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Zen zero

Aperto da iano, 05 Luglio 2021, 18:04:38 PM

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iano

Non è una nuova scuola buddista che si rifà' allo Zen, ma solo una tragica battuta che echeggia il pregiudizio nichilista sullo Zen  che aspirerebbe al nulla.


Dice il maestro Suzuki : lo Zen non insegna nulla: solo ci mette in condizione di svegliarci e di divenire coscienti. Non insegna, addita.


Si tratta invero di un nulla denso di possibilità , nessuna delle quali però ha a che fare con il linguaggio scritto e parlato, scevro quindi dai pregiudizi che con esso si possono costruire.
Possibilità cui può accedere l'io solo per esperienza diretta del singolo, non mediata.
In tal senso lo Zen è l'esaltazione dell'individualità, e quindi non è una religione .
Non c'è un testo sacro da interpretare, ma solo un io da sondare attraverso la propria esclusiva coscienza.


Dice Thomas Merton in "Lo Zen e gli uccelli rapaci" :
Il dilemma umano è che non possiamo comunicare ordinariamente senza parole e segni, mentre perfino l'esperienza ordinaria tende ad essere falsificata dall'abitudine della verbalizzazione.
Gli strumenti del linguaggio ci pongono in grado di stabilire anticipatamente che cosa pensiamo delle cose, e ci inducono troppo facilmente  a formarci di esse le idee più conformi ai nostri preconcetti logici e alle nostre formule verbali. Invece di vedere le cose e i fatti come sono, li vediamo come riflessioni e verificazioni di giudizi che abbiamo precedentemente  formulato nella nostra mente. Dimentichiamo come si vedono semplicemente le cose e sostituiamo ad esse le nostre parole e le nostre formule, manipolando i fatti in modo da vedere solo ciò che si adatta convenientemente ai nostri pregiudizi.
Lo Zen  usa il linguaggio contro il linguaggio per demolire questi preconcetti e distruggere la " realtà fittizia mella nostra mente affinché possiamo vedere direttamente. Lo Zen  dice, come ammoniva Wittgenstein  : "Non pensare, guarda!"


Tutto ciò è molto interessante .
Si esalta l'individuo e la sua percezione cosciente compresa quella sensoriale, anche se ovviamente l'invito a guardare non è rivolto specificamente ai sensi, che però non vengono esclusi.
È un invito a guardare a 360 gradi scevri da ogni pregiudizio, specie quelli che derivano dalla nostra descrizione di fatti antecedenti.
Molto interessante dicevo, ma rimane scoperto il come si costruisca nel tempo la nostra percezione.
Ma , dico io, e se la nostra percezione non fosse altro  che qualcosa che si è costruita nel tempo come un accumulo di pregiudizi condivisi?
Con tutta l'ammirazione che ho per lo Zen, il mio intento vorrebbe essere quello di un elogio del pregiudizio, perché, per quanto esso tenda a persistere, non è però mai eterno.
Esso è fatto di parole, ma non perciò indistruttibile, destinato ad essere sostituito da un nuovo pregiudizio, fatto sempre di parole.
Se eliminiamo le parole eliminiamo davvero il pregiudizio?
Certamente quello esprimibile in forma verbale.
Ma è l'unico possibile?
Non è che scavando al fondo della nostra coscienza , andando al di là' delle parole, come invita a fare lo Zen, non ci troveremo altro che pregiudizi sedimentati in diversa forma, fatti di non parole?
In qualche modo siamo un accumulo di esperienze, non importa in che modo codificate.
Un sistema vale l'altro.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Phil

Tralasciando il povero nichilismo, che nelle sue peripezie esegetiche si è ritrovato sbattuto (non mi riferisco a te) sino all'estremo oriente, sempre come capro espiatorio degli ontologismi all'occidentale (sebbene spesso il nulla di cui parlano ad Oriente, vedi "scuola di Kyoto", non sia affatto il nulla di cui parla la tradizione occidentale), credo ci sia molta affinità fra lo zen e lo zero. Quello che lo zen in generale propone mi pare sia infatti un certo "grado zero" dello sguardo sul mondo, che non è assenza di giudizio o sensazioni, ma retrocessione del/dal pregiudizio verso una visione meno discriminante, meno sovraccarica di preconcetti e di senso. Facile quindi intuire come si tratti di una prospettiva controintuitiva, difficile da focalizzare, contraria a quanto ci viene insegnato sin dalla nascita e decisamente poco confacente alla vita standard in una tipica società contemporanea.
La semplicità, l'equilibrio, la serena elaborazione del cambiamento, la presenza mentale come carenza di sovraelaborazioni linguistiche, l'efficacia come azione consapevole e concentrata, etc. sono tutti elementi rintracciabili all'interno delle arti fiorite ispirandosi allo zen, e sono anche pratiche di un'attitudine zen che ha la sua difficoltà nella povertà di complicazioni, di attribuzione di valore, di intellettualismi, etc. una povertà che, per quanto possa sembrare paradossale (se si pensa che sia facile essere poveri di complicazioni), è molto ardua da installare in una mentalità complessa, giudicante, iperattiva e iperstimolata, come quella dell'uomo contemporaneo (occidentale e non). Giocando con gli stereotipi (per quel che valgono): può essere facile essere zen mentre si ara pazientemente un campo guidando un trattore, concentrati su ciò che si sta facendo (sul qui ed ora), ma è più difficile esserlo mentre si compila una intricata pratica burocratica, con il vicino di scrivania che parla al telefono e un'agenda colma di appuntamenti che richiamano la nostra attenzione, le nostre emozioni e il nostro tempo («più difficile» non significa tuttavia impossibile).
Citazione di: iano il 05 Luglio 2021, 18:04:38 PM
e se la nostra percezione non fosse altro  che qualcosa che si è costruita nel tempo come un accumulo di pregiudizi condivisi?
Con tutta l'ammirazione che ho per lo Zen, il mio intento vorrebbe essere quello di un elogio del pregiudizio, perché, per quanto esso tenda a persistere, non è però mai eterno.
Esso è fatto di parole, ma non perciò indistruttibile, destinato ad essere sostituito da un nuovo pregiudizio, fatto sempre di parole.
Se eliminiamo le parole eliminiamo davvero il pregiudizio?
Certamente quello esprimibile in forma verbale.
Ma è l'unico possibile?
Non è che scavando al fondo della nostra coscienza , andando al di là' delle parole, come invita a fare lo Zen, non ci troveremo altro che pregiudizi sedimentati in diversa forma, fatti di non parole?
Svalutare e sospendere i (pre)giudizi (epochè, per dirla alla greca) che abbiamo assimilato, può aiutare ad ottenere quel "grado zero" di sguardo sul mondo (sebbene, secondo me, non convenga rimuoverli del tutto per non ritrovarsi troppo "alienati" dal contesto che solitamente ci circonda); quanto è difficile guardare un oggetto (o una persona) e vederlo per ciò che è, senza che si inneschino subito (pre)giudizi sulle sue qualità, sulle sue fattezze, sul desiderarlo (o meno), su come lo si potrebbe usare, etc. o magari anche ricordi, idee o ispirazioni. Guardare qualcosa/qualcuno e vederlo per come, o meglio, cosa è al di sotto di tutte le strutture e sovrastrutture sociali, di senso, di pulsioni, etc. può essere un'impresa non facile, ma è quello che accomuna lo zen allo zero (inteso come assenza di "valore"/valutazione), sotto forma di traccia della consapevolezza di quanto siamo noi a "costruire" molti aspetti della realtà, proiettandovi ciò che abbiamo vissuto ed elaborato secondo schemi e modelli appresi dalla società che ci circonda (dai genitori ai mass media, passando per osservazioni estemporanee recepite o elaborate nei vari vissuti). Persino il proprio "io" potrebbe, secondo lo zen, essere guardato con lo stesso "grado zero". per scorgerne l'insussistenza, quello che i buddisti chiamano il "non-sè" (anatman), che oggi potremmo, all'occidentale, chiamare "flusso di coscienza" inteso come impermanenza dei contenuti della propria attività mentale (anche per evitare che il «non» di «non-sé» ritiri in ballo il solito spauracchio del tanto bistrattato nichilismo).

P.s.
Chiaramente, tutto questo mio dissertare sullo zen è buon esempio di cosa non è zen, di cosa non è il "grado zero" di osservazione del mondo, essendo tale "grado zero" un'esperienza diretta, che, in quanto tale, mal si presta a chiacchiere (detto altrimenti: il parlare dell'aratura non ara il campo).

iano

Disquisendo dell'aratura che non ara il campo, finché l'inesplicabile Zen lo si non-esplica con queste deliziose frasi, diventa impossibile non amarlo, seppur fraintendendolo , come diversamente non si potrebbe non fraintendere ciò che non si possa spiegare a parole.
Tuttavia associare il pregiudizio alle parole in modo vincolante non sembra una necessità ineludibile.
Come si fa' a dimostrare che al di là' delle parole non regni ancora il pregiudizio.
Lo Zen invita a guardare i fatti in se', ma questo in effetti è quel che dice di fare anche la scienza, la quale, volendo essere predittiva non può non essere pregiudiziale.
Per la scienza la considerazione di un fatto crea il pregiudizio di fatti nuovi da verificare.
Lo Zen cerca la verificazione nel semplice fatto come questione chiusa e conclusa cui non va' aggiunto altro.
Vedo lo,Zen più come una pratica utile ad accelerare il ricambio di pregiudizi, operazione da sempre complicata e penosa nella storia della scienza , anche quando tale necessita' appare ineludibile con le evidenze accumulate nel tempo.
Lo Zen allora mi appare come un espediente o meglio una buona pratica per azzerare tutto ( o quasi come ben dici) per poter poi ripartire. Lo Zen pero è bravo solo ad azzerare.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Phil

La scienza guarda ai fatti per comprenderli, parametrarli, tradurli in formule, "usarli", etc. sicuramente è uno sguardo differente da quello zen per finalità. Si può studiare e praticare chimica o fisica con un'attitudine zen? Probabilmente sì, ma ovviamente non è lo zen a spiegarci le leggi fisiche o quelle chimiche, si tratta di un ambito dell'umano differente. Lo zen nel suo azzerare (azzennare?) non inibisce l'azione: il contadino ara, il poeta compone haiku, l'arciere scocca la freccia, etc. tuttavia, secondo me, lo zen è una questione di inclinazione prospettica verso il mondo, più che una questione di contenuti, di problem solving, etc. a suo modo, lo sguardo zen è forse come riuscire a vedere lo schermo del pc in quanto schermo, "sfocando" le immagini che esso contiene e che ci attraggono/distraggono, ci fanno scrivere sul forum, comprare oggetti online, magari compiere azioni rilevanti come prenotare una visita medica, etc. (certo, vedere lo schermo per ciò che è, è più facile quando lo schermo è spento, ma il nostro schermo mentale, in condizioni di veglia, quando è davvero spento? E quando lo è, non rivolgiamo forse la nostra attenzione a ciò che stiamo facendo "all'esterno" di tale schermo?).

iano

#4
@Phill
Concordo su tutto.
Credo che la condivisione sia il punto centrale.
Secondo lo Zen ogni individuo può riprodurre la stessa esperienza senza mediazioni, e in modo indipendente, una volta azzerati i pregiudizi .
La medesima esperienza  è riproducibile in modo indipendentemente  individuale perché vi è un unita' di fondo.
Ciò che condividiamo in modo profondo, senza volere, e senza poter dire.
Esso ci invita a considerare il nocciolo duro a noi comune, quello da cui è sempre possibile ripartire.
La scienza ci invita invece a riprodurre esperienze non comuni,mediate perché comprensive di istruzioni d'uso, invitandoci a farle nostre, perché diventino patrimonio comune, nella misura in cui le stesse esperienze diano lo stesso risultato, che può essere perciò condiviso.
Lo Zen è ricerca geologica di antichi strati sedimentati e la scienza è un accumulo di strati in corso.
Per uno come me, che odia leggere le istruzioni, e allo stesso tempo vorrebbe riuscire a far funzionare le cose, lo Zen ha il suo fascino.
Esso sembra dirci che la soluzione dei problemi è semplice perché è gia' dentro di noi, uguale per tutti, se la sai cercare.
O forse ci dice che non occorre alcuna soluzione, perché non esiste alcun problema , se non quelli che noi stessi pregiudizialmente  ci creiamo.
Effettivamente, almeno a livello individuale, molti dei nostri problemi sono dei non problemi, la cui natura una sana pratica Zen può svelarci.
È una pratica pacifica, di quelle che non fanno alcun danno, ma che possono fare tanto bene, nella misura in cui i pregiudizi possono far male.
La scienza in effetti sembra avere il vizio di crearci dei problemi che alterano il nostro pacifico tran tran e non è strano perciò che si crei molti nemici.
Si figura problemi che non esistono.
Sembra quindi in apparenza che crei problemi più che risolvere i problemi quando si presentano.
O, per quelli che la amano, sembra risolvere problemi, prima che questi si presentino.
In effetti è da considerare che nel competitivo mondo naturale quando un problema si presenta è gia' troppo tardi se non possiedi già la soluzione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

La scienza dipende da chi la paga (da sempre: gli specchi ustori di Archimede, le invenzioni belliche di Leonardo,...) e chi la paga non crea complicazioni per il gusto di farlo, ma per trarne vantaggi (economici, politici, militari).

Oggi tale regola si è incancrenita nella necessità dell'accumulazione capitalistica di creare nuovi bisogni da soddisfare in moneta sonante per tenere sempre attivo il ciclo dell'accumulazione e il potere che esso garantisce.

Siamo quindi lontanissimi dalla filosofia zen che è,  come altre filosofie occidentali, una ricerca di senso della vita, anche quando lo fa epistemicamente riducendo il senso ai minimi termini prossimi all'azzeramento. Procedimento che rimanda al cogito cartesiano e alle molteplici teoretiche del dubbio.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

atomista non pentito

Temo lo Zen , non cerco il vero me stesso perché temo di trovarlo.

Alexander

Lo zen cerca di fare il vuoto mentale, ma è fuori moda ormai: più semplice iscriversi ad un social  :D