Menu principale

Transumanesimo e Sini

Aperto da green demetr, 03 Novembre 2019, 22:19:04 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Ipazia

Citazione di: green demetr il 19 Dicembre 2019, 22:47:48 PM
Citazione di: Ipazia il 18 Dicembre 2019, 23:15:35 PM
* mi sembra un tantino caricaturale. Almeno alternare un po' le lingue philosophisch:  ad es. Opus Major al posto di Hauptwerk.

L'ontologico umano è certamente altro - a rebours - dall'ontologico naturale e questo crea un po' di confusione, ma basta tenere ben distinti i piani der Rede  :P

Si hai ragione, anch'io odio chi abusa della lingua altrui, abbiamo la nostra no? serve un frase più lunga? usiamola.

Comunque non credo che il punto stia nel discorso.

Infatti il discorso è del soggetto, ma in Heidegger vi è una premessa, che sarebbe poi Essere e Tempo, che invece descrive una situazione, una apertura come direbbe lui, PRIMA del soggetto, e quindi prima di ogni discorso.

Cercando di venire a capo della "paticità" mi sono imbattuta in questo, da cui risulta anche la ricerca tecnica che i logismi di Heidegger sottendono (fino al neologismo), per cui la tesista è abbondantemente scusabile. In tale sforzo semantico, come risulta molto bene dall'articolo, vi è un "conatus" verso una archeolingua che assomiglia molto alla "lalingua" lacaniana e post. Come se vi fosse uno sdoppiamento di significato tra natura e linguaggio, ciascuno dei quali segue una sua propria semantica che ...

CitazioneD'altronde ascoltavo ancora Alfieri, che ha un suo canale Youtube, per avere un aggiornamento sulle polemiche politiche su Heidegger.

A mio parere queste polemiche nascono proprio dal pretendere che l'ontologico sia naturale.

Ma questo è un evidente errore.

... diviene pure sdoppiamento ontologico tra natura e riflessione sulla natura. Non so se questo sia un errore o piuttosto un percorso (path, Weg) obbligato. Un errare obbligato, tra due universi paralleli.

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

green demetr

Citazione di: Ipazia date=1576831581

... diviene pure sdoppiamento ontologico tra natura e riflessione sulla natura. Non so se questo sia un errore o piuttosto un percorso (path, Weg) obbligato. Un errare obbligato, tra due universi paralleli.

Non capisco questa tua apertura alla naturalità.
Non esiste natura solo cultura.

passiamo all'analisi di Masullo per fare ancora chiarezza


cit Masullo
"Tuttavia, secondo quanto sembra risultare dal discorso fin qui svolto, non si può non rilevare che 1'«affettività» di Heidegger, come del resto 1'«intuizione» di Bergson, a cui sintomaticamente Lévinas la affianca per il comune spirito antiteoreticistico, pone nel coinvolgimento partecipativo il solo possibile contatto con l'essere stesso delle cose e dell'umano, dunque la sola possibile transitività verso l'altro. Essa insomma sostanzialmente si muove ancora nella dimensione del conoscitivo."


Ero abbastanza d'accordo con il Masullo, anche se lui stesso fa molta confusione prima adducendo che affettività e paticità siano cose assai diverse. E che egli preferisce la seconda alla prima invece usata nelle traduzioni italiane.
Ma proprio nell'ultimo passo prima della citazione, egli di nuovo parla di affettività.

Compiendo ancora una volta quel medesimo errore evidenziato dalla Labella, che porta necessariamente alla considerazione errata che riporto tra virgolette.

Infatti se l'uomo è affetto ossia fuori dal processo intezionale che gli è proprio (ossia quello della paticità) automaticamente per avere consapevolezza di sè ("delle cose" dice Masullo, in una caduta nel transumanesimo) necessita di una ontologia conoscitiva, ossia di una gnoseologia (vedi nel forum le posizioni di un Davintro, o per contrario, ma nello stesso ambito, di un Philip, senza dimenticare le posizioni più larghe, ma altrettanto condividenti di Paul e degli altri amici che oggi hanno lasciato il forum, penso a Maral o Sgiombo).

Il che è evidentemente errato, lo vado dicendo da anni, anche senza sposare la posizione comunque condivisa di Heidegger.

E' proprio nell'intenzionalità, che in Heidegger viene riletta come l'essente che è medio dell'Essere, e ritradotta da Chiodi (il primo traduttore di Heidegger, essendo Marini, il secondo e ultimo) come esserci.

In questo per esempio sia Masullo che la Labella, peccano di approssimazione.

L'esserci non è l'essere qui e ora.

Al contrario è ciò che viene subito dopo la radura, alla luce dell'illuminazione.

In questo senso non vi è dubbio che Heidegger sia teologo più che fenomenologo.

Ma l'essere teologali, ossia affrontare il tema della salvezza (compito supremo della filosofia metafisica) non può che essere completamente ri-descritto a partire proprio da questa nuova filosofia analitica che pone l'ontologia non come la premessa di un processo gnoseologico, bensì fenomenologico, nella tradizione di Dilthey come giustamente fatto notare da Masullo, ma basterebbe leggere i primi lavori di Heidegger, cosa che ho dovuto fare nel mio anno sabbatico all'università di Milano,nel corso di Di Martino.
Ossia appunto nella storia dei sentimenti ossia nel trovare senso alla vita.
Suppongo sia da qui che Heidegger prende partenza nella cosidetta "svolta" della sua filosofia matura.


cit Masullo
"Il discorso del filosofo non è naturalistico, ma concerne il conoscere. Lo accompagna un avvertimento esplicito: «non si tratta di ridurre il sapere umano al sentire, ma di assistere alla nascita del sapere, di rendercela altrettanto sensibile quanto il sensibile stesso, di riconquistare la coscienza della razionalità».
In breve, per questa via si giunge a concepire che il «sentire» sia non un altro modo di conoscere, bensì l'essenza del conoscere autentico."


Qui il paradosso di dire che il sentire sia una riduzione, e insieme il fondamento unico del discorso, si fa ancora più evidente.

Ma lo capisco, il transumanesimo è insieme una sciocchezza e una datità del far filosofia oggi.
Confonde le idee e porta ad oscillazioni in pericoloso odore di politically correct.

Sembrano sottigliezze, ma da lì all'Heidegger nazista cavalcato da testate nazionali come il corriere della sera e non solo, il passo è molto breve.


cit Masullo
"Henry retoricamente si domanda: «Quale meraviglia, se la vita è un'affettività trascendentale, tale che l'intersoggettività, risolvendo in essa la sua essenza, inevitabilmente riveste la forma di una comunità patetica?». A questa domanda non è possibile dare la risposta che l'interrogante s'aspetta."


Prima di leggere i passi successivi di Masullo, mi vorrei soffermare su questo paragrafo.
Come sapete, e in caso no, ora lo sapete, uno dei miei temi fondamentali all'iterno del progetto sul soggetto
è proprio quello della comunità.

Non conosco il filosofo Henry, ma sono contento che alcune tematiche per me ovvie, e invece mai toccate da nessuno, siano presenti, anche se in forma di traccia sottile anche in altri filosofi (o sedicenti tali, come me).

Naturalmente la domanda non si risolve da sè, come Masullo parrebbe farci capire (presumendo che l'abbia letto, ma non si sa mai, tenteremo una lettura a parte in ogni caso).
Se Henry pone la domanda come la soluzione alla premessa della paticità, evidentemente non ha capito che era una premessa. E probabilmente anch'egli è vittima del transumanesimo.
Il discorso sul soggetto ovviamente deve dipanarsi dalla paticità, ma questo paticità è esattamente il terreno di incontro e di inizio della filosofia, ossia il contatto con il terrore.
E' la paura della morte che diviene mimeticamente la paura del Dio, a dover far da apripista di ogni filosofia.
La filosofia che dovesse dimenticarselo, non è filosofia.
L'intenzionalità patica ha una sua storia da ricostruire (come immagino abbia fatto Heidegger, a partire dai greci) per riconsegnarci le chiavi per una nuova metafisica. (Ossia il mio progetto primario).
Mi sono sempre trovato molto vicino ad Heidegger, nonostante il problema del desiderio e dei corpi in lui manchi.
Questo prima che arrivasse Nietzche a ricordarci che siamo all'interno di un sistema paranoico.
Qui le cose si complicano e solo il maestro di Rocken ci porta con sè per un breve tratto di strada.
Ma il sistema paranoico si basa proprio sulle premesse patiche di Heidegger, in questo non ho mai avuti dubbi.

cit Masullo
" La struttura ciclomorfa, la neuropsicologia sperimentale, la biologia generale e la filosofia antropologica sono tre livelli epistemici dello stesso problema che pone il nesso tra cambiamento e stabilità."


Come in un dejavù infinito di nuovo la confusione di cosa sia patico porta sempre al suo esatto opposto.
Ma di questo rimando al libro i seminari di Holzwege, la mia unica opera di Heidegger che lessi integralmente nei miei vent'anni.
Un lungo tentativo del filosofo di far comprendere proprio alla psicologia fenomenologica (Che comunque psichiatria è sempre) come la sua filosofia fosse totalmente differente da quanto quelli avessero inteso.

In questo senso l'interpretazione di Masullo sulla paticità è una totale disattesa delle intenzioni della Labella. (credo, Ipazia mi ha bloccato la sua lettura, ah ah).

cit Masullo
"L'enorme carica emozionale di questo limite estremo del nostro esistere viene additata da Emmanuel Lévinas in uno scritto del 1935: la coscienza è la contingenza straripata, la destabilizzante tensione del proprio trovarsi ad essere, 'sentito' come l'assolutamente infondato e insieme come l'unico assolutamente certo. In un solo e medesimo 'fenomeno' si 'vivono' assoluta certezza e assoluta infondatezza – 1′ 'esser-ci', 1′ esistere – . Insieme si 'sentono' la nostra gratuità e il nostro «essere incatenati». «Si è là, e non c'è più nulla da fare, nulla da aggiungere al fatto dell'essere stati del tutto abbandonati, al fatto dell'essersi tutto già consumato». Così all' «invasione»
della contingenza reagisce la «rivolta», la tensione emotiva di «un bisogno di evasione», di «un'aspirazione non ad andare altrove, da qualche altra parte, ma semplicemente ad uscire». «L'evasione è il bisogno di uscire da se stessi, cioè rompere l'incatenamento più radicale, più irremissibile, il mero fatto che l'io è a se stesso», «l'incatenamento del me al sé»."



L'ultima citazione non può che essere di Levinas, non penso di aggiungere altro, se non per il fatto che non possiamo essere incatenati a noi stessi, in quanto siamo infondati.
Levinas fa un piccolo testacoda finale.
Ma la prima parte è fondamentale.
Anche la precisa distinzione tra essente (esserci) ed esistenza, come ciò che sente fondarsi, ma che sa essere infondato, e precipitazione sull'oggetto (ossia il limite della trascendentalità).
E' proprio nella precipitazione dentro il limite il cui margine estremo è chiamata morte, che la trascendentalità si perde nelle forme della fede della speranza per finire nel lutto.
Ed è proprio nel lutto che prende forma la coscienza della propria finitudine.
E il lutto è la dimenticanza, che imprime una svolta alla vita  in direzione di una soggettività come maschera.
L'accettazione presume la mimesi dell'andare avanti come se non ci fosse trauma.
Il trauma costruisce la paranoia. Da lì il passo alla morale è molto breve.
La fuoriuscita a tutti i costi è non una condizione umana, ma un sintomo della costruzione psicotica dietro l'incapacità di adattamento (affezione in termini heidegeriani) che possa ridare senso (paticità in termini heidegeriani) al nostro vivere (l'erlebnis di tutta la prima fenomenologia) (fatticità in termini heidegeriani).
Dunque la fatticità si presenta nei termini di un dramma interiore che Heideger chiama Gettatezza.
In questi termini è evidente che solo un DIO ci può salvare.
Ma credo che l'ebreo Levinas queste cose le sapesse molto bene. Una teologia negativa è tutto questo, ed è la direzione della mia metafisica.

Ecco questo in effetti riguarda anche il possibile dialogo con Franco.
Questo per aggiungere qualcosa sulla necessità di fare chiarezza sul fatto che la teologia di Heidegger è il contrario del "principio di speranza" e insieme la sua più alta espressione razionale, e non fideistica.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Discussioni simili (1)