Tra filosofia e pratica dialogica di essa

Aperto da Angelo Cannata, 10 Dicembre 2016, 19:57:38 PM

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Apeiron

Citazione di: green demetr il 11 Dicembre 2016, 21:26:42 PM
x inverno

anch'io credo che il soggetto sia la risultanza di questo continuo lavorio di affinamento e rimessa in dubbio.

x aperion

il mio modo di intendere filosofia non prevede la necessità di creare un sistema formale che preveda una formulazione di una verità.

è  molto più legato a quello che succede al soggetto nel suo contesto storico, e ovviamente se il soggetto sono io, mi interessa ancor di più.

per onestà intellettuale credo che fare a meno di un soggetto dubitante sia deleterio, delirante. da qui nasce un sostanziale scontro di visioni.

per me esiste sempre un soggetto, un parlante, un ente. (ti ripeto negarlo o far finta che sia indecidibile per me è pura follia)

a partire da una evidenza ossia dal mio corpo, ho già scritto comunque che il mio fondamento formale è quello della coppia Peirce-Hegel (pur essendo solo all'inizio della loro indagine, ho già notato un parallelismo forte).

Dunque la verità è ciò che si da come negazione necessaria a partire da un soggetto, che non è mai dato come apriori, ma che è un transeunte nella storia. Verità formale, una come tante, certo, avvallata però sulla grandezza del pensiero idealista tedesco. (Kant ed Hegel).
Ossia credo che il soggetto esista, e che sia storico. (pur nei suoi caratteri negativi a livello fenomenico)

L'implementazione di questo soggetto che si dà nella storia, questo è solo l'inizio della complessità filosofica che invece che soffermarsi su quegli autori, vira pesantemente nel mio caso, con il pensiero Heidegeriano e con i suoi detrattori Derrida e Marx. In questo movimento che riconosco come dialettico, ritrovo le basi per la questione del "discorso" come la intende la psicanalisi di Calciolari, o meglio di quello che riesco a capire io.
Il discorso sul discorso è la parte fondamentale del mio interesse, che trova esplicazione in campo italiano nella figura di CARLO SINI.

Il discorso si fa pratica, e la teoria diventa quella pratica che controlla le pratiche.

La realtà è perciò il discorso che "si fanno" le pratiche, e che per cui mi fa interessare anche di fisisca matematica biologia etc....etc.....

La realtà è ovviamente un paradigma che serve a costruire un discorso.

Essendo paradigma è infatti una pratica fra le pratiche. Il discorso della verità diventa perciò un controllo del paradigma che si sta usando per descrivere l'aderenza o meglio le aderenze, o meno, a cui il soggetto si trova a fare i conti, in carne ed ossa come direbbe Husserl.
Ossia l'inveramento del soggetto è una questione del suo farsi paradigma dentro ai discorsi che si affacciano come paradigma.
Salvo non essere questione formale, ma appunto in carne e ossa, in una sola parola storica. Del qui e ora.Vivente dice Husserl.

Questione che non capirà mai un fisico e in generale uno scienziato, che lascio volentieri ai loro giochetti mentalisti se la realtà sia duale o monista, che sia riduzionista o meno. Quel tipo di verità a me non interessa, se non appunto a livello formale.
Posso fare il gioco se sia uno o l'altro o l'altro ancora modello. Ma nessuna di quelle posizioni assume cosa succede DOPO che hanno inventato il loro soggetto e il loro oggetto. Non credo sia un caso, è invece la verità che non vogliono occuparsi della realtà e dei suoi infiniti discorsi.

In questo caso verità ha chiaramente una coloratura polemica. Se è quello che disturba, beh avete ragione: non siamo amici.

Se ti può interessare leggiti qualcosa del secondo Wittgenstein col quale sembri avere delle somiglianze (secondo il quale "per molti ma non per tutti i casi il significato di una parola è il suo uso in un "gioco" linguistico", cioè nella pragmatica). Per quanto riguarda il mio concetto di verità di per sé è "contestuale" nel senso che per capire se una cosa è da considerarsi vera bisogna avere chiaro il contesto e bisogna trovare un modo per dimostrarla. La presenza dell'io come assioma a mio giudizio è necessaria per fare ogni possibile discorso. Ma ahimé non è possibile dimostrare l'esistenza dell'io perchè è trascendentale ossia è a-priori di ogni discorso. Inoltre per ogni possibile proposizione è a-priori pure il contesto nella quale viene espressa. Perciò se ho capito quello che intendi, "traducendolo" nel mio "modo di filosofare" dici che la verità ha come base il soggetto e il contesto in cui esso è immerso e si rivela nella pratica. Non mi pare sinceramente così lontano da quello che sto dicendo io.

Citazione di: maral il 11 Dicembre 2016, 22:15:45 PMNon solo non è possibile fare alcuna attività filosofica senza un fondamento da cui partire, ma non è possibile pensare alcunché senza assumere un fondamento sulla base del quale iniziare a pensare (e qui concordo con te sulla necessità di chiarire agli altri e a se stessi su quali fondamenti di senso si basa il proprio pensiero) e sui fondamenti non si può discutere razionalmente, sono razionalmente incommensurabili l'uno all'altro, a meno che non si dimostri che al loro interno generano autocontraddizioni, in tal caso essi si dimostrano da se stessi nulli. Come ho detto l'io kantiano non è un io psichico, ossia l'io personale, ma l'io trascendentale, quell'io trascendentale che Husserl nella "Crisi delle scienze europee" mette alla base del suo progetto fenomenologico (quello che lui stesso, in punto di morte considerò solo "un piccolo inizio"). Concordo nel mettere Dio tra le assunzioni indimostrabili, ma questo non significa a mio avviso poter solo scegliere se credervi o non credervi (fatto salvo che questo credervi o non credervi è determinato da condizioni di contorno, da tutta quella storia universale che si manifesta in ogni soggetto determinando il suo modo specifico di sentire), si può anche, ragionevolmente, sospendere il giudizio in merito, anche se questo per lo più rende invisi sia a chi crede che a chi non crede.

Conosco gran poco Husserl quindi non mi esprimo su di lui. Sull'io di Kant volevo semplicemente ribadire il concetto che avevi espresso tu ma volevo dire più che altro che il suo "soggetto" è semplicemente il "fondamento" che da "dimostrabilità" alle proposizioni. Sul confronto degli assiomi: nessuno mi vieta di fare "congetture" per mostrare che tra due assiomi di partenza uno è "meglio" dell'altro tuttavia queste "congetture" rimangono tali e non possono diventare dimostrazioni. Ad esempio posso certamente affermare che come "congettura" quella che assume un universo "regolare" è migliore di quella secondo la quale il fatto che non cambiano da un momento all'altro le leggi della fisica è dovuto al solo caso tuttavia per quanto assurda questa seconda congettura sia non posso dimostrarne la falsità proprio perchè d'altronde non ho un vero metodo per farlo. Tuttavia posso dire che è assurda. Sulla questione di Dio idem possiamo parlare per tutta la vita ma non arriveremo mai ad una "dimostrazione logica". Al limite possiamo fare argomentazioni e congetture ma non dimostrazioni.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

maral

In merito agli assiomi o alle assunzioni a priori vorrei precisare che anche se non possono essere messi razionalmente in discussione non per questo vanno lasciati inesplorati, anzi, proprio in quanto derivano da un modo di sentire collettivo di portata enorme, penso sia quanto mai opportuno interpretarne il significato emergente contestualizzandolo. Certamente questo non si potrà fare che alla luce delle assunzioni a priori che dettano le nostre attuali prospettive e per questo ci restano invisibili, tuttavia penso che proprio solo da questa analisi interpretativa, sempre incompleta e in qualche modo distorta, possa aprire qualche spiraglio di visione utile a comprendere ciò che siamo (e di conseguenza a mutare ciò che siamo).
Per esemplificare il fatto che il credere i Dio (o nella necessità a priori di un ordine universale) non possa essere messa in discussione logica da chi non vi crede, non esime dal tentare di comprendere cosa significa l'emergere della fede in Dio (e in quale Dio) nel contesto socio culturale attuale, rispetto a quello che significava in passato, in un mondo pre tecnologico e in altri ambiti relazionali.
Se non conosci Husserl ti consiglio vivamente la lettura de "La crisi delle scienze europee", è un testo fondamentale proprio all'introduzione del concetto di "Io trascendentale" al quale mi pare tu sia particolarmente legato. Il pensiero di Husserl (che fu maestro di Heidegger) si presenta spesso di notevole complessità, ma nella "Crisi"  (rimasta incompiuta) è più facilmente approcciabile. Ricordo che quando lo lessi rimasi affascinato dal suo grande rigore e lucidità. Resta certamente un testo cardine per tutta la filosofia del '900.

Apeiron

#17
Citazione di: maral il 12 Dicembre 2016, 09:30:09 AMIn merito agli assiomi o alle assunzioni a priori vorrei precisare che anche se non possono essere messi razionalmente in discussione non per questo vanno lasciati inesplorati, anzi, proprio in quanto derivano da un modo di sentire collettivo di portata enorme, penso sia quanto mai opportuno interpretarne il significato emergente contestualizzandolo. Certamente questo non si potrà fare che alla luce delle assunzioni a priori che dettano le nostre attuali prospettive e per questo ci restano invisibili, tuttavia penso che proprio solo da questa analisi interpretativa, sempre incompleta e in qualche modo distorta, possa aprire qualche spiraglio di visione utile a comprendere ciò che siamo (e di conseguenza a mutare ciò che siamo). Per esemplificare il fatto che il credere i Dio (o nella necessità a priori di un ordine universale) non possa essere messa in discussione logica da chi non vi crede, non esime dal tentare di comprendere cosa significa l'emergere della fede in Dio (e in quale Dio) nel contesto socio culturale attuale, rispetto a quello che significava in passato, in un mondo pre tecnologico e in altri ambiti relazionali. Se non conosci Husserl ti consiglio vivamente la lettura de "La crisi delle scienze europee", è un testo fondamentale proprio all'introduzione del concetto di "Io trascendentale" al quale mi pare tu sia particolarmente legato. Il pensiero di Husserl (che fu maestro di Heidegger) si presenta spesso di notevole complessità, ma nella "Crisi" (rimasta incompiuta) è più facilmente approcciabile. Ricordo che quando lo lessi rimasi affascinato dal suo grande rigore e lucidità. Resta certamente un testo cardine per tutta la filosofia del '900.

Ti ringrazio del consiglio per Husserl. Comunque è interessante che l'idea dell'io trascendentale ritorna in tantissimi filosofi e ha analogie con alcuni testi induisti. Inoltre anche chi nega l'esistenza dell'io (secondo Wittgenstein, buddismo...) comunque conserva lo stesso concetto come "punto di partenza" che poi deve essere abbandonato. Secondo me è uno dei più grandi concetti mai pensati dall'uomo.

INIZIO O.T. :Sul fatto di credere in certi assiomi indimostrabili sono d'accordo con te che si debbano mettere in discussione però a mio giudizio in fin dei conti rimane sempre un elemento inscindibile di "fede". Detto questo sul fatto di credere in Dio con la mentalità odierna ho fatto un thread in http://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/dubbi-sempre-piu-insistenti-(cristianesimo-in-particolar-modo-ma-non-solo)/. La difficoltà è l'inconciliabilità tra una mentalità razionale come la nostra (nel senso che "usiamo la ragione") con un'interpretazione infallibile e letterale di un qualsiasi testo sacro. Questo tema è ampiamente discusso in quel thread, se ti va un contributo è ben accetto. Detto questo evito di riaprire l'argomento però al massimo se uno crede in Dio può diciamo "raffinare" i suoi assiomi. Però resta sempre un atto di fede. FINE O.T.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

Citazione di: Apeiron il 11 Dicembre 2016, 23:05:07 PM

Se ti può interessare leggiti qualcosa del secondo Wittgenstein col quale sembri avere delle somiglianze (secondo il quale "per molti ma non per tutti i casi il significato di una parola è il suo uso in un "gioco" linguistico", cioè nella pragmatica). Per quanto riguarda il mio concetto di verità di per sé è "contestuale" nel senso che per capire se una cosa è da considerarsi vera bisogna avere chiaro il contesto e bisogna trovare un modo per dimostrarla. La presenza dell'io come assioma a mio giudizio è necessaria per fare ogni possibile discorso. Ma ahimé non è possibile dimostrare l'esistenza dell'io perchè è trascendentale ossia è a-priori di ogni discorso. Inoltre per ogni possibile proposizione è a-priori pure il contesto nella quale viene espressa. Perciò se ho capito quello che intendi, "traducendolo" nel mio "modo di filosofare" dici che la verità ha come base il soggetto e il contesto in cui esso è immerso e si rivela nella pratica. Non mi pare sinceramente così lontano da quello che sto dicendo io.

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Si sono d'accordo in parte con il secondo Wittgenstein, ossia il linguaggio è il mirror del pragma.
Il fatto è che lui rimane un anti-metafisico, a suo parere discutere di qualsivoglia cosa non sia presente "a se stesso", ossia nella sua formulazione linguistica è un abbaglio.

Certamente possiamo mettere in dubbio qualsiasi discorso che si fa storico, ma non sono d'accordo con wittgenstein che debba essere riferito SOLO AD UNA DIMENSIONE PRESENTE.

D'altronde anche se è una figura trasversale (vedi la polemica con GODEL), lui preferiva circoli come quello del neo-positivismo austriaco.

Diciamo che a livello metafisico siamo nemici, semplicemente perchè non riesci a intendere o semplicemente non ti interessa il senso, che storicamente si determina come STORIA DELL'UMANO (troppo umano avvisa Nietzche però).

A livello formale fai benissimo a fare quello che fai, la scienza stabilisce regole rigorose e deve rimanere nei suoi canoni.

A mio parere però anche in quello bisogna stare sull'attenti, e  tu lo sai meglio di me.
La fisica non parla esplicitamente di un reale, ma di  un qualcosa che BENE o MALE possiamo dire REALE. (la questione delle approssimazioni non è forse un capitolo importante di ogni buon fisico??)

Quindi sostanzialmente bisogna fare attenzione anche da quali paradigmi iniziare.

Non ho mai detto che siamo nemici in assoluto!!! ciao!!!!!






Vai avanti tu che mi vien da ridere

Apeiron

Citazione di: green demetr il 13 Dicembre 2016, 17:59:45 PM
Citazione di: Apeiron il 11 Dicembre 2016, 23:05:07 PMSe ti può interessare leggiti qualcosa del secondo Wittgenstein col quale sembri avere delle somiglianze (secondo il quale "per molti ma non per tutti i casi il significato di una parola è il suo uso in un "gioco" linguistico", cioè nella pragmatica). Per quanto riguarda il mio concetto di verità di per sé è "contestuale" nel senso che per capire se una cosa è da considerarsi vera bisogna avere chiaro il contesto e bisogna trovare un modo per dimostrarla. La presenza dell'io come assioma a mio giudizio è necessaria per fare ogni possibile discorso. Ma ahimé non è possibile dimostrare l'esistenza dell'io perchè è trascendentale ossia è a-priori di ogni discorso. Inoltre per ogni possibile proposizione è a-priori pure il contesto nella quale viene espressa. Perciò se ho capito quello che intendi, "traducendolo" nel mio "modo di filosofare" dici che la verità ha come base il soggetto e il contesto in cui esso è immerso e si rivela nella pratica. Non mi pare sinceramente così lontano da quello che sto dicendo io. [
Si sono d'accordo in parte con il secondo Wittgenstein, ossia il linguaggio è il mirror del pragma. Il fatto è che lui rimane un anti-metafisico, a suo parere discutere di qualsivoglia cosa non sia presente "a se stesso", ossia nella sua formulazione linguistica è un abbaglio. Certamente possiamo mettere in dubbio qualsiasi discorso che si fa storico, ma non sono d'accordo con wittgenstein che debba essere riferito SOLO AD UNA DIMENSIONE PRESENTE. D'altronde anche se è una figura trasversale (vedi la polemica con GODEL), lui preferiva circoli come quello del neo-positivismo austriaco. Diciamo che a livello metafisico siamo nemici, semplicemente perchè non riesci a intendere o semplicemente non ti interessa il senso, che storicamente si determina come STORIA DELL'UMANO (troppo umano avvisa Nietzche però). A livello formale fai benissimo a fare quello che fai, la scienza stabilisce regole rigorose e deve rimanere nei suoi canoni. A mio parere però anche in quello bisogna stare sull'attenti, e tu lo sai meglio di me. La fisica non parla esplicitamente di un reale, ma di un qualcosa che BENE o MALE possiamo dire REALE. (la questione delle approssimazioni non è forse un capitolo importante di ogni buon fisico??) Quindi sostanzialmente bisogna fare attenzione anche da quali paradigmi iniziare. Non ho mai detto che siamo nemici in assoluto!!! ciao!!!!!

Beh Wittgenstein  in realtà non sopportava i neo-positivisti nemmeno ai tempi del Tractatus :) comunque sono d'accordo che nonostante abbia detto due volte di aver "messo fine alla filosofia", la filosofia rimane viva e vegeta (d'altronde lui voleva liberarsene ma riconosceva di non riuscirci).

Sull'attenzione ai paradigmi da scegliere sono d'accordo con te, anche perchè la resistenza a "tenere" i paradigmi è uno dei motivi per cui la relatività e la meccanica quantistica non sono state accettate.

Sulla questione di cosa descriva la fisica praticamente trovi tantissime scuole di pensiero. In ogni caso sono d'accordo sul fatto che almeno la fisica descriva "la realtà come ci appare dall'analisi con gli strumenti di misura".
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

Personalmente ritengo l'esercizio del dubbio fondamentale ,ma proprio per trovare i concetti,
QQuindi il dubbio è il metodo che propoone nuove domande e confronti dialogici affinchè le proprie considerazioni divenute concetti siano di nuovo messe in discussione.E' quindi un metodo epistemologico aperto al rimettersi continuamente in discussione,Ma non significa che i propri concetti siano meno "ferrei" di chi ritine invece di aver trovato concetti più "forti".
La premessa è il sapere di non sapere, quindi la propria limitatezza, ma conoscere il proprio limite è giaà una forza perchè motiva l'esplorazione del conoscere. Il pensiero diventa reale quanto il fiore eè reale in natura, in quanto esiste per come lo penso. Non ritengo quindi la separazione del reale del metafisco perchè il pensiero comunque è il tramite fra il fiore e il concetto e lo esprime in un linguaggio. Sia il fiore che il pensiero posson mutare il concetto che media l'astratto e il concreto.Quindi è l'idea che ho di io, del fiore. del pensiero che sedimentano in un concetto e tutto ciò trascende il fiore nel prato rispecchiandosi speculativamente in un concetto tramite il pensiero.
Per noi esseri senzienti è naturale quindi il trascendere che qu' intendo come spostare dal dominio della natura a quello del concetto,ed è una relazione costantemnte aperta,Il fatto che esistano diverse filosfie signifca che vi sono diversi sistemi di relazionarli e di costruirne ontologicamnte i discrimini.

la forza della prassi sulla teoria è il conformismo,Se in tutte le teorie nulla è certo, perchè ogni giorno si compiono gli stessi atti, si svolgono gli stessi ruoli sociali e cos' via. LA forza della pratica è il potere di avere alto il condizionamento degli atti che discriminano quindi la teoria.Si puà essere ad esempio credenti, ma costantemeene peccatori, e autogiustificarsi perchè siamo condizionati.Ma tutto ciò costruisce quel divano del conformismo così accomodante che fa sì che la vita scorra pensando tante cose anche diverse, ma compiendo sempre gli stessi gesti.

Nulla è certo, tutto è assiomatico, ma intanto la pratica della quotidianità è così potente da essere lei stessa  affrancandosi da ogni teoretica la determinante dell'atto, dei comportamenti,Quindii in questo senso siamo politici,inteso nel termine esteso, quindi immersi nelle condizioni fisiche e convenzionali che non necessitano di verità teoretiche per poter essere frequentate, ma solo di necessità fra le moltitudini di condizioni dettate da ruoli ,di sopravviivenza,  e  anche di attività e passioni filosofiche.

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