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Viaggio su Platone.

Aperto da iano, 02 Aprile 2020, 22:08:51 PM

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iano

Ai tempi di Euclide la geometria disegnava la realtà in modo perfetto , nel senso che ,sovrapponendo la geometria alla realtà, essa vi aderiva , e questo ne garantiva la coerenza  in quanto la realtà non può non essere coerente.
Come se la geometria fosse stata ricavata dalla realtà con carta a ricalco su tanti fogli che Euclide ha poi raccolto in volumi , con la prefazione dei postulati.
La realtà era quella rilevata dai sensi , e non ne era immaginabile altra , o quasi ,in quanto la descrizione della realtà avrà pure un suo posto da qualche parte dove stare.
Rimanendo dentro questo quadro , potrebbe sorprendere che la realtà si potesse derivare da una manciata di assiomi.
Per quanto possa risultare complicato dimostrare i teoremi a partire dagli assiomi , il numero di questi ultimi è semplicemente ,scandalosamente ,sparuto , come se il mondo si potesse chiudere fra le cinque dita di una mano. Come avere l'universo in pugno.
E poi perché proprio quelli e non altri?
Perché ovviamente evidenti .
Si poteva pensare che quelli non fossero sufficienti a completare il quadro ,o al contrario che fossero ridondanti ,ma non che fossero sbagliati .
La geometria non è la realtà, PERÒ È, così che Platone la mette in un posto fuori dalla realtà  , laddove i sensi non hanno accesso , ma dove pure in qualche modo indiretto siamo riusciti a sbirciare.
Questa ricostruzione , a causa della mia ignoranza , sarà poetica più che altro , e benvenute saranno le vostre puntualizzazioni , ma per completare la storia fino ai giorni ,accelerandola a velocità astronautica , direi che ci siamo tutti trasferiti sull'iperuranio e che questo è molto più ricco , vasto  e complesso di quanto Platone potesse immaginare , restando confermato che i cinque sensi non l'abbracciano , ma smentendo che i cinque postulati lo racchiudano.
Abbiamo quindi sorvolato su bel pezzo di storia , che se volete potete aggiungere voi ,dopo aver messo i vostri segni rossi è blu sulla prefazione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

giopap

#1
Secondo me Platone, compiendo una specie di "rovesciamento di 180°" dei fatti (reali), considera le idee più propriamente reali che le sensazioni e i dati empirici (anzi questi ultimi ritiene meramente apparenti e autenticamente reali unicamente quelle).


Credo che fin dall' antichità ma sempre fino ad ancor oggi e, se ci sarà un domani per l' uomo, pure in futuro il platonismo ha affetto e caratterizza (e caratterizzerà) in varia misura molti filosofi e scienziati, anche in varia misura apparentemente "insospettabili" di idealismo: sono affetti da platonismo molti grandi matematici, fra cui non ricordo se Goedel o Turing o forse entrambi, scienziati come, almeno in qualche misura, Einstein, filosofi: secondo me anche Karl Popper il cui "mondo3" mi sembra una "riedizione aggiornata e corretta" dell' empireo platonico).
E questo credo accada perché é molto facile compiere il fatale errore di scambiare la certezza (che é propria dei giudizi analitici a priori, quali quelli della logica e matematica pura; certezza conseguente al mero arbitrario convenzionalismo degli "oggetti" di queste discipline, che nulla ci dicono di come realmente é o non é il mondo) con la (conoscenza della) realtà: le entità logiche e matematiche pure sono talmente certe, convincenti, indubitabili da essere facilmente scambiate e confuse con caratteristiche inoppugnabili della autentica realtà, degli oggetti reali senza virgolette del mondo i quali invece ci sono accessibili solamente attraverso sempre dubitabili, incerti giudizi sintetici a posteriori.


Platonismo come effetto di una sorta di "ingordigia della conoscenza" del mondo che tende ad impedirci di accontentarci di ciò che fallibilmente ci dicono i giudizi sintetici a posteriori e a cadere nella dipendenza dai "paradisi artificiali" rappresentati dalle certezze dei giudizi analitici a priori della logica e matematica pura, i quali nulla ci insegnano (notare l' aggettivo "pura": ben diverso é il discorso riguardante la matematica applicata!) del mondo reale? (Per evitare che qualcuno si offenda fraintendendomi, preciso che si tratta solo di una metafora a scopo esplicativo, senza alcuna valutazione moralistica).

iano

#2
Citazione di: giopap il 03 Aprile 2020, 09:14:20 AM
Secondo me Platone, compiendo una specie di "rovesciamento di 180°" dei fatti (reali), considera le idee più propriamente reali che le sensazioni e i dati empirici (anzi questi ultimi ritiene meramente apparenti e autenticamente reali unicamente quelle).
Ottima sintesi.

Infatti è così.
Ma indipendentemente dalle motivazioni che spingono Platone , noi ,uomini di oggi , con qualche migliaio in più di anni di esperienza sulle spalle , possiamo confermare ciò, magari dicendolo in altre parole alla luce di questa esperienza?
Possiamo esplicitare meglio , confermandole , le motivazioni di Platone ?
Possiamo vedere Platone oggi come un rivoluzionario ,che come tutti i rivoluzionari esagera nel disprezzare il "vecchio" per spingere il "nuovo" ?
Non ne sappiamo oggi abbastanza per dire che tutti avevano ragione , e che si trattava solo di punti di vista diversi che diversa facevano apparire la stessa sostanza ?

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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iano

#3
Citazione di: giopap il 03 Aprile 2020, 09:14:20 AM



Credo che fin dall' antichità ma sempre fino ad ancor oggi e, se ci sarà un domani per l' uomo, pure in futuro il platonismo ha affetto e caratterizza (e caratterizzerà) in varia misura molti filosofi e scienziati, anche in varia misura apparentemente "insospettabili" di idealismo: sono affetti da platonismo molti grandi matematici, fra cui non ricordo se Goedel o Turing o forse entrambi, scienziati come, almeno in qualche misura, Einstein, filosofi: secondo me anche Karl Popper il cui "mondo3" mi sembra una "riedizione aggiornata e corretta" dell' empireo platonico).
E questo credo accada perché é molto facile compiere il fatale errore di scambiare la certezza (che é propria dei giudizi analitici a priori, quali quelli della logica e matematica pura; certezza conseguente al mero arbitrario convenzionalismo degli "oggetti" di queste discipline, che nulla ci dicono di come realmente é o non é il mondo) con la (conoscenza della) realtà: le entità logiche e matematiche pure sono talmente certe, convincenti, indubitabili da essere facilmente scambiate e confuse con caratteristiche inoppugnabili della autentica realtà, degli oggetti reali senza virgolette del mondo i quali invece ci sono accessibili solamente attraverso sempre dubitabili, incerti giudizi sintetici a posteriori
Diciamo che riguardiamo la stessa sostanza con diverso grado di certezza in relazione al punto di vista che usiamo.
Come ben dici non c'è bisogno di dichiararsi seguaci di Platone per esserlo , perché in effetti esso ci ha regalato un punto di vista che si è mostrato molto fruttuoso e ancora lo sarà , così come è e sarà utile osservare il mondo anche senza dichiararsi senzienti .
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iano

#4
Citazione di: giopap il 03 Aprile 2020, 09:14:20 AM



Platonismo come effetto di una sorta di "ingordigia della conoscenza" del mondo che tende ad impedirci di accontentarci di ciò che fallibilmente ci dicono i giudizi sintetici a posteriori e a cadere nella dipendenza dai "paradisi artificiali" rappresentati dalle certezze dei giudizi analitici a priori della logica e matematica pura, i quali nulla ci insegnano (notare l' aggettivo "pura": ben diverso é il discorso riguardante la matematica applicata!) del mondo reale? (Per evitare che qualcuno si offenda fraintendendomi, preciso che si tratta solo di una metafora a scopo esplicativo, senza alcuna valutazione moralistica).
Quindi di fatto Platonismo come potenziamento del lavoro fatto dai sensi , se la matematica che viene applicata è matematica pura .
Mi pare infatti che le pure idee e la matematica pura sono tali nella misura in cui non ne conosciamo la genesi.
Ma alla fine se la matematica viene scoperta o inventata ,cambia la sostanza ?
Di sicuro cambia il nostro approccio il crederlo o no , , e ciò che secondo me è veramente utile è la pluralità degli approcci , compreso quello suggeritoci da Platone.

Se tutti si approcciassero allo stesso modo la nostra visione sarebbe più povera.
Alla fine c'è una accidentale differenza ( diciamo così) fra il mondo dei sensi e quello delle idee che solo il primo riceve consenso unanime , quasi "a priori" fatti salvi successivi ripensamenti  , giusto per il gusto di capovolgere la prospettiva.
Sarebbe cambiata la storia ( vedi mia firma) se si fosse definito il triangolo geometrico come l'unico triangolo imperfetto , e la moltitudine degli altri perfetti , essendo sempre imperfetta una descrizione del mondo?
Ci avremmo perso qualcosa , a parte l'autostima? 😇

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iano

#5
Non è che la motivazione profonda di Platone sia che , se vediamo l'ombra di un mondo perfetto , allora quello esiste , ed a quello possiamo aspirare ?
Essere uomini è una condanna rimediabile , dunque?
Anche gli uomini che si accettano per quel che sono , non possono negare che la prospettiva di Platone ci proietta oltre quel che siamo, pur restando in questo mondo.
Così in effetti mi pare siano andate le cose , col senno di poi , anche se ognuno adesso ha la sua idea del  mondo in cui viviamo .
Gli universi paralleli sono qui e adesso.
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giopap

La mia opinione é che Platone e i vari "platonici di tutti i tempi" pretendendo di di fare dei concetti matematici e logici (utilissimi per studiare e conoscere il modo reale ma astratti, reali solamente in quanto pensati) qualcosa di più reale degli oggetti (enti ed eventi) concreti di esperienza, cadano nel falso.
E per me la verità, anche teorica, anche a prescindere dagli utilizzi pratici che se ne può eventualmente fare, é qualcosa di massimamente desiderabile e importante (malgrado io da antiplatonico le attribuisca una sobria iniziale minuscola mentre i platonici pretendono di venerare come una specie di divinità la Verità con iniziale maiuscola nel momento in cui di fatto la tradiscono).

davintro

pur restando perplesso circa l'aspetto più strettamente ontologico del platonismo, cioè il considerare le idee universali come enti reali a tutti gli effetti (anche se credo esistano anche interpretazioni moderne nelle quali le idee platoniche sono considerate "reali" in un senso un po' diverso da quello in cui comunemente si intende "reali", diciamo più vicine all'accezione aristotelica di "forma", cioè elementi realmente incidenti nell'essere degli oggetti di esperienza, senza essere da questi davvero separati, sto pensando alla lettura che ne fa il teologo Romani Guardini, ma non vorrei dilungarmi troppo su questioni troppo tecnicamente filologiche, anche perché avrei ben poche competenze), penso di condividere il discorso sulle idee "più reali" dei sensi, dal punto di vista gnoseologico. Pensare che i sensi ci diano un accesso alla realtà che ci sarebbe precluso restando a livello di idee, implica un pregiudizio materialista in cui si da per scontato che la dicotomia sensibile-intelligibile coincida con quella reale-immaginario, cioè dando per scontato che l'unica realtà oggettiva possibile sia quella fisica. Se è vero che per definizione le idee sono contenuti mentali non necessariamente corrispondenti a enti reali oggettivi (posso avere idee di cose inesistenti come l'Unicorno), la stessa delimitazione soggettivista la "soffrono" i fenomeni sensibili. Colori, profumi, suoni ecc. sono vissuti in prima persona e solo accidentalmente possono corrispondere a entità reali (il caso dell'allucinato o del daltonico). Le sensazioni fisiche non sono affatto più oggettive delle idee, ed anzi, in un certo senso, lo sono di meno: la posizione di un mondo oggettivo extramentale avviene in noi proprio nel momento in cui passiamo dal mero vivere immediato dei sensi all'opera di formalizzazione entro cui si riconoscono le idee come nuclei unitari in cui inserire il contento sensibile. Di fronte a un albero l'esperienza sensibile si limiterebbe a vivere nell'intimo dell'osservatore la sensazione dei colori delle foglie, dei rami, i profumi ecc., mentre il giudizio sull'esistenza oggettiva della realtà si da nel momento in cui esco dall'immediatezza sensibile e affermo la realtà di una forma, l'idea di albero come substrato, quello che nel linguaggio della metafisica classica si dice "sostanza" , base a cui riferire le proprietà sensibili. Le proprietà sensibili che percepisco nella coscienza le riconosco come oggettive nel momento in cui le considero come facenti parte di un oggetto, l'albero avente una forma che gli permette di "staccarsi" dal flusso, ancora informale, di sensazioni, comprendente anche le sensazioni dell'erba, del cielo, del resto della visuale in cui l'albero è inserito. Questa forma è l'idea di albero, forma delimitante un oggetto che riconosciamo come reale fuori di noi e che ci comunica delle sensazioni fisiche, mentre non ci comunica quelle altre sensazioni (il colore dell'erba o del cielo ecc.) che invece riferiamo a ciò che sta fuori la sua forma. Non è corretto dire che il contenuto sensibile è reale, ma che appartiene a un ente reale delimitato dalla sua forma intelligibile, la sua essenza. Riducendo a mera astrazione immaginativa questa forma, senza alcun aspetto di realtà, dovremmo anche negare la realtà oggettiva dell'albero, riducendo il suo essere a contenuto fenomenico soggettivo delle sensazioni che lo proviamo. Resterebbe reale solo una sorta di flusso psichico producente queste sensazioni, mentre ogni distinzione tra gli oggetti, delimitati dalle forme, sarebbe solo illusoria, perché illusorio sarebbe il principio delimitante, la forma. Le stesse scienze naturali, che mirando a spiegare la realtà in termini di causa-effetto, necessitano di ammettere come reale la molteplicità degli enti, e dunque la realtà delle forme, devono porre come presupposto, anche quando non riconosciuto-tematizzato come invece si occupa di fare la metafisica, l'intuizione di queste entità immateriali come, se non sostanze separate come per un platonismo radicale, comunque come fattori ontologici, incidenti nella realtà degli oggetti di esperienza a cui si riferiscono

iano

#8
Quindi riassumendo ( sperando di non fare disastri )oggi come ieri c'è chi sta con le idee e chi coi fatti , anche se queste posizioni oggi non sembrano più così radicali come credo una volta. Ognuno , magari fra parentesi, in qualche modo rende onore al campo avverso
Non sono mai stato un idealista , ma oggi, paradossalmente , influenzato forse dagli sviluppi recenti della scienza , non posso dirmi più  materialista.
Come già detto mi sembrano diversi  come diversi possono essere due punti di vista diversi sulla stessa sostanza.
Se mi apposto in un campo condivido , e se mi sposto nell'altro condivido non meno , e ciò sarebbe paradossale solo se tenessi una posizione ferma a mia volta.
Così le idee mi appaiono solide e la materia sfuggente, non essendo ne' l'una né l'altra.
È un po' come quell'esperienza che si può fare osservando il disegno di una superficie convessa. Dopo un po' che là si osserva ci appare concava e poi ancora convessa e poi ancora concava , senza riuscire a fissare la nostra sensazione .
Come si risolve la questione ?
È possibile farlo perché questo è un esperimento costruito da noi , quindi abbiamo la risposta.
Non è ne' una superficie concava ne' convessa.
È solo un disegno piano.
Diversa è la situazione quando ci troviamo di fronte ai disegni della natura . Così che a volte pensiamo una idea e altre tocchiamo una pietra .
Ci sarà un trucco anche lì?

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Ipazia

Il trucco è lo sdoppiamento della realtà indotto evolutivamente dall'emergere dalla natura di una sua parte autocosciente che Kant spiega col trascendentalismo e Cartesio col cogito.

Molto prima di loro Platone, influenzato dal misticismo pitagorico, la interpretó enfatizzando la parte antropologica, che collocó in un fantomatico mondo delle idee popolato di forme ideali tratte dalla idealizzazione matematica fattasi con lui mathesis universalis. Concetto che consegnerà a Galileo e alla modernità; assai fecondo per lo sviluppo del pensiero scientifico e delle sue opere.

Ma Platone è al contempo il profeta del pensiero astratto inteso in senso mitico, cui trarrà sostanza il pensiero metafisico-religioso occidentale attraverso la grande sintesi neoplatonica di Plotino.

Demistificare quella millenaria costruzione, riconducendo il dualismo alla dimensione immanente del rapporto senziente uomo-natura è la missione ancora incompiuta dell'umanesimo.

La difficoltà principale di tale rifondazione antropologica è contemperare, come ci sfida Pascal, le ragioni della mente con quelle del cuore, mantenendo la sintesi su un binario evolutivo di civiltà. In ció sta la grande scommessa umanistica.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#10
Chiaro Ipazia.
Per me la sintesi è questa.
Natura , sensazioni , uomo.
E nell'elenco delle sensazioni stanno le idee come le pietre.
Nelle sensazioni includo in senso lato anche la scienza e tutto ciò in cui a torto o ragione crediamo ,sia che ne abbiamo coscienza che no.
Equiparare sostanzialmente materia ed idee ,parlando di sensazioni , mettendole nello stesso elenco , è un po' come credere che vediamo con le orecchie e che sentiamo con gli occhi.
Questo può sembrare strano , ma questo è quello che iniziano a dirci i neuro scienziati.
I cinque sensi collaborano sempre a qualunque sensazione , che però noi attribuiamo a un solo senso.
Parimenti le ragioni del cuore e della mente non operano mai da sole , anche quando ci appare.
Si tratta sempre di un difetto di coscienza ,che in se'non è strettamente necessaria .
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

giopap

#11
Davintro:

Pensare che i
sensi ci diano un accesso alla realtà che ci sarebbe precluso restando a livello di idee, implica un pregiudizio materialista in cui si da per scontato che la dicotomia sensibile-intelligibile coincida con quella reale-immaginario, cioè dando per scontato che l'unica realtà oggettiva possibile sia quella fisica.
Pensare che i sensi ci diano un accesso alla realtà che ci sarebbe precluso restando a livello di idee, implica un pregiudizio materialista in cui si da per scontato che la dicotomia sensibile-intelligibile coincida con quella reale-immaginario, cioè dando per scontato che l'unica realtà oggettiva possibile sia quella fisica.

giopap:

Personalmente ritengo che un empirismo autentico, correttamente inteso e non erroneamente distorto (quello, se non forse anche di Hobbes e di Bacone, sicuramente per lo meno di Locke, Berkeley e Hume) consideri i "dati di esperienza" in generale la realtà cui abbiamo immediato accesso e possibile conoscenza, intendendosi per "dati di esperienza" (in generale) tutte le percezioni fenomeniche coscienti; e dunque non solo le sensazioni corporee, materiali, ma anche le sensazioni mentali o di pensiero.
Dunque un empirismo così (correttamente) inteso non può certamente essere criticato come implicante un pregiudizio materialistico, ma deve essere considerato dualistico, non negando affatto che i pensieri e in generale la "res cogitans" siano altrettanto reali della materia o "res extensa" (essendo entrambe realissime in quanto sensazioni o apparenze coscienti).

Le i idee o pensieri o concetti, la res cogitans, sono particolari tipi di sensazioni (mentali) che possono riferirsi a (ovvero simboleggiare) enti ed eventi da se stesse diversi, che siano reali o meno oltre ai concetti o simboli verbali stessi, anche ciò che significano (che può essere costituito da sensazioni materiali, reali o meno, e/o da sensazioni mentali, pure reali o meno).

Quanto all' oggettività, o meglio secondo me intersoggettività, questa caratteristica, che non va confusa con quella di "realtà" come la (mera) soggettività non va confusa con la "irrealtà", può essere attribuita solo alle sensazioni materiali e non a quelle mentali (che non per questo sono meno reali; sono casomai "diversamente" reali)
Infatti tutti e chiunque, purché "si collochino nelle opportune condizioni di osservazione" possono percepire gli i medesimi oggetti materiali, mentre quelli mentali li percepiscono unicamente i singoli soggetti di pensiero; e agli altri li possono soltanto comunicare verbalmente.



Davintro:

Se è vero che per definizione le idee sono contenuti mentali non necessariamente corrispondenti a enti reali oggettivi (posso avere idee di cose inesistenti come l'Unicorno), la stessa delimitazione soggettivista la "soffrono" i fenomeni sensibili. Colori, profumi, suoni ecc. sono vissuti in prima persona e solo accidentalmente possono corrispondere a entità reali (il caso dell'allucinato o del daltonico).

giopap:

Eh, no!
Salvo i casi di sogni e allucinazioni, peraltro bene spiegati scientificamente, tutti gli altri fenomeni sensibili come colori, profumi, suoni ecc., contrariamente a tutti (nessuno escluso) i fenomeni mentali come ragionamenti, ricordi, sentimenti, ecc. sono vivibili in prima persona allo stesso modo da chiunque "si collochi nelle opportune condizioni di osservazione" (con limitazioni ben comprensibili e "calcolabili" in casi patologici); cioè sono, se non oggettivi, per lo meno intersoggettivi.
Che non significa che sono in qualche senso più reali di quelli mentali, né men che meno che sono gli unici reali: sono altrettanto reali anche quelli mentali (e solamente i sogni e le allucinazioni fra quelli materiali), solo non intersoggettivamente (fra più diversi soggetti di percezione) constatabili ma solo intersoggettivamente condivisibili attraverso i linguaggio.
La differenza é unicamente epistemica (constatabilità immediatamente certa per chiunque versus constatabilità immediatamente certa solo per quelli propri dei singoli soggetti e credibilità unicamente per fede nelle parole degli altri soggetti per quelli altrui), ma per nulla ontologica.



Davintro:

Le sensazioni fisiche non sono affatto più oggettive delle idee, ed anzi, in un certo senso, lo sono di meno: la posizione di un mondo oggettivo extramentale avviene in noi proprio nel momento in cui passiamo dal mero vivere immediato dei sensi all'opera di formalizzazione entro cui si riconoscono le idee come nuclei unitari in cui inserire il contento sensibile. Di fronte a un albero l'esperienza sensibile si limiterebbe a vivere nell'intimo dell'osservatore la sensazione dei colori delle foglie, dei rami, i profumi ecc., mentre il giudizio sull'esistenza oggettiva della realtà si da nel momento in cui esco dall'immediatezza sensibile e affermo la realtà di una forma, l'idea di albero come substrato, quello che nel linguaggio della metafisica classica si dice "sostanza" , base a cui riferire le proprietà sensibili.


giopap:

Le sensazioni fisiche materiali, intersoggettive, sono sempre sensazioni fenomeniche coscienti e non cose in sé o noumeno in senso kantiano, cioè non sono reali indipendentemente dall' essere (inter-) soggettivamente percepite come fenomeni coscienti; del tutto esattamente come le sensazioni mentali o di pensiero, salvo la mancanza dell' intersoggettività (nel senso che i pensieri, sentimenti, concetti, ecc. sono coscientemente percepiti da un unico e solo soggetto cosciente e non direttamente costatabili in prima persona da nessun altro, cui possono solo essere verbalmente comunicati dall' unico e solo loro soggetto).


L' albero come insieme di sensazioni fisiche materiali e non solamente come concetti (non un albero immaginario, ma un albero reale) é reale per tutti e chiunque non cieco, daltonico o affetto da altre patologie ottimamente spiegabili dalla scienza, lo osservi; invece il concetto di un albero lo sente solo e unicamente mentalmente (ovvero: é reale unicamente per) quel soggetto o quei soggetti, ciascuno singolarmente, che lo pensano (ciascuno il proprio); i quali non possono constatare soggettivamente quello pensato da ciascun altro ma solo farselo comunicare verbalmente.
Infatti un' albero fisico materiale visto intersoggettivamente da chiunque é per tutti quel medesimo, unico albero, mentre un albero concettuale, immaginario, mentale, pensato (il pensiero di un albero) può essere per Tizio un fico, per Caio un pino, per Sempronio una quercia, per l' uno alto, per l' altro basso, per l' uno giovane, per l' altro vecchio, ecc.
In entrambi i casi si tratta di fenomeni altretatnto reali, ma nel primo caso anche intersoggettivi, nel secondo meramente soggettivi.



Davintro:

Le proprietà sensibili che percepisco nella coscienza le riconosco come oggettive nel momento in cui le considero come facenti parte di un oggetto, l'albero avente una forma che gli permette di "staccarsi" dal flusso, ancora informale, di sensazioni, comprendente anche le sensazioni dell'erba, del cielo, del resto della visuale in cui l'albero è inserito. Questa forma è l'idea di albero, forma delimitante un oggetto che riconosciamo come reale fuori di noi e che ci comunica delle sensazioni fisiche, mentre non ci comunica quelle altre sensazioni (il colore dell'erba o del cielo ecc.) che invece riferiamo a ciò che sta fuori la sua forma.


giopap:

Il fatto evidente e addirittura tautologico che la conoscenza (il pensiero adeguato alla realtà) di un oggetto (sia materiale che menale, esattamente negli stessi termini) sia costituita da eventi concettuali, mentali non rende più reali i concetti che i loro oggetti, né men che meno reali unicamente i concetti e irreali gli oggetti (salvo il caso di pretesa conoscenza falsa); e questo vale tanto per gli oggetti di pensiero costituiti da sensazioni fenomeniche materiali, quanto per quelli costituiti da sensazioni fenomeniche mentali allo stesso modo.


Ma gli oggetti che conosciamo mentalmente "ritagliandoli" e predicandoli essere reali nell' ambito dell' indistinto fluire dell' esperienza fenomenica cosciente non sono reali fuori di quest' ultima, non sono qualcosa di simile al noumeno kantiano, ma fanno parte dell' esperienza fenomenica stessa; sono considerabili (oggetti) fuori di noi (in quanto soggetti coscienti) solo quelli materiali, attribuibili ad "altro che noi soggetti", ad oggetti di sensazione diversi da noi stessi che ne siamo soggetti; e solo nel senso che, nell' ambito pur sempre della nostra esperienza cosciente, nella quale unicamente accadono realmente, sono distinti ("esterni" rispetto a") quelli mentali attribuibili a "noi stessi" come oggetti e riflessivamente anche soggetti di sensazione cosciente.
(Mi scuso per la contorsione dell' argomentazione).



Davintro:

Non è corretto dire che il contenuto sensibile è reale, ma che appartiene a un ente reale delimitato dalla sua forma intelligibile, la sua essenza. Riducendo a mera astrazione immaginativa questa forma, senza alcun aspetto di realtà, dovremmo anche negare la realtà oggettiva dell'albero, riducendo il suo essere a contenuto fenomenico soggettivo delle sensazioni che lo proviamo.


giopap:

Infatti così é.
Solo che l' albero reale, fisico, contrariamente al pensiero dell' albero, mentale, é intersoggettivamente constatabile da chiunque e non solo da ciascun soggetto di sensazioni coscienti singolarmente (e agli altri soltanto comunicabile verbalmente). Cioè é intersoggettivo, mentre il pensiero dell' albero é meramente soggettivo.



Davintro:

Resterebbe reale solo una sorta di flusso psichico producente queste sensazioni, mentre ogni distinzione tra gli oggetti, delimitati dalle forme, sarebbe solo illusoria, perché illusorio sarebbe il principio delimitante, la forma. Le stesse scienze naturali, che mirando a spiegare la realtà in termini di causa-effetto, necessitano di ammettere come reale la molteplicità degli enti, e dunque la realtà delle forme, devono porre come presupposto, anche quando non riconosciuto-tematizzato come invece si occupa di fare la metafisica, l'intuizione di queste entità immateriali come, se non sostanze separate come per un platonismo radicale, comunque come fattori ontologici, incidenti nella realtà degli oggetti di esperienza a cui si riferiscono.

giopap:

Gli oggetti materiali, fisici di conoscenza sono reali (in quanto fenomeni, non cose in sé) e intersoggettivi, I pensieri, le conoscenze, ecc. sono altrettanto reali ma meramente soggettivi; anche quando costituiscono conoscenze vere di oggetti materiali intersoggettivi (questi ultimi, essendo res extensa; ma non i pensieri, la conoscenza di essi, che sono res cogitans).


Le entità concettuali intuite, ipotizzate dalle scienze naturali sono reali in quanto concetti mentali meramente soggettivi; se e nella misura in cui sono veri, si riferiscono a, predicano circa, enti ed eventi (fenomenici) altrettanto reali ma "in più" anche intersoggettivi.



P.S.:
Il mio dissenso dall' "equidistanza" fra idealismo e materialismo di Iano (non essendo io materialista ma dualista) é evidente e non credo di doverlo ulteriormente esporre e argomentare.

giopap


Ipazia:

Il trucco è lo sdoppiamento della realtà indotto evolutivamente dall'emergere dalla natura di una sua parte autocosciente che Kant spiega col trascendentalismo e Cartesio col cogito.[/size]




Giopap:

la vita emerge dalla materia inanimata in maniere perfettamente comprensibile riduzionisticamente, cioé riducendo la vita stessa a reazioni chimiche.

Non vedo invece in che modo possa darsi un' "emergenza" di simile natura (riduzionistica) della coscienza dalla materia (cerebrale; alla quala necessariamente coesiste ma con la quale non può in alcun modo causalmente reagire né men che meno identificarvisi).

Ipazia

Citazione di: giopap il 04 Aprile 2020, 10:23:51 AM

Ipazia:

Il trucco è lo sdoppiamento della realtà indotto evolutivamente dall'emergere dalla natura di una sua parte autocosciente che Kant spiega col trascendentalismo e Cartesio col cogito.


Giopap:

la vita emerge dalla materia inanimata in maniere perfettamente comprensibile riduzionisticamente, cioé riducendo la vita stessa a reazioni chimiche.

Non vedo invece in che modo possa darsi un' "emergenza" di simile natura (riduzionistica) della coscienza dalla materia (cerebrale; alla quala necessariamente coesiste ma con la quale non può in alcun modo causalmente reagire né men che meno identificarvisi).

Nemmeno io, ma le cose sono andate così: l'anima emerge dall'inanimato, la coscienza emerge dalla biologia. Anche Newton non si spiegava la gravitazione universale, ma ne ha calcolato le leggi. Forse un giorno scopriremo come ha fatto l'universo a diventare autocosciente, ma per ora dobbiamo prenderne atto sulla base dell'evidenza. Senza, come il buon Isaac, fingere ipotesi. Senza cadere nella super-stizione.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#14
Questo non fingere ipotesi di Newton mi ha sempre confuso , in quanto mi pare le ipotesi si fingano.
Comunque , come ben dici , Ipazia , i geni sono grandi non perché trovano la verità, ma perché non si fanno fuorviare dalle loro intime convinzioni , contro le quali sanno andare  , ne' si fanno bloccare dai loro dubbi , oltre i quali sanno andare.
Però il tema di questa discussione , che forse non ho saputo mettere in evidenza è il seguente.
Dato che la filosofia non può non tenere conto e non essere influenzata dai recenti sviluppi scientifici ,come possiamo rivedere Platone , considerando  che finora allo sviluppo della scienza la sua filosofia  è stata guida efficace?
È possibile rimodulare e aggiornare questa filosofia per potenziare la sua efficacia?
Io non fingo di credere a Platone , ma forse è arrivato il momento di aggiornare la finzione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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