"Li ho uccisi perchè erano felici!"

Aperto da anthonyi, 30 Settembre 2020, 07:45:14 AM

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anthonyi


L'oggetto del topic riporta la frase detta dal giovane che ha assassinato una coppia sua ex convivente a Lecce. E' una frase detta per spiegare la ragione di questo crimine agli inquirenti, una frase che è difficile dire se sia razionale o meno.
L'uomo può uccidere per un motivo razionale, se per lui c'è un motivo vitale, questo fa parte del nostro essere biologico umano.
Uccidere invece una persona perché è felice, cioè per una cosa che riguarda solo la sua realtà interiore, e che eventualmente, data la natura empatica positiva dell'essere umano, generalmente trasmette felicità anche a quelli che sono attorno, è contrario a qualsiasi razionalità umana biologicamente spiegabile.
Vi è però una razionalità che può spiegare questo, ed è la razionalità diabolica, il maligno odia la felicità umana e quindi laddove la vede cerca di eliminarla, anche uccidendo coloro che ne sono portatori (Naturalmente utilizzando a tale scopo sempre un essere umano che si lasci condizionare).
Per questa ragione io vedo il duplice omicidio di Lecce come un segno importante dell'azione diabolica, ed essendo il maligno puro spirito, l'ho voluto riportare tra le tematiche spirituali.

Aumkaara

#1
Cerco di non ridurre ogni spiegazione solo a ciò che conosco tramite i sensi o tramite le più o meno momentaneamente sperimentate teorie scientifiche (più o meno generalmente accreditate), infatti per me potrebbero anche esistere cause sottili sconosciute che, nella nostra interpretazione, potrebbero comprensibilmente essere definite maligne; ma, se anche ce ne fosse una più potente di tutte o che in qualche modo le riassume o coordina tutte, non mi sentirei di definirla "il" maligno, assolutizzandola troppo e dandole troppo una personalità; ammetto che è possibile che la nostra suddivisione del mondo in vivo e non vivo, oppure in personale e impersonale, siano classificazioni riduttive, ma parlare de "il maligno" ridurrebbe il discorso ad una caratterizzazione troppo da "uomo nero" dei bambini, o comunque troppo fantasy e fumettistica (anche se adoro fantasy e fumetti).

Detto questo, visto anche che tu stesso parli di voler razionalizzare l'evento nonostante ti sembri troppo estremo per poterlo fare efficacemente, provo a proporre una spiegazione per me evidente, evidente forse perché, pur essendo io lontano da strutturate conoscenze psicologiche, conosco abbastanza me stesso. E, come disse non ricordo più chi (credo qualcuno di cui ho letto solo qualche aforisma): niente di umano mi è sconosciuto. Per il semplice fatto che dentro ognuno di noi è possibile trovare ciò che si trova dentro di tutti (e di tutto, animali compresi, con cui condividiamo metà patrimonio psichico, anche se è una perfetta metà solo da un punto di vista quantitativo, mentre qualitativamente l'altra metà è molto maggiore, al di là di quanto la usiamo). Non ci sono alieni inconoscibili, quando si tratta di interiorità (neanche quando si tratta di esteriorità, a dire il vero, scienza docet, senza essere comunque fanatico di quest'ultima).
E, guardandomi appunto dentro, magari rannicchiato in un angolo, attualmente zitto zitto cercando di non farsi vedere, anche se in passato magari ha cercato di alzare la testa per un attimo, subito frenato dai suoi compagni più nobili (pare che alla fine abbia personalizzato fantasiosamente anche io le forze che ci animano...), posso trovare una spinta che non vuole la felicità altrui. Nonostante tutta la mia empatia, che di continuo gli altri mi elogiano anche se cerco di non mostrarla troppo (sia per non dare l'impressione di essere invadente, sia per non farla diventare una qualità che esalta l'ego, e sia per difesa: l'empatico può essere visto come debole), si trova in me anche il fastidio che altri possano essere felici. Credo che non ci sia niente di soprannaturale, non più di quanto lo sia ogni altra nostra caratteristica interiore (ammesso ma per niente concesso che la parola soprannaturale abbia un qualche significato legittimo in un mondo in cui tutto è regolato o comunque in rapporto con il resto dell'esistenza, anche se sono il primo a pensare che questo non legittima il pensiero che la nostra interiorità sia il "prodotto" della materia; ma questo è un altro discorso).
Questa tendenza negativa a non volere il bene altrui, la vedo come il naturale contraltare dell'empatia. A noi è utile proprio per affinare quest'ultima, attraverso il confronto. Un giorno (già attuale, almeno di tanto in tanto, per pochi fortunati) potremmo fare a meno di questa presenza di forze polari, e non agiremo più spinti dalla lotta di forze opposte, ma più semplicemente dall'assenza di ogni opposizione, anche da quella tra esterno ed interno, io e gli altri, mio e non mio.
Per gli animali, con cui condividiamo queste forze opposte, è altrettanto utile avere questa spinta che distrugge il benessere altrui, anche se per loro è una utilità diversa: loro devono usarla quando le circostanze lo richiedono (a volte anche noi la usiamo quasi inevitabilmente, nella misura in cui costruiamo una società basata sulla legge della giungla, illegittima in ambito umano), anzi, sono "obbligati" ad usarla, gli viene spontaneo, e quando non lo fanno spesso significa semplicemente che in quel momento non è un'azione utile, anche se questo non significa che un animale non possa talvolta superare la propria istintualità, anche solo brevemente.
Per un leone sarebbe di solito un male non assecondare la spinta a distruggere la felicità altrui: i cuccioli del suo nemico deve massacrarli perché ha perso, quindi potenzialmente sono altrettanto deboli e quindi indebolitori della specie.

In definitiva:
1) un essere umano è bene quando "pensa" universalmente (cioè non agisce spinto da forze inevitabilmente opposte);
2) è comprensibile quando pensa individualmente (cioè si lascia trasportare da una delle due forze), anche se nel fare così può includere nei suoi pensieri il rapporto che ha con una collettività, anche quella della propria specie;
3) e non gli è praticamente possibile "pensare" come specie (cioè di volta in volta spinto da una o dall'altra delle forze opposte, a seconda del contesto invece che a seconda dei suoi conflitti interiori), se non saltuariamente e comunque non in modo utile per la specie.
L'evento del fatto di cronaca che hai citato sembra appartenere al punto 2, ovviamente al caso peggiore delle due possibilità di questo punto, ovvero la scelta tra positivo e negativo. Al massimo è un caso di punto 3, che però negli umani è più facile trovare nei comportamenti di gruppo.
In ogni caso, non è niente di inspiegabile o di soprannaturalmente alieno rispetto a ciò che c'è in noi. È spiegabile, anche se non giustificabile viste le altre azioni che possiamo compiere, una positiva, e una libera dagli opposti.

InVerno

Preso per vero ciò che ha dichiarato il soggetto, a me sembra il delitto più moderno che ci sia. Lasciando perdere il caso particolare di cui non conosco né voglio conoscere i dettagli, ma parlando in termini generici, il controaltare di chi uccide per terminare la felicità altrui sono quelli che della felicità hanno fatto un arma sociale. Parlo di una maggioranza, sopratutto trai coetanei dei protagonisti, che usano la propria supposta felicità per far sentire miserabili gli altri, che la espongono, la iperbolizzano e la monumentalizzano sui vari social network. E' un circolo vizioso tra "host" e "guest", dove a nessuno dei due interessa il fatto che stai alle Bahamas con la tua fidanzata (ciò che la foto comunica) ma all'host interessa far sentire gli altri miserabili, e il guest gode nel sentirsi miserabile, il primo ottiene e accumula un senso di superiorità sociale, il secondo ottiene e accumula risentimento sociale. Normalmente questo risentimento le persone lo sfogano verso sé stessi sottoforma di depressione, o verso gli altri sottoforma di insulti, altri lo potrebbero sfogare sottoforma di violenza fisica, nel caso diventasse insopportabile.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Phil

Notoriamente uno dei vizi/peccati capitali è l'invidia, un'emozione talvolta estinguibile solo con un'altra emozione, la Schadenfreude, la gioia per il fallimento altrui, fallimento che rimuove la causa dell'invidia (felicità, successo, ricchezza, etc. altrui), chiudendo il cerchio. Alla base di questa dinamica c'è chiaramente un rapporto problematico fra se stessi e il prossimo, un sottomettere la propria autocomprensione al mettersi in competizione con i propri simili, un autodeterminarsi socialmente eteronomo ed eterodiretto. Non è di certo un percorso obbligato, anche se attualmente è sempre più battuto e sollecitato dagli aspetti a larga scala rilevati da InVerno.
Si tratta cpmunque di un atteggiamento vecchio come l'uomo (quindi connaturato all'uomo), raccontato sia dalla strega di Biancaneve e dalle fiabe di Esopo che, appunto, dalla cronaca (questo, vado a memoria, non è il primo caso).
Wikipedia fornisce due laconiche citazioni sull'invidia:
«L'ammirazione è una felice perdita di sé, l'invidia un'infelice affermazione di sé» (Kierkegaard)
e
«Dove realmente l'uguaglianza è penetrata ed è durevolmente fondata, nasce quell'inclinazione, considerata in complesso immorale, che nello stato di natura sarebbe difficilmente comprensibile: l'invidia. L'invidioso, quando avverte ogni innalzamento sociale di un altro al di sopra della misura comune, lo vuole riabbassare fino ad essa. Esso pretende che quell'uguaglianza che l'uomo riconosce, venga poi anche riconosciuta dalla natura e dal caso. E per ciò si adira che agli uguali le cose non vadano in modo uguale» (Nietzsche)
richiamando un altro peccato capitale, l'ira, abbiamo dunque l'esito di un'invidia incontrollata.


@anthonyi
Tra la razionalità (e l'empatia) umana e la razionalità (e la malignità) diabolica, riscontrerei anche un tertium: l'irrazionalità e l'aggressività umana, addomesticate dal (quieto) vivere sociale, sebbene, morale della favola, non sia sempre un addomesticare con il lieto fine.
Essendo nella sezione di spiritualità, forse è sconveniente far notare che ipostatizzare il male come un'entità fuori di noi può attivare un meccanismo di potenziale (auto)assoluzione, proiettando ed imputando al sovraumano la causa di comportamenti psicologicamente spiegabili

anthonyi

Citazione di: Aumkaara il 30 Settembre 2020, 09:07:25 AM

E, guardandomi appunto dentro, magari rannicchiato in un angolo, attualmente zitto zitto cercando di non farsi vedere, anche se in passato magari ha cercato di alzare la testa per un attimo, subito frenato dai suoi compagni più nobili (pare che alla fine abbia personalizzato fantasiosamente anche io le forze che ci animano...), posso trovare una spinta che non vuole la felicità altrui. Nonostante tutta la mia empatia, che di continuo gli altri mi elogiano anche se cerco di non mostrarla troppo (sia per non dare l'impressione di essere invadente, sia per non farla diventare una qualità che esalta l'ego, e sia per difesa: l'empatico può essere visto come debole), si trova in me anche il fastidio che altri possano essere felici. Credo che non ci sia niente di soprannaturale,

Ciao Aum, tu provi invidia, anch'io, l'invidia è un sentimento che gli esseri umani sentono. Tu dici che secondo te l'invidia (Attenzione, invidia per la felicità altrui, cioè per quello che gli altri sentono interiormente, non per quello che posseggono) non ha origini soprannaturali, quindi ha origini naturali, è un sentimento che ci ha dato la natura per qualche ragione biologica, e io sarei curioso di conoscerla, quella ragione. Nel frattempo mi accontento della mia spiegazione razionale che in qualche modo dovrò chiamare, io l'ho chiamata maligno, più impersonalmente lo si potrebbe definire "male".
non ha origini soprannaturali, ma allora è un fenomeno naturale

anthonyi

Citazione di: Phil il 30 Settembre 2020, 12:48:46 PM


@anthonyi
Tra la razionalità (e l'empatia) umana e la razionalità (e la malignità) diabolica, riscontrerei anche un tertium: l'irrazionalità e l'aggressività umana, addomesticate dal (quieto) vivere sociale, sebbene, morale della favola, non sia sempre un addomesticare con il lieto fine.
Essendo nella sezione di spiritualità, forse è sconveniente far notare che ipostatizzare il male come un'entità fuori di noi può attivare un meccanismo di potenziale (auto)assoluzione, proiettando ed imputando al sovraumano la causa di comportamenti psicologicamente spiegabili

Ciao Phil, l'irrazionalità è un comodo espediente per risolvere certe questioni teoriche. Si afferma che l'omicida di Lecce era un pazzo ed è tutto spiegato. Però quello stesso omicida ha compiuto tanti atti razionali: Ha studiato il percorso da fare, si è procurato gli strumenti per la tortura (Poi non concretizzata per la reazione delle vittime) , per l'uccisione, ed anche per fare scomparire le prove.
Sull'uso del concetto di empatia devo correggerti, perché tu presupponi l'empatia a priori come positiva. In realtà l'empatia definisce solo la presa di coscienza dell'altrui stato interiore e può determinare empatia positiva, cioè desiderio che l'altro sia felice, o empatia negativa (Quella che tu definisci malignità) cioè desiderio che l'altro non sia felice.

Ipazia

L'unico maligno di cui, usando un topos in voga, abbiamo contezza, è l'homo sapiens. Il maligno siamo noi che, oltre ai motivi di uccidere e distruggere propri della "fallacia naturalistica", abbiamo inventato infinite altre motivazioni assassine attraversanti l'intero spettro dei vizi capitali.

Questo delitto è certamente affetto da modernismo nella declinazione social che tutto riduce all'infima coppia dialettica godere & rodere, ma il modernismo, legato all'apparire e alla fama, è vecchio come il cucco e ne abbiamo in Erostrato un antesignano divenuto, secondo i suoi inconsulti desiderata, celebre, e in un certo senso immortale come gli dei e i personaggi famosi che invidiava.

Nell'invidia della fama e/o della felicità ricade pure l'assassino di John Lennon cui, giustamente, la vedova non concede il perdono. Anche la fama criminale ha un prezzo che è giusto pagare. A tal proposito attendo la levata di scudi dei "nessuno tocchi Caino" che rendono la giustizia italiana indegna di tale nome. Tra le tante piaghe USA, almeno questa se la risparmiano.

Vi è qualcosa di simile pure nell'accanimento con cui la barbarie, spesso ad alto tasso religioso, si accanisce contro i simboli, e i loro portatori in carne ed ossa, di culture diverse dalla propria.

L'invidia, che Nietzsche riconduce al ressentiment, non è nè naturale nè sovrannaturale. E sociale e, per quel che ne sappiamo, specifica dell'universo antropologico.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: anthonyi il 30 Settembre 2020, 13:51:07 PM
Ciao Phil, l'irrazionalità è un comodo espediente per risolvere certe questioni teoriche. Si afferma che l'omicida di Lecce era un pazzo ed è tutto spiegato. Però quello stesso omicida ha compiuto tanti atti razionali: Ha studiato il percorso da fare, si è procurato gli strumenti per la tortura (Poi non concretizzata per la reazione delle vittime) , per l'uccisione, ed anche per fare scomparire le prove.
Sull'uso del concetto di empatia devo correggerti, perché tu presupponi l'empatia a priori come positiva. In realtà l'empatia definisce solo la presa di coscienza dell'altrui stato interiore e può determinare empatia positiva, cioè desiderio che l'altro sia felice, o empatia negativa (Quella che tu definisci malignità) cioè desiderio che l'altro non sia felice.
Sull'irrazionalità non mi riferivo al caso specifico (che non conosco in dettaglio), ma più in generale al pensare erroneamente che ogni azione umana sia razionale; qui bisognerebbe aprire il discorso su cosa sia la malattia mentale, a quale ratio faccia capo e in quali sfumature si declini. Parlando di azione ragionata e/o razionale, non bisogna forse distinguere la pianificazione dal suo scopo? I manicomi erano pieni di persone che progettavano ragionevolmente per raggiungere fini totalmente irrazionali (suggeriti da deliri o disturbi cognitivi).
Chiaramente se un omicidio è intenzionale, va indagata tale intenzionalità soggettiva e, passando al caso specifico, l'affermazione dell'imputato, se presa sul serio, più che pazzia sembra ricondurre ad una questione di invidia e istinto omicida (che non significa solo uccidere in un raptus di follia, ma avere un'inclinazione, più o meno latente, alla soppressione della vita altrui).
Sull'empatia non sono sicuro della tua fonte: non credo essa possa essere intesa come desiderio che l'altro sia felice o meno; l'empatia, correggimi pure, non è un desiderare, ma un provare ciò che l'altro prova, è quasi un immedesimarsi, non un desiderare qualcosa per lui. Su empatia negativa e positiva mi permetto di rimandarti, tanto per cambiare, a Wikipedia.

viator

Salve anthonyi. Citandoti : "il maligno odia la felicità umana e quindi laddove la vede cerca di eliminarla,............................................".


Spettacolare concetto ! Ad esempio, visto che l'orgasmo è circostanza decisamente felice (mi risulta che accostandosi ad esso ci si dimentichi ogni pena) il Maligno (ma si tratta di una persona o di uno spirito ?) dovrebbe essere nemico della sessualità.

Scusatemi, ma talvolta mi viene rimproverato di risultare lesivo delle sensibilità di certe categorie di utenti i quali nutrono credenze che non condivido. Qualcuno mi spieghi in che modo si può tutelare la normale sensibilità mentale di una persona normalmente razionale che non creda alla contemporanea esistenza di un Benigno e di un Maligno.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Aumkaara

#9
Antonyi: la ragione per cui ci è "stata data" questa sorta di invidia, è la stessa ragione per cui abbiamo anche le altre pulsioni: per esercitare e quindi comprendere l'ordine. Ed in parte è un bene che ci siano degli esseri (noi) che abbiano individualmente questa mescolanza tra animalità e "divinità": se fossimo stati totalmente "disincarnati" e distaccati, non ci sarebbero state strutture individuali (che è quello che più tendiamo ad esprimere, al di là di momenti personali e sociali che spingono a renderci "massa") su cui esercitare l'ordine dato dalla ragione e dai sentimenti più elevati, ordine che ci spinge a superare persino lo stato individuale e ad aprirci a quello universale (da non confondere con lo stato generale, collettivo, di massa o di specie che dir si voglia, che è proprio del regno animale). Ovviamente questo passaggio dall'animalità all'individualità ed infine all'universalità crea conflitti e cadute, come ogni percorso.
Comunque anche nella condizione animale si esercita l'ordine razionale e una sorta di "sentimento superiore" che tende ad armonizzare gli eventi, solo che lo fa da un punto di vista collettivo invece che individuale (e quindi il percorso è più statico e di conseguenza con meno devianze); tale ordine lo vediamo meno e ci fa orrore, nel mondo animale (e nei prodotti delle società umane che hanno adottato, in modo più o meno raffinato, la legge della giungla), perché cerchiamo di scorgerlo nella vita interiore del singolo animale, dove non c'è quasi mai: si trova invece nella generalità dei rapporti tra specie e ambiente (e neanche lì, nelle società umane non rette dalla ragione e dai sentimenti superiori).

InVerno

Citazione di: Phil il 30 Settembre 2020, 14:56:53 PM
Su empatia negativa e positiva mi permetto di rimandarti, tanto per cambiare, a Wikipedia.
Lungi da me correggere wikipedia (sia mai) ma l'empatia negativa non è l'assenza di empatia, vedo che è ripetuto in diverse fonti italiane che ritrovo su google (copio incollato da wikipedia), ma.... Per descrivere ciò che wikipedia profila si userà il comodo prefisso che genera "anempatico", l'empatia negativa invece è il conflitto tra l'empatia e la morale, è un empatia del rimorso. Un esempio sarebbe chi sentisse di empatizzare con l'assassino in questione nonostante le sue azioni, esempi letterari sono Lolita di Nabokov e Le benevole di Littel (tanto per dare un idea).
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

anthonyi

Citazione di: viator il 30 Settembre 2020, 16:47:00 PM
Salve anthonyi. Citandoti : "il maligno odia la felicità umana e quindi laddove la vede cerca di eliminarla,............................................".


Spettacolare concetto ! Ad esempio, visto che l'orgasmo è circostanza decisamente felice (mi risulta che accostandosi ad esso ci si dimentichi ogni pena) il Maligno (ma si tratta di una persona o di uno spirito ?) dovrebbe essere nemico della sessualità.

Scusatemi, ma talvolta mi viene rimproverato di risultare lesivo delle sensibilità di certe categorie di utenti i quali nutrono credenze che non condivido. Qualcuno mi spieghi in che modo si può tutelare la normale sensibilità mentale di una persona normalmente razionale che non creda alla contemporanea esistenza di un Benigno e di un Maligno.

Grazie per l'assist, viator, che mi permette di sottolineare la differenza tra piacere e felicità. Se il rapporto sessuale desse la felicità sempre e comunque, allora avresti ragione. Ma in tal caso allora basterebbe la prostituzione (Cioè il mercato libero) a risolvere il problema della felicità, meglio ancora le bambole di gomma, ancora meno costose e problematiche.
Purtroppo le cose non stanno così, la felicità, Eleonora e Daniele(I due giovani uccisi), l'avevano tra di loro, per effetto dell'amore che li legava, sia quando il sesso lo facevano, sia quando non lo facevano.
E' importante fare differenza tra la felicità, e quella promessa di felicità definita seduzione che il maligno propone.
In realtà, comunque, hai ragione, il maligno è nemico della sessualità, che cerca in ogni modo di distorcere rispetto alle sue funzioni fondamentali: cioè il favorire relazioni d'amore e la nascita di nuova vita.
Riguardo alla tua sensibilità mentale facci sapere quali sono i valori ai quali tieni, e che non vuoi vedere offesi, e faremo il possibile per non farli offendere.
Certo non potrai dire che se qualcuno sostiene l'esistenza del maligno questo ti offenda, perché tu non ci credi. Allo stesso modo, infatti, chi crede nella sua esistenza dovrebbe sentirsi offeso perché tu dichiari di non crederci ?
L'offesa morale è un'altra cosa, e se mi permetti una forma di offesa nelle tue parole io la colgo quando tu parli di una "persona normalmente razionale che non creda", quasi a sottintendere che colui che invece crede non sia normalmente razionale. Comunque io, in ogni caso, non mi offendo !

anthonyi

Citazione di: Phil il 30 Settembre 2020, 14:56:53 PM

Sull'empatia non sono sicuro della tua fonte: non credo essa possa essere intesa come desiderio che l'altro sia felice o meno; l'empatia, correggimi pure, non è un desiderare, ma un provare ciò che l'altro prova, è quasi un immedesimarsi, non un desiderare qualcosa per lui. Su empatia negativa e positiva mi permetto di rimandarti, tanto per cambiare, a Wikipedia.

Ciao Phil, con empatia si intende la coscienza di quello che prova l'altro, il provare come tu dici implica che quello che l'altro vive lo viva emotivamente anch'io, per cui in tal caso la sua felicità sarà la mia, e siccome io desidero essere felice, allora desidero la sua felicità.
Lo so che nel linguaggio corrente empatia si traduce quasi sempre nel senso positivo, e anche nel pensiero teorico c'è una certa confusione, soprattutto tra i termini di empatia e simpatia, che hanno interpretazioni che si differenziano tra psicologia cognitiva, psicologia comportamentale e scienze sociali.
Il punto è che se noi definiamo l'empatia già nel senso positivo non abbiamo più un concetto per definirne la componente neutra, cioè quella appunto della semplice presa di coscienza razionale dell'altrui felicità/infelicità senza partecipazione emotiva

Phil

Citazione di: anthonyi il 30 Settembre 2020, 18:05:07 PM
con empatia si intende la coscienza di quello che prova l'altro, il provare come tu dici implica che quello che l'altro vive lo viva emotivamente anch'io, per cui in tal caso la sua felicità sarà la mia, e siccome io desidero essere felice, allora desidero la sua felicità.
[...]
Il punto è che se noi definiamo l'empatia già nel senso positivo non abbiamo più un concetto per definirne la componente neutra, cioè quella appunto della semplice presa di coscienza razionale dell'altrui felicità/infelicità senza partecipazione emotiva
Personalmente non presuppongo che l'empatia sia "positiva", tuttavia mi preme tenerla distinta dal desiderio, proprio perché non è la proiezione di ciò che vorrei in risposta alla situazione dell'altro (se fossi al posto suo), ma è soltanto l'introiezione delle emozioni altrui; quell'«io desidero essere felice, allora desidero la sua felicità»(cit.) non credo sia un meccanismo strettamente empatico, perché più che ricettivo-emotivo è propositivo-desiderante (può essere di certo conseguenza dell'empatia, me non è l'empatia in sé).
Concordo ovviamente con te quando osservi che l'empatia può essere d'ostacolo alla comprensione razionale del comportamento altrui (per questo l'ho distinta dalla razionalità).

P.s.
Ringrazio InVerno per esser stato meno pigro di me nel verificare l'esattezza di Wikipedia.

Jacopus

Effettivamente con questo tipo di discorsi  i termini mutano spesso di significato, anche se in modi quasi impercettibili. Quello che ho adottato personalmente è il seguente.
Empatia è la capacità di "mettersi nei panni degli altri", una capacità innata di cui siamo dotati tutti attraverso i neuroni specchio, ma che possiamo aumentare o silenziare sulla scorta della nostra esperienza organico/ambientale. Può essere utilizzata sia per sintonizzarsi sui bisogni di un neonato per appagarlo,  sia per prevedere le mosse del proprio rivale ed ucciderlo.
Compassione è invece la capacità di entrare in contatto con lo stato emotivo dell"altro e soffrire per la sua sofferenza o gioire per la sua felicità. La Compassione è quindi uno stato etico a differenza dell'empatia, che è un suo presupposto, ma non sufficiente per mettere in campo le azioni di avvio alla "cura" della compassione. È possibile però, secondo altri, considerare la compassione in modo neutro come l'empatia e quindi entrare in contatto anche con le passioni negative, come l'ira o l'invidia. In ogni caso la differenza, schematizzando,  si può ridurre in attivazione dell'emisfero sinistro (razionalità) per l'empatia e attivazione dell'emisfero destro (emotività) per la compassione.
La simpatia sarebbe letteralmente una esperienza di passioni uguali, sym-pathos, dove non c'è né una esperienza empatica, né una esperienza di condivisione profonda come nella compassione. La simpatia però ha mantenuto un significato più quotidiano, senza essere inserito fra quelle parole più tecniche che si usano nei discorsi psicologici. Si può dire che definisce una affinità fra due persone che emerge spontaneamente e immediatamente.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

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