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Un motivo per vivere

Aperto da Ivo Nardi, 29 Dicembre 2017, 17:49:39 PM

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Ivo Nardi

Cosa rispondereste a una persona che vi chiede: Mi dici un solo motivo per cui dovrei vivere?
La persona che vi pone tale domanda non ha intenzioni di uccidersi, non è depressa e non è triste, quindi tutti i motivi legati a varie problematiche esistenziali sono da escludere, dovreste solo dirle il motivo per cui, secondo voi, vale la pena di vivere la nostra esistenza.

Siamo nella sezione dedicata alla filosofia quindi vorrei che escludeste ogni riferimento religioso.
Grazie e sereno anno nuovo.
Possiamo dare infinite interpretazioni a un riflesso confuso nell'acqua,
ma l'immagine che dà origine a quel riflesso è soltanto una.

sgiombo

Un solo motivo?

Sarei incerto fra:

1) Lottare per la giustizia, per rendere il mondo migliore (nella mia personale accezione ciò significa: per il comunismo; che é anche di fatto lottare per cercare di salvare l' umanità dell' estinzione "prematura e di sua propria mano").

2) Capire quanto più possibile come é la realtà (in cui vivo) e in particolare come/cosa sono io.

3) Godere dei piaceri della vita (detti "alla rinfusa": piaceri del conoscere, piaceri della musica, piaceri della buona tavola, piaceri sessuali, piaceri della letteratura, dell' arte, dello sport -praticato e vissuto da spettatore- piaceri dell' amicizia, della buona compagnia, dell' amore, ecc.).

In fondo questo é l' ordine di importanza decrescente nel quale considero i maggiori motivi per i quali continuo a vivere volentieri e per i quali sarei disposto ad accettare dispiaceri e dolore (non oltre una determinata misura) pur di continuare a vivere.

Dunque, poiché mi chiedi un solo motivo, la risposta é la n° 1.

Buon anno anche a te e a tutti gli amici del forum ! ! !

Angelo Cannata

Per me è necessario premettere delle osservazioni sul modo in cui è posta la domanda.

Anzitutto, se una persona mi fa questa domanda vuol dire che di motivi per vivere ne sta vedendo pochissimi o nessuno, senza che per questo debba essere depressa o a rischio di suicidio: può anche essere semplicemente un filosofo che ama filosofare. Potrebbe anche essere uno che abbia già in mente dei motivi e voglia confrontarli con i miei. Queste ipotesi però consentono di evidenziare delle caratteristiche nella domanda: in tal caso il filosofo mi avrebbe chiesto "Qual è secondo te il motivo principale per cui vivere?". Al confronto con questa formulazione, quella di Ivo tradisce un coinvolgimento personale, perché non parla di "vivere" in astratto, ma fa riferimento al proponente: un motivo per cui io dovrei vivere. Inoltre quel "dovrei" pone un'ombra nera: crea un contesto di dovere, mostrandosi allontanata da idee come la gratuità, la spontaneità, il piacere, l'immotivato. Insomma, se vivere dovesse essere un dovere, già questo sarebbe un motivo abbastanza consistente per non vivere. In questo senso la domanda, per come è posta, tradisce un coinvolgimento esistenziale negativo, nonostante poi Ivo desideri evitarlo.

C'è poi il riferimento al "dire": non è detto che il modo migliore per comunicare un motivo per vivere sia dirlo a parole. Si può fare filosofia anche con i fatti, come Diogene che per rispondere a chi negava il moto si mise a camminare. Poi ci sono le arti, c'è la vita, che in molti modi rinviano all'indicibile, ed è certo una soluzione importante per una domanda così grande. In questo senso il "dire" mi suona, riguardo alla risposta, come un "vattela a cercare" poiché, qualunque risposta venga data, l'ascoltatore si troverà rimandato a trovare da sé il senso di ciò che è stato detto.

Su questa linea, per me una risposta adatta a ciò che siamo oggi sarebbe non dire dire niente di astratto, eventualmente abbracciare quella persona, e dirle: "Vogliamo essere amici?". C'è il problema che magari io potrei risultare a quella persona non di aspetto o di modi così gradevoli, piacevoli: alla fine non tutti abbiamo il dovere di essere amici stretti di tutti. Nonostante questo, credo che l'eventuale abbraccio e la proposta di amicizia rimangano la risposta migliore, perché ritengo che oggi la filosofia abbia bisogno di rivoluzionare il proprio linguaggio a favore del fare, della concretezza, dell'umanità, del particolare, del qui e ora, e mi sembra che per molti versi lo stia già facendo.

Il fatto di rispondere con un'altra domanda potrebbe apparire come un'evasione dalla risposta, ma in realtà contiene la proposta di mettere in questione il linguaggio introdotto dalla domanda iniziale e proporre linguaggi diversi. L'eventuale rifiuto della mia risposta potrebbe anche essere sintomo di indisponibilità, non apertura ad adottare linguaggi diversi da quelli tradizionali. In questo senso la mia risposta significherebbe anche questo: oggi, se vogliamo trovare motivi per cui vivere, dobbiamo disporci a praticare linguaggi diversi da quelli tradizionali, altrimenti ci autocondanniamo a non trovarne o, peggio, trovarne di falsi.

Angelo Cannata

Un altro senso del mio gesto sarebbe questo: finché cercheremo insieme motivi per vivere, ne avremo già trovati. Appena li cercheremo ognuno per conto proprio, oppure rinviandoci a vicenda al "veditela tu", in base al senso che nel messaggio precedente ho attribuito al dire a parole, automaticamente ci ritroveremo a corto di motivi.

Phil

Risponderei con alcune (meta)domande, per definire l'orizzonte di senso in cui la domanda principale si pone: per vivere deve esserci almeno un motivo? Questo motivo deve essere uguale per tutti? La ricerca di tale motivo può essere un motivo valido? Conosci già dei motivi per cui non dovresti vivere? In che modo il "dovere" può inficiare il "vivere" ponendo all'individuo la questione del suo "dover vivere"?
Rispondendo accuratamente a queste domande, secondo me, si è già (almeno) a metà strada...

Jacopus

La speranza. La speranza che i riflessi angelici dell'uomo riescano a dominare quelli demoniaci. Qui, sulla terra. E' cio' implica un duro lavoro terreno.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

acquario69

CitazioneCosa rispondereste a una persona che vi chiede: Mi dici un solo motivo per cui dovrei vivere?

La Conoscenza. (Conosci te stesso)


..anche se a me viene piuttosto da chiedermi il motivo per cui si nasce o sarebbe forse più corretto dire il perché si viene al mondo...

Altre domande e considerazioni sparse:

e' giusto decidere di mettere al mondo un bambino? (Sopratutto oggi?)
- secondo me no!

Casi estremi:
In africa ci sono tre milioni di bambini che nemmeno nascono e già muoiono letteralmente di fame ogni anno...cosa passa per la testa dei loro genitori?

Aforisma:
Vero "gesto inconsulto" – come lo definiscono i superficiali – non è quello di togliersi la vita, ma quello di darla.
(Giovanni Soriano)

anthonyi

Tutti noi abbiamo un istinto a favore della vita, abbiamo cioè un desiderio istintivo di vivere. Se però uno si fa una domanda del genere vuol dire che questo desiderio è compensato da esperienze di profonda sofferenza. Per me in tal caso è legittimo sospettare una sindrome depressiva (Visto che non sono richieste le spiegazioni spirituali).
Non credo abbia molto senso rispondere a tale domanda con una serie di argomenti, chi si fa questa domanda, e la esprime ad altri semplicemente sta chiedendo aiuto per una sofferenza grande che porta dentro e che dovrebbe essere invitato ad esternare.

Kobayashi

Gli direi che non c'è nessun motivo per cui dovrebbe vivere.
Al contrario ci sono ottime ragioni per preferire la morte alla vita.
Ma dal momento che non ha intenzione di uccidersi, non sarà difficile trovare qualcosa di interessante da fare in attesa della fine: l'incanto dell'arte, il fascino della conoscenza, la bellezza della natura, etc.

Il punto non è trovare una buona ragione su cui basare la propria esistenza, ma è riuscire o meno a dare forza all'illusione che rende questa ragione così importante da essere, diciamo, il tema fondamentale della propria vita.
E questa capacità di illudersi temo abbia a che fare con un livello psico-biologico di base. Per cui o ce l'hai o non ce l'hai.
Se ce l'hai puoi anche esercitarti a fare il nichilista ma alla fine, concretamente, continuerai ad appassionarti a tante cose, continuerai ad avere un certo gusto per il gioco.
Se non ce l'hai, farai ogni sforzo per vivere l'incanto dell'ideale, ma alla fine dovrai ammettere che tutto è nient'altro che una tua disperata autosuggestione.

Angelo Cannata

Ciò che ha scritto Kobayashi è un'occasione per evidenziare una situazione mentale in cui ci troviamo.

Gianni Vattimo in qualche occasione ha detto che noi ci possiamo definire, oltre che esseri "viventi", esseri "morenti". Corrisponde all'"essere per la morte" di Heidegger.

In questo modo di vedere si evidenziano le costrizioni a cui siamo soggetti, che Kobayashi ha espresso nelle ultime due frasi. Cioè, siamo costretti inesorabilmente a procedere ciascuno verso la propria morte, ma c'è anche una costrizione alla vita che c'impedisce di suicidarci; possiamo anche riferirci all'istinto di autoconservazione. In questo senso si potrebbe dire che siamo condannati non solo a morire, ma anche a vivere: non possiamo neanche andarcene da questa vita, perché l'istinto ci costringe a rimanerci, ad autoconservarci, per tutto il tempo che madre natura deciderà di tenere funzionante il nostro corpo. In ogni caso, che si tratti di costrizione a morire o di costrizione a vivere, trattandosi comunque di costrizione, il risultato finale è sempre negativo, cioè un risultato che non conduce ad apprezzare la vita come esperienza che meriti di essere vissuta.

Possiamo però tener presente che tutto ciò è solo una prospettiva, che in quanto tale non può pretendere di essere il senso della vita, l'unico o principale senso della vita. Quest'impostazione negativa che si fa sperimentare come costrizione non è altro che il risultato del pensare metafisico, cioè per idee universali, uguali per tutti. È infatti la metafisica a costringermi a pensare che una pietra sta lì e non posso permettermi di pensarla diversamente, perché è una verità oggettiva, uguale per tutti, stringente, costringente. Scopo della metafisica è proprio questo: giungere a verità costringenti; non ci sarà quindi da meravigliarci se un modo di pensare universalistico ci condurrà inevitabilmente a percepire come costrizione sia il vivere che il morire. Un filosofo esemplare di questo tipo di percezione è stato Emil Cioran: diversi titoli dei suoi libri sono tutto un programma: "Al culmine della disperazione", "Sommario di decomposizione", "La tentazione di esistere", "Sillogismi dell'amarezza", "L'inconveniente di essere nati", "Vacillamenti", "Squartamento", "L'agonia dell'Occidente".

Questo modo di pensare tipicamente occidentale, universalista, ci ha fatto perdere di vista il particolare, il locale, il qui e ora. In questo senso anche la domanda di partenza che è stata proposta si pone in questa prospettiva generalista, perché lascia pensare che si chieda un motivo per vivere che valga per tutti. A dire il vero, però, proprio quel tradire il coinvolgimento personale, contenuto nel parlare in prima persona, suggerisce di essere preso in parola: "un solo motivo per cui dovrei vivere" non è detto che vada cercato tra ragioni che debbano valere per tutti: può essere benissimo individuato come ragione che vale esclusivamente per quella persona. Che importa se vivo per un motivo che vale esclusivamente per me e non può essere applicato a nessun altro al mondo? Anche gli altri potranno trovare ciascuno il proprio. Al contrario di quanto possa sembrare a prima vista, questa può essere una via esplorativa estremamente arricchente, perché condurrà al piacere del confronto, di conoscere vie ispiratrici, libere dal binario implicito secondo cui il motivo per vivere debba essere individuato tra motivi di validità universale, o comunque condivisi. In questo senso torno a pensare all'abbraccio che ho proposto, con la proposta di amicizia: esso contiene anche l'invito a prendere in considerazione ciò che vale solo come particolare e magari non possiede nessuna validità di tipo universale. Questa caratteristica, piuttosto che un difetto, può rivelarsi un pregio.

In fondo è questo il messaggio degli artisti che spesso ci mette in crisi: perché si tratta di messaggi estremamente esclusivi. Quel certo artista ha dipinto un albero come solo esclusivamente lui può vederlo. Come può pretendere dunque che io lo capisca? Ma proprio questo è il messaggio grandissimo: quell'albero dipinto contiene l'incoraggiamento affinché anch'io a mia volta scopra il modo mio esclusivo di vedere l'albero, ogni cosa, e scopra che è infinitamente arricchente conoscere proprio ciò che non potrò fare mio, poiché appartiene alla sfera personalissima ed esclusiva di quell'artista. Non è detto che ciò che non condividiamo debba essere motivo di divisione e incomprensione: può essere, al contrario, la migliore via di arricchimento, proprio perché non è condiviso.

Sariputra

Gli direi, dopo avergli offerto un calice di buon prosecco: "Se pensi che ci debba essere un motivo...hai già un problema!"..   ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Socrate78

#11
Il senso della vita è semplicemente VIVERE, cercando quindi di conservarsi in vita nel migliore dei modi, di cercare sempre il proprio utile mettendolo al primo posto: sacrifici, rinunce, privazioni, anche per gli altri, anche per la società, anche per astrazioni come la "giustizia" (giustizia per chi poi? Abbasso le utopie!) sono solo asservimenti, idee pericolose che limitano la libertà e conducono la persona a fare sovente il proprio male. L'etica del sacrificio secondo me è un errore, la ragione mi porta a stabilire ciò che mi conviene e se per un ideale io devo mettere a rischio la mia stessa vita o la mia incolumità significa che quell'idea è da rigettare come cattiva e pericolosa. Il senso della vita è quindi essere sostanzialmente egoisti e anzi abbattere i condizionamenti sociali, morali,ideologici di ogni tipo, in nome dell'affermazione libera dell'Io. In questo senso bene=vita e tutto ciò che conserva la vita, male=morte e tutto ciò che mette a repentaglio la vita e la danneggia, la depriva.

Angelo Cannata

Citazione di: Socrate78 il 30 Dicembre 2017, 12:45:14 PM... se per un ideale io devo mettere a rischio la mia stessa vita o la mia incolumità significa che quell'idea è da rigettare come cattiva e pericolosa...
Quindi secondo te il comportamento di Falcone e Borsellino fu un comportamento cattivo?

Jacopus

@Socrate.
Se si riduce il motivo per vivere alla propria soddisfazione egoistica, si avra' come conseguenza lo stato di guerra di tutti contro tutti. Inoltre se questo valore fosse davvero condiviso non si spiega perche' Ghandi, Mandela, Cristo, padre Kolbe, Falcone e tanti altri sono ricordati e venerati, mentre soggetti egoistici assoluti vengono di solito relegati nelle pagine di cronaca nera (non allego i soliti Hitler-Mussolini poiche' anche loro non erano egoisti in modo assoluto).
Questo ricorrente elogio dell'egoismo e' o un atteggiarsi per "epater le borgeois" o una regressione infantile-narcisistica, situazione che caratterizza in modo particolare gli italiani del Xxi secolo.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

viator

Salve. Naturalmente non esistono motivazioni per vivere. Si nasce e si continua a vivere anche in assenza di nostre soggettive motivazioni. Ciò in nome del principio di inerzia (nulla varia il proprio stato in mancanza di sollecitazioni (motivazioni??) esterne).
Se poi ciascuno sente o cerca di evocare proprie personali motivazioni NON PER CONTINARE A VIVERE, MA PER ASTENERSI DAL RINUNCIARE A VIVERE, questi sono affari particolari nostri.
In realtà alcuni di noi (tutto sommato una minoranza) sono ossessionati dalla ricerca di un SENSO (non MOTIVO) del nostro nascere e poi vivere.
Ma, naturalmente, essi cercano un senso umano di ciò.
Esiste solo il senso-scopo naturale che vuole la persistenza del mondo attraverso la sua continua trasformazione e la complicazione dei suoi componenti, poi quindi - nella stessa ottica ma spostandosi a livelli evoluti superiori - la sopravvivenza delle specie, la sopravvivenza degli individui, la riproduzione..................
A livello umano ed individuale, ecco che il senso-scopo precedente può personalizzarsi e quindi diventare la riproduzione individuale intesa come desiderio di una discendenza, della costruzione di ciò che ci sopravviva, (dalle piramidi alle utopie ideologiche) eccetera. Ecco a tal punto che il senso-scopo naturale è diventato il nostro MOTIVO per vivere, cioè ci siamo costruiti il senso umano che non esisteva in natura.
I più furbi di noi però pensano che si possa trovare una scorciatoia nel recuperare un senso-scopo-motivo di vita senza faticare troppo: basta abolire la morte. Abolendola resta un sacco di tempo per pensare in futuro con più comodo ad un qualsiasi motivo per vivere - stavolta in eterno.
E' tutto qui l'irresistibile fascino di una fede nell'immortalità. Salutoni a tutti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

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