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Tutto bene e niente male

Aperto da viator, 30 Settembre 2018, 21:22:18 PM

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paul11

#15
ciao Viator,
senza uno statuto ontologico del bene e del male, ogni etica e morale perde consistenza essendo soggette al pensiero storico dei tempi e delle diverse latitudini.si relativizza fin sparire in "convenienza" e giustificazione delle proprie pratiche.

Onestamente non so darti una risposta "assoluta", le cosmogonie antiche ci dicono del dio in cui si crede , direi in tutte le culture e tradizioni, che è sempre bene, ma c'è sempre un contraltare.
Perchè la vita è felicità e dolore, è numeri positivi e negativi, è polo nord e sud di un magnete, è differenza di potenziale che permette le dinamiche. Sembrerebbe che l'imperfezione determini i movimenti mentre l'armonia sia la quiete assoluta.
Se la terra è il male, il cielo è il bene.

Sostengo che sia fondamentale più di quello che si pensi il fatto di credere che vi siano attribuzioni fino alle essenze del bene e del male, perchè è la dialettica della negazione che costringe l'uomo a vivere il negativo della contraddittorietà, ed è un poco la dialettica severiniana.
Il male non può essere interpretato come mera carenza, se la conoscenza, la dinamica epistemologica è colei che illumina il buio e rende evidente ora ill conosciuto, vi si troveranno costanti contraddizioni che sono originarie e si propagano "nell'eterno divenire dei movimenti"

Trovo quindi che il bene e il male siano essenze originarie attribuibili all''archè primitivo, al fondamento costitutivo dell'universo,che fa nascere come apparire, che fa morire come sparire, che provoca gioia e dolore, che assomma e che toglie.........
Perchè ,daccapo, senza uno statuto ontologico, vale a dire il bene e il male esistono, perdono consistenza e tutte le etiche e morali.

Ma è possibile anche pensare al contrario,e riecco una complementarietà dialogica, vale a dire pensare che non esistano morali e quindi non necessitiamo del bene  e del male,che l'essente sia verità, il fatto che si esista e si accetti le regole dell'esistenza. tipicamente del pensiero  di Nietzsche. Ma trovo quest'ultima più...........contraddittoria, ma altrettanto interessante.
Da quì la mia......incertezza

Sariputra

Il male non può essere inteso, a mio modo di vedere, se non nelle relazioni e negli atti, in special modo negli atti intenzionali. Il "male" come danno nella relazione e come costruzione , attraverso l'agire, di un rapporto con le cose e le persone 'malato', insano e disarmonico. Operare per il 'male' significa quindi operare  a danno di se stessi e degli altri.
Il danno procuratomi si ripercuote sull'altro e il danno cagionato all'altro si ripercute su me stesso. Non esiste qualcosa come 'il male' , se non come definizione convenzionale,se non cogliamo che esso è essenzialmente un processo, una costruzione in divenire di sofferenza. Se questo 'processo' che alimentiamo costantemente con la nostra bramosìa rappresenta il danno, ciò che non costruisce questo processo è quello che comunemente viene definito come 'bene'. Già non alimentare questa fiamma distruttiva è bene, ma questo bene per dispiegarsi ha bisogno di costruire l'opposto del danno, ossia tendere , nelle relazioni e negli atti, in special modo negli atti intenzionali, a costruire rapporti con le cose e le persone sani ed armonici. Non esiste qualcosa come 'il bene', se non come definizione convenzionale, se non cogliamo che esso è essenzialmente un processo, una costruzione in divenire salutare.
Il 'bene' procuratomi giova anche all'altro e il bene verso l'altro giova anche a me stesso.
La 'mente' è la costruttrice di tutto ciò che è male e connesso al male, ma è pure la costruttrice di tutto ciò che è bene e connesso al bene.
Il 'bene' è anche un processo estetico. E' il momento in cui la mente sa cogliere la bellezza di un luogo o di una persona. Il 'male' è anche un processo di costruzione di bruttura e di imperfezione disarmonica. E' il momento in cui la mente non sa più cogliere la bellezza di un luogo o di una persona.
Naturalmente questi due processi mentali coesistono nella persona, a volte  rafforzandosi il 'bene' s'indebolisce il 'male', a volte succede il contrario, in relazione a come la mente reagisce o non reagisce all'insorgere dei vari stati mentali di desiderio o di avversione verso le cose o le persone.
Anche il dolore e la morte, comunemente ritenuti come un male, non sfuggono al processo di costruzione di ciò che è dannoso o viceversa salutare che opera la mente.
Un dolore che mi spinge a prendere consapevolezza della mia condizione esistenziale limitata e di quanto sia illusorio credermi autosufficiente, mostrandomi la mia dipendenza dall'altro, è salutare.
Un dolore viceversa vissuto nella rabbia e nell'odio per la mia condizione esistenziale limitata e per la mia dipendenza dall'altro è dannoso per me stesso e per le relazioni che creo con gli altri.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

paul11

ma c'è una controindicazione a mio parere Sariputra, quando si entra nelle prassi a discapito della teoretica, il bene e il male le morali si segue il concetto aristotelico e non più platonico e allora si passa al domino umano disancorato da quello naturale e divino.
Accade come è accaduto, che dal nomos si cala alla domus domestica fino a far diventare il principio morale una questione economica.
Non diventerà più è bene o male , ma se è utile o conveniente per entrambi.
Non avendo più l'agire riferimenti sul come agiscono l'ordine naturale e quello divino ,ciò che è bene diventa pura ermeneutica, interpretazione nei processi storici fino costruire l'edonismo utilitaristico

Sariputra

Citazione di: paul11 il 02 Ottobre 2018, 11:07:44 AMma c'è una controindicazione a mio parere Sariputra, quando si entra nelle prassi a discapito della teoretica, il bene e il male le morali si segue il concetto aristotelico e non più platonico e allora si passa al domino umano disancorato da quello naturale e divino. Accade come è accaduto, che dal nomos si cala alla domus domestica fino a far diventare il principio morale una questione economica. Non diventerà più è bene o male , ma se è utile o conveniente per entrambi. Non avendo più l'agire riferimenti sul come agiscono l'ordine naturale e quello divino ,ciò che è bene diventa pura ermeneutica, interpretazione nei processi storici fino costruire l'edonismo utilitaristico

Sì, comprendo l'obiezione, ma la mia intenzione era quella soprattutto di dare una consistenza sperimentabile a quello che rischia di essere un concetto astratto. Legare il concetto di bene e male solo ad una teoria o una dottrina, oltre ad essere sentito spesso come imposizione dall'alto, non fa comprendere in profondità, a mio parere, quanto sia il nostro agire, determinato dai nostri stati mentali, a condizionare la nostra esistenza e quella degli altri; in una continua relazione di cause ed effetti, spesso con risultati deleteri. Comprendere che siamo la causa del bene e del male, e del suo dispiegarsi nel mondo, è diverso che ritenere che questa causa sia esterna a noi, molto più responsabilizzante, privo di 'alibi' (non ero io, era il diavolo...) e , in definitiva, realmente etico, nella misura in cui diventiamo consapevoli che siamo noi la possibilità di un'etica e di una morale realmente sentita. Solo in questo modo si può evitare il pericolo dell'edonismo utilitaristico, proprio per la percezione e consapevolezza di questa rete di relazioni con le cose e le persone di cui siamo intessuti, che ci permette così di non 'usarle" riducendo quella spinta dell'ego a sentirsi al "centro" del mondo. Questo appare, a mio parere, particolarmente importante per quelle persone che fanno riferimento a rivelazioni riguardanti un ordine divino, chiamate proprio dalla responsabilità e consapevolezza dell'agire per ciò che è salutare, a realizzare quell'unità del 'Bene' da cui si sentono 'chiamate'...la famosa frase:"Dio non ha altre mani che le nostre mani"...
Ciao
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Sull'edonismo utilitaristico (@paul11 e @Sariputra): fatico un po' a pensare il bene (o il Bene ontologizzato) fuori dalla dinamica utilitaristica premio/castigo (faccio il bene per convenienza personale, per ottenere l'approvazione altrui e il paradiso o altri benefici spirituali, insomma perché devo farlo) e fuori dall'edonismo (potenzialmente volubile) del "bene fine a se stesso" (faccio il bene perché mi piace farlo, voglio farlo).
Intendo dire che il concetto di "bene" forse esige edonismo utilitarista (oppure utilitarismo edonista) anche se ha le sue radici nella trascendenza di una divinità: se nel piano metafisico vige la legge causale, la divinità reagirà in base alla nostra condotta, facendoci a sua volta del bene o del male (almeno secondo il nostro punto di vista) e sapendo questo possiamo quindi volgerci verso ciò che la divinità ci ha suggerito come "bene", perché ci sarà utile a ricevere il piacere della ricompensa. 
Se usciamo dal piano metafisico, in fondo, ciò che cambia è solo il tipo di utilità (esclusivamente terrena) e/o di piacere (sensoriale o psicologico o altro). 
Un terzo movente per il bene potrebbe essere il "senso del dovere" (a prescindere dall'utile e dal piacevole), tuttavia ciò significherebbe incentrare il bene sul proprio, per dirlo con Freud, "super-io" (generato da influenze parentali, culturali, etc.) e quindi si spalancherebbero le porte alla contingenza, al relativismo, etc. lasciando il concetto di "bene" alla mercé del pluralismo de-ontologizzante (salvo interpretare tale "senso del dovere" come richiamo mistico-interiore ad un Bene trascendentale, come se ci fosse sopra la nostra spalla il piccolo angioletto che ci bisbiglia all'orecchio, in perenne competizione con l'inquilino dell'altra spalla...).

Socrate78

Sariputra ha scritto:
Un dolore viceversa vissuto nella rabbia e nell'odio per la mia condizione esistenziale limitata e per la mia dipendenza dall'altro è dannoso per me stesso e per le relazioni che creo con gli altri..........

Però forse proprio questo dolore rabbioso è più VERO, infatti dipendere da un altro anche per i bisogni fisiologici, non potersi muovere, essere in una condizione di handicap è indubbiamente un MALE e di schiavitù e se non si ha una qualche fede che ti permette di dare ad esso un senso la malattia diventa appunto una condanna. Non è vero che l'autosufficienza è qualcosa di illusorio, è un'illusione l'autosufficienza ASSOLUTA, ma non quella relativa, ad esempio se io ho gli occhi sani non ho bisogno di occhiali, e quella è un'autosufficienza relativa.

Sariputra

Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2018, 15:00:13 PMSull'edonismo utilitaristico (@paul11 e @Sariputra): fatico un po' a pensare il bene (o il Bene ontologizzato) fuori dalla dinamica utilitaristica premio/castigo (faccio il bene per convenienza personale, per ottenere l'approvazione altrui e il paradiso o altri benefici spirituali, insomma perché devo farlo) e fuori dall'edonismo (potenzialmente volubile) del "bene fine a se stesso" (faccio il bene perché mi piace farlo, voglio farlo). Intendo dire che il concetto di "bene" forse esige edonismo utilitarista (oppure utilitarismo edonista) anche se ha le sue radici nella trascendenza di una divinità: se nel piano metafisico vige la legge causale, la divinità reagirà in base alla nostra condotta, facendoci a sua volta del bene o del male (almeno secondo il nostro punto di vista) e sapendo questo possiamo quindi volgerci verso ciò che la divinità ci ha suggerito come "bene", perché ci sarà utile a ricevere il piacere della ricompensa. Se usciamo dal piano metafisico, in fondo, ciò che cambia è solo il tipo di utilità (esclusivamente terrena) e/o di piacere (sensoriale o psicologico o altro). Un terzo movente per il bene potrebbe essere il "senso del dovere" (a prescindere dall'utile e dal piacevole), tuttavia ciò significherebbe incentrare il bene sul proprio, per dirlo con Freud, "super-io" (generato da influenze parentali, culturali, etc.) e quindi si spalancherebbero le porte alla contingenza, al relativismo, etc. lasciando il concetto di "bene" alla mercé del pluralismo de-ontologizzante (salvo interpretare tale "senso del dovere" come richiamo mistico-interiore ad un Bene trascendentale, come se ci fosse sopra la nostra spalla il piccolo angioletto che ci bisbiglia all'orecchio, in perenne competizione con l'inquilino dell'altra spalla...).

Basta intendersi sul significato che diamo al termine "utilità". Se ne facciamo un uso in senso economico ( premi. ricompense, castighi, ecc.da parte di divinità o società), come mi sembra intendi tu, o se lo intendiamo come 'funzionalità', ossia come lo intendo io. Faccio il 'bene' perchè è funzionale a realizzare l'esigenza che sento insopprimibile in me di realizzare questo 'bene' ( al mio desiderare di non recare sofferenza all'altro). Faccio il 'male' perché è funzionale all'esigenza che sento in me, determinata dalla mia bramosìa e dalle mie avversioni, di realizzare questo 'male' che ritengo possa darmi soddisfazione (al mio desiderare cose che possono provocare sofferenza all'altro).
Il bene non dà 'piacere', il termine è improprio. perchè fare il bene non produce alcun tipo di sensazione fisica o mentale di tipo piacevole,anzi spesso ricevi sputi in faccia come 'ricompensa', assai poco piacevoli devo dire: è semplicemente un'esigenza interiore data dal 'distacco'. Direi una cosa 'naturale', che vien da sé. E' la natura stessa della mente quando non è attaccata all'abitudine di usare in senso 'economico' gli altri...nulla di metafisico quindi. Provare per credere! ;D Se si provasse 'piacere' nel fare il bene, sensazioni meravigliose, ecc. nascerebbe inevitabilmente un sottile attaccamento a questo piacere e passeremmo alla fase 'economica', che non è più 'bene' in senso non-ipocrita...
Ciao
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Sariputra

#22
Citazione di: Socrate78 il 02 Ottobre 2018, 15:30:02 PMSariputra ha scritto: Un dolore viceversa vissuto nella rabbia e nell'odio per la mia condizione esistenziale limitata e per la mia dipendenza dall'altro è dannoso per me stesso e per le relazioni che creo con gli altri.......... Però forse proprio questo dolore rabbioso è più VERO, infatti dipendere da un altro anche per i bisogni fisiologici, non potersi muovere, essere in una condizione di handicap è indubbiamente un MALE e di schiavitù e se non si ha una qualche fede che ti permette di dare ad esso un senso la malattia diventa appunto una condanna. Non è vero che l'autosufficienza è qualcosa di illusorio, è un'illusione l'autosufficienza ASSOLUTA, ma non quella relativa, ad esempio se io ho gli occhi sani non ho bisogno di occhiali, e quella è un'autosufficienza relativa.

E cosa si ottiene dalla propria rabbia in quel momento? Nient'altro che dolore che va a sommarsi a quello inevitabile dato dal fatto che siamo esseri soggetti a vecchiaia, malattia e morte e non possiamo sfuggire a questa condizione. Allora si comincia ad insultare il vicino di letto, anche lui nella sofferenza, ad insultare i famigliari che non sono responsabile della nostra malattia, ecc.In poche parole alla nostra tristissima condizione fisica andiamo a sommare un'infinità di stati mentali negativi, di rabbia e di odio, che ci rendono ancora più infelici.
L'autosufficienza è sempre relativa: anche mantenere gli occhi sani necessità di cibo adeguato, di corretta illuminazione, di igiene, ecc.

Il sentimento della rabbia è perfettamente naturale, in certe situazioni, il problema è quando la mente s'identifica con questa rabbia... :(
Ciao
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
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Phil

Citazione di: Sariputra il 02 Ottobre 2018, 15:36:37 PM
Faccio il 'bene' perchè è funzionale a realizzare l'esigenza che sento insopprimibile in me di realizzare questo 'bene' ( al mio desiderare di non recare sofferenza all'altro).
Eppure se il bene è utile funzionale a realizzare tale "esigenza insopprimibile", non costituisce comunque un piacere, in termini di piacevole appagamento/realizzazione di un'esigenza?
Il mio "desiderare di non recare sofferenza all'altro"(cit.) non è un desiderio che, in quanto tale, una volta appagato, dà piacere?
Chiaramente non è un piacere fisico-libidinoso, forse potremmo definirlo piacere psicologico... tuttavia, secondo me, può rientrare fra le forme di edonismo: fare qualcosa perché ne ricaviamo appagamento/piacere.

Citazione di: Sariputra il 02 Ottobre 2018, 15:36:37 PM
Il bene non dà 'piacere', il termine è improprio. perchè fare il bene non produce alcun tipo di sensazione fisica o mentale di tipo piacevole,anzi spesso ricevi sputi in faccia come 'ricompensa'
Davvero quando fai il bene non provi nulla di positivo/piacevole a livello "mentale" (pur ricevendo metaforicamente "sputi")?

Se non lo fai per piacere (in tutte le sue sfumature), né per utilità, mi viene in mente solo la terza via del "senso del dovere" (v. sopra).


Citazione di: Sariputra il 02 Ottobre 2018, 15:36:37 PM
è semplicemente un'esigenza interiore data dal 'distacco'.
Se c'è distacco, non c'è esigenza; se c'è esigenza (di relazione), allora c'è attaccamento (all'esigenza e alla relazione); se c'è attaccamento, c'è di mezzo piacere o utilità o dovere... anche in ottica buddista; sbaglio?

Sariputra

cit.Phil
Eppure se il bene è utile funzionale a realizzare tale "esigenza insopprimibile", non costituisce comunque un piacere, in termini di piacevole appagamento/realizzazione di un'esigenza? 
Il mio "desiderare di non recare sofferenza all'altro"(cit.) non è un desiderio che, in quanto tale, una volta appagato, dà piacere?
Chiaramente non è un piacere fisico-libidinoso, forse potremmo definirlo piacere psicologico... tuttavia, secondo me, può rientrare fra le forme di edonismo: fare qualcosa perché ne ricaviamo appagamento/piacere.


Credo sia difficile inquadrare il 'bene' all'interno di questo tipo di dialettica piacere/appagamento che porti avanti. Il 'bene' perde qualunque significato se non lo riferiamo a qualcosa e, nel mio caso, quel qualcosa è l'esigenza di non arrecare sofferenza all'altro. Dire che è un piacere/appagamento riuscire a non provocare sofferenza all'altro è come dire "gioire della gioia". Quindi gioisco nel fare il bene perché è la natura della mente che sperimenta il bene il gioire (il 'bene' è gioia , altrimenti detto...).
Non si tratta di 'appagare' la mente con una sensazione estranea ad essa e che si ricerca, pertanto. E' l'appagamento della mente nella realizzazione del suo stato naturale di 'mente compassionevole".
Quindi secondo me ti sbagli quando lo paragoni all'edonismo, perché l'edonismo essenzialmente identifica la morale col piacere, mentre qui c'è gioia spontanea (premio a se stessa) nel fare il bene.

Davvero quando fai il bene non provi nulla di positivo/piacevole a livello "mentale" (pur ricevendo metaforicamente "sputi")?
Se non lo fai per piacere (in tutte le sue sfumature), né per utilità, mi viene in mente solo la terza via del "senso del dovere" (v. sopra).


Vedi la risposta sopra se ti chiarisce il significato che intendo.


Se c'è distacco, non c'è esigenza; se c'è esigenza (di relazione), allora c'è attaccamento (all'esigenza e alla relazione); se c'è attaccamento, c'è di mezzo piacere o utilità o dovere... anche in ottica buddista; sbaglio?

Esigenza s'intende come esigenza di rispettare lo stato di compassione e benevolenza che prova naturalmente la mente, quando non è aggrappata ai suoi desideri e alle sue avversioni. Contariamente a molti stereotipi il Buddhismo non predica una sorta di alienazione dagli stati mentali: non fare il male, fare il bene , purificare la mente, questo è il Buddhismo (non-attaccamento è sempre riferito agli stati mentali e non alle qualità della mente non aggrappata alla brama, all'avversione e all'ignoranza...infatti si insegna a 'coltivare' la compassione e la benevolenza proprio per liberarsi da questi "condizionamenti negativi").
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
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viator

Abbracci ed auguri per tutti.
Questo Forum (sezione Filosofia) è frequentato da tre precise categorie di utenti :

1- coloro che possiedono una formazione filosofica od almeno umanistica e magari sono stati o sono tuttora studiosi di argomenti immateriali, concettuali (i "cultori").
2 - quelli come me, privi di una specifica o persino generica formazione culturale ma interessati e curiosi verso tematiche non contingenti. Costoro possono portare alle discussioni solo quesiti o contributi di (augurabile) buonsenso (i "profani").
3 - quelli - istruiti o meno - privi di interesse particolare per la filosofia e l'astrazione ma che comunque possono farsi coinvolgere dalle singole questioni e da singoli interrogativi ( i "lettori").

Esistono i concetti (impercepibili ai sensi) ed esistono le percezioni ed esperienze.

I concetti rappresentano delle sintesi. Come tali, essi hanno la caratteristica di interpretare ciò che descrivono cercandone l'essenza meno superficiale e meno soggettiva. Il concetto deve cercare il COS'E' indipendente dalla forma esteriore - quasi sempre mutevole e provvisoria e spesso addiritura mistificante -  del COM'E' quella data "cosa".

Perciò il concetto dovrebbe riguardare l'insieme delle manifestazioni di una certa cosa SENZA CONSISTERE IN NESSUNA DI ESSE.

Il tipo di interventi che leggo qui dentro mi invogliano spesso ad attribuire (chissà se ci prendo !) l'utente ad una delle tre categorie descritte sopra.

A proposito di BENE e di MALE vedo che l'aspetto concettuale viene spesso assai mal digerito.

Ma come si fa a sostenere che il male esiste adducendo argomentazioni del tipo "perchè negli ultimi tre giorni ho avuto il mal di denti" oppure "settimana scorsa hanno scippato mia moglie" ?

I concetti solo - appunto - concezioni, escogitazioni tipicamente ed esclusivamente umane. Nel mondo inanimato non hanno alcuna cittadinanza. Siamo solo noi ad attribuire beneficità o maleficità a ciò che è fuori di noi.

Il BENE è unicamente ciò che ci giova, quindi che ci piace. Quindi è concetto AFFERMATIVO.
Il MALE è unicamente ciò che non ci giova, quindi che non ci piace. Quindi è concetto NEGATIVO.

E allora, cosa viene NEGATO dal concetto di male ? Non l'esistenza del bene, bensì l'esistenza di ciò che vorremmo veder affermato intorno a noi. Lamentarsi del MALE significa quindi lamentarsi della carenza, latitanza, insufficienza di ciò che unicamente dovrebbe esistere.......appunto il BENE.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

sgiombo

Citazione di: viator il 02 Ottobre 2018, 17:25:22 PM
Il BENE è unicamente ciò che ci giova, quindi che ci piace. Quindi è concetto AFFERMATIVO.
Il MALE è unicamente ciò che non ci giova, quindi che non ci piace. Quindi è concetto NEGATIVO.

Queste sono le definizioni non di "bene" e di "male" ma invece di "soddisfazione (appagamento, piacere, gioia, felicità, ecc.)" e di "insoddisfazione (frustrazione, dolore, pena, tristezza, infelicità, ecc.)".

Si può essere soddisfatti, felici, ecc. se si riesce a fare il bene desiderato o anche -allo stesso modo- se si riesce a fare il male desiderato (a seconda che si sia buoni o cattivi).
Ed esattamente nello stesso senso si può essere insoddisfatti, infelici, ecc. se non si riesce a fare il bene desiderato o anche se non si riesce a fare il male desiderato (a seconda che si sia buoni o cattivi).

Altrimenti si sprofonda nell' hegeliana "notte in cui tutte le vacche sembrano nere".
Per esempio non si coglie alcuna differenza fra il "fatto A" costituito della soddisfazione del mafioso che delinque efficacemente e proficuamente e il "fatto B" costituito dalla per certi versi similissima" -licenza "poetica"- soddisfazione del generoso che dona o magari il "fatto C" costituito dalla per certi versi similissima" -a-ri-licenza "poetica"- soddisfazione dell' eroe che si sacrifica per il bene altrui: fatti la "differenza qualitativa" fra i quali é quanto di più "enormemente evidente"(per chi non sia così cieco da non vederla, ovviamente)!

bobmax

@Sariputra @Phil @Viator

È pressoché impossibile definire il Bene.
Possiamo solo provare a tendere verso il Bene, senza però conoscerlo davvero.

Questo perché il Bene è il fondamento della realtà. Quindi di ogni possibile pensiero logico/razionale.

Abbiamo perciò un bel pari nel cercare di inquadrarlo...

Anche se può sembrare assurdo. È l'Etica che regge la logica! Non viceversa...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

paul11

sono sostanzialmente d'accordo con Sariputra ,tranne che il bene sia finalizzato a far del bene all'altrui.
Ma se l'altrui ha un concetto di bene diverso dal tuo?

quello che io temo è che se il bene non fosse un concetto formatosi fuori dall'uomo, inteso come osservazione del mondo, delle regole che governano il mondo delle sue essenze, ci troveremmo, come in fondo oggi, è, con ognuno una sua morale e con troppi malintesi, fraintesi.
ad esempio, compio un azione che a mio parere è a fin di bene verso qualcuno, ma quel qualcuno mi fraintende e addirittura ritene che sia il contrario che io abbia avuto un "piano" per raggirarlo.
Capita in famiglia, capita fra amici e conoscenti. 
La via di comunicazione comune passa per le nostre coscienze e seppur parliamo un linguaggio comune ,spesso non ci capiamo.
Abbiamo un ordine interiore diverso e,a mio parere ,ma son a tutt'orecchi ad ascoltare chiunque perchè so che è difficle l'argomento, la fortuna delle religioni, o delle spiritualità animistiche, panteiste, ecc, non è stato tanto se quell'ordine fosse giusto o sbagliato, ma fosse accettato come linguaggio di riferimento in modo tale che le azioni dei singoli avessero una regola comune.Nel mondo civile le regole comuni sono le legislazioni che limitano l'azione e costruisce la responsabilità ,la conseguenza dell'agire.
Oggi nel nostro mondo è già difficile trovare persone coerenti con la propria morale personale, perchè si sa "come trattarla" e questo può togliere i malintesi; è molto più facile che seguano utilità personali, per cui sono incoerenti se un giorno sono sul pero e l'altro sul melo.

Sariputra

cit.Paul11:
sono sostanzialmente d'accordo con Sariputra ,tranne che il bene sia finalizzato a far del bene all'altrui.
Ma se l'altrui ha un concetto di bene diverso dal tuo?


E' lì che prendi gli sputi in faccia... :(! C'è sempre una forte avversione quando si parla del 'bene'....
Infatti io non sostengo che il bene sia finalizzato solo a far del bene all'altro, ma che puoi realizzare quello stato di 'bene' interiore (privo cioè di bramosìa, avversione, rabbia, ecc.) per cui puoi diventare un 'bene' per l'altro, oltre che per te stesso.

quello che io temo è che se il bene non fosse un concetto formatosi fuori dall'uomo, inteso come osservazione del mondo, delle regole che governano il mondo delle sue essenze, ci troveremmo, come in fondo oggi, è, con ognuno una sua morale e con troppi malintesi, fraintesi.

Purtroppo anche far riferimento ad un Principio 'esterno' non ci mette al riparo dalle radici del male (vedi sopra) ,secondo me infatti, l'ingiustizia , la sopraffazione, ecc. erano ben presenti anche quando vigeva una morale per così dire 'assoluta'...si aderiva, ma ci si guardava bene dal cambiare, per così dire...

Oggi nel nostro mondo è già difficile trovare persone coerenti con la propria morale personale, perchè si sa "come trattarla" e questo può togliere i malintesi; è molto più facile che seguano utilità personali, per cui sono incoerenti se un giorno sono sul pero e l'altro sul melo.

Concordo. La coerenza è un enorme problema dell'uomo ( avendo ben presente che, per il solo fatto di esisetre in questo mondo condizionato, la coerenza assoluta è illusione...) e dove s'incontrano le più grandi difficoltà, qualunque strada di 'bene' s'intenda perseguire...Personalmente lavoro molto su questa, non senza amari insuccessi... :(
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

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