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Un motivo per vivere

Aperto da Ivo Nardi, 29 Dicembre 2017, 17:49:39 PM

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baylham

Per fortuna non c'è un motivo per cui si debba vivere.

InVerno

Per la bellezza.. e anche perchè non c'è un buon motivo per morire.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Angelo Cannata

Citazione di: baylham il 02 Gennaio 2018, 10:16:45 AMPer fortuna non c'è un motivo per cui si debba vivere.
Mi hai fatto ricordare una brevissima intervista ad Alberto Moravia, che anni fa si vide in TV. Mentre scendeva dalla macchina (o vi saliva, non ricordo; mi dispiace non essere più riuscito a trovarla in alcun modo) gli chiesero che senso avesse secondo lui la vita. Egli rispose qualcosa del genere: "Con tutti i mali che già nella vita ci sono, ci mancherebbe solo di aggiungere quest'altro, che essa debba avere un senso".

sgiombo

Citazione di: Socrate78 il 30 Dicembre 2017, 12:45:14 PM
Il senso della vita è semplicemente VIVERE, cercando quindi di conservarsi in vita nel migliore dei modi, di cercare sempre il proprio utile mettendolo al primo posto: sacrifici, rinunce, privazioni, anche per gli altri, anche per la società, anche per astrazioni come la "giustizia" (giustizia per chi poi? Abbasso le utopie!) sono solo asservimenti, idee pericolose che limitano la libertà e conducono la persona a fare sovente il proprio male. L'etica del sacrificio secondo me è un errore, la ragione mi porta a stabilire ciò che mi conviene e se per un ideale io devo mettere a rischio la mia stessa vita o la mia incolumità significa che quell'idea è da rigettare come cattiva e pericolosa. Il senso della vita è quindi essere sostanzialmente egoisti e anzi abbattere i condizionamenti sociali, morali,ideologici di ogni tipo, in nome dell'affermazione libera dell'Io. In questo senso bene=vita e tutto ciò che conserva la vita, male=morte e tutto ciò che mette a repentaglio la vita e la danneggia, la depriva.
CitazioneIL MIO DISSENSO NON POTREBBE ESSERE PIU' TOTALE E ASSOLUTO ! ! !


Le persone fanno sovente il proprio male perché hanno aspirazioni (la soddisfazione delle quali é bene, felicità, gioia, piacere, ecc., l' insoddisfazione delle quali é male, infelicità, tristezza, dolore , ecc.) almeno in parte reciprocamente incompatibili (non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca!) e solitamente (salvo casi di estrema sfortuna oggettiva, purtroppo reali) agiscono irrazionalmente o in maniera non sufficientemente razionale: calcolando male ciò che é effettivamente, realsticamente possibile fare, i mezzi a ciò necessari (e i "prezzi da pagare" per ottenere i beni che si sceglie di perseguire), o addirittura agendo d' istinto e sventatamente, senza riflettere, senza soppesare adeguatamente i pro e i contro delle proprie azioni, abbagliati da beni immediati i quali potrebbero rivelarsi in teoria previamente, in seguito a una valutazione razionale adeguata e anche "a lungo termine", e inesorabilmente di fatto a posteriori si rivelano effimeri e comunque più o meno di gran lunga superati dagli "effetti collaterali negativi" non calcolati e non previsti che necessariamente, oggettivamente comportano).

Sacrifici, rinunce, privazioni, anche per gli altri, anche per la società, anche per aspirazioni come quella alla giustizia (giustizia per quanti più senzienti possibile. Viva i progetti scientificamente fondati di progresso e di giustizia sociale!) possono essere in linea teorica, di principio e spessissimo in linea pratica, di fatto sono dunque, a considerare correttamente, realisticamente le cose (se si assume un giusto, corretto atteggiamento verso la vita e le sue reali caratteristiche oggettive, guardando in faccia la realtà ed evitando insoddisfabili e utopistiche pretese "assolute" e incondizionate di felicità e benessere) beni per lo meno relativi (beni non in quanto fini in se stessi, ma in quanto mezzi necessari, inevitabili per conseguire condizioni di felicità e benessere maggiori, una vita complessivamente buona  ed evitare infelicità e malesseri maggiori, una vita complessivamente cattiva; e questo vale  individualmente e socialmente, a proposito dell' umanità presente e di quella realmente e comunque potenzialmente futura).

 L'etica del sacrificio secondo me è un il giusto, corretto approccio alla vita, foriero di felicità complessiva, la ragione mi porta a stabilire ciò che mi conviene e se per un ideale che sento sufficientemente forte, lottare per il qualere mi dà sufficiente soddisfazione io devo mettere a rischio la mia stessa vita o la mia incolumità significa che quell'idea è ottima e da perseguire ad ogni costo, anche a costo della vita:

L' autentica, reale beatitudine delle persone virtuose e magnanime (dei "santi") non sta in nessuna (insistente) "altra vita futura", come pretenderebbero le religioni, ma invece nella loro vita reale mentre é attualmente presente, anche nell' affrontare, se necessario, qualsiasi sacrificio, compreso, al limite, quello correntemente detto "estremo" o "supremo".
Perché, come ben sapevano gli antichi stoici (ma non solo; per esempio anche il cristiano Severino Boezio, che lo testimoniò con la sua gloriosa e felice morte),

"La virtù é premio a se stessa".

Il senso della vita è quindi essere sostanzialmente se stessi:
e dunque (fra l' altro) se si é magnanimi, altruisti, generosi (per dirlo alla maniera degli antichi stoici "virtuosi") lottare per abbattere i condizionamenti sociali, morali, ideologici di ogni tipo, in nome dell'affermazione libera della civiltà umana e del maggiore benessere possibile per il maggior numero possibile di umani e di senzienti (e solo se si é più o meno miserabilmente gretti e meschini -"viziosi"- perseguire il proprio vantaggio a scapito degli altri).



sgiombo

Citazione di: Socrate78 il 30 Dicembre 2017, 19:36:54 PM
@Angelo Cannata: Io ti chiedo però: l'etica e la razionalità morale è qualcosa che nasce da motivi idealistici o egoistici? Io propendo per la seconda ipotesi, mi riconosco in molte opinioni espresse da Nietzsche (il mio filosofo preferito) in merito all'origine egoistica della morale, come si legge nel testo "Umano troppo umano", quando dice: "Dove voi vedete le cose ideali, io vedo cose umane, ahi troppo umane...". Infatti l'atteggiamento individualista ed egoista viene condannato in nome dell'egoismo stesso, l'uomo elabora una serie di valori per influenzare il comportamento del singolo ed asservirlo alle esigenze dell'Ego o di gruppi sociali che intendono dominare la società: in questo senso il "buono" è colui che si presta ad essere un mezzo per le esigenze degli altri o di gruppi sociali, anche a scapito dei suoi interessi. Ora, onestamente, non ti suscita un senso di ribellione interna e di rifiuto questa cosa? Sostanzialmente è come voler manipolare il singolo per asservirlo al sistema, limitandolo nelle possibilità di ottenere vantaggi, benefici, in nome della tranquillità, della sicurezza altrui, ecc.
CitazioneQuesto significa confondere "felicità" con "egoismo" e infelicità" con "altruismo": concetti completamente diversi (e a mio modesto parere sintomatici di egoismo)!

Felici, appagati, contenti si può essere tanto se si é egoisti quanto se si é altruisti e infelici, scontenti inappagati si può essere tanto se si é altruisti quanto se  si é egoisti.
Perché essere felici, appagati, contenti significa ottenere ciò che si desidera, mentre essere infelici, scontenti, inappagati significa non ottenere ciò che si desidera del tutto indipendentemente da che cosa sia o non sia l' oggetto del desiderio positivo o negativo stesso (che sia il bene proprio a spese di quello altrui o il bene altrui a spese del proprio o una qualche delle infinite "vie di mezzo" fra questi estremi).

Dunque chi é più o meno altruista. generoso e magnanimo é felice, appagato e contento nel fare in maggiore o minor misura il bene degli altri e infelice nel non riuscire a farlo, chi é più o meno egoista, gretto e meschino é felice, appagato e contento nel fare in maggiore o minor misura il bene proprio a scapito degli altri e infelice nel non riuscire a farlo.

epicurus

Citazione di: Webmaster il 29 Dicembre 2017, 17:49:39 PM
Cosa rispondereste a una persona che vi chiede: Mi dici un solo motivo per cui dovrei vivere?
La persona che vi pone tale domanda non ha intenzioni di uccidersi, non è depressa e non è triste, quindi tutti i motivi legati a varie problematiche esistenziali sono da escludere, dovreste solo dirle il motivo per cui, secondo voi, vale la pena di vivere la nostra esistenza.

Siamo nella sezione dedicata alla filosofia quindi vorrei che escludeste ogni riferimento religioso.
Grazie e sereno anno nuovo.

Ciao Ivo, buon anno anche a te e a tutti gli utenti.

Mi dici un solo motivo per cui dovrei vivere?

Purtroppo una risposta netta e semplice a questa domanda, secondo me, non c'è. Non perché la domanda sia intrinsecamente difficile, o addirittura oltre alle nostre limitate capacità, bensì perché tale domanda deve prima essere spiegata agli altri, ma prima di tutto a se stessi.

Condivido l'approccio di Phil, che spinge a chiarirsi le idee su alcuni concetti e assunti accettati implicitamente ed inconsapevolmente ma che necessitano di un'analisi attenta:
Citazione di: Webmaster il 29 Dicembre 2017, 17:49:39 PMRisponderei con alcune (meta)domande, per definire l'orizzonte di senso in cui la domanda principale si pone: per vivere deve esserci almeno un motivo? Questo motivo deve essere uguale per tutti? La ricerca di tale motivo può essere un motivo valido? Conosci già dei motivi per cui non dovresti vivere? In che modo il "dovere" può inficiare il "vivere" ponendo all'individuo la questione del suo "dover vivere"?
Rispondendo accuratamente a queste domande, secondo me, si è già (almeno) a metà strada...

Innanzitutto, noi diamo e cerchiamo motivi in una moltitudine di contesti di vita ordinaria e le risposte sono solitamente semplici e immediata. Esempio: il motivo del mio andare al panificio è che mi serve del pane. X ha uno scopo e tale scopo è il motivo di una sua data azione. Ma allora perché non è così banale chiedere "qual è un motivo per cui dovrei vivere?"? Penso perché il vivere è la precondizione di avere scopi e motivi particolari.

La differenza tra (A1) "Qual è il motivo per cui vai al panificio?" e (A2) "Qual è il motivo per cui dovrei vivere?" è in qualche modo simile alla differenza che c'è tra (B1) "Perché c'è un divano nuovo in casa mia?" e (B2) "Perché esiste un universo invece del nulla?". Spiegare un fatto, cercare motivi, presuppone l'esistenza di altri fatti che possono essere presi come motivi e spiegazioni. Ma (A2) e (B2) si vogliono innalzare sopra ogni cosa, quindi non abbiamo più nulla da utilizzare per rispondere. (Vedi: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/perche-ce-qualcosa-anziche-il-nulla/msg12877/#msg12877)

Infatti se alla domanda di questo topic rispondessi "Un motivo per vivere è X", ci si potrebbe chiedere un motivo di tale scelta, e così via. La domanda, intesa nel senso metafisico, non ha risposta perché non è una domanda ben formulata. Voglio enfatizzare questa cosa: non significa che non ci sono motivi per vivere, significa che "X è un motivo per vivere" e "non ci sono motivi per vivere" sono entrambe due affermazioni senza senso.

Lasciando da parte l'approccio metafisico, cosa ci rimane? L'approccio umano, cioè intendere la domanda (come molti qui hanno già inteso) in questo modo:

Quali sono gli ideali per cui io vivo?

Ecco, questa ovviamente è una domanda legittima che può avere infinite risposte. Ma ciò è normale, visto che questa domanda, al contrario di quella metafisica, va a sondare il senso morale ed estetico delle persone che quindi la risposta non può che essere estremamente personale.

Apeiron

Buon anno Webmaster  :)

Personalmente: l'Eudaimonia, intesa come l'esistenza autentica (ovviamente, si dà il caso che non ho ancora trovato cosa voglia dire per me "esistenza autentica"...)  :)



Citazione di: epicurus il 12 Gennaio 2018, 11:00:58 AM

Innanzitutto, noi diamo e cerchiamo motivi in una moltitudine di contesti di vita ordinaria e le risposte sono solitamente semplici e immediata. Esempio: il motivo del mio andare al panificio è che mi serve del pane. X ha uno scopo e tale scopo è il motivo di una sua data azione. Ma allora perché non è così banale chiedere "qual è un motivo per cui dovrei vivere?"? Penso perché il vivere è la precondizione di avere scopi e motivi particolari. La differenza tra (A1) "Qual è il motivo per cui vai al panificio?" e (A2) "Qual è il motivo per cui dovrei vivere?" è in qualche modo simile alla differenza che c'è tra (B1) "Perché c'è un divano nuovo in casa mia?" e (B2) "Perché esiste un universo invece del nulla?". Spiegare un fatto, cercare motivi, presuppone l'esistenza di altri fatti che possono essere presi come motivi e spiegazioni. Ma (A2) e (B2) si vogliono innalzare sopra ogni cosa, quindi non abbiamo più nulla da utilizzare per rispondere. (Vedi: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/perche-ce-qualcosa-anziche-il-nulla/msg12877/#msg12877) Infatti se alla domanda di questo topic rispondessi "Un motivo per vivere è X", ci si potrebbe chiedere un motivo di tale scelta, e così via. La domanda, intesa nel senso metafisico, non ha risposta perché non è una domanda ben formulata..
Epicurus, quanto tempo e buon anno anche a te!  :) Curiosità: secondo te (A2) e (B2) sono domande senza senso o sono enigmi impossibili da risolvere con la sola razionalità (che è diverso dal concetto di "ragionevolezza "! per esempio non ho mai trovato una dimostrazione per cui le altre persone sono coscienti - e quindi non posso a rigore crederlo "razionalmente" - ma ritengo ragionevole che lo siano ;) ) ?  è lecito fare delle ipotesi di risposta a tali domande o non posso farlo?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

#37
Citazione di: Apeiron il 12 Gennaio 2018, 11:59:43 AM

Citazione di: epicurus il 12 Gennaio 2018, 11:00:58 AM

Innanzitutto, noi diamo e cerchiamo motivi in una moltitudine di contesti di vita ordinaria e le risposte sono solitamente semplici e immediata. Esempio: il motivo del mio andare al panificio è che mi serve del pane. X ha uno scopo e tale scopo è il motivo di una sua data azione. Ma allora perché non è così banale chiedere "qual è un motivo per cui dovrei vivere?"? Penso perché il vivere è la precondizione di avere scopi e motivi particolari. La differenza tra (A1) "Qual è il motivo per cui vai al panificio?" e (A2) "Qual è il motivo per cui dovrei vivere?" è in qualche modo simile alla differenza che c'è tra (B1) "Perché c'è un divano nuovo in casa mia?" e (B2) "Perché esiste un universo invece del nulla?". Spiegare un fatto, cercare motivi, presuppone l'esistenza di altri fatti che possono essere presi come motivi e spiegazioni. Ma (A2) e (B2) si vogliono innalzare sopra ogni cosa, quindi non abbiamo più nulla da utilizzare per rispondere. (Vedi: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/perche-ce-qualcosa-anziche-il-nulla/msg12877/#msg12877) Infatti se alla domanda di questo topic rispondessi "Un motivo per vivere è X", ci si potrebbe chiedere un motivo di tale scelta, e così via. La domanda, intesa nel senso metafisico, non ha risposta perché non è una domanda ben formulata..
Epicurus, quanto tempo e buon anno anche a te!  :) Curiosità: secondo te (A2) e (B2) sono domande senza senso o sono enigmi impossibili da risolvere con la sola razionalità (che è diverso dal concetto di "ragionevolezza "! per esempio non ho mai trovato una dimostrazione per cui le altre persone sono coscienti - e quindi non posso a rigore crederlo "razionalmente" - ma ritengo ragionevole che lo siano ;) ) ?  è lecito fare delle ipotesi di risposta a tali domande o non posso farlo?
CitazioneIn attesa di quella di Epicurus (ben tornato anche da parte mia!) accenno a una risposta mia.

Secondo me si tratta di due questioni diverse.
Superare lo scetticismo assoluto (a mio parere conseguenza inevitabile di un razionalismo -o critica razionale- del tutto conseguente "fino in fondo", portato alle estreme conseguenze)  per ammettere "ragionevolmente" un minimo di tesi indimostrate-indimostrabili senza credere le quali (o almeno senza che fosse come se si credessero le quali) non si agirebbe ma ci si abbandonerebbe alla passività più totale é un conto.
E' un modo di vivere e pensare coerentemente a come si vive (perché il razionalismo conseguente fino in fondo, venendo inevitabilmente a coincidere a mio parere con lo scetticismo, sarebbe incoerente -ovvero contraddittorio- con il perseguire attivamente qualsiasi scopo in qualsiasi circostanza attraverso determinati mezzi ritenuti efficaci: se lo si fa, allora per lo meno ci si comporta come se si credesse qualche verità indimostrabile).

Invece porsi il problema del senso (dello scopo, del "perché"?) circa qualcosa (come é la realtà in toto) che non é arbitrariamente voluto e realizzato da un soggetto cosciente di conoscenza e di azione intenzionale, soggettivamente deliberata (e magari di libero arbitrio) non ha senso.

Ha senso chiedersi perché, a quale scopo, con che senso qualcuno fa intenzionalmente qualcosa (qual' é la sua intenzione nel farlo, per l' appunto).
Ma perché, a quale scopo, con che senso é reale (accade realmente) qualcosa di non intenzionalmente, non deliberatamente "fatto", realizzato (=reso reale, da meramente intenzionale, immaginativo che fosse stato) non ha senso: é un indebito atteggiamento antropomorfo verso la realtà.

Inoltre, limitandoci a considerare ciò che non é deliberatamente, intenzionalmente (soggettivamente) realizzato, ma semplicemente é (oggettivamente) reale, spiegazione di qualcosa (ente o evento) può essere qualcos' altro (altrimenti tale ente o evento, essendo spiegazione di se stesso, autospiegandosi, non abbisogna di, non ha altre spiegazioni da esso diverse): per esempio di determinati enti-eventi naturali sono spiegazioni le leggi fisiche generali astratte universali e  costanti del divenire naturale e i fatti particolari particolari concreti variabili e reciprocamente diversi che lo hanno preceduto "evolvendo in esso" secondo e leggi fisiche stesse.

Ma oltre al tutto, alla totalità del reale per definizione non é/accade reale/realmente alcunché (d' altro) che ne possa eventualmente costituire la spiegazione.

Dunque la realtà in toto può essere sensatamente considerata autospiegantesi o -ovvero?- senza spiegazione ad essa stessa ulteriore, da essa stessa diversa, ma non sensatamente spiegata (da alcunché di altro da essa diverso, ad essa ulteriore): sarebbe contraddittorio ovvero insensato pretendere di farlo.





Apeiron

#38
@sgiombo, credo che hai frainteso quello che volevo dire. Visto l'equivoco, colgo l'occasione di usare questa mia risposta al tuo ultimo post per una volta per tutte dire qual è la mia posizione su meta-fisica ecc (quindi di fatto è una risposta che va oltre gli scopi del tuo post...). Non so se possa aiutare però visto che il termine "metafisica" è stato usato, beh a questo punto è "giusto" dare ad esso un significato non troppo ambiguo.

Allora se per metafisica l'attività di studio della realtà che parte dal presupposto che si possa avere una "teoria rigorosa" delle cose completamente dimostrata, inattaccabile ecc allora anche io sono d'accordo che questo tipo di "metafisica" è effettivamente dogmatica, oltre che probabilmente impossibile (via Goedel più che Wittgenstein e filosofi del linguaggio vari, postmordenisti ecc). Motivo per cui riguardo alla domanda: "è possibile dimostrare l'esistenza di altre coscienze oltre la mia?" non risponderei con un categorico e secco "NO!" ma con un "molto probabilmente no, ma onestamente non saprei".

Se invece per "metafisica" si intende l'attività (non dottrina, attenzione!) in cui si fanno ipotesi sulla realtà e se ne discute la ragionevolezza senza avere necessariamente la pretesa di "dimostrare tutto" allora in questo caso mi ritengo un "metafisico". Su questo credo si siano avuti molti equivoci, polemiche ecc in queste ultime settimane. Tutti questi equivoci secondo me nascono dal non saper distinguere la razionalità dalla ragionevolezza. Altri equivoci e altre polemiche sono nate probabilmente anche perchè a parole come "metafisica" si danno significati differenti. Oppure da incomprensioni completamente involontarie che nascono magari dal fatto di non esprimersi in modo chiaro... Secondo me almeno per questo tipo di "metafisica" è giusto ammetterlo. Mi sembra la cosa meno dogmatica che ci sia, però amen come ho detto altrove non mi va spiegare il motivo per cui ritengo che questa metafisica sia ammissibile (le domande ad Epicurus erano rivolte a sentire la sua opinione su questo tipo di metafisica non certo ad iniziare la discussione se è ammissibile o no. Se lui ritiene che non lo è, ok. Si dà il caso che per me invece è ammissibile...). Per esempio dico che l'universo è regolare anche se non è possibile dimostrare una tale affermazione ma considerando il successo della scienza non credo che la matematica "funzoni" per "puro caso". Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/The_Unreasonable_Effectiveness_of_Mathematics_in_the_Natural_Sciences

Come per esempio quest'ultimo caso. Non avevo intenzione di dire che il problema è lo stesso. Semplicemente volevo dire che secondo me chiedersi "la vita ha un senso?" oppure "perchè esiste qualcosa anziché il nulla?" sono certamente domande che non si riferiscono a nulla di empirico ma secondo me questo non ne invalida il senso. Per esempio* se il cristianesimo è vero entrambe hanno perfettamente senso e hanno anche una risposta almeno parziale (=visto che il "piano di Dio" in fin dei conti è conoscibile dall'uomo in minima parte. Ergo a rigore sono domande la cui risposta c'è ma trascende le nostre capacità). Se invece ad esempio Cioran (e altri anti-natalisti non religiosi contemporanei) ha ragione invece la prima o ha una risposta negativa o è insensata mentre la seconda o è un "imponderabile" (=questione irrisolta), o è un'insensatezza (=domanda senza senso).

Attualmente ritengo entrambe domande che hanno un senso (in particolare la seconda è legata all'Eudaimonia...) e hanno una risposta ma tale risposta "va oltre le nostre capacità". Si dà il caso poi che altrove ho già detto non ero d'accordo con il tuo spinozismo  ;D



La domanda l'ho fatta più che altro per semplice curiosità sulla posizione di Epicuro  ;) dire che tali domande sono senza senso è ben diverso da dire che non hanno una risposta o sono imponderabili!



*Ho citato il cristianesimo come titolo d'esempio.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

donquixote

Citazione di: Webmaster il 29 Dicembre 2017, 17:49:39 PM
Cosa rispondereste a una persona che vi chiede: Mi dici un solo motivo per cui dovrei vivere?
La persona che vi pone tale domanda non ha intenzioni di uccidersi, non è depressa e non è triste, quindi tutti i motivi legati a varie problematiche esistenziali sono da escludere, dovreste solo dirle il motivo per cui, secondo voi, vale la pena di vivere la nostra esistenza.

Siamo nella sezione dedicata alla filosofia quindi vorrei che escludeste ogni riferimento religioso.
Grazie e sereno anno nuovo.

A mio avviso esiste, umanamente parlando, un solo motivo per vivere che però diventano indefiniti, tanti quanti sono gli uomini; in altre parole ogni uomo ha un "suo" motivo particolare per vivere, diverso da tutti gli altri poichè ogni uomo è unico e irripetibile. Questo motivo è, come diceva Nietzsche riprendendo Pindaro, diventare ciò che si è, ovvero esprimere al massimo livello le proprie potenzialità creative attraverso quella che sempre Nietzsche chiama "volontà di potenza"; il termine potenza non deve essere infatti in questo caso assimilato a dominio o prevaricazione, ma appunto a potenzialità, a possibilità, da attualizzare nel mondo attraverso la propria volontà, e la sua realizzazione presuppone la preventiva ottemperanza al celeberrimo precetto delfico "conosci te stesso".
In conformità al principio di ragione (nihil est sine ratione) ogni ente presente nell'universo ha almeno una ragione per esserci (perchè, banalmente, se non ce ne fosse alcuna semplicemente non sarebbe) e questa è sempre interna all'ente stesso e dall'esterno si può solo ipotizzare senza mai esserne certi. Di conseguenza anche ogni uomo ha la sua particolare ragione per essere al mondo che può conoscere lui solo, e come ogni altro ente vi si deve adeguare per partecipare, pro quota, al processo creativo globale secondo il suo talento, la sua virtù, la sua "techné" particolare e unica. 
Nei tempi attuali sono altre le esortazioni a cui gli uomini si conformano (o tentano di farlo): una è "diventa ciò che vuoi" solennemente sancita dalle moderne costituzioni liberali, che si interseca e si completa con "diventa ciò che puoi", motto principe dell'egoismo stirneriano; il desiderio e il potere di realizzarlo diventano quindi la ragione di vita della maggior parte dell'umanità, determinando una progressiva ipetrofia dell'ego di ognuno che confliggerà con quelli altrui causando una diminuzione di senso e di felicità nella vita di coloro, la grande maggioranza, che si troveranno schiacciati dai pochi che aumenteranno sempre più il loro potere sui molti a proprio esclusivo vantaggio. Ci troviamo quindi a fare i conti con una gran parte dell'umanità che se da un lato vive da "parassita" nel mondo in quanto non riesce a dare un senso al proprio esserci e si limita a consumare risorse senza fornire alcun contributo creativo,  dall'altro è funzionale al "senso della vita" dei pochi che la sfruttano per alimentare quello che, sempre Nietzsche, chiamava "egoismo malato".
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Jacopus

#40
Per Don Quixote: a me sembra che se il motivo per vivere sia la stessa essenza e la ricerca di ciò che si è, si rischia la tautologia e anche la descrizione di un mondo immobile, dove ognuno fa quello che fa perchè è così: quindi se il daimon di tizio è violentare, la sua violenza è l'ottemperanza della sua ragione di essere?
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

sgiombo

X Apeiron

Veramente in questa discussione non ho usato il termine "metafisica", ho parlato d' altro.
Forse mi confondi con Angelo Cannata.


Sull' indimostrabilità dell' esistenza reale di altre esperienze coscienti oltre alla propria immediatamente esperita, vissuta, a mio parere si può averne certezza (dell' indimostrabilità, ovviamente, non dell' inesistenza di altre coscienze).

Infatti se fosse possibile dovrebbe trattarsi:

o di una prova empirica a posteriori (ma per definizione ciò di cui può aversi esperienza é (fa parte della) coscienza immediatamente esperita "in proprio" (da parte di ciascuno, se altri oltre a me –come credo ma non posso dimostrare ci sono realmente);

oppure di una dimostrazione logica (ma questa implicherebbe necessariamente l' impossibilità (l' impensabilità sensata) del contrario, della non realtà di alcunché di altro oltre alla propria coscienza immediatamente esperita, cosa che non é: può ben immaginarsi non contraddittoriamente, sensatamente che altre esperienze coscienti esistano (oltre che non ne esista alcuna); e anche che esistano cose in sé o noumena, letteralmente reali "oltre" ciò che si percepisce fenomenicamente, compresa la realtà fisica (oltre che quella psichica), cioè "metafisiche" (esistenza alla quale pure io credo, anche se non posso provarla).


Naturalmente potrei sbagliarmi, ma credo proprio che sulle altre considerazioni del tuo ultimo intervento (deismo, o meglio provvidenzialismo teistico, sia pure trascendentale) Epicurus dissenta più o meno come ne dissento io.
E non mi stupirei se e Epicurus, con Schlik, sostenesse anche che le domande senza risposta sono senza senso mentre tutte le domande sensate hanno una risposta empiricamente rilevabile, almeno in linea di principio se non di fatto (e su questo personalmente non sarei d' accordo).

Ma staremo a vedere.

Apeiron

#42
@sgiombo,

non ti ho scambiato per nessuno, mi sono espresso male di nuovo io  ;D

appunto so che non mi hai chiesto a riguardo della "metafisica" (e ho detto nel mio post che la mia risposta andava oltre le tue domande ;) ). Hai voluto distinguere il problema dello scetticismo da quello del "senso della vita", "del motivo per cui c'è qualcosa ecc". Ma Epicurus secondo me ha problematizzato la "metafisica".

Per essere più espliciti: sono due problemi diversi. Il problema dello scetticismo è un conto, quello del "senso della vita" un altro. Sul primo siamo d'accordo. Sul secondo pare di no  ;)  



Tuttavia entrambi sono problemi "meta-fisici", sui quali secondo me è lecito fare ipotesi. Se poi uno creda che ad esempio il problema dello scetticismo sia possibile fare ipotesi mentre sull'altro no è un'altra cosa. Così come è un'altra cosa ancora dire che è ragionevole pensare che lo scetticismo sia risolvibile mentre è irragionevole pensare ad un senso della vita.


In sostanza la mia domanda ad Epicurus è questa... giustamente non possiamo dire che il "senso della vita" sia risolvibile allo stesso modo del senso per cui si va al panificio (su cui concordo). Possiamo poi anche discutere secondo me se tutto l'universo è una simulazione al computer (come hanno fatto alcuni), possiamo discutere se le altre menti esistono o meno, possiamo discutere se l'universo è veramente regolare o no, se esiste la vita dopo la morte o meno ecc. Ergo la mia domanda è: è lecito fare le domande (A2) e (B2) oppure sono semplicemente senza senso?

L'analogia che solitamente uso è la seguente: se c'è un motivo per cui esiste qualcosa anziché il nulla è in fin dei conti una situazione simile alle opere di fantasia. Nel senso che quando uno scrittore scrive un libro nel quale c'è una "morale" il "senso" del libro può essere interpretato sia come la "trama" (ovvero cosa succede) sia il motivo per cui è stato scritto (ovvero la "morale" della storia). Nel primo caso la storia stessa deve avere un "fine", ovvero gli eventi avvengono in modo da avere una certa conclusione (si pensi a come si usano le profezie nel fantasy o nella fantascienza). Nel secondo caso invece il senso è dato da tutta la storia stessa (come ad esempio avviene nelle favole). Chiaramente un libro può avere entrambi questi tipi di senso, uno dei due o nessuno dei due. Secondo me la domanda "perchè esiste qualcosa anziché il nulla?" ha una risposta affermativa se l'analogia del libro che ho appena esposto si può applicare al "tutto" (come ad esempio avviene in molte religioni teistiche dove si parla di Provvidenza ecc). Dire ad esempio che non c'è il "senso" significa affermare che l'analogia di cui sopra non si applica al caso "reale". Oppure la domanda è un'insensatezza "illuminante": in questo caso anche se è "fuorviante" ritenere che si applichi l'analogia del libro possiamo comunque dire che per certi versi questa analogia ci comunica indirettamente qualcosa (sinceramente questa posizione mi pare trovarla in diversi artisti).  Infine possiamo semplicemente dire che la domanda stessa è un semplice non-senso come "il bello è più alto del legno". Secondo me vale qualcosa di simile al'"insensatezza illuminante" nel senso che ovviamente l'universo non è un "libro" però la "morale" non è semplicemente una convenzione umana ;) Chiaramente per un cristiano il nostro mondo è molto simile ad una "storia che si sta scrivendo" visto che c'è Autore, morale, trama, profezie ecc (non a caso nascono i problemi tra onniscienza dell'Autore e il libero aribitrio....) - insomma è un po' come vivere (non leggere ma vivere) la storia de "Il Signore degli Anelli". Si può vedere anche https://it.wikipedia.org/wiki/Mito. Nelle "visioni del mondo" in cui c'è un senso della vita e della storia il mondo stesso è visto come un "mito" e noi viviamo la sua storia. Oggi invece la distinzione tra "mito" e realtà è molto più netta e marcata. Non a caso la "morale" e il "senso" sono parole che usiamo per descrivere opere di fantasia, non certo in genere la realtà. Personalmente sono orientato ad una posizione che è una "via di mezzo" delle due. Nel senso che la nostra vita non è come quella di Gandalf, Aragorn, Frodo ecc (personaggi del Signore degli Anelli) ma strettamente parlando cose come l'etica, i valori ecc si riferiscono a qualcosa di "reale" e non sono semplici "finzioni dell'intelletto".  Ovviamente è solo la mia personalissima opinione ;)


Spero ora di essere stato chiaro, intendevo questo e certamente il mio intervento non aveva alcuna intenzione "maligna" LOL. Mi scuso per l'equivoco, sgiombo  :) pensavo che bastasse dire che i due problemi sono diversi però entrambi (a loro modo) meta-fisici. Secondo me è lecito speculare su entrambi, secondo altri no ;) Volevo sentire l'opinione di Epicurus.

Meglio adesso? :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 13 Gennaio 2018, 10:38:35 AMTuttavia entrambi sono problemi "meta-fisici", sui quali secondo me è lecito fare ipotesi. Se poi uno creda che ad esempio il problema dello scetticismo sia possibile fare ipotesi mentre sull'altro no è un'altra cosa. Così come è un'altra cosa ancora dire che è ragionevole pensare che lo scetticismo sia risolvibile mentre è irragionevole pensare ad un senso della vita.
CitazioneIl mio atteggiamento di fronte alla realtà é innanzitutto quello il più razionalista possibile: rendermi conto di  cio che é certamente vero e dubitare di tutto il resto.

Ciò mi porta a rendermi conto dell' insuperabilità dello scetticismo: nessuna conoscenza circa la realtà é certa, qualsiasi affermazione circa la realtà é degna di dubbio (i giudizi analitici a priori sono certi, ma non sono conoscenze circa la realtà, nessuna informazione ci danno circa ciò che é reale o meno, limitandosi a dirci che da certe premesse sono ricavabili certe conseguenze; il carattere di conoscenza vera delle quali é però condizionato dalla  verità delle premesse, la quale é incerta).

A questo punto, non essendo disposto a condannarmi alla passività pratica e cercando di essere complessivamente coerente (nella pratica e nella teoria) ripiego dal razionalismo assoluto o rigoroso a una più limitata "ragionevolezza"; cioé ad accettare per vere il minor numero possibile di tesi tali che se non altro, per lo meno, inevitabilmente vivo come se fossi certo della loro verità.

Fra queste non ci sono l' esistenza di Dio e provvidenza divina (che spiegherebbero lo scopo della mia vita e della realtà creata da Dio).

E non c' é -né ci può essere per un' impossibilità logica, perché pretendere di affermarlo sarebbe un giudizio analitico a priori scorretto, tale da ricavare indebitamente, contraddittoriamente conseguenze non deducibili dalle premesse- nulla che possa costituire una spiegazione complessiva della realtà in toto e che sia da essa (realtà in toto) diverso.

E infatti nessuna teismo dà (non potendola dare per un' impossibilità logica) una spiegazione della totalità del reale (Dio compreso) distinta da esso: Dio spiega il creato, ma Dio stesso chi lo spiega? Se si spiega da solo (autospiegazione), allora tanto vale dire che la realtà in toto si spiega da sola (autospiegazione) senza postulare un Dio inutile all' uomo, semplice orpello ridondante.

La domanda leibniziana (la B2 di Epicurus), se intesa "teisticamente" (c' é e -se c'é- qual' é una spiegazione della realtà di tutto ciò che è reale -l' universo- che sia distinta dalla totalità del reale stessa?) ha un' unica, certa risposta logicamente corretta, la risposta negativa (non c' é), per il semplice fatto che per definizione non può esserci qualcosa oltre la totalità di ciò che é, e dunque a maggior ragione non può esserci qualcosa oltre la totalità di ciò che é e che della totalità reale stessa possa essere (considerato) la spiegazione. Per seguirti nella metafora, ciò é analogo alla storia che "punta verso una spiegazione conclusiva; che però, contrariamente alla favola classica la cui morale e é intrinseca al racconto in toto, non spiega la totalità (se stessa come spiegazione di tutto il resto compresa).
Potrebbe aver senso intendendola in una spiegazione "panteistica" (spinoziana?): 
la realtà di tutto ciò che è reale -l' universo- non ha una spiegazione distinta dalla totalità del reale stessa; id est: o si spiega da sè, oppure non ha una spiegazione. Il primo di questi due casi (o meglio: modi di considerare la realtà) é analogo alla favola che ha una "morale intrinseca", da essa stessa considerata in toto non distinta.

Quella dell' etica mi sembra una questione ulteriore.

Anche secondo me cose come l'etica, i valori ecc. si riferiscono a qualcosa di "reale" e non sono semplici "finzioni dell'intelletto".
Ma non nel senso che siano dimostrabili (non é dimostrabile cosa é bene, da fare, e cosa é male, da evitare); ma nel senso che non "di diritto" ma comunque  di fatto (salvo casi patologici, salvo eccezioni, come é di tutto ciò che é reale: la perfezione esistendo solo nel pensiero, e non nella realtà non meramente pensata ma effettiva) certi comportamenti sono universalmente avvertiti, per lo meno dagli uomini, come buoni, degni di essere praticati da se stessi e approvati negli altri, mentre certi altri comportamenti sono universalmente avvertiti come cattivi, tali da non essere praticati da se stessi e da non essere approvati approvati negli altri (sia pure in parte, per certi aspetti relativamente meno generali o più particolari, variabili relativamente alle diverse circostanze sociali storicamente e geograficamente diverse, mutevoli).

E ciò trova ottime spiegazioni (ma non dimostrazioni, non fondamenti epistemologici ma solo un inquadramento ordinato, coerente e ben comprensibile nel complessivo divenire naturale) nell' evoluzione biologica scientificamente intesa (correttamente e non ideologicamente deformata come forsennata lotta di tutti contro tutti per la sopravvivenza dei soli più adatti a un ambiente che muta continuamente, rendendo ben presto meno adatto ciò che prima era più adatto e più adatto ciò che prima era meno adatto).


Apeiron

@sgiombo,

personalmente la questione di "Dio" la vedo molto diversamente dal "tipico" modo in cui lo si vede. Per me è "legato" al "valore" della vita: in un certo senso è ciò che rende la vita "sensata"  ;) il problema è che cercare di articolare cosa possa vuol dire questo "senso" è molto rischioso. Motivo per cui per me è quasi un "reminder" che faccio a me stesso, ovvero è legato al "mistero dell'esistenza". Ergo la domanda "perchè esiste qualcosa anziché il nulla?" secondo è sensata ma non può avere risposta - vige il "Nobile Silenzio" (sottolineo il termine "nobile"). Altri credono veramente che l'analogia della "storia" sia quasi da prendere alla lettera, io personalmente no. Però col tempo ho curiosamente imparato a rispettare quel tipo di visione della vita anche se la ritengo un "estremo". L'altro estremo è la visione "nichilista" - Nietzsche, Cioran & co. Personalmente preferisco una via di mezzo - il problema è che tra i due estremi sopracitati c'è moltissimo "spazio" e molta varietà! Quindi lungi da me credere che la mia sia l'unica via di mezzo  :D  Per dirla spinozisticamente "Dio" è ciò che "chiude" la realtà...

Per quanto riguarda la morale... ne abbiamo già discusso altrove e avevamo già visto che qui tra noi due c'è un profondo dissenso. Per me la "morale" è "qualcosa di reale" perchè si riferisce in particolar modo alla nostra mente. La morale la vedo come un esercizio di "purificazione" (per così dire, anche se il termine "purificazione" è un po' anacronistico...) della mente stessa. Questo è il fondamento "oggettivo" dell'etica (è oggettivo perchè avendo tutti noi una mente simile, ne segue che...). Ergo: l'etica e la matematica per me hanno lo stesso "grado" ontologico, qualunque esso sia. Secondo me la "legge morale" è tanto reale quanto la "legge di gravità" - entrambe sono regolarità relative a "qualcosa" che esiste. Il problema è che sono due tipi diversi di "regolarità"... l'Eudaimonia e la "virtù" sono il premio a sé stesse: significa che l'eudaimonia e la virtù sono qualcosa di reale, non sono "meri concetti". Per quanto riguarda la virtù non riesco a trovare una spiegazione "riduzionista"  che mi convince pienamente. Nel senso che la spiegazione evolutiva è di per sé corretta ma la trovo incompleta.

Riguardo al razionalismo e allo spinozismo sono due visioni della realtà che rispetto perchè contrastano fondamentalismi, superstizioni ecc ma le ritengo incomplete. Spinoza l'ho sempre ritenuto molto affascinante e lo rispetto molto. Non sono d'accordo col suo "determinismo estremo" per cui tutto ciò che accade, accade per necessità. Ma lo considero davvero un grande  :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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