia divisione dei lavori platonici, che nel frattempo ho scoperto essere tutt'altro che da dare per scontata, ma lasciamo perdere, la lettura dell'Eutifrone di Platone veniva messa come prima pietra per scalare l'edificio vertiginoso platonico.

Non so se sia la prima pietra perchè è un testo ostico, tutt'altro che giovanile.
A meno che con giovanile lo intendiamo all'altezza del Leopardi ventunenne.

E infatti per le cosidette sincronie su cui il fisico Pauli e Jung hanno lavorato, entrambi questi immensi autori parlano prorpio della carità.

La carità è ciò che scardina il mondo materiale e ci immette direttamente nel lavoro sia filosofico che spirituale.

Perchè in Dante arriva così tardi? Molte letture ci attendono per avere questa risposta.

Comunque si, spero che continui a "tediarci" con questo topic, che comunque faccio anche mio. Mi metterò anch'io a cercare qualche colore. Che bello! Che bella idea!

Complimenti Doxa! :)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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