Una metafisica senza gerarchie

Aperto da green demetr, 15 Maggio 2017, 19:14:48 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

paul11

Citazione di: green demetr il 24 Maggio 2017, 11:52:28 AM
risposte  a Myfriend e Paul

Ciao MyFriend

cit MyFriend.
Si Peirce partendo da Saussure(padre invece della semiologia) e finendo con Umberto Eco.

Saussure per forza di cose. (è alla base di tutto lo strutturalismo francese degli anni 70 - 90)

Umberto Eco non penso, si è reso colpevole di una cosa ai miei danni che non posso dimenticare.

Ma a parte la componente autobiografica, non mi sembra che sia molto considerato dai miei autori, anzi alcuni lo criticano aspramente.
Invece quasi tutti indicano in Mauss l'uomo da cui ripartire. Non lo conoscono, e per ora i consigli rimangono a livello quasi sacerdotale. Vedremo.

cit MyFriend.
Già dire soggetto e pensarlo implica un sistema che gli sta dietro e sorregge il significato che esprime, quindi siamo già nello specialistico, già nel limite e nella gerarchia. Invece che soggetto possiamo parlare di essere se vogliamo togliere uno strato di "umanità", di costrutto logico. Le forme di controllo servono a capire non sono obbligatorie alla prospettiva pratica. Ed è vero non è facile, di sicuro bisogna passare dal nichilismo superandolo in una sorta di concezione zen. Nel fuggire un pericolo imminente non c'è una logica categorizzante ma un semplice rapporto di causa effetto e oltre quello non si va, non c'è verbo soggetto e complemento non c'è nemmeno un contesto a meno che non ti fermi a guardarlo. È nell'azione depensata che possiamo trovare una sorta di degerarchizzazione, ma se vuoi fermarti a esplorare devi per forza prendere in mano un microscopio, uno strumento, la logica che poi ci porta a una critica dello strumento, ma è soltanto la prospettiva che rende lo strumento tale e ci arrovelliamo sul perché abbia dei difetti anche se le cose sono oltre lo strumento. Ricordo una frase di Nietzsche a cui si torna sempre che diceva: "non esistono fatti, ma solo interpretazioni", quindi cambiando interpretazione(che è il cardine di tutto) cambieranno anche i fatti che non saranno mai assoluti.

Grazie del contributo MyFriend.

Anche se mi sembra una critica, critica che si somma alle mie perplessità su una effettiva utilità del formale.

Andando indietro nel tempo però mi sembrava che avere in mente uno schema di relazione, foss'anco gerarchico, o di causa-effetto come suggerisci tu, avrebbe potuto essere utile.

Però voglio dire (ed hai ragione a dubitare) anche avere uno schemino di riferimento da ricordare, ho paura che non toglie, che la prospettiva usata, quella della causa prima, probabilmente, infici completamente su un effettivo controllo del metafisico.
Hai fatto bene a ricordarlo.

(Purtroppo proprio in questi giorni l'amico con cui lavoravo sul progetto si è dato per disperso. Boh, c'est la vie.)

C'è molto da pensare da parte mia, e questo caldo non aiuta affatto.


Ciao Paul  :)

Grazie ancora del contributo.

Effettivamente anche il tuo contributo mi sembra una critica, e anche più consapevole di quella di Myfriend.
Credevo che fosse una questione poco pensata, ma vedo proprio che è il contrario.

E' vero Paul, mi sembra che il formale non possa catturare in nessun modo il modo circostante.

Ed è vero anche il secondo punto che penso posso ridurre a quanto dice anche Myfriend o alla critica di Philip a Ceravolo.
Rendere il conoscitivo coerente, sposta completamente il punto alla causa prima, nel tuo caso il mentale, meglio il culturale. (ovviamente rimando alla tua attenta analisi in toto, non riesco a sintetizzarla meglio).

cit Paul
"Se la scienza indaga, ma non pensa, la metafisica pensa ,ma non indaga. Perchè la prima è troppo induttiva e la seconda è troppo deduttiva."

Molto immaginifica ed illuminante la metafora. Complimenti.


cit Paul
Il problema quindi non è la gerarchizzazione, ma una metafisica che deve rispondere alla pratica e non rendersi avulsa dalle prassi.
Una metafisica che non può essere distante dall'esistenza e quindi dalla pratica, prassi, pragmatica, e che quindi aiuti e trovi il rimedio alle problematiche del giorno dopo giorno che la vita, come orizzonte spazio/temporale, ci pone .

Sono d'accordo, ed allora mi ricollego a quanto pensavo ieri nella risposta sopra a Myfriend.

Il formale come sorta di mini-mappa, schemino, per avere una sorta di controparte, nel momento in cui si passa alle prassi.

Rimangono tutte le problematiche che avete brillantemente sollevato. Quello schemino rischia di essere una mera illusione.

Non so! era una intuizione di 3 anni fa, si è diluita nel tempo, e ne ho perso la dimensione.

C'entrava però con il mentale. Nel senso che l'analitica americana (se fatta come Dio comanda) si interessa a quello.
Ossia il problema mente-realtà con la nota divisione tra dualisti e monisti.
Io mi porrei decisamente come dualista.

ma la realtà del binomio mente-realtà, che si cala nella cornice (così detta) deve essere destrutturata, prima ancora che (ri) strutturata. Ossia deve aver presente in cosa consista il binomio mente-realtà (che come dici tu è frutto delle dinamiche continue tra deduzione e induzione, e qui Peirce ci arriva) in cosa consista la cornice (cultura, storia, paesaggio o natura come desideri).
E infine in cosa consita appunto la realtà, che sarebbe poi il punto d'arrivo. Ora avevo intuito che questa realtà è derivata, controllata dicevo nei post precedenti, ma forse semplicemente è di fatto la formalità stessa.
Perchè come realtà all'uomo è praticamente sconosciuta.

Messa così però mi sembra di creare una specie di aporia. Quali sono le chiavi di controllo, che mi permettono di agire su una realtà formale, e perciò stesso immaginaria?????

Questa cosa era nata come una lontana intuizione, più che altro un esperimento, per vedere come le cose sarebbero pensate, applicando quel sistemino.
Con il mio (ex?) amico purtroppo già notavamo che la metafisica 2.0 era sempre una metafisica 1.0.
Quindi anche omettendo le critiche tue e di Myfriend, c'è qualcosa che non tornava.
Ed era sempre il problema del soggetto. Eravamo rimasti alla domanda ma allora cosa è l'uomo?

Certo è strano che molti intellettuali o primi venuti (come lo siamo noi) raggiungano come punto critico proprio quello.

Perchè "cosa è l'uomo?" si proietta all'interno della metafisica, e non fuori. La cosa è inquietante. Aporetica.

E io odio le aporie, con tutto me stesso. Non mollo amici miei. Mai (anche se per ora mi avete messo spalle al muro).

Grazie ancora per i bellissimi contributi.
Non è mia intenzione metterti spalle al muro, Green, semmai di incitarti.
Sei nella giusta problematizzazione di questo tempo, 
Se dal punto di vista esistenziale la metafisca è elucubrazione del pensiero troppo lontana dalla mondanità del giorno dopo giorno, per cui comunemente oggi il filosfo è visto come un "cazzeggiatore", in realtà è il contrario.
E' il pensiero metafisco che ha permesso il dominio della pratica attraverso la logica formale che porta alla razionalità fino al calcolo.

Pensa oggi ad una fabbrica produttiva. tutti i processi sono standardizzati, il che significa che ogni cosa, ogni costante o variabile è calcolata ai fini di una produttività. Significa dominare i processi delle variabili e delle costanti per avere un risultato. Questo è la tecnica nella pratica, dominare gli enti metafisici, permeare la prassi Per questo la razionalità, la logica i primi matematici erano filosofi ed erano metafisici o pre (o trans) metafisici, .

L'attacco di Nietzhe ed Heidegger è proprio nella ricaduta della pratica di quella teoretica che voleva dominare il mondo, compreso il percettivo, il manifesto, fino ai comportamenti umani, alle scelte, alla libertà e così via. Togliere quella metafisica è stata vista come una forma di liberazione dei comportamenti: è poi vero? Lascio domande per riflettere........Perchè non dimentichiamo che questa è comunque una interpretazione, potrebbero essercene altre ,ad esempio Husserl diceva altro.

L'uomo occidentale quindi domina la natura, la tecnè domina la physis fino a piegarla ai propri scopi alterandola.Ma l'uomo è entrambi i domini è natura e cultura, è pratica e teoretica, è il fare e il pensare.

Oggi il mondo occidentale esporta ovunque la sua cultura di dominio soprattutto nella pratica economica, nel governo delle organizzazioni produttive che diventano riproduzione nelle organizzazioni socio-statali.Cìè ancora, come ho più volte ripetuto, molto di quella metafisica che vuole dominare gli enti, la realtà. Ma noi vediamo la pratica, non la cultura che gli sta innanzi da millenni e che l'ha introdotta.
Il problema dei pragmatici oggi è vederne le contraddizioni, ma non poterci fare nulla, perchè manca la metafisica che  rimedi a quella greca, che riarmonizzi la physis e la tecnè, la natura e la cultura.Quindi la tua ipotesi di una metafisica che tu definisci non gerarchica ,probabilmente vorrebbe dire che non domini più la natura e l'uomo,che non lo condizioni talmente da immiserirlo, da mortificarlo,da condizionarne i significati esistenziali che si mostrano come patologie identitarie, ansie, paure di non dominare i problemi quotidiani, quell'imponderabile che la vita porta con sè, che non è calcolabile, che non è prevedibile,ma che è anche quel "sale" della vita.

Insomma provaci.............la vita è fatta di tentativi, in fondo è il progettarsi.

green demetr

x paul

grazie dell'incoraggiamento paul!  :)

armonizzare natura e tecnica, certo è così.


la cosa che disturba forse è di utilizzare una tecnica per farlo.


ma era/è qualcosa all'interno di quella stessa tecnica che mi aveva fatto balenare una possibile via di fuga.


non dico semplicemente (insomma già una complicazione per pochi) l'analisi psicanalitica linguistica lacaniana, ma proprio qualcosa all'interno del linguaggio stesso.




flusso di coscienza (non c'è scritto nulla di rilevante, alla pazienza del lettore se lo legge)




metto come appunto qui una delle mie persistenti (non trova ancora adeguata formulazione) idee.
si dice che la riflessione è il rimbalzare dell'oggetto, ma io sento che è il rimbalzare delle parole.
come se il suono rimbalzando, emesso ed ascoltato, rimandasse a una dimensione radicalmente umana.
dimensione di raccolta, di comprensione, di simbolo in una parola.


Ma il simbolo diventa rito, struttura, linguaggio e perde l'ascolto.


Qualcosa di quell'equilibrio natura (umana) e tecnica (sequenza dei simboli) viene a mancare.

Dando una rapida scorsa a Mauss, vedo che il progetto (che indicava Agamben) allora consisterebbe di controllare come la società si strutturi a partire da simboli  (scudi che non si possono portare, oggetti inutili) e poi ne perda le sue radici.

Se fosse così però rimarremmo nel "prendere atto di".

Come se il simbolo sia solo il pretesto per il gerarchico (lo strutturato, il calcolato).

Uno scudo che non si può portare....che senso avrebbe oggi come oggi.  (rimane delle vecchie tradizioni "solo" il denaro, la moneta)

E allora certamente scopriremmo quello che già sappiamo, che il "terzo" serve solo a far funzionare lo scambio sociale. L'iterazione fra individui.

In quel caso rientreremmo nel mio interesse maggiore ossia la relazioni con gli altri.
(è possibile interagire con gli altri senza un terzo? (metafisico , tecnico, sostitutivo, pretesto)

eppure anche qualcosa del formale c'era....lo giurerei.....vabbè basta flusso di coscienza per oggi.

cos' imparo ad aprire discussioni senza averne un minimo di controllo.

Ma appunto sperimentiamo!

grazie ancora!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

anthonyi

Nel leggere il 3d ho trovato un ragionamento del quale mi è difficile cogliere il senso.
Cosa vuol dire che il parlare non può essere gerarchico? La comunicazione, per quanto ne so io, si pone a livelli differenti di autorevolezza, essa contiene una gerarchia, o no?
Sarei grato se qualcuno potesse chiarirmi la cosa.

green demetr

Citazione di: anthonyi il 26 Maggio 2017, 17:35:10 PM
Nel leggere il 3d ho trovato un ragionamento del quale mi è difficile cogliere il senso.
Cosa vuol dire che il parlare non può essere gerarchico? La comunicazione, per quanto ne so io, si pone a livelli differenti di autorevolezza, essa contiene una gerarchia, o no?
Sarei grato se qualcuno potesse chiarirmi la cosa.

Ciao anthony

grazie della domanda.

Si hai ragione, forse mi sono espresso male.  ;)

Intendo dire che il linguaggio, il parlare, è una gerarchia formale.

Non ha necessariamente la funzione di coercizione fisica.

Cioè distinguo una metafisico formale (quello classico, o anche quello americano analitico) dal reale. Ossia l'esito sulle relazioni sociali e private.

L'esito è sempre una coercizione (che lo si percepisca o meno) vi sono delle norme, delle abitudini, tanto che noi parliamo di normalità e di etica o morale.


Per risolvere delle situazioni di stallo o di sofferenza reali, necessiteremmo di una lotta fisica.
Ma nella storia umana, dall'invenzione della scrittura in poi (vedi Sini) la vera battaglia si è trasferita nel discorso. (e quindi nel formale, metafisico o analitico che sia)

Ovvero in ciò che DECIDIAMO di raccontarci. (nel senso di opinione pubblica, di morale, di normalità).


APPROFONDIMENTO E SPUNTI VARI PER IL FUTURO.



Lo scopo della filosofia è sempre stato quello di criticare, di evidenziare le cose che andavano bene e quelle che no.

Abbiamo così affinato gli strumenti della ragione (scienze, economia e diritto).

Ma siamo pervenuti in uno stato dove ci siamo dimenticati di affinare gli strumenti che analizzano NOI STESSI, ossia i parlanti, i ragionanti.

E a questo punto che si apre la mia discussione.

Qui c'è l'ambizione di correggere la metafisica che ha avuto il gran torto di voler dettar legge piuttosto che di criticare.

Ossia è nel come la metafisica si è sempre presentata (come verità) che risiede l'errore-

Perchè se la filosofia pretende di essere morale, alla fine diviene vittima degli stessi meccanismi che si proporrebbe di criticare.

Ossia invece di essere critica delle scienze, dell'economia, e del diritto.
Diviene essa stessa politica delle scienze, dell'economia e del diritto.
(diventa una voce fra le voci, senza avere più l'autorità di una volta.
e non ha più l'autorità perchè si è resa conto che era male. che la verità deve essere per tutti e non per pochi. ha creato cioè l'autorità della scienza (irrevocabile).)

ha praticamente sottoscritto alla sua stessa fine.

Ma non è un male, è un bene affidarsi alla scienza piuttosto che ad una opinione, o peggio un pregiudizio.

Rimane il problema dunque di cosa fare di questa metafisica.

Come scriveva Paul, è veramente necessario farne a meno?

A mio modo di sentire no.

Quello che voglio salvare è la trascendenza, ossia la spiritualità che informa l'uomo.

Ossia io voglio ricordare a me stesso SEMPRE, la mia umanità come corpo e come spirito.

Solo a quel punto posso dedicarmi alla critica della scienza della morale etc...

Dunque l'ambizione è quello di trovare un linguaggio che controlli il soggetto, il ragionante, ossia di chi critica, ragiona etc...sulla scienza etc....

SENZA farla diventare a sua volta una POLITICA una scelta di partito, schieramento etc...

Per fare questo devo creare un discorso che metta dei paletti, il più precisi possibili affinchè il soggetto, il criticante, il ragionante si chieda sempre COSA STA INDICANDO, quali operatori logici sta mettendo in campo, il fine di questo indicare e operare, ossia il suo limite invalicabile, PRIMA DI DIVENTARE presa di parte, politica, critica SU QUALCOSA.

Insomma il soggetto, il ragionante, il criticante, il politico (finanche) DEVE ESSERE CONSAPEVOLE delle trappole a cui si va incontro con il linguaggio stesso.
Non deve diventare il linguaggio stesso.
Se parlo di critica alla scienza non posso usare le categorie della scienza.
Nemmeno quelle della nostra chiave interpretativa, deve essere qualcosa a META' strada.
Questa nuova strada deve avere dei paletti che noi decidiamo in base alle scienze del linguaggio (grammatica,semantica, fononologia) e della semiotica (semiologia, ermeneutica, forma del romanzo).
I passaggi devono essere chiari, condivisibili da tutti, argomentabili.

Sono abbastanza convinto che fosse proprio ciò che Kant si era preposto di fare.
E che tentò di elaborare il più approfonditamente possibile. (lasciando una enormità di spunti, da elaborare anzitutto nel loro fallimento, ossia da leggere come eredità)

Posso bene dire che questo ambizioso progetto è una riscrittura formale delle intenzioni di Kant.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

maral

#19
Avevo promesso di portare la risposta di Carrera. Bene, la risposta è arrivata, sono più di tre pagine fitte. Ne tenterò un riassunto per trasmettervi come vede lui il discorso della necessità di un pensiero non gerarchico.

Carrera riconosce come cruciale il problema del "come" che ho introdotto nella domanda che gli ho posto e il rischio che esso  istituisca a sua volta una gerarchia nel momento in cui si presenta più risolutivo del "che cosa" .  Ma in realtà non affronta questa problematica (il come a cui si riferisce non è modale, ma comparativo come nel pensiero ermetico) in quanto  per lui  si tratta innanzitutto di pervenire a una disposizione topologica dei campi del sapere (o in termini propriamente fenomenologici, delle "ontologie regionali" intese in senso lato).
Il suo percorso intellettuale verso un pensiero non gerarchico si rifà alla scoperta della serie  dodecafonica di   Schönberg  con la sua abolizione della gerarchia tra i suoni, collegata al "non c'è né sopra né sotto, né destra né sinistra" di Emmanuel Swedenborg e all'episodio dell'"uccello Saggezza" dello Zarathustra di Nietzsche, poi alla formula alchemico ermetica della Tabula Smaragdina ("Come in alto, così in basso...") e infine al lavoro di un irregolare antropologo come Harry Everett Smith che, nella sua Anthology of American Folk Music, ignorò tutte le classificazioni dell'etnomusicologia sostituendole con il principio ermetico citato, per cui la folk music (o la medioevale musica instrumentalis) è il perfetto equivalente (basso) della "musica delle sfere" pitagorica. «Riassumendo, la musica più alta è "come" la musica più bassa. Attenzione: non è "meglio" e non è "peggio"; è "come". Qui sta tutta la differenza. E tutto il problema. Non si tratta perciò di adottare una "tecnica" di pensiero, ma di mettere tra parentesi le scale di valori che mettono in gerarchia i vari campi dell'espressione per constatare invece che cosa questi campi hanno in comune indipendentemente dalla complessità di linguaggio che ogni campo raggiunge al suo interno e che, come tale, può benissimo risultare incommensurabile agli altri campi». Si tratta dunque di vedere tutta una serie di somiglianze e parentele che sottende le varie pratiche. Cos'ha in comune la complessità dell'Arte della fuga con  la semplicità di una canzone folk, a parte la gerarchia di complessità? Citando Bartok  «un brano di folk music può essere tanto "compiuto" quanto il più sofisticato pezzo di musica classica, perché in quel brano che magari dura un minuto si sono cristallizzati secoli di pensiero musicale elaborato da intere culture che non avevano a disposizione il privilegio, o l'arma a doppio taglio, della scrittura». Quelle semplici melodie raggiungono la più alta perfezione artistica. Quando una pratica raggiunge la sua massima perfezione in relazione non ad altre pratiche, ma a se stessa tanto da non poterle chiedere ulteriori sviluppi senza farla diventare un'altra pratica, allora possiamo far valere la potenza del "come".
Uscendo dal campo musicale per entrare in quello sociale e politico, Carrera ricorda il tema della non contemporaneità di Ernst Bloch, secondo il quale non tutti i popoli e le culture vivono nello stesso tempo storico. Lo sfruttamento di questo divario permetterebbe a Bloch di spiegare come personaggi quali Hitler ieri, oggi Trump e la Le Pen possano farsi strada, a fronte dell'incapacità degli intellettuali progressisti di farsene carico. E' un'analisi, questa di Bloch, che, pur con i suoi meriti, risulta criticabile (da Benjamin e Adorno) sia perché presuppone uno sviluppo storico "correttamente dialettico" e sostanzialmente lineare accanto ad altri  dialetticamente falliti, sia e soprattutto perché si dimentica che, accanto alla contemporaneità, va considerata in modo più rilevante la compresenza nel presente storico di posizioni e situazioni non confrontabili tra loro, ma che accadono contemporaneamente. Lasciandoci sfuggire questa "consistenza del presente" si potrebbe erroneamente ritenere ad esempio che il fondamentalismo islamico sia un rigurgito del passato, mentre «è un fenomeno tanto contemporaneo, moderno o postmoderno quanto l'ultimo modello di iPhone»
Non si tratta quindi di un "più" o "meno" da istituirsi tra campi del sapere, ma di un "come", ossia parimenti perfetti sul piano della diversità di compresenza, ove perfetto significa ciò che non può essere ulteriormente migliorato senza distruggerlo.
Alla domanda su come si faccia a innalzare propriamente e concordemente il livello dei discorsi Carrera trova che non sia possibile dare risposta, perché non c'è una regola,  accade o non accade, mentre a  valutare e stabilire l'innalzamento del livello per Carrera è la comunità degli interpretanti che:  «grazie al loro lavoro trasformano quell'enunciazione in un macrotesto composto di discussioni scritte e orali, tesi di laurea, libri, voci di enciclopedia, pagine di antologie, siti web, documentari, qualunque cosa la semiosfera ci metta a disposizione». Tutto questo alza il livello della conversazione anche grazie agli errori che si producono, perché anche gli errori determinano innalzamenti nel livello del discorso (i riferimenti vanno agli errori di Foucault quando si occupa di pensiero classico e a Sartre per come criticato da Derrida).
Anche se la tecnica implica una diacronia, facendo riferimento a una tradizione, «lo sguardo della compresenza e sulla compresenza è sincronico. È lì che sta il suo potere. Non nel negare la diacronia (e quindi lo sviluppo delle pratiche), ma per coglierle nel momento in cui "appaiono" contemporaneamente sullo stesso sfondo, portandosi dietro tutte le differenze del loro sviluppo senza poterle mostrare diacronicamente».
In conclusione Carrera scrive: «Certo, questa è (anche) la globalizzazione. Ciò che Nietzsche chiamava il museo della storia è oggi, e non solo da oggi, il centro commerciale del presente. Non possiamo ignorare l'evidenza: tutto ciò che cinquant'anni fa era considerato cultura (poesia, letteratura, filosofia) oggi è subcultura, così come non possiamo ignorare che ciò che cinquant'anni fa stava alla periferia della cultura (i generi letterari e cinematografici minori, i palinsesti televisivi, la moda, la popular music, i videogiochi), oggi ne occupa il centro (commerciale e non).
Ma cominciare a pensare non in termini di ciò che è meglio e ciò che è peggio (ah, quando c'era x;
non come oggi che c'è solo y), bensì in termini di come x è anche y, e come y è anche x, forse è un modo concreto di avvicinarci alle pratiche che circondano la nostra vita, nonché di navigarle senza farsi travolgere.»

anthonyi

Ringrazio green demetr, devo dire però che non condivido l'idea che la non fisicità della comunicazione implichi una ridotta coercitività.
La comunicazione presenta molti elementi in comune con la relazione fisica tra individui. Un gruppo di individui può fare a botte, oppure marciare insieme contro un nemico comune. Allo stesso modo gli individui dialogando possono collaborare, nel senso che ciascuno prende gli argomenti dell'altro come base per la realizzazione di un'idea comune, oppure cerca di falsificarli a tutti i costi per imporre la propria verità interiore.
In entrambi i casi possiamo avere situazioni asimmetriche, nella fisicità il confronto tra un individuo violento e uno pacifico, nella comunicazione il confronto tra uno che vuole solo imporre la sua idea, e uno che è disposto a un dialogo costruttivo.
L'asimmetria vale anche per la forza rispettiva, nella comunicazione chi ha più cultura, ha più argomenti per imporre la propria visione contro chi è ignorante.
In sintesi la coercitività e la gerarchicità, per me, è argomento che attiene al rapporto tra individui, indipendentemente dalla fisicità del rapporto che è una semplice conseguenza.
Direi infatti che molti possano essere d'accordo sul fatto che a una gerarchia comunicativa segua anche una gerarchia fisica.
Volevo poi commentare il titolo del 3D, per me ispiratore di forti sollecitazioni intellettuali.
Per me infatti questo può avere tre linee di sviluppo:
1)   Una linea ontologica, riguardante la gerarchicità dell'aldilà. In soldoni, ci sono divinità superiori, o sono tutti spiriti alla pari?
2)   Una linea epistemologica, che direi è quella che mi sembra implicita nell'intento dei dialoganti;
3)   Una linea culturale, riguardante la gerarchia tra dottrine e la primarietà della Teologia.
Direi che le tre linee si assemblano perché tutti noi veniamo da radici culturali (Almeno credo), fortemente gerarchiche su tutti e tre i livelli: Un solo Dio, Una sola autorità teologica, la Chiesa, Primato della Teologia sul resto (in particolare sulla politica).
La domanda di superamento delle gerarchie io la condivido, a tutti e tre i livelli.
Per me però sono fondamentali due domande: L'uomo è pronto? L'uomo è capace?
Con l'ultima domanda io intendo l'uomo ha le capacità di reggersi in un mondo privo di strutture gerarchiche. In generale le esperienze di liberazione umana (Rivoluzione Francese, pensiero marxista, pensiero liberale (delle origini), movimenti del 68), hanno sempre prodotto evoluzioni incontrollabili che sovente sono andate in direzione opposta, cioè hanno prodotto gerarchie più forti e laceranti di quelle che volevano eliminare. Si dirà, ma comunque erano esperienze da fare per imparare e migliorare, e qui viene la prima domanda, l'uomo è pronto? Abbiamo sufficiente esperienza e conoscenza per eliminare le gerarchie senza produrre conflitti (certamente generati da quelli che vogliono la gerarchia e che in assenza della stessa cercano di porsi in posizione gerarchica, ma che condizionano tutti gli altri)?
Voi che ne pensate?


maral

In realtà mi pare che il discorso sulle gerarchie del pensare sia molto complesso e assai più complesso di come lo tratta Carrera prendendo spunto dalla musica dodecafonica e soprattutto, per quanto lo trovi estremamente interessante, dal principio di equivalenza tra alto e basso, destra e sinistra del pensiero alchemico ed ermetico.
Sicuramente all'interno dei vari settori topologici, da prendere tra loro in modo incommensurabile, secondo una visione rigorosamente pluralistica, verrà ad elaborarsi sempre una gerarchia, un canone interno (e infatti Carrera lo rileva e lo tiene ben presente nel suo approccio alle arti e in particolare ai vari aspetti della musicologia), ma è davvero possibile limitare settorialmente questo principio gerarchico o non è una sorta di artificio? E qui si inserisce quanto mai appropriata la domanda di anthonyi. D'altra parte lo stesso principio alchemico recita "Come in alto, così in basso, per compiere il mistero della Cosa Unica". E' la "Cosa Unica" a essere gerarchicamente imbarazzante e lo è per Carrera, che se ne ritrae un po' spaventato, come dichiara nella sua risposta. Ora, questo mistero della Cosa Unica, può forse essere tenuto da parte quando si affrontano questioni estetiche, forse si riesce un po' anche a farne a meno. Almeno dal mio punto di vista non ci sono difficoltà in linea di principio nel considerare come potenzialmente parimenti perfette la musica folk e quella classica, il rock e la dodecafonia; la moda, il pop e i generi letterari e cinematografici minori rispetto alla poesia, alla letteratura e alla filosofia (a parte la nostalgia verso la bella profondità del tempo che fu). Ma quando entrano in ballo aspetti ontologici, politici, sociali e teologici? Come ce la caviamo rispetto alle pretese della "Cosa Unica"? Possiamo farne solo una questione di estetica per quanto la questione di estetica sia fondamentale?
Perché questa pretesa c'è, è inutile nasconderselo e c'è pure come volontà di un canone universale, non solo di un primo oggetto universale. A meno che il mistero della Cosa Unica che va compiuto non stia proprio nel manifestarsi delle differenze dei particolari ciascuno in cammino verso la propria perfezione. Nel riconoscere la perfezione in questo camminare particolare di ciascuno verso la propria perfezione e ammettere i diversi percorsi senza progettare unificazioni globali in nome di panoramiche predefinite di grande portata unificante di tipo concettuale astratto, ma tenendo anche presente che questi cammini sono destinati a intrecciarsi, dunque a ostacolarsi reciprocamente, a farsi guerra o a sostenersi reciprocamente incontrandosi. In altre parole la "Cosa Unica" non potrà mai essere detta, mai definita, mai tradotta in alcuna regola o divinità o utopia definitiva buona per tutti e per sempre per come la si stabilisce, ma sempre da dirsi affinché ogni detto si apra a un "altrimenti detto". La Cosa Unica accade continuamente nell'intrecciarsi e richiamarsi delle sue parti (delle sue periferie) e richiede solo che in questo suo accadere ci si riesca a mantenere in bilico, senza poterla vedere, o meglio, vedendola solo nella sua parzialità che persegue la sua particolare perfezione, dopo di ché tramonta e sopraggiunge una nuova parzialità destinata a compiere nell'intreccio la sua parte di cammino. La Cosa Unica è solo prassi che si spera si dimostri una buona prassi nei diversi ambiti dei nostri progetti da concludere prima o poi.

   

Phil

@green demetr
Sullo stare "spalle al muro",  mi permetto di ricordarti l'osservazione di Sun Tzu: "se poni te tue truppe in una situazione senza uscita, daranno sicuramente prova di coraggio immortale" e per questo ammoniva: "al nemico accerchiato, lascia una via di fuga"  ;)
Il muro che ti senti alle spalle potrebbe essere scalato (come farebbe il Nietzsche amante delle vette), decostruito (à la Derrida, per poi scavalcarne i ruderi), "ingegnerizzato" (come fanno gli epistemologi, per decidere dove costruire un varco), trasceso (come il "muro senza porta" del Wumen Guan zen), e magari anche altro... trovare il proprio muro è la "fortuna" di trovare qualcosa su cui lavorare  :)

Citazione di: green demetr il 25 Maggio 2017, 11:58:19 AMSe fosse così però rimarremmo nel "prendere atto di". Come se il simbolo sia solo il pretesto per il gerarchico
Direi addirittura che il simbolo è il pre-testo del gerarchico, ovvero la cornice "testuale"(semantica) che precede l'installazione del gerarchico, in assenza di simbologia non può esserci gerarchia... non a caso, nel mondo animale la gerarchia c'è solo se lo leggiamo con lo sguardo simbolico umano, che distingue preda/predatore, maschio dominante/gregario, etc. ma nell'ombra gettata da quello sguardo tassonomico, nell'angolo cieco della visuale gerarchizzante, non ci sono categorie gerarchiche, ma solo istinto, fame e "programmazione genetica"... una volta istituito il simbolico, invece, la gerarchizzazione trova terreno fertile: tracciata una linea, ha poi senso parlare di aldiqua e aldilà, e la linea singola, se non erro, sia per gli egizi che per i popoli orientali, simboleggiava (intuitivamente) il numero uno, che è il concetto-simbolo per eccellenza, quello che fonda il principio di identità (che fonda la logica per come la conosciamo)

Citazione di: green demetr il 25 Maggio 2017, 11:58:19 AMMa il simbolo diventa rito, struttura, linguaggio e perde l'ascolto.
Qualcosa di quell'equilibrio natura (umana) e tecnica (sequenza dei simboli) viene a mancare.
Dando una rapida scorsa a Mauss, vedo che il progetto (che indicava Agamben) allora consisterebbe di controllare come la società si strutturi a partire da simboli  (scudi che non si possono portare, oggetti inutili) e poi ne perda le sue radici.
Emanciparsi dalla gerarchia come struttura di senso, forse significherebbe abbandonare la dimensione simbolica, dunque compromettere la funzionalità della logica come strumento di indagine... senza più gerarchie, che fine fa il senso?

Citazione di: green demetr il 25 Maggio 2017, 11:58:19 AM(è possibile interagire con gli altri senza un terzo?)
Probabilmente no, perché il terzo è la relazione stessa  ;)


Citazione di: green demetr il 26 Maggio 2017, 18:49:58 PMDunque l'ambizione è quello di trovare un linguaggio che controlli il soggetto, il ragionante, ossia di chi critica, ragiona etc...sulla scienza etc....
SENZA farla diventare a sua volta una POLITICA una scelta di partito, schieramento etc...
Per fare questo devo creare un discorso che metta dei paletti, il più precisi possibili affinchè il soggetto, il criticante, il ragionante si chieda sempre COSA STA INDICANDO, quali operatori logici sta mettendo in campo, il fine di questo indicare e operare, ossia il suo limite invalicabile, PRIMA DI DIVENTARE presa di parte, politica, critica SU QUALCOSA.
Insomma il soggetto, il ragionante, il criticante, il politico (finanche) DEVE ESSERE CONSAPEVOLE delle trappole a cui si va incontro con il linguaggio stesso
Maral ha ricordato il ruolo dell'estetica nel discorso gerarchico, e questa riflessione semiologica che proponi se coniugata con l'estetica diventa ermeneutica, allontanandosi quando basta dall'esattezza formale della logica epistemica (quasi "computazionale"), per aprire temi e problemi la cui soluzione non può essere trovata in un uso impeccabile dei meccanismi semantici... e ciò non riguarda solo l'estetica: ad esempio, il linguaggio influenza la politica, e viceversa, ma la soluzione ai problemi politici non è mai esclusivamente linguistica, perché "la giustizia" o, tornando agli antichi, "la saggezza", non è una questione di variabili o costanti, di fallacie, o di compilazione di assiomi con tavole di verità (la differenza fra la ragione dell'uomo e l'intelligenza artificiale è forse tutta qui...).

Citazione di: anthonyi il 27 Maggio 2017, 08:38:04 AMLa domanda di superamento delle gerarchie io la condivido, a tutti e tre i livelli. Per me però sono fondamentali due domande: L'uomo è pronto? L'uomo è capace? Con l'ultima domanda io intendo l'uomo ha le capacità di reggersi in un mondo privo di strutture gerarchiche.
Domande ostiche, ma ne rovescerei l'ordine, o meglio, ne rovescerei la gerarchia ( ;D ): quella essenziale mi pare la seconda, ovvero se sia davvero possibile uscire dalle gerarchie, senza ritrovarsi a sostituirle con altre (più o meno speculari alle precedenti). C'è mai stata una cultura, una società, o solo una visione del mondo, priva di gerarchie? Cosa, quali indizi, ci fanno pensare che oggi (o domani), sia realmente possibile degerarchizzare il nostro approccio al mondo e all'altro uomo? Davvero è possibile una dimensione sociale, logica o anche solo linguistica che non richieda l'imprescindibile presenza di una gerarchia (più o meno latente o implicita, più o meno personale o condivisa, più o meno dogmatica o "fluida", etc.)?

Citazione di: maral il 26 Maggio 2017, 23:54:02 PMAlla domanda su come si faccia a innalzare propriamente e concordemente il livello dei discorsi Carrera trova che non sia possibile dare risposta
e questa stessa domanda presuppone una gerarchia, o meglio, molteplici gerarchie... altrimenti diventa una domanda che non ha condizioni di possibilità di risposta...

green demetr

x maral p1

cit maral
"Carrera riconosce come cruciale il problema del "come" che ho introdotto nella domanda che gli ho posto e il rischio che esso  istituisca a sua volta una gerarchia nel momento in cui si presenta più risolutivo del "che cosa" .  Ma in realtà non affronta questa problematica (il come a cui si riferisce non è modale, ma comparativo come nel pensiero ermetico)"

Ho letto l'intero riassunto. (grazie infinite a te e al prof Carrera dunque  ;))
Ma io mi fermerei all'inizio, se l'analisi deve essere comparativa, allora ci fermeremmo alla modalità.
Sia ben chiaro, la comparatistica è difatti l'analisi più "in auge" nel mondo della letteratura critica.

Ossia ad una ermeneutica. Quello che me la rende noiosa, è che si occupa dell'artistico.
Ma come diceva Nietzche ripreso dal Carmelo Bene (discorso con Zeri), l'arte invece di occuparsi delle forme, sbaglia ad occuparsi delle sostanze, diventando un immenso monumento. Un cimitero delle idee.
Carrera opportunatamente allora prova la via estetica, per uscire dalle impasse del metafisico.
(ma non è il solo, quasi tutti i filosofi passano all'estetica).
Eppure l'arte (nei sui 4 discorsi sul nulla di Carmelo Bene) è di nuovo solo, al massimo, consolazione.
Non ha nulla della vita. Dunque queste soluzioni le vedo sostanzialmente come soluzioni deboli.

Approfondimento Carrera.

cit maral
"Carrera è la comunità degli interpretanti che:  «grazie al loro lavoro trasformano quell'enunciazione in un macrotesto composto di discussioni scritte e orali, tesi di laurea, libri, voci di enciclopedia, pagine di antologie, siti web, documentari, qualunque cosa la semiosfera ci metta a disposizione»."

Certo ma la semiosfera divetasse biosfera? Mi sembra che Carrera non legga Agamben, Sloeterdijk, strutturalismo francese in generale.
(derrida, deleuze, baudrillard etc..etc...etc...).
In realtà l'eredità di questi filosofi è proprio far notare come la semiosfera, il simbolico, sia diventato pensiero ideologico.(teso al controllo o governo dei corpi)

cit maral
"i riferimenti vanno agli errori di Foucault quando si occupa di pensiero classico ...
Anche se la tecnica implica una diacronia, facendo riferimento a una tradizione, «lo sguardo della compresenza e sulla compresenza è sincronico."

Ma Focault non si è mai interessato della storia del pensiero classico, a lui interessava invece la modalità, la tecnica in cui quella storia veniva raccontata.(nella "storia della sessualità" e nella "ermeneutica del soggetto", lo ripete più volte)
Non è minimamente una questione di diacronico, sincronico, la questione è quella delle tecniche del pensiero unico.
Per Focault dunque la chiave è nel formale.(in ogni tempo).

Detto questo è interessante la chiave di lettura tra sincronicità venduta senza diacronicità.
A mio avviso insufficiente rispetto alla portata dei problemi politici da pensare.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

x anthonyi

cit anthonyi
"Ringrazio green demetr, devo dire però che non condivido l'idea che la non fisicità della comunicazione implichi una ridotta coercitività."


La coercività fisica porta all'annullamento della stessa umanità umana, vedasi "se questo è un uomo" di primo levi, o "la battaglia di algeri", sulle tecniche di estorsione delle informazioni, fino ai film di guerra della Bigelow.

cit anthonyi
"In sintesi la coercitività e la gerarchicità, per me, è argomento che attiene al rapporto tra individui, indipendentemente dalla fisicità del rapporto che è una semplice conseguenza."

Ma certo al di là della diversa percezione che abbiamo della coercizione fisica, siamo d'accordo nell'affermare che oggi la guerra sia passata a quello politico.(con tutte le sue istituzioni, discorsi, informatizzazioni etc... in una parola per Agamben con tutti i suoi Dispositivi).

Il punto sarebbe allora destrutturare questi dispositivi, e controllare i suoi interroganti.
Siccome lo hanno già fatto. Ci portano in eredità che il problema è quello dell'impatto linguistico culturale, e dell' "altro" (il prossimo) fondamento per la comunità (politica).

L'obiettivo di questo 3d seguendo le ulteriori conseguenze del linguistico culturale, è trovare il medio fra critica del linguaggio a sfondo culturale, e il suo emittente.

Si rifarebbe alla semiologia, con la famosa tripartizione, parlante, mezzo, ricevente. Sarebbe la famigerata qeustione dei "rumori" interni al passaggio del messaggio dal primo al terzo. La semiologia si occupa principalmente del mezzo.

Il presente 3d pur facendo apertamente riferimento agli esiti finora raggiunti, si concentra sul parlante.
Su come possa controllare anzitutto il rumore interno alle sue stesse prassi. In parole povere alle resistenze contro il pensiero unico dominante. Che lo informa in partenza, gerarchizzandolo in partenza. (non una gerarchia qualunque ma quella del pensiero unico dominante).

La mia intuizione era che è possibile trovare per il tribunale della ragione kantiano, una meta-linguaggio di controllo.
Che non favorisca le antinomie. (scambiare il risultato per la premessa, che poi sarebbe il problema del gerarchico, ossia la matematizzazione della vita, il metafisico).

cit anthonyi

"Volevo poi commentare il titolo del 3D, per me ispiratore di forti sollecitazioni intellettuali.
Per me infatti questo può avere tre linee di sviluppo:
1)   Una linea ontologica, riguardante la gerarchia dell'aldilà. In soldoni, ci sono divinità superiori, o sono tutti spiriti alla pari?
2)   Una linea epistemologica, che direi è quella che mi sembra implicita nell'intento dei dialoganti;
3)   Una linea culturale, riguardante la gerarchia tra dottrine e la primarietà della Teologia.
Direi che le tre linee si assemblano perché tutti noi veniamo da radici culturali (Almeno credo), fortemente gerarchiche su tutti e tre i livelli: Un solo Dio, Una sola autorità teologica, la Chiesa, Primato della Teologia sul resto (in particolare sulla politica)."

Perfetto approvo totalmente la tripartizione. Ovviamente in questo caso stiamo parlando di resistere alle 3 forme di gerarchizzazione. (usate ribaltando la sequenzialità però, prima la 2) poi la 3) e infine la 1)  )
L'idea insomma è che esista questa sequenzialità, e che la si possa hackerare smontando la 2. (progetto a lungo termine).
Se smonto la 2 la 3 non sarà mai relativa al suo fine, al risultato, ma sarà totalmente attenta alla propria originarietà (Cacciari).
(con una ricomprensione vera del religioso, che ad oggi è informato in una ritualità sterile).
La uno riguarderebbe la 2, ricompresa nel suo senso. Ad oggi mi sembra solo un risultato della paranoia (vivo di là, perchè sono morto qua).

cit anthonyi
"In generale le esperienze di liberazione umana (Rivoluzione Francese, pensiero marxista, pensiero liberale (delle origini), movimenti del 68), hanno sempre prodotto evoluzioni incontrollabili che sovente sono andate in direzione opposta"

Sono d'accordo, ma se analizzate nel loro istanze di partenza avevano già in sè i germi del loro dissolvimento.
Quando la politica diventa cieca su cosa è l'uomo, sui suoi comportamenti è inevitabile la sua dissoluzione.

La filosofia contemporanea dovrebbe far tesoro dei risultati catastrofici di quelle rivoluzioni, e intendere alla perfezione i suoi errori macroscopici.

Quello che non capisco francamente è questo nuovo umanesimo che si concentra sull'uomo. Quando è evidente da quanto abbiamo detto noi prima, che il pensiero unico usa il gerarchico anzitutto informando le strutture stesse del linguaggio.
Ossia all'inizio di ogni possibile gerarchico.
Ossia ovviamente visti gli errori del passato e l'angoscia perdurante nel mondo occidentale (lo stress), è necessario ANCHE pensare più a fondo COSA è L'UOMO. Di modo che l'uomo che fa politica la fa con una idea critica (comparata va benissimo) dei suoi errori passati.(niente di male in questo). Ma il problema è assia più vasto, il problema che io chiamo ontologico, non può sfociare nel nuovo realismo di matrice americana. Perchè questo nuovo realismo è informato totalmente da linguaggio che usa (scientismo bieco), e dal potere teologico, di autorità, che governa le coscienze (Focault). Le idee di cosa sia umano rischiano di portare avanti una vecchissima querelle cartesiana, se noi siamo corpo o spirito, un dualismo stantio che non intende minimamente il gerarchico. (e che anzi come sappiamo lo autorizza).

cit anthonyi
"Abbiamo sufficiente esperienza e conoscenza per eliminare le gerarchie senza produrre conflitti (certamente generati da quelli che vogliono la gerarchia e che in assenza della stessa cercano di porsi in posizione gerarchica, ma che condizionano tutti gli altri)?"

Certamente non possiamo NON dubitare, se è questo che intendi. Ma una cosa è dubitare, l'altra è fare ricerche stupide, che non tengano conto degli approdi a cui l'umanità è giunta. l'altra ancora è fuggire (rifugiarsi nell'arte).
Certo la terza fa parte dell'uomo. Ma bisogna avere coraggio, e forza intellettuale, e continuare a ragionare.


E allora riprendo il bellissimo paesaggio descritto da Phil


"l muro che ti senti alle spalle potrebbe essere scalato (come farebbe il Nietzsche amante delle vette), decostruito (à la Derrida, per poi scavalcarne i ruderi), "ingegnerizzato" (come fanno gli epistemologi, per decidere dove costruire un varco), trasceso (come il "muro senza porta" del Wumen Guan zen), e magari anche altro... trovare il proprio muro è la "fortuna" di trovare qualcosa su cui lavorare  :) "
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

x maral p2

cit maral
"Ma quando entrano in ballo aspetti ontologici, politici, sociali e teologici? Come ce la caviamo rispetto alle pretese della "Cosa Unica"? Possiamo farne solo una questione di estetica per quanto la questione di estetica sia fondamentale? "

Esatto Maral, ESATTO!

cit maral
"La Cosa Unica accade continuamente nell'intrecciarsi e richiamarsi delle sue parti (delle sue periferie) e richiede solo che in questo suo accadere ci si riesca a mantenere in bilico, senza poterla vedere, o meglio, vedendola solo nella sua parzialità che persegue la sua particolare perfezione, dopo di ché tramonta e sopraggiunge una nuova parzialità destinata a compiere nell'intreccio la sua parte di cammino. La Cosa Unica è solo prassi che si spera si dimostri una buona prassi nei diversi ambiti dei nostri progetti da concludere prima o poi."

Ammesso e concesso che esita una cosa unica, amico Maral!
L'insieme delle pratiche è comunque sempre criticabile al tribunale della ragione.

La ragione, il logos è la filosofia ed appartiene a tutti gli uomini.
Ma l'informatizzazione del logos è l'unico vero problema.
Il problema è il gerarchico che viene prima della decisione se vi siano enti destinali (verso una perfezione o meno apparente).
Se noi supinamente accettiamo le prassi che ci informano, poi come potremmo decidere delle prassi stesse?
Se la prassi come in Sini diventa "vittima" del potere nascosto ossia diventa destinale, come potremmo decidere?

La decisione è evidentemente nell'originario, nella funzione di soggetto, nella sua libertà di apertura al Mondo, frutto del locale e dell'epocale.
Se vi è qualcosa che ci informa dovrebbe essere nel nostro sentimentale, nella guida che l'inconscio decide per noi.
Ma l'inconscio è ovviamente il simbolico, che si apre come canto e come danza (lo dice anche sini).
Che si apre alla storia nel cerchio, nel villaggio attorno al fuoco.
Perchè la comunità che sta attorno al fuoco, può vedere dietro le spalle di ogni osservatore, ogni parlante è coperto dalle minacce esterne. Dalla bestia. Dall'animale.
E' quello che ci racconta l'antropologia, l'archeologia.
Dunque l'altro è il rimedio contro l'oscurità.

Si carica di emozione primordiale, rifugio, sacralità. Dentro e fuori dal cerchio.
E infine si apre alla religione, al rapporto con la divinità.
Non è questione di credenza, è questione dell'"esser invasati", di apertura totale al simbolico.
Di danza intorno al fuoco.
L'essere "invasati" è di tutti. Vince allora la paura del cerchio spezzato.
E' la rottura del cerchio, il cerchio diventa magico, diventa non luogo, diventa coercizione a rimanere nel cerchio.
Dalle prime comunità ad oggi. Nulla è cambiato, dentro o fuori dalla città. Globalizzato o Allontanato???
L'iter è solare, con tutti gli errori annessi.


L'inconscio è la relazione con l'originario. La relazione è la metafisica (e il nuovo cerchio è l'oltreuomo nicciano).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

x phil

cit Phil
"Direi addirittura che il simbolo è il pre-testo del gerarchico, ovvero la cornice "testuale"(semantica) che precede l'installazione del gerarchico, in assenza di simbologia non può esserci gerarchia... non a caso, nel mondo animale la gerarchia c'è solo se lo leggiamo con lo sguardo simbolico umano, che distingue preda/predatore, maschio dominante/gregario, etc. ma nell'ombra gettata da quello sguardo tassonomico, nell'angolo cieco della visuale gerarchizzante, non ci sono categorie gerarchiche, ma solo istinto, fame e "programmazione genetica"... una volta istituito il simbolico, invece, la gerarchizzazione trova terreno fertile: tracciata una linea, ha poi senso parlare di aldiqua e aldilà, e la linea singola, se non erro, sia per gli egizi che per i popoli orientali, simboleggiava (intuitivamente) il numero uno, che è il concetto-simbolo per eccellenza, quello che fonda il principio di identità (che fonda la logica per come la conosciamo)"

Assolutamente sì Phil! Il punto è ovviamente nel dentro fuori dal cerchio (più che linea).
Nelle prima formulazione propriamente filosofica, Parmenide, l'uno è la sfera, il cerchio.
Ossia Parmenide si dà al suo originario come qualcosa che lo attornia perfettamente. Ossia come perfetta identificazione.
Cacciari in un recente convegno su Colli, ha fatto coincidere le 2 sfere, divina e umana.
Ha ragione, nel senso proprio che la metafisica riguarda da mooooolto vicino l'uomo.
L'apertura al proprio inconscio, è questa la chiave di volta della filosofia antica, nemmeno tanto velata.
(natura è tutto ciò che ama nascondersi).

La cortocircuitazione come posso dedurre facilmente dal tuo notevole scritto, è la fame.
Perchè è una questione di alleanze. La sfera di Parmenide coincide (per esempio) con la mia? No assolutamente no, il mio inconscio apre all'acqua, non apre ad una sfera. La sfera non mi appartiene.
Ora come ci alleiamo? se noi siamo diversi? Questa domanda sembra facile oggi, ma se la comunità era il cerchio, e la divinità era circolare, allora inconscio e comunità erano collettivi. E' una banalissima questione di proiezioni mentali.
Ma allora non lo sapevano. Gli DEI erano tra loro.
Il terrore era già pronto ad informare il simbolo. Per mantenere il cerchio dovevano mantenere l'unità.
Comincia la guerra delle immagini (che perdura ancora oggi).
Ecco allora la comunità dell'aquila, quella del cervo, quella del cane, quelle degli spirito guida.
Ogni animale diventa l'equivalente terzo, per ogni possibile relazione. E' l'inizio della famiglia.

E' una questione di alleanza, in "NOME DI" qualcosa. (all'epoca ovviamente erano animali, visto che erano predatori e preda insieme).
Nel nome del padre, significa in fin dei conti, affinchè rimaniamo uniti...etc...etc...

Terrore della fame, e uscita dal cerchio. E' la gerarchia da EVITARE.

E' da evitare perchè dimentica che il cerchio non è un valore a se stante (globalizzazione, europa etcc...), è un valore di relazione che abbiamo con gli altri.
E con gli Dei che ci abitano.

Il pensiero unico invece ha portato ad un solo DIO, e ad una solo comunità (improntate come esorcizzazione del terrore e della fame, e che hanno come prodotto aporistico un DIO TERRIBILE, portatore di terrore, e un cerchio terribile, (gli stati sovrano, portatori di guerre e di carestie) (o il suo equivalente ECONOMICO, il capitalismo produttore di fame).

Ma il cerchio era uno, e l'uomo era uno con il suo dio.

Il problema fu proprio quello dare il potere ad uno solo, (lo stregone). L'intero pensiero unico è improntato a questa stegoneria, ignorante, e non più sostenibile con le conoscenze odierne).

Questo è il punto 3 di anthony (o il punto 2 mio), Quello più propriamente metafisico.

ma come Mouss o Levi-strauss hanno notato, c'è qualcosa di ancora pià arcaico, e sono le strutture linguistiche. (di parentela).

su cui questo 3d si vorrebbe infine concentrare, anche se i discorsi metafisici sono parimenti importanti.

cit Phil

"Emanciparsi dalla gerarchia come struttura di senso, forse significherebbe abbandonare la dimensione simbolica, dunque compromettere la funzionalità della logica come strumento di indagine... senza più gerarchie, che fine fa il senso?"

ma infatti il punto non è inventare un sistema formale fine a se stesso, ma uno che controlli, la giusta formazione del senso (per ciascuno, non per tutti) ossia del simbolo appunto.

Produrre una identità (col proprio DIO in aiuto agli altri) funzionale a ciò che siamo, e non alla invenzione formale. (alias la famiglia, ma siccome è tabù, qui parleremo di società, di relazione con gli altri, che poi sarebbe in fin dei conti fuori dai tabù, come la società patriarcale insiste a fare, ANCHE una riorganizzazione dei sentimenti familiari).

la lingua cioè inficia anzitutto le relazioni umane. Io penso cioè che si può tranquillamente rimanere in cerchio senza addurre un "terzo", che mi pare sempre frutto di errori pregiudiziali storici, sedimentati, asfittici).

cit Phil

"Probabilmente no, perché il terzo è la relazione stessa"

L'ambizione di cui parlo è invece esattamente questa, che la relazione non centra con nessuna terzo.
Proviamo a pensare quando amiamo una donna o un uomo, quale terzo può intenderla?
Diciamo "ti amo", ma è una parola troppo stretta per contenere l'infinita gamma di sensazioni che proviamo.
Certo è un terziario, detto amore....ma non è la relazione stessa. Il "terziario" è un tentativo di tassonomica, aporetico, in quanto riguarda ciascuno e ciascuna. (e qualora diventasse la tassonomia la relazione stessa, cosa sempre più vera, bisogna ricorrere allo psicologo).
La stessa cosa deve avvenire nell'amicizia. E credo che questo sia il problema più grave che ci si staglia contro.
Non a caso il progetto Nietzche rimane per me primario.

cit Phil

"Maral ha ricordato il ruolo dell'estetica nel discorso gerarchico, e questa riflessione semiologica che proponi se coniugata con l'estetica diventa ermeneutica, allontanandosi quando basta dall'esattezza formale della logica epistemica (quasi "computazionale"), per aprire temi e problemi la cui soluzione non può essere trovata in un uso impeccabile dei meccanismi semantici... e ciò non riguarda solo l'estetica: ad esempio, il linguaggio influenza la politica, e viceversa, ma la soluzione ai problemi politici non è mai esclusivamente linguistica, perché "la giustizia" o, tornando agli antichi, "la saggezza", non è una questione di variabili o costanti, di fallacie, o di compilazione di assiomi con tavole di verità (la differenza fra la ragione dell'uomo e l'intelligenza artificiale è forse tutta qui...)."

ripeto il controllo è un meta-controllo sulla ermeneutica.  infatti siamo d'accordo.

cit Phil

"Cosa, quali indizi, ci fanno pensare che oggi (o domani), sia realmente possibile degerarchizzare il nostro approccio al mondo e all'altro uomo? Davvero è possibile una dimensione sociale, logica o anche solo linguistica che non richieda l'imprescindibile presenza di una gerarchia (più o meno latente o implicita, più o meno personale o condivisa, più o meno dogmatica o "fluida", etc.)?"

Ma gli indizi ce li ha dati la filosofia in questi 2400 anni della sua storia! ;)

Come ho detto sopra però non bastano! SERVE per forza di cose un linguaggio di controllo.


cit Phil

"Citazione da: maral - 26 Maggio 2017, 23:54:02 pm
Alla domanda su come si faccia a innalzare propriamente e concordemente il livello dei discorsi Carrera trova che non sia possibile dare risposta
e questa stessa domanda presuppone una gerarchia, o meglio, molteplici gerarchie... altrimenti diventa una domanda che non ha condizioni di possibilità di risposta..."

Più che altro se ogni discorso periferico è gerarchico, anche la proposta di comparazione, produrrà come risultato, quello che era nelle premesse, e cioè che non esiste gerarchia, essendo tutte equivalenti nell'essere gerarchizzate non vedranno l'evidenza che le informa.

La linguistica a se stante, non serve a niente. Non mi si fraintenda!

Altrimenti non si capirebbe perchè ce l'ho tanto con gli analitici!!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Phil

Citazione di: green demetr il 28 Maggio 2017, 19:41:53 PM
L'ambizione di cui parlo è invece esattamente questa, che la relazione non centra con nessuna terzo.
Proviamo a pensare quando amiamo una donna o un uomo, quale terzo può intenderla?
Diciamo "ti amo", ma è una parola troppo stretta per contenere l'infinita gamma di sensazioni che proviamo.
Certo è un terziario, detto amore....ma non è la relazione stessa. Il "terziario" è un tentativo di tassonomica, aporetico, in quanto riguarda ciascuno e ciascuna
Per "terzo" elemento non credo vada inteso il "terzo incomodo" di un triangolo ( ;) ), ma l'esser terzo fattore costituito dal vissuto di relazione: non c'è amore o amicizia che si fondi solo sulla diade io/tu, senza il vissuto della relazione come terzo elemento imprescindibile (come nella "trinità incendiaria" combustibile, comburente e innesco  ;D )


Citazione di: green demetr il 28 Maggio 2017, 19:41:53 PMripeto il controllo è un meta-controllo sulla ermeneutica
Forse in Chaim Perelman puoi trovare spunti interessanti al riguardo (gemellaggio fra epistemologia ed ermeneutica...).

Citazione di: green demetr il 28 Maggio 2017, 19:41:53 PM
cit Phil

"Cosa, quali indizi, ci fanno pensare che oggi (o domani), sia realmente possibile degerarchizzare il nostro approccio al mondo e all'altro uomo? Davvero è possibile una dimensione sociale, logica o anche solo linguistica che non richieda l'imprescindibile presenza di una gerarchia (più o meno latente o implicita, più o meno personale o condivisa, più o meno dogmatica o "fluida", etc.)?"

Ma gli indizi ce li ha dati la filosofia in questi 2400 anni della sua storia! ;)
La storia della filosofia ci fornisce indizi sulla possibilità di un pensiero non gerarchico? Non so, ma direi che quella storia dimostra piuttosto, fino a prova contraria, che ogni forma di comprensione è sempre gerarchica, sempre com-presa in una gerarchia (anche quando prova ad essere svincolata: nel momento in cui si struttura propositivamente, e non solo criticamente, la sua assiologia, la sua simbologia, è inevitabilmente la matrice di una ulteriore gerarchizzazione...).
D'altronde, la gerarchia non è altro che la coniugazione del pensiero dicotomico che fonda la cultura occidentale (giusto/sbagliato, vero/falso, etc.), per cui mettersi fuori dalla gerarchia è uscire dalla dicotomia, e uscire dalla dicotomia è uscire dal discorso logico (ed ecco che fa prontamente capolino l'estetica, con la sua leggerezza malinconica...). Sarebbe come se un computer volesse rinnegare il suo codice binario: smetterebbe di essere programmato/programmabile (e non sarebbe più un computer... forse un oltre-computer?  ;) ).
Comunque, restando nell'umano, ciò che non ha gerarchia è ciò che non è stato ancora compreso, ovvero il casuale (il lancio della moneta, vera o falsa che sia): ciò che non è compreso non può essere preso dalle maglie della gerarchia, ma ciò che non è compeso non è fruibile, non è controllabile, non è inquadrabile nettamente (per questo gli antichi cercavano di esorcizzarlo caratterizzandolo con "il fato", "il destino", o "la volontà degli dei": per capirlo, carpirlo, padroneggiarlo, nei limiti della possibile ragionevolezza, non potevano che gerarchizzarlo...).

maral

Citazione di: green demetr il 28 Maggio 2017, 19:34:49 PM
Ma l'inconscio è ovviamente il simbolico, che si apre come canto e come danza (lo dice anche sini).
Che si apre alla storia nel cerchio, nel villaggio attorno al fuoco.
Perchè la comunità che sta attorno al fuoco, può vedere dietro le spalle di ogni osservatore, ogni parlante è coperto dalle minacce esterne. Dalla bestia. Dall'animale.
E' quello che ci racconta l'antropologia, l'archeologia.
Dunque l'altro è il rimedio contro l'oscurità.
Il cerchio ... (Sini ne parla spesso: gli esseri umani escono dalla foresta ove ognuno consumava da solo il suo pasto e, nello spazio aperto della savana, si mettono a consumarlo insieme, in cerchio, così che l'un l'altro si proteggono le spalle).
Certamente il cerchio è il simbolo migliore per un mondo privo di gerarchie: ogni elemento del cerchio è ugualmente distante dal centro, ogni elemento del cerchio vede il compagno e il pericolo che sopraggiunge. L'uno per l'altro, l'uno a salvaguardia dell'altro, tutti permeati dalla stessa fiducia che mantiene saldo il centro, come i cavalieri nella leggenda. E' la fiducia reciproca a mantenere unito il cerchio attorno al centro, altrimenti il simbolo si spezza e va in frantumi. E il centro è vuoto, ma c'è, non può non esserci finché c'è il cerchio.
In fondo è proprio il cerchio la "cosa unica" dell'opera alchimistica, sempre in procinto di spezzarsi per chiedere di farsi ritrovare. Dovremmo allora esercitarci nell'arte di fare cerchi disegnando così topografie viventi? Nel cerchio alla fine tutto torna, finché il centro (la fiducia che riempie quel punto di vuoto) regge.   

Phil

Citazione di: green demetr il 28 Maggio 2017, 19:34:49 PM
Perchè la comunità che sta attorno al fuoco, può vedere dietro le spalle di ogni osservatore, ogni parlante è coperto dalle minacce esterne.
Citazione di: maral il 30 Maggio 2017, 22:33:57 PM
Certamente il cerchio è il simbolo migliore per un mondo privo di gerarchie: ogni elemento del cerchio è ugualmente distante dal centro
[restando nella metafora] Più sono i membri della comunità e più il cerchio si allarga, più si allarga e più ci si allontana dal fuoco centrale, perdendo luce e calore... sorge quindi l'esigenza di più fuochi, ed ecco allora i due fuochi dell'ellisse... ellisse che, nei punti più bui e freddi (quelli al centro), si spezza e diventa doppio cerchio; ognuno intorno al suo fuoco (similmente a ciò che avviene nella mitosi cellulare; micro e macro si emulano  ;) ).
A quel punto, il nemico non è più solo quello della fredda oscurità circo-stante, ma è anche l'altro cerchio: la nuova comunità da cui poter prendere (e che, a sua volta, forse vuole prendere) ulteriore fuoco, cibo e donne (da Prometeo al ratto delle Sabine...).
Morale della favola: finché la comunità è piccola, il cerchio regge, quando cresce, si frammenta, e mai in modo concentrico (ogni periferia ha il suo nuovo centro...). Bio-geometria spicciola della storia dell'uomo  ;D

P.s.
Nel cerchio non c'è gerarchia? Secondo me c'è, è la gerarchia della voce: la voce forte che raggiunge tutti i membri del cerchio, la voce che circola ovunque può essere dominante; mentre la voce che non circola, o peggio, che circola distorta dal passa-parola, non può essere saldamente egemonica...

Discussioni simili (5)