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Transumanesimo e Sini

Aperto da green demetr, 03 Novembre 2019, 22:19:04 PM

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Ipazia

La Medusa va bene. Dopo tanta trascendenza sbandierata finalmente poterla guardare in faccia. Quella sì sarebbe Verità vera. Di fronte alla quale chi ama la verità e diffida dalle chiacchere si inchina.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

In attesa di Meduse sovrannaturali, vi sono dei surrogati naturali niente male che lasciano poco spazio alle illusioni. Come questa.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Kobayashi

Caro Green, a me tutta la conferenza di Sini è sembrata nient'altro che un esercizio ovvio di relativismo.
Se togli l'enfasi riservata alle citazioni di N. e H., e l'ironia decisamente fastidiosa sull'ingenuità di quel tizio che gli proponeva una riflessione sul transumanesino, rimane ben poco tranne l'ovvietà filosofica che la filosofia così come la conosciamo, iniziata con Aristotele ed esplosa con Cartesio, è finita perché era essenzialmente analisi delle condizioni che permettono la conoscenza del vero, e quando si arriva alla conclusione (con N.) che la conoscenza è un prodotto culturale, uno strumento, e quando si prende coscienza che la stessa filosofia, in quanto critica della conoscenza, non ha uno statuto speciale, beh, è chiaro che il cerchio si chiude. Inutile sarebbe rimanerci dentro per ripetere sempre le stesse cose, per riproporre negli stili più diversi, più o meno suggestivi, l'annuncio della fine della metafisica.
E ovviamente il buon Sini, essendo come ti dicevo di persona un attore mancato, non ha potuto fare a meno di rivolgere verso se stesso questo esercizio di relativismo, calcando sulla particolarità della sua posizione, la quale, come tutte le idee, sarà accolta da altre solitudini solo nella forma del fraintendimento.
Per quanto mi riguarda è da questa disillusione che bisogna ripartire. Gli studenti a cui era rivolto il discorso farebbero bene a compiere in fretta questo percorso (dalla gloria della filosofia moderna alla distruzione di ogni possibile metafisica con Nietzsche). Viverlo con pienezza e poi superarlo senza timori. Ci sono visioni da comporre che forse continueranno ad esse chiamate "filosofia" o forse no, ma non ha la minima importanza.

[Ammetto di non capire la tua insistenza sulla metafisica...]

green demetr

Ma sono in un momento di scarsa brillantezza intellettuale.

Per Franco: ma certamente Heidegger vuole una ricostruzione ontologica per ritornare all'essere dell'uomo.
Ma non bisogna fraintendere il suo percorso, infatti per lui l'essere è evidentemente il non essere. Ci arriva egli stesso alla fine della sua parabila di pensiero come ben sottolineato da Volpi, quest'ultimo in chiave di serrata crtica, come se l'essere esistesse.....
Come possa il non essere influire sull'uomo? Quello è il suo percorso che arriva a dire solo un Dio può salvarci.
Sini critica di Heidegger il suo tecnicismo della parola, infatti deduce il suo sistema non da una riflessione sulla cultura, ma partendo da essa, dandola per scontata, e questo è anti-filosofico. La filosofia deve sempre questionare. Non basta dire Dio, in questo Heidegger è sempre stato molto chiaro, la sua è una filosofia atea (e che ovviamente si occupa di Dio, non che parla come Dio.)
Fatte queste ulteriori delucidazioni ancora non ho capito la tua posizone caro Franco. A favore di heidegger o contro? tanto per iniziare.


per paul : nietzche la fenomenologia della menzogna te la introduce subito in umano troppo umano: che ne sapete VOI di quali menzogne ha bisogno la vita per poter dire "io voglio vivere!" ?
Il tutto nella mimesi del "mi chiamano un uccellatore addirittura un pervertitore della morale, ma anche un pioniere e un uomo di grande forza intellettuale" (socrate? senza essere socrate infatti è una mimemsi, il contrario della finzione platonica del potere politico o ideologico).

Per quanto riguarda il nostro argomento comune, ossia il fondamento: per capire il fondamento non posso partire dalla sua pretesa naturalità, ti ho fatto questa critica da anni ma continui a ignorarla, ma va bene così.
E' normale che non  capisci la prospettiva relativista di Sini. Non è affatto relativista, è invece serissiam presa di indagine delle forme della consocenza. Fra cui tuo malgrado quella naturale.
Se poi non capisci che il transuamensimo è l'ennesima mimesi di qeullo stesso pensiero giusnaturale che inquina le menti del 99% dei filosofi non posso farci niente.
RIcordo che con sorpresa che uno dei pochi che l'ha capito è stato il mediocre Bobbio, non ho ancora approfondito la cosa, ma ricordo che in uno dei tanti riassunti dei riassunti su internet, mi PAREVA che fossimo d'accordo. (questo nel caso qualcuno volesse approfondire o aprire 3d, troppo difficile farlo con serietà da parte mia, equivarrebbe a enunciare una nuova filosofia, che purtroppo per quanto infinitamente migliore di quella attuale, nemmeno quella riesce a soddisfarmi.
Però sono qui.  Negli anni scorsi l'ho sempre data per scontata se qualcuno vuole lavorarci mi faccia sapere e apra 3d (io non lo farò, risponderò al massimo in base alle questione che si porranno) Lo dico sempre nel solco dell'idea di essere più chiari da parte mia.


Per Kobayashi: va bene, ma già lo so che sei uno dei delusi di Sini.
Il fatto è che quello che a te sembra banale per uno studente non lo è.
Ma certamente anch'io mi auguro per loro che superino presto lo statuto di ammirazione che hanno di Sini.
Per dirla tutta non credo che nemmeno capiscano, ormai è diventato happening culturale, di per sè un  MEME, ossia una cellula di riproduzionentro dell'identico. Che nei cultural studies corrisponde credo (vado ad orecchio) al problema della ripetizione.

Io per metafisica non intendo mimimamente la qustione ontica, e quindi per converso neppure dellla questione ontologica.
L'antropologia che seguisse quel modello (e credo che sarà così) è destinata come dici tu a ripetere gli stessi errori....Oh ma guarda! lo stesso problema che aveva alzato diventa automaticamente (come nelle topiche freudiane) il loro problema!

per metafisica io intendo quello che heidegger capisce in fine di vita ossia che l'ente si dà sempre come non ente.
non è la vecchia questione dell'universale contro il particolare (nel senso che in parte è ovvio che sia così, io sono un realista non un nominalista, di inciso) come Volpi tuoneggiava contro Martin.
Bensì sempre quella della filosofia antica, ossia dello svelamento del ente come tale.
Dove non è l'ente in causa, qui la critica di Heidegger è condivisibile, quanto lo svelamento.

Il suo problema di heidegger non è tanto l'ente, ma proprio l'essere, che egli stesso sa di non poter essere un ente.
E nemmeno un non essere, egli infine stremato dice che l'essere è il non- non essere, che non è un essere come la logica formale vorrebbe che fosse, ma porprio l'essere è nella sua doppia negazione.
Ossia nel doppio mandato del suo velarsi, come ente, e come essere.

mentre il primo svelamento è possibile come tecnica il secondo è impossibile.
per questo solo un Dio può salvarci.
infatti heidegger capisce che il tema dell'esserci è quella mediazione continua fra ente che si manifesta come dimenticanza dell'essere da cui è prodotto, sennonchè questa produzione è inesistente.

Siamo ben oltre kant.

Ho trovato una parziale risposta nel talmud, in cui la prima legge divina è non nominare ciò che dà nome.
Ossia uscire dal linguaggio in quanto indicazione.

Siamo all'esatto opposto della considerazione cristiana, in cui invece l'indicazione è addirittura fondamentale.

Ma questa è follia! bizzarro che heidegger invece abbia travisato quel pensiero ebraico, come se fosse veramente un pensiero sull'essere, e non sul nome.
Peccato avrebbe trovato che dicevano la stessa cosa!

La metafisica è insomma questo, il disvelamento del divino in quanto velamento della realtà costante.

per questo motivo la legge, nel mondo ebraico diventa la necessità di ricordarsi sempre questo velamento. tramite una fitta analisi della vita quotidiana.
in cui si questiona qualsiasi cosa, dal risveglio fino alla morte.

La metafisca come Berakhot, come illuminazione continua di DIO sul mondo.
Arriva persino alla accettazione dell'olocausto, come evento, a cui l'uomo è chiamato sempre a rispondere.
(rispondere intellettualmente).

E' in fin dei conti il libro di Giobbe.

La metafisica è il libro di Giobbe. (compresa la analisi tra diritto e lecità della domanda, dove nel libro è chiaro che essendo giobbe il protagonista si risolve come SIA LA DOMANDA E NON IL DIRITTO a prevalere).

Il diritto essendo per loro il richiamo alla continua nominazione del mondo.

E per cui al dolore è prescirtto il silenzio.

Nessun silenzio nell'intellettualità, ma una costante domanda. E questi vince anche sui Giusti. ( Il gesù storico è in fin dei conti anche quello, ossia uno che ricorda chi sia giobbe).

La metafisica è dunque il discorso sul dolore che non può nominare il suo produttore, e dunque è il discorso sulla storia come evento.
Ma dove l'evento è anche il risvegliarsi la mattina.

In generale la metafisica che dovrebbe essere il discorso sul rapporto uomo e Dio, e che dovrebbe prevedere una nuova antropologia e il pensiero ebraico preso seriamente (e non ideologicamente o peggio! vedi la senatrice Segre).

è solo uno stumento.


La metafisica è quello strumento affinchè vi sia un discorso, sennò chiuso al silenzio e alla sua malattia, l'incapacità di confronto.

Ma è sempre all'interno del discorso che possa dare conto del senso dell'esistenza.

Che è il discorso del soggetto (ossia dell'origine) del desiderio (ossia del tabuico) e infine dell'ente (ossi delll'orizzonte, ossia della politica).

IL discorso del soggetto e dunque della domanda "chi parla?" è ancora da venire.

Infatti Cartesio parte dall'io dando per scontato che il soggetto sia il proprio io.

ma il soggetto non è affatto l'io, perchè l'io è un parlante che non può che diventare (all'itnerno del giusnaturalismo) una persona.

E dunque è dentro questo paradigma critico che ho recentemente formulato, che va innestandosi poi la domanda filosofica.

Per cui non ho dubbi che la filosofia rimanga tale.

Non ho bisogno di misticismi, l'oroscopo con la sua cabala e le loro figlie degeneri sono finite prima nel cassetto e poi nell'immondizia del pensiero.

Pensare che la religione stia incredibilmente infilandosi in quei meandri è assolutamente scandaloso.
Lo ha fatto notare Severino, facendo notare il terribile passo indietro che ha portato da Ratzinger e Francesco.

No la filosofia non morirà mai.

Perchè l'uomo chiede sempre del suo senso.

Altrimenti perchè il più grande pensatore arriva a dire che solo un Dio può salvarci?

Salvarci da cosa? Dalla domanda di senso.

Heidegger era troppo puntiglioso per poterlo dire pubblicamente, in quanto temeva che la sua fosse una proposta teologica, e invece era l'esatto contrario.

Nessuna entità, nessun Essere che sia un Ente.
Queste cose esistono solo nella fantasia, nello misticismo, cha al massimo come l'arte può solo consolarci.
Ma consolarci di cosa? della mancaza di senso.

Come se la consolazione fosse un senso!!!

Siamo al delirio, non è metafica neppure quella.  (a proposito di Adorno)

La metafisca è il discorso sulla doppia mandata dell'esilio di un supposto Dio.
OVviamente nessun Dio. Solo la nominazione. L'evento che l'uomo non può conoscere MAI.

Avviene, inspiegabilemte.

Una voce si lega ad un oggetto.

Cosa è la voce? (è questa la vera domanda della metafisica, semmai la metafisica abbia una domanda da farsi)

Cosa vuol dire che le cose ci chiamano? Cosa vuol dire rispondere alla chiamata? cosa vogliono dire i demoni?

Di che parla Dostoevsky caro amico?  Perchè nessuno può stargli pari?

Dostoevsky è la metafisica. Kafka è la metafisica.

Chi altri? non vedo e non sento nessun altro.

In Nietzche questa cosa non c'è.

In Nietzche la domanda di senso si perde completamente.

Perchè ha svelato che chi parla di metafisica non è la metafisica.

la metafisica è solo una domanda e quindi spetta ai parlanti.

Ma oggi si può parlare?

Egli sostiene che DIO è morto.

Intende dire che oggi noi non possiamo parlare. E non si riferisce in maniera assoluta ma proprio al nichilismo che verrà.

E' una questione della storia.

Dunque la metafica è dentro la storia, non è fuori della storia.

Dunque non è un universale.

Se l'universale non esiste dunque esiste un relativo assoluto?

Ma certo che no! Ed è qui che fraintendi!!!

Vi è una storia, ma una storia di cosa?

Ma come???!!!! è quello di cui parla SINI!!!!!!

E' la storia dei parlanti, è la storia della semeiotica.

Dunque all'interno dei discorsi, noi scegliamo quel discorso che è il discorso della semeiosi.

In cui la domanda è quale è l'ente definito dai parlanti?

Se l'ente è la cultura, siamo punto e a capo!!!!!

Ma questo NON vuol dire che non esiste un ente.


E questo ente è il discorso.

Ma non è forse quello che leggi? quali sono le condizioni affinchè il discorso sia tale come vero?

Ossia come faccio a dire che è un ente di discorso?

E qui che casca l'asino ossia l'intera filosofia.

IL discorso NON è un ente!!!!!!!!!!!!!!

Ma come! è proprio la metafisca ossia il discorso trinitario sul senso della vita ossia origine desiderio e orizzonte (chi siamo? dove andiamo) perchè lo stiamo facendo?)

Non mi paiono domande relative, se non che il relativo è proprio nel reticolo dei discorsi di ciascuno.

Non vi è un ente a cui uniformarsi altrimenti non vi è nemmeno discorso, neppure domanda.

La metafisica sempre deve essere fuori dall'ontologia entizzata come se fosse un ente universale.

La metafisica sono le domande che ci si pone di fronte al soggetto.

Dunque chi parla ( che in tedesco suona come colui che si differenzia dall'oggetto, ma in latino italiano suono molto più preciso, come colui che è in preda all'oggetto, e che dunque per non essere tale, deve fare uno SFORZO, per differenziarsi) chiede a se stesso, ossia l'io chiede del suo essere un soggetto, ossia come ha fatto a dirsi un "io", prima di implodere nella giurisdizione che essendo io un io (come se questo risolvesse qualcosa, se non che l'eleminazione del pensiero ossia della domanda metafisica), quello che era un soggetto?

E' chiaro che è già dentro il linguaggio.
Deve fare uno sforzo per andare oltre il suo naso.
Il filosofo lo deve fare per professione (mi pare l'unica etica richiesta).

Sini lo spiega bene bene,

Non è che il significante è vero in sè, il significante si riferisce sempre ad un significato.

E questo significato è proprio il soggetto. (perciò addio pensiero debole).

Dunque la metafisica è il discorso dell'io che si fa in quanto soggetto. Ossia a quale oggetto mi sono riferito?

Ossia perchè mi sono riferito ad A, quando potevo scegliere B; C etc.....

In questo senso la teoria marxiana ed hegeliana è ottima, ma solo per la prima parte.

la secoda ha bisogno della pscianalisi.

una volta che ho fatto lo sforzo di capire che il mio io, è solo il desiderio di identificarmi con il mio feticcio e che la persona giuridica è quella cosa che mi impedisce di sottrarmi a quel feticcio.
capisco che per uscire da questa schiavitù scelta. perchè ognuno la sceglie. devo fare uno sforzo per capire cosa sia il desiderio.

il desiderio di conoscermi come soggetto e non come io implica che devo svelare il rapporto diadico che ho con l'oggetto stesso.
in questo senso mi dò un orizzonte perchè avvenga questo svelamento.

l'orizzonte è la domanda di senso. che sta all'ultimo, ma che in realtà sta all'inizio. Ossia perchè faccio quello che faccio?

E' da lì che passiamo al desiderio dell'altro, che fa il paio con la paura dell'Altro.

Tanto che io desidero l'altro solo se egli è dentro L'Altro, come se l'altro fosse l'Altro.

Ma l'Altro (che poi totemicamente diventa DIO) non esiste come tale. In quanto ogni altro è sempre altro dall'Altro.

Altrimenti come farebbe a divetare un altro?

E' lì che l'indagine freudiana arriva fino alle sue conseguenze più estreme.

Ossia che l'io ha paura che esista un altro. Ma che dico paura? dovrei dire meglio terrore.

Dunque l'io è il soggetto terrorizzato che diventa feticista.

Costruendo una colossale macchinazione produttiva, e facendo diventare l'Altro un ente, chiamato Stato, l'ultimo dei signori.

Ma è proprio nella macchinazione che l'Altro diventa di nuovo un altro e questa volta in senso robotico, vedasi alla voce transumanesimo.

Dunque è inutile il giro del terrore è sempre in atto, anche all'interno degli orizzonti che ci siamo dati.

Ovviamente il giro del terrore si chiama paranoia.

E l'unico che l'ha affrontato è Nietzche.

Dunque per assurdo Nietzche fa uno sforzo perchè la domanda di senso metafisico ritorni.

In fin dei conti va anche oltre.

Egli immagina le nuove frontiere antropologiche, e come in un topos ricade negli stessi errori che lui per primo aveva messo in guardia dal non fare.

Ma appunto quello che nessuno capisce è che è solo una menzogna.

Perchè egli punta a dare un nuovo orizzonte, nessun uomo dopo l'uomo. è sempre l'uomo e la sua domanda a rimanere.

E dunque la metafisica che lo abita.

La metafisica è necessaria perchè all'iterno della sua tricotomia, è colei (come domanda non come ente) che apre il discorso, della doppia mandata del velamento.

Ossia come è possibile che vi sia un io?

Torniamo a Cartesio e Kant? Ma certo!!! Non è ovvio? Come facciamo altrimenti anche solo pensare che questo io sia diverso da quello che noi stessi pensiamo come persona?

Se l'io fosse una persona, no esisterebbe alcuna metafisica, il che come ampiamente spiegato dai presocratici NON è.

La filosofia esiste ancora finchè l'io rimarrà  tale. e cioè per SEMPRE (ovvero fin che è in vita).

Dove starebbe il relativismo assoluto?

Io non lo vedo affatto.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Franco

#49
Green:

Per Franco: ma certamente Heidegger vuole una ricostruzione ontologica per ritornare all'essere dell'uomo.

Franco ( = F):

Che Heidegger voglia ricostruire l'ontologia è fuori discussione. Come ho già richiamato, la rifondazione dell'ontologia occidentale è proclamata nelle prime pagine di Sein und Zeit. Che Heidegger voglia procedere ad una Destruktion der Geschichte der abenlandischen Ontologie ( distruzione della storia dell'ontologia occidentale) per ritornare all'essere dell'uomo è una tesi che andrebbe attentamente vagliata. Tanto più che gli esponenti più accreditati della critica a me nota additano proprio nell'abbandono dell'orizzonte antropologico il motivo della Kehre (svolta) nella impostazione della questione del senso dell'essere. Le questioni sono spinose anche in considerazione della situazione nella quale quegli interpreti - ad eccezione di Emanuele Severino - non sono capaci di tener in vista la problematica fondamentale della metafisica dell'Esserci quale si configura negli anni a ridosso del concepimento e della pubblicazione di Essere e tempo. Onde la questione del ritorno all'essere dell'uomo attraverso la rifondazione dell'ontologia dovrebbe essere illuminata dalla comprensione di quella metafisica ( = ontologia fondamentale come ontologia dell'esser - ci).

Green:

Ma non bisogna fraintendere il suo percorso, infatti per lui l'essere è evidentemente il non essere. Ci arriva egli stesso alla fine della sua parabila di pensiero come ben sottolineato da Volpi, quest'ultimo in chiave di serrata crtica, come se l'essere esistesse.....

F:

Che Heidegger pervenga al nulla come senso dell'essere nei termini posti dal testo appena citato, mi sollecita non poche perplessità. Giacché se il nulla di Heidegger non è e non può essere il nulla come nihil absolutum, allora la verità dell'essere come nulla è una verità che guida Heidegger già nella preparazione di Essere e tempo. Ed una preparazione che dura anni.

Green:

Sini critica di Heidegger il suo tecnicismo della parola, infatti deduce il suo sistema non da una riflessione sulla cultura, ma partendo da essa, dandola per scontata, e questo è anti-filosofico. La filosofia deve sempre questionare. Non basta dire Dio, in questo Heidegger è sempre stato molto chiaro, la sua è una filosofia atea (e che ovviamente si occupa di Dio, non che parla come Dio.)

F:

Che la filosofia di Heidegger sia atea è uno dei più clamorosi fraintendimenti filosofici del '900. Al contrario l' intera problematica ontologica di Heidegger è elaborata in vista della rifondazione degli oggetti classici della metafhysica specialis quale direzione ontica della indagine metafisica.
E la maldestra esegesi di Sini favorisce il fraintendimento.

green demetr

Ciao Franco,

ho fatto ieri alcune ricerche, le posto solo oggi per riaffermare l'importanza dell'ateismo nella ricerca del DIO.
Sembra un controsenso, ma non lo è, come appurato dalla Brencio, che lo associa al concetto tedesco di DWENG, ossia come lo leggo io, senza aver ancora affrontato il corpus heideggeriano per inciso, il fatto che DIO è un fatto umano molto umano (non troppo ;) ) e che consiste nella nostra eterna sofferenza.
E' solo dalla sofferenza che può nascere l'autentica valutazione filosofica. Solo da ciò che ultimamente è umano. L'uomo come riaffermazione fortissima rispetto a qualsiasi illusione post-umana.

tutte le citazioni sono dalla rivista eletteronica filosofica ad accesso open (pubblico) che usiamo come fonte per il dialogo http://www.kasparhauser.net/Ateliers/Teologia/Brencio-Heidegger-Paolo.html che ringrazio per il lavoro fatto.

cit
"In un curriculum vitae da Heideger stesso scritto nel 1922 e spedito al Prof. Georg Misch egli scrive: «A quel tempo il mio rapporto con la ricerca fenomenologica era ancora incerto. Nei principi che ispiravano il mio orientamento scientifico ritenevo ancora conciliabile la ricerca scientifica con un cattolicesimo liberamente inteso, nel senso di un interesse puramente storico per la storia spirituale del Medioevo. Sottovalutavo ancora la portata che il necessario approfondimento delle domande prime deve necessariamente avere in vista di una storia dei problemi filosofici [...]. Sin dall'inizio della mia attività accademica mi fu chiaro che un'indagine autenticamente scientifica, libera da ogni riserva e da qualsiasi vincolo occulto non è possibile continuando a essere realmente fedeli al punto di vista della fede cattolica. Per me stesso, nella mia ininterrotta occupazione con il Cristianesimo delle origini, nel senso della moderna scuola di storia della religione, questo stesso era diventato insostenibile. Le mie lezioni furono proibite agli studenti di teologia»."


Scrive ancora la Brencio (una dei pochi intellettuali che capisce qualcosa di Heidegger)-

cit.
"Dopo la fine dei sistemi forti, cioè di quelle speculazioni in grado di spiegare, giustificare e fondare la realtà more geometrico, la "morte di Dio" occupa un posto privilegiato nella speculazione novecentesca: teorizzazione hegeliana, aforisma nietzscheano, visione del mondo, impasse metafisica contro cui il filosofare stesso si è imbattuto e ha dovuto rimettersi in discussione per cercare di rispondere all'interrogativo che nasceva dal vuoto occupato dal fondamento, come origine del tutto, da ogni fondamento, sia esso religioso, trascendente o metafisico. Proprio il vuoto rivelato da questa scoperta, definita da Nietzsche come il "più grande evento recente", mostra la caduta di quella volta del paradiso, cioè di quel cielo che copriva un mondo ordinato secondo categorie predeterminate metafisicamente dove l'uomo per secoli aveva abitato, almeno intellettualmente; con la "morte di Dio" «il "soprasensibile", l'"aldilà" e il "cielo" sono stati annientati, rimane soltanto la terra». [9] Heidegger sembra essere uno degli ultimi filosofi a far cadere l'ultimo frammento di questa volta celeste. E in tal senso l'esito della sua riflessione ontologica rischia di apparire come un messaggio "di povertà", con uno scarto esistenziale prima e teoretico dopo, che rimaneva ignoto alla sua interpretazione della poesia. Se, infatti, in questa sua interpretazione egli riservava alla poesia il compito di custodire e cantare il ritorno della pienezza, proprio questo era il compito ultimo che la poesia doveva assolvere; contrariamente, alla filosofia appare difficile attendere questa pienezza e patirne l'assenza. «La filosofia è giunta alla fine [...]. Nella fine della filosofia si compie quella direttiva che, sin dal suo inizio, il pensiero filosofico segue lungo il cammino della propria storia. Alla fine della filosofia il problema dell'ultima possibilità del suo pensiero diviene affare serio». [10]"


In cui la Brencio illustra chiaramente il dweng l'ateismo originario necessario per parlare seriamente.


Ancora a proposito del doppio mandato negativo dell'ontologia con cui rispondevo prima a kobayashi, ella scrive. Cito ancora dalla rivista pubblica http://www.kasparhauser.net/Ateliers/Teologia/Brencio-Heidegger-Paolo.html

"Se la "morte di Dio" rappresenta lo sprofondarsi della verità prima — sia essa religiosa che metafisica — nell'immanenza, nel finito, la "fine della filosofia" rappresenta l'impossibilità stessa di ridurre il pensare unicamente all'ambito del finito, creando così uno iato insuperabile che caratterizza tanta parte della riflessione contemporanea. [11] Questa duplice impossibilità da parte del pensiero, cioè impossibilità sia di essere unicamente pensiero del finito sia di essere sostenuto dal finito stesso, caratterizza in modo radicale e unico quella che Heidegger chiama la "fine della filosofia", rendendo la fine stessa una "fine senza fine". «La filosofia non potrà produrre nessuna immediata modificazione dello stato attuale del mondo. E questo non vale soltanto per la filosofia ma anche per tutto ciò che è mera intrapresa umana. Ormai solo un Dio ci può salvare. Ci resta, come unica possibilità, quella di preparare nel pensare e nel poetare una disponibilità all'apparizione del Dio o all'assenza del dio nel tramonto». [12]"


La fine della filosofia è proprio l'impossibilità di parlare dell'ente. Sia esso Dio sia esso l'uomo che ad esso si riferisce. Dunque non puà essere una logia (che presuppone una consocenza di cosa sia l'uomo E il suo presunto oggetto di indagine, ossia Dio. Entrambi NON ESISTONO.
Vale a dire l'esatta negazione della metafisica speciale.
Pure essendo la stessa metafisica speciale l'oggetto di interesse di Heidegger (questo sì).

Purtroppo la Brencio ha già ammesso (e già questo la pone sopra tutti gli altri (che non ammettono mai alcunchè) che il tema della morte affrontato da Heideger non riesce a seguirlo fino in fondo per motivazioni personali (legate al dolore come si capisce facilmente).

Perciò il resto dell'articolo è la panacea del kairos paolino e agostiniano. Ossia dell'aspettare ciò che è già avvenuto (la salvezza del mondo) grande paradosso e circolo paranoico della cultura occidentale cristiana.

Ma il cruccio dell Brencio viene fuori alla fine dell'articolo, in quanto il trauma ha sempre un sintomo.

Perciò leggiamo il passaggio da lei scelto sulla morte.
Preludio all'essere essente "come non essente".

"Scrive Heidegger: «Il tempo è povero non soltanto perché Dio è morto, ma perché [...] la morte si ritrae dell'enigmatico. Il mistero del dolore resta velato. Non si impara ad amare [...]. Povera è questa povertà stessa perché dilegua la regione essenziale in cui dolore, morte e amore si raccolgono». [51] Quel tempo è ora lontano. Ciò che è rimasto all'uomo è la possibilità dell'attesa di un Dio che possa modificare lo stato presente delle cose, salvando l'uomo dal baratro in cui è sprofondato. Sulla china del baratro sta la tecnica e la sua sopraffazione sulla capacità dell'uomo di saperla utilizzare; l'impianto della tecnica è ciò che reclama la spoliazione dell'uomo: «Tutto funziona. Questo è appunto l'inquietante, che funziona e che il funzionare spinge sempre oltre verso un ulteriore funzionare e che la tecnica strappa e sradica l'uomo sempre più dalla terra [...]. Non c'è bisogno della bomba atomica: lo sradicamento dell'uomo è già fatto. Tutto ciò che resta è una situazione puramente tecnica. Non è più la Terra quella su cui oggi l'uomo vive». [52]"


In realtà il passaggio è esattamente il problema della brencio, ossia che la morte si pone come dolore. Ma di fronte a quell'enigma di cui parla, e di cui la filosofia di Heidegger ne dipinge il fantasma, ci si arresta. (anche solo per dire quanto Nietzche ed Heidegger siano lontanissimi come mondi).

Riprendendo i miei recenti studi sull'ebraismo.
Non posso che rimandare alla risposta già data a kobaysashi.
Ossia al libro di giobbe.




Ancora sul concetto di Dwenk che non conoscevo, ho trovato questa tesi, di cui mi permetto di elencare solo gli indici.

http://paduaresearch.cab.unipd.it/6310/1/Laura_LaBella_Tesi.pdf


CAPITOLO VI La    fenomenologia    heideggeriana    dell'affettività:    il    primato    ontologico    della Befindlichkeit e la funzione aletica delle Stimmungen§  1.  Il  ripudio  del  paradigma  antropologico  tradizionale  e  la situazione  emotiva  quale modalità di comprensione preteoretica del mondo p. 415§  2.    Genesi  ed  evoluzione  semantica  della  nozione  di  'Befindlichkeit'  nel Denkweg  del primo Heidegger  p. 425§ 3.Primato ontologico e funzione aperturale della Befindlichkeit  p. 436§ 4. Il fondamento patico della costituzione progettuale dell'Esserci e la potenza rivelatrice delle Stimmungenp. 453§ 5. Lo statuto della metafisica e la disponibilità dell'Esserci a destare la Grundstimmungdel domandare filosofico


CAPITOLO X L'ascolto patico del Denken in quanto leidenschaftliches Fragen§ 1. Il primato del paradigma della 'visione' nella metafisica antica  p. 645 § 2.'Visione', 'rappresentazione' e 'certezza' nella Metafisica della soggettivitàp. 663§  3. Il  primato  del  paradigma  dell''ascolto'  nel  pensiero  heideggeriano:  la  cooriginarietà della  dimensione acustico-musicale  rispetto  a  quella patico-affettiva  e  il Denken  come 'Entsprechung', 'Stimmung', 'Handeln' e 'Hören'p. 673


Ecco in attesa di leggere qualcosa del capitolo 6 e 10 su questa necessità. Mi sembra interessante, oltre che molto cospicua la tesi.

Ossia la necessità dell'ateismo, della sottrazione del dolore personale al potere costituito delle metafisiche speciali quasi DIO esistesse!


Non che Heidegger non capisca sulla scorta di Paolo, che la teologia è solo mera pratica.

Ma proprio perchè la teologia è mera pratica essa non si domanda del suo dolore.

(Cosa che fa tremare i polsi, vedi la brencio).

Naturalmente il primato della parola come se fosse un fantasma del sonoro, nella visione Heidegeriana è esattamente quello che Sini giustamente critica, in quanto la domanda che lo inerisce rischia di diventare sorda al reale potere invisibile.

In quanto come detto nella risposta a Kobayashi, il mistero del suono che si unisce immediatamente al suo oggetto e diventa parola, è prima nella cultura che sostanzialmente poi lo cura (rischiando di finire in ideologia).


la cura della parola, NON può essere una cura delle radici delle parole, ossia della radice di tutti i problemi fondamentali della metafisica.
Bensì solo uno strumento utile, l'importante è ricordare tutti i problemi alle parole sottesi.
La cura della parola è forse il canone occidentale. Ci si prende cura dei prorpi concetti (compreso la metafisica speciale, ma certo, lo faccio anch'io). E' l'orizzonte  a cui si apre però che mi interessa, non l'orizzonte in cui si chiude. Ma fra le altre cose, penso che Heidegger questo lo capisse, forse per ricevere la critica di Sini, ha scritto molto male (non mi spiego sennò la montagna di critiche che egli riceve sulla cosa: che possiamo sintetizzare con "perchè il tedesco e il greco e non per esempio l'italiano e il latino?" .  


Il problema non è la parola in sè, insomma!  E' questa la critica a Heidegger più diffusa.


Ecco in un parallelo con l'ebraismo:
Infatti è scritto nella Bibbia, NON NOMINARE il nome di DIO invano.
Dovrebbe essere ampiamente chiaro.   ;)  (ah poterne parlare!!!ma come già detto mi sono posto il divieto di farlo)


Ecco di nuovo proviamo a fare un sintesi a cui magari poter rispondere chi volesse, in quanto abbiamo volato alto fin ora.


Per questo la stimmung è l'unica vera soluzione al problema del senso dell'essere, nel senso che lo stato d'animo del parlante che non sa chi egli sia o cosa Dio sia, è il sintomo delle pulsioni inconsce che lo trattengono (appunto la stimmung) nel Mondo e che lo rigettano. Lo alienano.


In base alla valutazione di quei sentimenti è di nuovo possibile una nuova metafisica. Cosa su cui ha lavorato Heidegger (vado a buon senso, anche per Essere e Tempo sono fermo agli inizi, e mi baso sulle infinite sintesi altrui, condite con i miei ragionamenti, come credo che la filosofia debba essere)

Dio non è presupposto cioè! ma continuamente domandato come la grande tradizione ebraica (ortodossa e non mistica) ci insegnerebbe.
Io con molta umiltà mi sto adoperando a capirla.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

Ciao Green,
citaz Green
per paul : nietzche la fenomenologia della menzogna te la introduce subito in umano troppo umano: che ne sapete VOI di quali menzogne ha bisogno la vita per poter dire "io voglio vivere!" ?Il tutto nella mimesi del "mi chiamano un uccellatore addirittura un pervertitore della morale, ma anche un pioniere e un uomo di grande forza intellettuale" (socrate? senza essere socrate infatti è una mimemsi, il contrario della finzione platonica del potere politico o ideologico).Per quanto riguarda il nostro argomento comune, ossia il fondamento: per capire il fondamento non posso partire dalla sua pretesa naturalità, ti ho fatto questa critica da anni ma continui a ignorarla, ma va bene così.E' normale che non  capisci la prospettiva relativista di Sini. Non è affatto relativista, è invece serissiam presa di indagine delle forme della consocenza. Fra cui tuo malgrado quella naturale.Se poi non capisci che il transuamensimo è l'ennesima mimesi di qeullo stesso pensiero giusnaturale che inquina le menti del 99% dei filosofi non posso farci niente.RIcordo che con sorpresa che uno dei pochi che l'ha capito è stato il mediocre Bobbio, non ho ancora approfondito la cosa, ma ricordo che in uno dei tanti riassunti dei riassunti su internet, mi PAREVA che fossimo d'accordo. (questo nel caso qualcuno volesse approfondire o aprire 3d, troppo difficile farlo con serietà da parte mia, equivarrebbe a enunciare una nuova filosofia, che purtroppo per quanto infinitamente migliore di quella attuale, nemmeno quella riesce a soddisfarmi.Però sono qui.  Negli anni scorsi l'ho sempre data per scontata se qualcuno vuole lavorarci mi faccia sapere e apra 3d (io non lo farò, risponderò al massimo in base alle questione che si porranno) Lo dico sempre nel solco dell'idea di essere più chiari da parte mia.

Quì si parla di ciò che dice Sini nel video che hai linkato e non di cosa dice o pensa Nietzsche.
Per dire della menzogna bisogna prima definire autenticità e verità.

Il fondamento non è solo naturalità, la natura è solo un importante e imprescindibile dominio, ma non è tutti i domini.

E siamo daccapo: senza paradigmi fondamentali che dichiarano verità e autenticità, come è possibile orientare una qualunque conoscenza, se non perdendosi nelle infinite battaglie nella vacuità della mondanità.

Certo che il transumanesimo, in senso lato, è contrattualismo giusnaturalista; basta vedere come le menti pensanti di Google intendono il rapporto uomo-tecnica. L'uomo dovrà adattarsi alla tecnica e la tecnica in sé è niente affatto emancipatoria. Se l'uomo deve perdere la sua autenticità per diventare un servo tecnicista e non come prospettano contraddittoriamente che la tecnica aiuta l'uomo, si devono oltremodo chiamare in causa i fondamenti per svelare la verità contraddittoria che si cela dietro il dispositivo culturale.

Ho aperto recentemente la discussione "Filosofia politica", se ti interessa.

Un breve excursus su rapporto Heidegger-Nietzsche di cui scrivi.
Heidegger interpreta Nietzsche come critica radicale alla metafisica occidentale, ma vedeva l'antropomorfizzazione dell'Essere nella sua volontà di potenza. Simile a quello stesso atteggiamento filosofico che critica. Per questo lo ritene ancora l'ultimo metafisico.
Ma Heidegger nega la possibilità di una teologia naturale, in quanto riteneva che la filosfia dovesse occuparsi fino al limite del sacro, poiché qui interviene la fede. Ciò poiché non è possibile ridurre Dio a una nozione filosofica, mentre la teologia è la scienza di ciò che è disvelato nella fede, cioè di ciò che è creduto. Heidegger è quindi vicino alla teologia negativa, ad es. dei mistici neoplatonici nell'interpretazione della Parusia cristiana secondo cui Dio è"absconditus",quindi nascosto, ma che si dà attraverso il tempo, nella storia. Questo rivelarsi è "l'ereignis", l'evento.
Si deduce che l'uomo è progetto calato nell'esistenza che ha il dovere di custodire e rivelare l''Essere.

Franco

#52
greendemetr,

a) Mi domando: come fai a pensare che la Brencio sia una delle poche a capire qualcosa di Heidegger a fronte della tua ammissione di non aver affrontato l'opera di Heidegger?

Brencio:

"In un curriculum vitae da Heideger stesso scritto nel 1922 e spedito al Prof. Georg Misch egli scrive: «A quel tempo il mio rapporto con la ricerca fenomenologica era ancora incerto. Nei principi che ispiravano il mio orientamento scientifico ritenevo ancora conciliabile la ricerca scientifica con un cattolicesimo liberamente inteso, nel senso di un interesse puramente storico per la storia spirituale del Medioevo. Sottovalutavo ancora la portata che il necessario approfondimento delle domande prime deve necessariamente avere in vista di una storia dei problemi filosofici [...]. Sin dall'inizio della mia attività accademica mi fu chiaro che un'indagine autenticamente scientifica, libera da ogni riserva e da qualsiasi vincolo occulto non è possibile continuando a essere realmente fedeli al punto di vista della fede cattolica. Per me stesso, nella mia ininterrotta occupazione con il Cristianesimo delle origini, nel senso della moderna scuola di storia della religione, questo stesso era diventato insostenibile. Le mie lezioni furono proibite agli studenti di teologia»."

Franco ( =F):

Al contenuto di questa citazione si può affiancare /opporre quanto lo stesso Heidegger afferma in una lettera di straordinaria importanza a Karl Löwith risalente al 1921.

"E' un errore fondamentale che lei e Becker mi misuriate (in modo ipotetico o meno) sul metro di Nietzsche, Kierkegaard ... e di qualsiasi altro filosofo creativo. Ciò non è vietato - ma bisogna allora dire che io non sono affatto un filosofo e non presumo neppure di fare qualcosa che a ciò sia anche solo lontanamente paragonabile. Io sono un teologo cristiano".

F:

Il testo è tratto dalle Lettere citate da H. G. Gadamer nel saggio Die religiose Dimensionen in Hedegger, in A.a. V.v., L'héritage de Kant, Paris 1981.
Siamo alle prese con la solita ( = essenziale) ambiguità heideggeriana, sorgente tacita ed esplicite di tutte le sue fortune e sfortune.

Brencio:

"Dopo la fine dei sistemi forti, cioè di quelle speculazioni in grado di spiegare, giustificare e fondare la realtà more geometrico, la "morte di Dio" occupa un posto privilegiato nella speculazione novecentesca: teorizzazione hegeliana, aforisma nietzscheano, visione del mondo, impasse metafisica contro cui il filosofare stesso si è imbattuto e ha dovuto rimettersi in discussione per cercare di rispondere all'interrogativo che nasceva dal vuoto occupato dal fondamento, come origine del tutto, da ogni fondamento, sia esso religioso, trascendente o metafisico. Proprio il vuoto rivelato da questa scoperta, definita da Nietzsche come il "più grande evento recente", mostra la caduta di quella volta del paradiso, cioè di quel cielo che copriva un mondo ordinato secondo categorie predeterminate metafisicamente dove l'uomo per secoli aveva abitato, almeno intellettualmente; con la "morte di Dio" «il "soprasensibile", l'"aldilà" e il "cielo" sono stati annientati, rimane soltanto la terra». [9] Heidegger sembra essere uno degli ultimi filosofi a far cadere l'ultimo frammento di questa volta celeste. E in tal senso l'esito della sua riflessione ontologica rischia di apparire come un messaggio "di povertà", con uno scarto esistenziale prima e teoretico dopo, che rimaneva ignoto alla sua interpretazione della poesia. Se, infatti, in questa sua interpretazione egli riservava alla poesia il compito di custodire e cantare il ritorno della pienezza, proprio questo era il compito ultimo che la poesia doveva assolvere; contrariamente, alla filosofia appare difficile attendere questa pienezza e patirne l'assenza. «La filosofia è giunta alla fine [...]. Nella fine della filosofia si compie quella direttiva che, sin dal suo inizio, il pensiero filosofico segue lungo il cammino della propria storia. Alla fine della filosofia il problema dell'ultima possibilità del suo pensiero diviene affare serio» ".


F:

tra l'altro:

a) può un sistema non essere forte? Mi domando cosa possa essere un sistema debole.

b) chi ha deciso la fine dei "sistemi forti"? Forse la signora Brencio?  

c) fine dei sistemi capaci di spiegare la realtà? Vale a dire? Mi domando cosa possa essere un sistema forte non avente come obiettivo la spiegazione della realtà. Se la realtà è se stessa, allora una sua spiegazione in senso forte è inevitabile.

d) l'autrice sembra fare il verso a Nietzsche .richiamando la celebra sentenza della "morte di Dio". Maldestramente peraltro è in modo da favorire la costruzione infondata del piano a partire dal quale leggere Heidegger. Quale piano? Quello per il quale il metafisico è il trascendente non - materiale. Vizio già kantiano viene ripreso, variamente enunciato, ma non discusso da Heidegger.  

Ripetere le considerazioni di Heidegger sulla "fine della filosofia" non significa comprenderle. E questo perché manca la determinazione della problematica fondamentale del senso heideggeriano della questione dell'essere ( Seinsfrage). La quale non solo consente di far luce sulla questione del senso heideggeriano della "fine fella filosofia", ma anche sul modo in cui Heidegger va incontro a Nietzsche e alla sua celeberrima sentenza. Ma per comprendere la Seinsfrage è necessario ripercorrere i primi grandi e in un certo insuperabili  passi speculativi mossi con la preparazione e la stesura di Essere e tempo.

Che cosa viene inteso da Heidegger con la questione dell'essere? E che cosa con la Destruktion der Geschichte der abendlandischen Ontologie als Rückgang in den Grund der Metaphysik ( distruzione della storia dell'ontologia come ritorno al fondamento della metafisica)? E che cosa con la trascendenza quale costituzione ontologica dell'Esserci (Transzendenz als Grundverfassung des Daseins)? In che senso, da ultimo, l'ontologia fondamentale quale si presenta nel '27 costituisce una enucleazione progressiva della trascendenza quale costituzione ontologica fondamentale dell'Esserci?  Solo definendo tali interrogativi diviene possibile dirimere in qualche modo tutte le essenziali ambiguità speculative di Heidegger.

A tal proposito penso possa essere di stimolo alla  discussione far riferimento a quanto afferma uno dei più grandi tomisti del '900, Cornelio Fabro:

"L'accusa di ateismo e la radicalità dell'essere. Anche se rari, tuttavia non sono mancati consensi al pensiero di Heidegger fin dal suo primo apparire da parte di teologi sia protestanti che cattolici. Tuttavia sono stati assai più numerosi e risoluti i dissensi, i quali si sono polarizzati su due capi di accusa principali: il nichilismo e l'ateismo come conseguenza. l'accusa di 'nichilismo' aveva trovato il suo pretesto non soltanto nella tesi di Was ist Metaphysik? che metteva il nulla accanto, anzi a fondamento dell'essere, ma dall'intero orientamento che il Dasein aveva in Sein und Zeit come Sein zu Ende che si risolveva come Sein zum Tode. L'accusa di 'ateismo' era venuta di conseguenza e Sartre presentò il proprio esistenzialismo come il compimento della ontologia fenomenologica di Sein und Zeit".  Cfr. C. Fabro, Dall'essere all'esistente. Hegel, Kierkegaard, Heidegger e Jaspers, (1957), Marietti Genova-Milano, 2004, pp. 383-384.

Il saggio di Fabro prosegue - in modo assai pertinente - con il richiamo di uno dei contenuti fondamentali del Brief über den Humanismus (1946), ovvero quello nel quale Heidegger configura le tappe della possibilità dell'apertura a Dio. Operazione quella di Fabro che, ancorché fondamentale in ordine a qualcosa come l'indicazione della sussistenza di una questione, non è dirimente. E questo perché anche nella disamina di Fabro è assente una rigorosa delucidazione del senso delle figure speculative fondamentali di Sein und Zeit. Anche Fabro, in altri termini, si limita ad un'ununciazione più o meno parafrasata di quelle strutture speculative che come Sein zu Ende e del Sein zum Tode stanno al centro del capolavoro del 1927.

Cosa significa che il Da-sein è orientato come Sein zu Ende e come Sein zum Tode? Fraintendere la risposta significa precludersi ogni possibilità di comprensione della problematica fondamentale di Heidegger e dunque anche di quella dell'apertura di Heidegger a Dio come summum ens della tradizione giudaico - cristiana.

green demetr

Ma concordo nel fatto che la Brencio legga lo Heidegger in maniera tra una visione pietista e una che cerca di rimanere fedele al testo.

Si il passo dei pensieri forti è abbastanza rabberciato, concordo.

Qua non si tratta di pensare ad Heidegger come pensatore ateo, è evidente che sia un pensatore teologico, ma rimane la necessita di rimanere dal punto di vista dello studio nella prospettiva atea.

Ovvero pensare a fondo la possibilità del Dio, fuori da una visione pietista, cosa che la maggior parte degli interpreti sembra non riuscire a fare.

Dunque se da una parte apprezzo il tuo pensiero che sta sul pezzo, dall'altra non riesco ancora a capire come possa la dimensione religiosa fare presa all'interno del pensiero filosofante Heideggeriano.

L'essere per la morte ha dato e continua a dare forti problemi di contestazione del pensiero heidegeriano, pensato come nazista, al di là delle sciocchezze giornalistiche.

Per me l'essere per la morte è il destino dell'uomo chiamato dal Dio.

Ovvero l'obbligo di pensare alla morte come valore etico.

Ossia l'esatto opposto del religioso che invece confida nella vita futura e costruisce una metafisica falsa e dannosa a livello morale.

Ma vedo che sia sull'esserci che sull'essere per la morte non mi dai giudizi tuoi, e  postponi ancora una volta il tuo giudizio nel merito di Heidegger.

Il fatto di non aver affrontato Heideger in maniera complessiva, non minimizza affatto il peso che le sue intuziizone hanno avutoe  hanno sul mio pensare alla vita.
Non mi piego di fronte ai filosofi, li uso per capire la mia di vita. Non la loro, quello è missione (impossibile) degli studiosi esperti.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Franco

#54
Citazione di: green demetr il 10 Dicembre 2019, 12:13:02 PM
green:

Qua non si tratta di pensare ad Heidegger come pensatore ateo, è evidente che sia un pensatore teologico, ma rimane la necessita di rimanere dal punto di vista dello studio nella prospettiva atea.

Franco ( =F):

Provo a comprenderti e lo faccio perché sembra che tu intenda proseguire il dialogo.

Eppure il pensiero di Heidegger è proprio uno di quelli maggiormente piegati alle istanze dell'ateismo e dell'esistenzialismo. E c'è da chiedersi perché. Come è possibile - tra l'altro - che le figure dell'esser - per - la morte ( Sein zum Tode) e dell'esser - per - la fine ( Sein zu Ende) siano stati e siano ancora usati come stendardi della posizione ateista? Trattasi di un interrogativo fondamentale, tanto più fondamentale quanto più si osservi che la prodigiosa e fondata lettura di Emanuele Severino quale si configura in Heidegger e la metafisica (1950) fa leva sul magistero di un grande neo - scolastico come Gustavo Bontadini, ovvero sulla prospettiva teoretica entro la quale l'opera di Heidegger non può non configurarsi come uno degli ultimi tratti della parabola gnoseologistica del pensiero moderno. Una parabola costituentesi sul fondamento della necessario superamento storico - speculativo del presupposto realistico ( = necessaria affermazione dell'idealismo speculativo come condizione della mediazione metempirica e dunque come fondamento di legittimità del sapere metafisico). In soldoni, per Severino - per il Severino del 1950 - Heidegger si presenta come un pensatore capace di contribuire al progetto di rifondazione della scienza metafisica sul fondamento di una rifondazione della sua direzione ontologica. Perché impegnarsi per tutta una vita - è il caso di Heidegger - nella rifondazione dell'indagine ontologica se non allo scopo del recupero delle condizioni originarie della conoscenza a partire dalle quali riproporre la questione del Sacro e di Dio?

In cosa consisterebbe pertanto l'evidenza del teismo di Heidegger?

green:

Dunque se da una parte apprezzo il tuo pensiero che sta sul pezzo, dall'altra non riesco ancora a capire come possa la dimensione religiosa fare presa all'interno del pensiero filosofante Heideggeriano.

F:

Lo si comprende magari riflettendo proprio sulle figure da me richiamate. Figure che stanno al centro della problematica fondamentale di Essere e tempo così come dell'intera opera del filosofo della Foresta Nera. Mi chiedo se nel tuo interrogare non si annidi il presupposto moderno - tutto moderno - del carattere illusorio dell'esperienza religiosa come tale. In uno scambio con Ipazia ho iniziato a mostrare come quello del carattere illusorio dell'esperienza religiosa sia un pregiudizio tipicamente moderno, il quale è tale in quanto non vede che quel carattere non può essere pensato come identico a quell'esperienza in quanto tale.

green:

Per me l'essere per la morte è il destino dell'uomo chiamato dal Dio.

F:

Vorrei capire meglio. In altri termini vorrei comprendere se questa sia la tua interpretazione dell'essere - per - la morte quale si configura nella riflessione di Heidegger, oppure se l'esperienza dell'attesa della morte sia per te il destino dell'uomo chiamato da "Dio" a prescindere dal dettato heideggeriano.

green:

Ma vedo che sia sull'esserci che sull'essere per la morte non mi dai giudizi tuoi, e  postponi ancora una volta il tuo giudizio nel merito di Heidegger.

F:

Eppure sto formulando giudizi miei già da qualche post. Vuoi forse alludere alla possibilità che quanto vado dicendo non sia farina del mio sacco? Ti invito a spiegarmi ciò che intendi.

green:

Il fatto di non aver affrontato Heideger in maniera complessiva, non minimizza affatto il peso che le sue intuziizone hanno avutoe  hanno sul mio pensare alla vita.
Non mi piego di fronte ai filosofi, li uso per capire la mia di vita. Non la loro, quello è missione (impossibile) degli studiosi esperti.

F:

Capisco.

green demetr

Non comprendo i tuoi riferimenti a Bontadini in quanto non l'ho ancora studiato, e non viene citato quasi mai nelle conferenze filosofiche.
Purtroppo avendo problemi alla vista mi affido di più agli audio, la lettura per me è limitata (e limitante a livello personale ahimè).

In rete si trova un video di Severino dove spiega Heidegger in maniera eccezionale, e dove si fa notare l'ambivalenza di Heidegger sulla questione teologica. Nel senso che secondo Severino egli non si sbilancia mai a dire che Dio è presumibile, come nella filosofia di Severino(visione ontologica), e rimane sempre nei confini estremi della fenomenologia.

Io credo che Heidegger sia dentro la fenomenologia, l'ontologia gli serve solo come mezzo per descrivere la prima questione.

La questione fenomenologica che secondo me lo interessa è quella che chiamo del destino, ossia dell'orizzonte a cui ci consegniamo.
Dove nella parola con- segna, si riversa tutto il problema semiotico.

La mia filosofia da anni si basa su 3 questioni. Il fondamento, o l'origine come quasi tutti dicono, a cui si consegna l'intuizione del Dio.
Il Soggetto a cui si consegna il lavoro vero e proprio del filosofo, ossia il punto di vista da cui prende moto il pensiero.
E infine Il senso ultimo, ossia l'orizzonte che trascende il filosofo a contatto con il pensiero della morte.

In Heidegger trovo complicato il fatto che lui veda nel soggetto, un oggetto ontologico.

Mentre sposo interamente sia la questione del fondamento (la radura e l'illuminazione)  che quello dell'orizzonte (i sentieri).

In questo senso la sua indagine ontologica, che mi par di capire viene appena accennata in essere e tempo, e mai più ripresa, rimane fondamentale per la storia della filosofia, ma marginale nel suo pensiero successivo.

Questo perchè Heidegger scopre sulle orme di Nietzche che il soggetto va rifondato e ripulito delle vecchie metafisiche.

Dunque il vivere per la morte non è facilmente capibile se non tenendo conto della mia tri-articolazione.

D'altronde in essere tempo egli è molto chiaro su cosa sia per lui l'uomo.

E' cioè il medio, tra Dio e gli oggetti.

E cioè l'unico oggetto che capisce di quali oggetti stiamo trattando.

Dunque il passo che qui nel forum è fatto da molti utenti è quello di assimilare l'ontologia ad una gnoseologia.

Il che mi pare fuorviante. Essere e tempo è solo la punta di un iceberg che Heidegger vide in un lampo. E che però storicamente è impossibile ancora indagare.

Questa è la mia opinione su quella opera. Dove non a caso la prima parte viene spessp non letta nelle università.

Essendo la parte più diffcile ed enigmatica. Anche il peso che dà al tempo, e alla visione storica mi pare troppo poco scandagliata.

Ma per l'appunto le questioni sono tante, e nessuna di esse nel nostro tempo può essere affrontata.


Per quanto i giudizi intendo dire proprio che non  capisco il tuo punto di vista.
Che non sia farina del tuo sacco è del tutto secondario, tutto ciò che pensiamo e facciamo non è farina del nostro sacco.
E' il punto di vista da cui usiamo la farina che ci distingue.
Di quello sono curioso, e non ho ancora capito dove vuoi andare a parare.

Ciao Franco e grazie di continuare il 3d.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Ipazia

Citazione di: green demetr il 17 Dicembre 2019, 11:32:45 AM

D'altronde in essere tempo egli è molto chiaro su cosa sia per lui l'uomo.

E' cioè il medio, tra Dio e gli oggetti.

E cioè l'unico oggetto che capisce di quali oggetti stiamo trattando.

Dunque il passo che qui nel forum è fatto da molti utenti è quello di assimilare l'ontologia ad una gnoseologia.

Ni, perchè nel capire (gnoseologia) di che oggetti (ontologia) stiamo trattando la gnoseologia si ontologizza in soggetto umano autocosciente. Se togli il cogito cosa resta dello specifico ontologico umano ?
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

green demetr

#57
Citazione di: Ipazia il 17 Dicembre 2019, 15:09:52 PM
Citazione di: green demetr il 17 Dicembre 2019, 11:32:45 AM

D'altronde in essere tempo egli è molto chiaro su cosa sia per lui l'uomo.

E' cioè il medio, tra Dio e gli oggetti.

E cioè l'unico oggetto che capisce di quali oggetti stiamo trattando.

Dunque il passo che qui nel forum è fatto da molti utenti è quello di assimilare l'ontologia ad una gnoseologia.

Ni, perchè nel capire (gnoseologia) di che oggetti (ontologia) stiamo trattando la gnoseologia si ontologizza in soggetto umano autocosciente. Se togli il cogito cosa resta dello specifico ontologico umano ?

Ma infatti l'ontologico umano corrisponde all'esatto opposto dell'ontologico tout court.

Ho proprio oggi iniziato la tesi di laurea che avevo postato sopra.

In effetti la tesista prende l'abbrivio subito dal concetto della gettatezza, che è connaturato all'oggetto particolare che corrisponde all'uomo, e la cui ontologia dunque va descritta da capo.

Senza una concezione del dolore come condizione del sapere umano, il sapere umano è un errore.

cit Laura Labella
"Vaglieremo così i presupposti teorici soggiacenti alla
priorità che, in termini propriamente trascendentali, è accordata all'esistenziale della
Befindlichkeit rispetto a quelli del Verstehen e della Rede. Ripercorrendo l'intero
sviluppo del Denkweg heideggeriano, tenteremo di ricostruire la genesi e l'evoluzione
della complessa fenomenologia della paticità che in esso trova progressiva
elaborazione, sino a configurarsi come uno dei nuclei più spiccatamente originali del
progetto ontologico avviato nell'Hauptwerk del 1927." *

Come anche la tesista nota, questa è una strada poco usata dalla tradizione.

Eppure a me pare evidentemente l'unica strada, per riproporre una ontologia decente (Sempre che sia necessaria, ripeto, io non ne vedo necessità).

* devo ancora capire l'uso tecnico dei termini tedeschi"
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Ipazia

* mi sembra un tantino caricaturale. Almeno alternare un po' le lingue philosophisch:  ad es. Opus Major al posto di Hauptwerk.

L'ontologico umano è certamente altro - a rebours - dall'ontologico naturale e questo crea un po' di confusione, ma basta tenere ben distinti i piani der Rede  :P
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

green demetr

Citazione di: Ipazia il 18 Dicembre 2019, 23:15:35 PM
* mi sembra un tantino caricaturale. Almeno alternare un po' le lingue philosophisch:  ad es. Opus Major al posto di Hauptwerk.

L'ontologico umano è certamente altro - a rebours - dall'ontologico naturale e questo crea un po' di confusione, ma basta tenere ben distinti i piani der Rede  :P

Si hai ragione, anch'io odio chi abusa della lingua altrui, abbiamo la nostra no? serve un frase più lunga? usiamola.

Comunque non credo che il punto stia nel discorso.

Infatti il discorso è del soggetto, ma in Heidegger vi è una premessa, che sarebbe poi Essere e Tempo, che invece descrive una situazione, una apertura come direbbe lui, PRIMA del soggetto, e quindi prima di ogni discorso.

D'altronde ascoltavo ancora Alfieri, che ha un suo canale Youtube, per avere un aggiornamento sulle polemiche politiche su Heidegger.

A mio parere queste polemiche nascono proprio dal pretendere che l'ontologico sia naturale.

Ma questo è un evidente errore.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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