Tra filosofia e pratica dialogica di essa

Aperto da Angelo Cannata, 10 Dicembre 2016, 19:57:38 PM

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Angelo Cannata

Cosa stiamo pensando quando crediamo di pensare? Per esempio, io mi ritengo uno che dubita di tutto, ma potrebbe sempre succedere che domani scopra qualcosa su cui, senza accorgermene, in realtà non sono disposto ad ammettere il dubbio. Allo stesso modo, in riferimento a chi ritiene che certe cose siano certe, ci possiamo chiedere: siamo sicuri che egli le intende come totalmente certe, oppure anche lui, senza accorgersene oggi, magari forse se ne accorgerà domani, in realtà proprio sulle sue cose certe tiene dei dubbi, nascosti a lui stesso?

Ad un primo sguardo superficiale alcuni pensano che dubitare del dubbio conduca alla certezza: se è certo che tutto è relativo, la stessa affermazione si pone già come pretesa di certezza. Provando a compiere un passo ulteriore, si potrebbe ritenere che un vero relativista dubita anche del relativismo, ma ciò non produce automaticamente certezze, quindi dubitare del dubbio non farebbe che confermare il dubbio. Però ciò che ho detto sopra conduce a sospettare anche di questo: chi ha detto che in un anfratto nascosto della mia mente, dei miei pensieri, non si nasconda un essere certo o un essere dubbioso, o un essere acritico, di cui non ho ancora preso consapevolezza?

Da ciò conseguirebbe che certi disaccordi nel dialogare potrebbero essere dovuti solo a malintesi, malintesi anzitutto tra me e me stesso e tra il mio interlocutore e se stesso, che poi provocano il malinteso tra noi due; oppure, invece che di malintesi, può trattarsi di false intese.

Questo problema potrebbe indirizzare ad un funzionalismo del linguaggio: non conta cosa diciamo o cosa crediamo di aver pensato; conta solo a cosa serve, a cosa porta, che risultati dà, visto che i significati, i contenuti, si disperdono nella non indagabilità delle profondità e delle ambiguità delle nostre menti.

Però un funzionalismo esclusivo farebbe rinunciare ad indagare sui contenuti, col rischio di esserne vittime inconsapevoli. Per esempio, mi potrebbe succedere di ospitare nella mia mente con tranquillità, cioè senza troppo preoccuparmi dei contenuti, una linea di pensiero, perché mi sembra che porti pace, dialogo, benessere collettivo, mentre invece un'indagine sui suoi contenuti potrebbe avvisarmi di una sua pericolosità a lungo termine. Però ciò che ho detto sopra scoraggia da un fiducia definitiva su ciò che riusciamo a capire dei contenuti.

Allora potrebbe essere necessaria una specie di via di mezzo, sebbene io abbia sempre odiato le vie di mezzo; diciamo una via che accetti di ospitare la complessità. Cioè una non eccessiva fiducia sull'idea che ci facciamo sui contenuti, coniugata con un funzionalismo che non assolutizzi se stesso, in modo da riservare comunque spazio per una considerazione, pur sempre umile, dei contenuti. Questa via complessa potrebbe aprire un dialogo tra metafisica e antimetafisica, tra chi pensa di dubitare di tutto e chi pensa di avere certezze, un dialogo che finora sembra essere stato sempre fallimentare.

A questo punto mi viene da pensare: io, che mi ritengo aperto al dubbio, sono disposto ad ammettere che penso di essere aperto al dubbio, ma forse ho delle certezze di cui non mi accorgo, o addirittura di cui non mi voglio accorgere. Ma mi riesce difficile immaginare che tante persone che ho conosciuto siano disposte a dire: penso di essere certo di ciò. Mi pare che i "metafisici", o per lo meno la maggior parte di loro, non siano disposti ad esprimere le cose in termini di "penso che..."; a quanto mi risulta, essi ritengono giusto, necessario, corretto, dire "È così". Ma se uno, su una certa cosa, ritiene irrinunciabile dire "È così", che dialogo potrà instaurare con chi la pensa diversamente?

Apeiron

Topic belissimo. Ora ti darò una risposta breve.
Generalmente sono d'accordo con te che bisogna saper dubitare il più possibile. Tuttavia ritengo anche che restare nel dubbio ha senso solo dove è possibile effettivamente arrivare a risolverlo. Ad esempio nella scienza il dubbio è la base della ricerca perchè dopotutto in questo contesto i dubbi possono essere risolti. Non è così in altri ambiti: certi dubbi non è possibile risolverli e quindi bisognerebbe (qui uso il condizionale perchè sono il primo a non seguire questo principio...) fare un atto di fede. Ad esempio non posso provare che dopo la mia morte il Sole continuerà a sorgere e l'umanità continuerà anche senza di me. Per quanto infatti questa supposizione sia del tutto ragionevole è impossibile dimostrarla. Il fallibilismo che ho in mente io perciò è sia un invito al dubbio costruttivo che un invito a togliere il dubbio quando questo è insolvibile.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

maral

#2
Ciò di cui si dubita presuppone comunque una sua prima assunzione in significato, è del significare dell'ente che è possibile dubitare non dell'ente in sé, ossia del suo presentarsi come un segno che si pone in relazione con altri segni per accadere. Il dubbio è quindi il prodotto diretto di una situazione relazionale tra segni che accadono, è il prodotto di un dialogo (con gli altri e con se stessi) che consente il confronto per trovare un terreno pubblicamente condivisibile per l'accadere effettivo del proprio sentire.
Sappiamo che la problematica del dubbio emerse con particolare evidenza filosofica con le meditazioni cartesiane, con cui, si potrebbe dire, che si inaugurò l'era moderna. Al termine della prima meditazione, Cartesio fece questa ipotesi: immaginiamo un Dio onnipotente e ingannatore che goda nell'ingannare le sue creature, una sorta di "Matrix" ante litteram, ebbene, osservò Cartesio, questo Dio non potrà tuttavia ingannare sul fatto, indispensabile affinché l'inganno si realizzi, che il soggetto (io che vengo ingannato) realmente esista. Con questo Cartesio fondò la posizione indubitabile del soggetto come soggetto che pensa e pensando dubita e aprì la strada alla "rivoluzione" kantiana che procede filosoficamente in senso opposto a quella copernicana, ponendo il soggetto trascendentale (non quindi psichico) come perno del mondo, colui che giungendo cartesianamente a dubitare del suo stesso dubitare, non può che affermare la sua indubitabile presenza pensante. Eppure, se è impossibile dubitare del proprio dubitare (dato che nel momento in cui lo si fa è indubbio che si dubiti),  qualcosa di cui originariamente dubitare e su cui fondare la propria incontrovertibile presenza dubitante, dovrà pur presentarsi: e questo qualcosa è il mondo, il mondo proprio in quanto dubitabile, fonda a ritroso l'assoluto indubitabile del soggetto, ne è il presupposto irrinunciabile. E con questo il pensiero cartesiano apre la strada alla scienza moderna che parte proprio da un mondo tenuto innanzi a sé in oggetto per dubitarne e risolverlo in ciò che a tutti i soggetti viene mostrato condivisibile, in quanto sperimentalmente e tangibilmente per tutti verificabile sulla base di presupposti universali e non soggettivi di metodo. Si potrebbe allora dire, seguendo Cartesio: io esisto nel mio dubitare, ma questo dubitare necessita di qualcosa di cui dubitare che non sono io stesso, necessita di un mondo che mi precede e di cui sono chiamato a risolvere il dubbio nel segno di una realtà che si presenta sempre più condivisibile in ogni dettaglio, ma in ogni dettaglio, tuttavia, ancora  dubitabile affinché si mantenga la certezza incontrovertibile del dubitare e sia con essa vanificata l'onnipotenza dell'inganno che sta proprio nel dire che "le cose stanno così" prima che possano apparire a ciascuno condivisibili secondo un criterio pubblicamente e oggettivamente condiviso.
Il dubbio con la sua necessità di risoluzione pubblica viene a questo punto a stabilire una nuova realtà metafisica che ovviamente si scontra con la realtà metafisica di chi trova necessario credere senza dubitare (o, si potrebbe dire, di chi non crede nella certezza fondante del dubbio), appellandosi alla incontestabile trascendenza della Verità rivelata (sia essa misticamente o razionalmente fondata) a cui aderisce con piena fede, ossia con assoluta volontà di credere. In questi termini evidentemente non ci può essere un dialogo che permetta un confronto tra posizioni, poiché qualsiasi confronto implica sempre un sentire fondamentalmente dubitabile la propria posizione in un pubblico confronto (implica sempre un "dubito quindi sono", una primarietà del pensiero dubitante che dubitando si autoconferma indubitabile). Fortunatamente, se vogliamo, non siamo noi a decidere delle nostre posizioni metafisiche, per cui anche tra le posizioni più inconciliabili per il fatto stesso che si presentino reciprocamente anche in modo del tutto ostile, si determinano sempre inaspettate risonanze in virtù delle quali esse mutano e mutano proprio in quanto comunque si fanno segno pur rifiutandosi. Mutano, senza che lo si voglia, nel proprio medesimo significare, a dispetto della resistenza che questo significare costruisce attorno a sé per mantenersi eternamente, ma illusoriamente, stabile in una incorruttibile purezza. Esse ci trascendono, ma proprio per questo non ci appartengono e, proprio nel loro trascenderci, restano comunque sempre dubitabili in ciò che manifestano nelle nostre volontà di credere.

Angelo Cannata

Citazione di: maral il 11 Dicembre 2016, 12:41:59 PM
è del significare dell'ente che è possibile dubitare non dell'ente in sé
Quanto vale una ricerca che già prima di partire si prefigge dei limiti intoccabili? Se io ho perso le chiavi di casa, che senso ha stabilire in anticipo che devo limitarmi a cercarle esclusivamente nella stanza da pranzo, con divieto di cercare nelle altre stanze? Se c'è stato un delitto, che senso ha escludere in partenza una persona dalle indagini, semplicemente perché quella persona è intoccabile? Che senso ha parlare del dubbio stabilendo in anticipo che però dell'ente in sé non si deve dubitare? L'ente in sé ha l'immunità parlamentare? ;D

green demetr

Vorrei affrontare la questione di Angelo in 2 parti.

La prima per ribadire la mia sostanziale controversia con lui con Sgiombo e con Apeiron.

La seconda per ragionare a parte senza considerare il lato relativistico assoluto.

prima parte



Se il significante è dubitabile, allora lo sarà anche l'ente, in quanto sarebbe in dubbio la significazione stessa. (e perciò di quale oggetto stiamo parlando).

La significazione dunque starebbe alla base del problema dell'ente.

Ma poichè un soggetto esiste sempre, dunque la posizione dello scettico è, di suo (poichè la nega), pronta alla impossibilità del dialogo su qualsiasi problematicità che riguardi la sensatezza di quello che si va dicendo.

Salvo poi chiedendo un dialogo ribadendo la propria falsità.

Ogni significante è per loro un insignificante, poichè o significa o non significa.


Infatti il dubbio su cosa punti quel significante è una cosa, ma porre il dubbio sulla operazione di significanza è un altro.

Dunque se il dubbio su cosa punti ci sta, non ha alcun senso il dubitare su cosa punti in quanto dubbio.(ed invece è esattamente quello che sempre ci servono nei loro discorsi deliranti).

Il dubbio o è o non è.

Ma se ammettiamo che vi sia un dubbio ammettiamo che c'è una ambiguità del significante.

Infatti la metafisica ammette che c'è un ambiguità del significante! che è poi come dire che dunque c'è una ambiguità dell'oggetto, a cui punterebbe per indicarlo.

La metafisica (idealista) perciò non ammette un vero assoluto dell'oggetto indicato. Ma ammette per necessità un vero dell'indicante, ossia del soggetto.

Il problema dunque via, via che la filosofia progredisce si sposta dal problema dell'oggetto a quello del soggetto (in quanto politica).

O meglio per quel che mi riguarda tenta di farlo, nei suoi esponenti massimi. (ma finora fallendo mancando l'analisi psicanalitica dello stesso soggetto).

Porre la discussione tra un metafisico e un relativista è in questo momento assolutamente impossibile.

Non tanto perchè non si possa ragionare come se non esistesse un soggetto, e cioè meramente trattando la questione come un (ozioso) mero gioco di prestigio, con una mera analitica, come se esistesse solo l'oggetto (e quindi se si è capito quanto ho detto prima, con tutti i problemi di verificabilità del caso, tra sperimentatore e sperimentato, appunto con le questioni del dubbio a far da sfondo, da nemico).

Ma quanto perchè la questione del soggetto è diventata della massima urgenza. Come aveva ben intuito Heidegger la "scienza non pensa". E se la scienza non pensa ma crede di aver un nemico nel relativista, questo è perchè nel gioco infinito delle coppie, anche il relativista "non pensa".


Cosicchè invece che leggere l'ottimo Maral per intero, fin a capire che l'ente altri non è che l'uomo stesso, ossia il soggetto, rimane ferma al punto del significante, e senza dubitare crede di poter affermare che l'ente sia l'oggetto, solo ovviamente per ripetere il giochino del dubbio dell'oggetto.

Nella mia visione vi ho già detto che siete all'interno del discorso paranoico, per cui ogni politico è negato.

E perciò la volontà di porre il problema come politico (chiedendo un dialogo), è in realtà l'esatto opposto, è come se voi relativisti diceste "io non mi voglio occupare di politica", la qual gravità è sempre più evidente a me.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

parte 2

Citazione di: Angelo Cannata il 10 Dicembre 2016, 19:57:38 PM

Però un funzionalismo esclusivo farebbe rinunciare ad indagare sui contenuti, col rischio di esserne vittime inconsapevoli. Per esempio, mi potrebbe succedere di ospitare nella mia mente con tranquillità, cioè senza troppo preoccuparmi dei contenuti, una linea di pensiero, perché mi sembra che porti pace, dialogo, benessere collettivo, mentre invece un'indagine sui suoi contenuti potrebbe avvisarmi di una sua pericolosità a lungo termine. Però ciò che ho detto sopra scoraggia da un fiducia definitiva su ciò che riusciamo a capire dei contenuti.

Allora potrebbe essere necessaria una specie di via di mezzo, sebbene io abbia sempre odiato le vie di mezzo; diciamo una via che accetti di ospitare la complessità. Cioè una non eccessiva fiducia sull'idea che ci facciamo sui contenuti, coniugata con un funzionalismo che non assolutizzi se stesso, in modo da riservare comunque spazio per una considerazione, pur sempre umile, dei contenuti. Questa via complessa potrebbe aprire un dialogo tra metafisica e antimetafisica, tra chi pensa di dubitare di tutto e chi pensa di avere certezze, un dialogo che finora sembra essere stato sempre fallimentare.


A mio parere e l'ho già detto tante volte è una questione politica.


Nello mio piccolo (ma mi sembra sempre più fondato) schemino mentale abbiamo un problema tripartito   SOGGETTO - DESIDERIO - OGGETTO.

Ognuno dei 3 pone dei problemi fondamentalmente filosofici, e quindi politici.

Il più urgente è quello del soggetto.

Ogni soggetto essendo SUB-OB-IECTUM è DESTINATO a stare nella logica di un esser "gettato" CONTRO una variabile sconosciuta che noi chiamiamo appunto ciò che si presenta come SCONTRO il cui esito, prodotto finale sono ciò che nel ricordo chiamo io. Ossia io sono lo SPECCHIO, la riflessione di questo VENIR CONTRO.
Qualcosa mi viene incontro diciamo nella fase dello specchio.
Ossia qualcosa di variabilmente ignoto VEDO-SENTO-PERCEPISCO, ossia un OB un tramite del significante-si vedente-si (allo specchio) audente-si (DIO) percepente-si (trascendentale del vedente-si e audente-si) collima nella superficie dello SPECCHIO.

Non posso ancora dire che è un vedente-si, prima devo capire, divento forma a partire dal VERBO, dal suono.


Noi siamo la storia della PHONE' diceva Carmelo Bene. Quindi prendiamo forma da un informe che è il suono, di cui il bambino segue invariabilmente lo stesso processo di SIGNIFICAZIONE. Prima dei suoni, poi degli oggetti.

Questa speculazione siamo NOI.

Dunque siamo già dentro un sistema FORMALE, che è quello stesso del linguaggio. Angelo si chiede se noi possiamo trovare una via di mezzo tra forma e dubbio.

La via di mezzo è esattamente il soggetto, come genialmente intuì Heideger l'uomo è la medianità tra DIO il suono e l'ente (la variabile contrapponentesi), ossia lo speculum quale noi siamo.

L'uomo riflette sostanzialmente sulla sua medianità.

Ed è qui che nasce la filosofia, con ARISTOTELE,  e prima ancora PLATONE. LA questione della nostra medianità è esattamente TRA FORMA e SOSTANZA.

Per ARISTOTELE noi siamo SOSTANZA (accidente), per PLATONE noi siamo FORMA (assoluto).  (in realtà per entrambi noi siamo necessità tra i 2 opposti).

La disanima del soggetto porta alla creazione della tecnica in aristotele. Ossia una volta isolata la dialettica tra forma e sostanza, noi passiamo alla creazione dell'uomo politico, ossia ciò che informa della sostanza ciò che in lui prende forma come razionalità.
Come divisione appunto. In aritstotele c'è già l'atomismo che porterà appunto alle divisioni e alle sussunzioni di ciò che noi siamo.
Una volta che divido poi INFORMO CON UNA SUSSUNZIONE, ciò che io chiamo OGGETTO.
L'oggetto non è più un oggetto è più un sussunto. (un presupposto).   (ovviamente la città di aristotele noi ce la sognamo, perchè all'epoca, quel grandissimo ventennio lì si aveva ancora in testa cosa è bene, cosa vuol dire ascoltare i cittadini etc...etc....e non era un mero stare bene fisico, direi anzi il contrario, era un bene spirituale diremmo oggi noi.)


Dunque noi presumiamo di sussumere un oggetto, (ma appunto l'oggetto è ALTRA COSA).

Avendolo presupposto noi informiamo dell'oggetto di NOI STESSI.  Ossia il soggetto presume sempre di più di DIVENTARE un oggetto.

Ovviamente è solo una metafora che però secondo me è il segnavia maestro, che porta a capire cosa sia il problema della tecnica.

D'altronde anche all'interno del mondo scientifico compare una figura (per me assai implementativa) come quella di KHUN che parla di paradigmi.

Ossia la propria presunzione va contro altre presunzioni, ed inizia una lotta a quale sia la SUSSUNZIONE MAESTRA, ossia quella che informa tutti gli altri progetti.

Che poi sempre in metafora è un desiderio di sussumere l'altro nelle proprie categorie mentali. OSSIA è politica.

Il problema della politica come storia della tecnica, E' il problema del soggetto, che dimentica via via, che ciò che informa è solo una voce, un suono.

E' quello che Heideger indica come l'errore fondamentale dell'occidente, ossia la dimenticanza dell' ascolto.

Con ascolto parliamo dell'amore etc....di una dimensione etica diversa etc....

Noi siamo dunque essere informi che voglione diventare forma, e la cui forma diventa sostanza. Noi sostanzialmente vogliamo morire, come in un momento di intuzione assolutamente rivoluzionario Freud intese.

Il discorso paranoico è il discorso della tecnica come se il prendere forma sia l'unica modalità del desiderio.

Ma non è così, come già ascoltare BACH o MOZART o BEYONCE' già testimonia, informa la nostra sostanza.

Eppure per evitare un funzionalimso assoluto caro Angelo è necessario tornare ad ascoltare quell'altro oggetto, sussunto, presunto, che noi chiamiamo gli altri.

Nel mondo contemporaneo l'uomo per un altro uomo è solo un oggetto (presunto).

Il punto però che emergerebbe (tralascio che la questione che così posta porta ad una aporia, che solo la psicanalisi sorpassa) sarebbe però che tu da una posizione essenzialmente salutare (ossia quella del dubbio, che come abbiamo capito è quella dell'informe che diventa supposizione formale, ossia soggetto) tu converga come il resto del mondo, nella posizione opposta del funzionalismo.
Il punto infatti è che tu chiedi un funzionalismo diciamo più elastico, e non vedi, che il problema è il funzionalimso stesso.

Il problema è quello del soggetto, che per entrare in una funzione non assoluta, deve ammettere una funzione, che in sè è assoluta, perchè presuppone SEMPRE un arrivo al punto di vista dell'oggetto.

Percià la casalinga diventa la sua casa, il professionista diventa la sua professione, e il ragazzo diventa il suo cellulare.

Niente di male, l'uomo diventa ciò che è (ognuno per quello che è), il punto è che si dimentica che siamo soggetti, e come tali potremmo desiderare (e di fatto desideriamo) altro da quello che siamo.
L'amore come mancanza dell'altro, è veramente un ALTRO maiuscolo. Desiderio di altri soggetti che noi non siamo.

Qua il problema che nemmeno si vede all'orizzonte, ed è colpa del cristianesimo, è che il desiderio non agisce esattamente come forma di amore, ma appunto di possesso.

Siamo alla società dei consumi e al problema del feticismo che per primo Marx individuò in tutta la sua portata rivoluzionaria.(ossia con la descrizione della distruzione del suo stesso ambiente).

Heideger lo ha descritto come la DISPOSIZIONE DEL MONDO come MONDANITA'.(che molti leggono avversamente, e che invece Heideger accettava tranquillamente, e pure io non faccio fatica a vederlo che così gira il mondo).

Se noi apriamo il problema del soggetto (perchè attenzione siamo ancora nella prima parte del mio schemino) ad una visione globale, si scoprono però gli altarini di questo enorme vacuità che noi chiamiamo con tracotanza "the best way of living".

Chi mondanizza chi? sarebbe la domanda!!!! è qui che subentrano tematiche scottanti, fuori dal politicamente corretto, e che nessuno ovviamente può fare in sede pubblica. E qui mi sembra già che siamo di fronte ad un grave problema. Si tratterebbe di far dire al pubblicamente corretto, la sua stessa scorrettezza, come va da anni dicendo ZIZEK. (e direi che dà l'idea sconfortante di come siamo indietro rispetto ad una storicità pensante dell'uomo come altro da quello che oggi è).

Comunque sia la tematica scottante è per me il gerarchico. In realtà manco lo vedo come problema. E'semplicemente così.

Io posso parlare di problemi gerarchici fin tanto che rimane questa gerarchia, sarebbe il nefasto per la filosofia in sè, discorso comune a tutti.
(oppure come fanno i relativisti e gli analitici americani, non ne parlo semplicemente, ovviamente cadendo vittime del populismo di destra dilagante nel mondo.)

No direi che il funzionalismo lo lasciamo subito da parte caro Angelo. Almeno quello. Forse cominceresti a non fare quegli errori che dici forse di fare, e ti assicuro
che stai facendo ad ogni piè sospinto nella tua vita. (mia opinione ovvio).



Vai avanti tu che mi vien da ridere

Angelo Cannata

Forse la questione che avevo posto può essere descritta ulteriormente nei seguenti termini, tenendo presente che il soggetto, per certi versi, viene a identificarsi con il linguaggio che egli pone in essere.

I termini sarebbero questi: un dubbio totale implica che si dubiti non solo dell'oggetto, del soggetto e del dubbio stesso, ma perfino delle strutture stesse del pensare e del comunicare. Cioè, un relativista totale non può non ammettere che il suo dubitare non ha senso, poiché, se avesse un senso, la certezza di tale senso smentirebbe la totalità del suo dubitare. In altre parole, il relativista, nel momento in cui dubita, non può non ammettere che egli stesso non sa cosa sta facendo, non sa neanche cosa vuol dire dubitare, non sa niente di niente. Ma allora come fa a dubitare?

Significa che tutta l'operazione del suo dubitare può essere realizzata ed espressa soltanto adottando, prendendo a prestito il sistema di pensiero offertogli dal metafisico, qui inteso come colui che ha fiducia nell'esistenza della verità o della certezza.

Penso di poter esprimere il concetto con un esempio: un sistema di pensiero può essere paragonato ad un insieme di mattoncini Lego, che possono essere incastrati e fatti funzionare. Io, come dubitante, senza basi e senza senso, non ho questi mattoncini; il metafisico ha questo giocattolo e mi dice che funziona. Io prendo in mano questi suoi mattoncini e gli mostro che, nel tentare di farli funzionare, si verifica sempre qualche inghippo, a meno che non preferiamo trascurare tale inghippo e far finta che tutto funzioni.

Quest'operazione però sembra non essere possibile, poiché, secondo Kurt Gödel - se non ho travisato il suo pensiero - non è possibile dimostrare l'incongruità di un qualsiasi sistema di pensiero se ci si mantiene al suo interno; ogni sistema di pensiero è coerente, inconfutabile, fin quando non viene a contatto con sistemi di pensiero diversi. Dunque il gioco dei Lego che ho descritto risulterebbe non rispondente a realtà, poiché, secondo Gödel, i Lego funzioneranno sempre perfettamente se io mi manterrò nei loro limiti e nelle loro regole.

L'esperienza però mi induce a pensare diversamente, per lo meno a sospettare che non esistono sistemi talmente chiusi, ermetici, da consentire una coerenza perfetta al loro interno; cioè, ho il sospetto che c'è sempre un momento in cui, durante il funzionamento di un sistema, si presenta un fattore esterno inarrestabile che entra di prepotenza nel sistema e lo mette in crisi, perché si fa riconoscere come fattore che può essere assunto all'interno del sistema. Insomma, una specie di virus, un cavallo di Troia.

Faccio due esempi.

Dire 2+2=4 sembra a prima vista un sistema perfettissimo, impossibile da mettere in crisi dal suo interno. Ma cominciamo a chiederci quanto fa 2-4=? Il sistema comincia a scricchiolare soprattutto perché si affaccia il sospetto che tale operazione sia possibile semplicemente affinando le regole, quindi mantenendoci all'interno del sistema. Se essa fosse impossibile, saremmo tranquilli: è un'operazione esterna al sistema. È la praticabilità della novità a mettere in crisi il sistema. Così nasce l'ipotesi dei numeri negativi: 2-4=-2. Così avremmo riparato la falla. Ma continuiamo ad approfondire, visto che abbiamo deciso di ospitare i numeri negativi. Negativo x negativo = positivo; negativo x positivo = negativo. Ottimo. Radice quadrata di positivo = negativo x negativo oppure positivo x positivo. Ottimo. E radice quadrata di negativo? Qui la crisi si fa grave, destabilizzante.

Un altro esempio è la musica. Sembra qualcosa di perfettissimo, coerente, fin quando non si scopre che è teoricamente impossibile accordare qualsiasi strumento musicale. Gli strumenti musicali hanno un bel suono per il nostro orecchio solo al prezzo di trascurare delle dissonanze minime, ma insanabili, impossibili da eliminare, poiché fanno capo direttamente alle leggi della matematica. Magari diremo che la musica è bella proprio per questo, ma bisogna ammettere che si basa su un sistema di corrispondenze matematicamente incoerente, che cioè necessita di aggiustamenti per approssimazione.

È più o meno questo il meccanismo con cui mi sembra di mettere in crisi i metafisici, i quali poi a volte si innervosiscono oppure sentono il bisogno di lanciarmi qualche accusa. Cioè mi sembra di non far altro che prendere in mano i loro giocattoli e mostrare che non s'incastrano alla perfezione.

Apeiron

#7
@Angelo Cannata,
Goedel afferma che un sistema formale dotato di una sufficiente complessità (se non erro deve almeno essere complesso come l'aritmetica) non può dimostrare secondo i suoi assiomi sia la propria completezza che la propria consistenza. Per avere entrambe le cose ti serve un altro sistema che lo "inglobi", il quale a sua volta non potrà mai dimostrare completezza e consistenza. Non potremo mai avere un "sapere perfetto" per questa ragione. Tuttavia questo non dimostra che il sistema sia falso, solo che ti servono altri assiomi per dimostrare che non lo è. Per il discorso della metafisica: ritengo la maggior parte dei problemi metafisici indecidibili.

Citazione di: green demetr il 11 Dicembre 2016, 15:04:46 PMVorrei affrontare la questione di Angelo in 2 parti. La prima per ribadire la mia sostanziale controversia con lui con Sgiombo e con Apeiron. La seconda per ragionare a parte senza considerare il lato relativistico assoluto. prima parte Se il significante è dubitabile, allora lo sarà anche l'ente, in quanto sarebbe in dubbio la significazione stessa. (e perciò di quale oggetto stiamo parlando). La significazione dunque starebbe alla base del problema dell'ente. Ma poichè un soggetto esiste sempre, dunque la posizione dello scettico è, di suo (poichè la nega), pronta alla impossibilità del dialogo su qualsiasi problematicità che riguardi la sensatezza di quello che si va dicendo. Salvo poi chiedendo un dialogo ribadendo la propria falsità. Ogni significante è per loro un insignificante, poichè o significa o non significa. Infatti il dubbio su cosa punti quel significante è una cosa, ma porre il dubbio sulla operazione di significanza è un altro. Dunque se il dubbio su cosa punti ci sta, non ha alcun senso il dubitare su cosa punti in quanto dubbio.(ed invece è esattamente quello che sempre ci servono nei loro discorsi deliranti). Il dubbio o è o non è. Ma se ammettiamo che vi sia un dubbio ammettiamo che c'è una ambiguità del significante. Infatti la metafisica ammette che c'è un ambiguità del significante! che è poi come dire che dunque c'è una ambiguità dell'oggetto, a cui punterebbe per indicarlo. La metafisica (idealista) perciò non ammette un vero assoluto dell'oggetto indicato. Ma ammette per necessità un vero dell'indicante, ossia del soggetto. Il problema dunque via, via che la filosofia progredisce si sposta dal problema dell'oggetto a quello del soggetto (in quanto politica). O meglio per quel che mi riguarda tenta di farlo, nei suoi esponenti massimi. (ma finora fallendo mancando l'analisi psicanalitica dello stesso soggetto). Porre la discussione tra un metafisico e un relativista è in questo momento assolutamente impossibile. Non tanto perchè non si possa ragionare come se non esistesse un soggetto, e cioè meramente trattando la questione come un (ozioso) mero gioco di prestigio, con una mera analitica, come se esistesse solo l'oggetto (e quindi se si è capito quanto ho detto prima, con tutti i problemi di verificabilità del caso, tra sperimentatore e sperimentato, appunto con le questioni del dubbio a far da sfondo, da nemico). Ma quanto perchè la questione del soggetto è diventata della massima urgenza. Come aveva ben intuito Heidegger la "scienza non pensa". E se la scienza non pensa ma crede di aver un nemico nel relativista, questo è perchè nel gioco infinito delle coppie, anche il relativista "non pensa". Cosicchè invece che leggere l'ottimo Maral per intero, fin a capire che l'ente altri non è che l'uomo stesso, ossia il soggetto, rimane ferma al punto del significante, e senza dubitare crede di poter affermare che l'ente sia l'oggetto, solo ovviamente per ripetere il giochino del dubbio dell'oggetto. Nella mia visione vi ho già detto che siete all'interno del discorso paranoico, per cui ogni politico è negato. E perciò la volontà di porre il problema come politico (chiedendo un dialogo), è in realtà l'esatto opposto, è come se voi relativisti diceste "io non mi voglio occupare di politica", la qual gravità è sempre più evidente a me.

Non sono un relativista :) quello che voglio dire io è che le proposizioni che facciamo possono essere dimostrate solo all'interno di determinati assiomi quindi sono dimostrabili solo quando è possibile chiarire il punto di vista. Ad esempio la proposizione il "Sole è giallo" la puoi dimostrare osservandolo. La proposizone "il giallo del Sole che vedo io e che vedi tu è lo stesso" invece non è dimostrabile ma indecidibile. Torna molto comodo assumere che sia così però è indimostrabile. Ciò che è indimostrabile quindi lo devi rigettare o accettare con almeno un po' di fede. Ora questa fede può essere ragionevole o irragionevole ma questo è un altro discorso. Se poi dico ad esempio "dopodomani il Sole esploderà" posso verificare/falsificare questa proposizione. Se invece dico "esiste un altro universo oltre al nostro il quale è impossibile da osservare" tale proposizione è indecidibile. Perciò ti serve chiarire gli assiomi da cui parti e chiarire una metologia per validare la proposizione.

L'errore del neo-positivismo (e a volte ci cado anche io) è stato appunto quello di scambiare insensatezza con indecidibilità.

Quindi il dubbio avrebbe senso porselo solo quando è possibile la dimostrazione. Sono coerente con questa massima: no, per niente! Anche perchè ci sono troppe cose importanti oltre il limite della nostra capacità di conoscere e su queste è molto difficile avere una convinzione.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

x angelo

a seguire il tuo pensiero però non potresti avere una esperienza....
e a maggior ragione non potresti avere una induzione da quella esperienza.
8)

se il dubbio è assoluto, allora più nulla vale, o meglio vale tutto. (è li segreto di pulcinella di ogni relativista, che così può pascersi l'anima nel non fare alcunchè di niente per l'altro).

x apeiron

beh ovviamente da bravo fisico credi che indecidibilità valga in maniera universale, quando invece è solo una formalità.
D'altronde anche il teorema dell'incompletezza di Godel ha poca se non nessuna implicazione pratica sia in fisica che in matematica.
Ha valore solo per le prassi di LOGICA FORMALE MATEMATICA ed ha avuto successo presso i filosofi perchè nella lora totale ignoranza di cosa sia la matematica e cosa sia la fisica, si sono illusi di poter dire che la verità ce l'avevano loro e non la scienza. Il che è pratica ancora corrente e rende tutta la filosofia una cosa triviale per lo scienziato.

peccato che il positivismo si sia battuto sopratutto per le pratiche reali di vita politica comune degli uomini.
(e tutta il post-modernismo è una supplica a tornare a parlare di cose reali, appunto questioni della modernità come "soggetto" "contratto" etc...etcc...)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Apeiron

Citazione di: green demetr il 11 Dicembre 2016, 17:23:32 PMx angelo a seguire il tuo pensiero però non potresti avere una esperienza.... e a maggior ragione non potresti avere una induzione da quella esperienza. 8) se il dubbio è assoluto, allora più nulla vale, o meglio vale tutto. (è li segreto di pulcinella di ogni relativista, che così può pascersi l'anima nel non fare alcunchè di niente per l'altro). x apeiron beh ovviamente da bravo fisico credi che indecidibilità valga in maniera universale, quando invece è solo una formalità. D'altronde anche il teorema dell'incompletezza di Godel ha poca se non nessuna implicazione pratica sia in fisica che in matematica. Ha valore solo per le prassi di LOGICA FORMALE MATEMATICA ed ha avuto successo presso i filosofi perchè nella lora totale ignoranza di cosa sia la matematica e cosa sia la fisica, si sono illusi di poter dire che la verità ce l'avevano loro e non la scienza. Il che è pratica ancora corrente e rende tutta la filosofia una cosa triviale per lo scienziato. peccato che il positivismo si sia battuto sopratutto per le pratiche reali di vita politica comune degli uomini. (e tutta il post-modernismo è una supplica a tornare a parlare di cose reali, appunto questioni della modernità come "soggetto" "contratto" etc...etcc...)

Beh a questo punto abbandoniamo la filosofia, no? se ci interessa solo la "realtà" della pratica a questo punto che senso ha teorizzare? Quello che dico io è questo: quando dici una proposizione devi dire in che contesto la stai affermando. E se poi dici che la proposizione è vera allora devi anche dirmi come faccio a verificarla. Viceversa se mi dici che è falsa devi darmi un modo per falsificarla.

Inoltre per iniziare seriamente la discussione devi anche dirmi con cosa intendi la parola "realtà". Ti sfido a definirla in modo che sia (1) consistente (2) completo. Per un fisico ti dice che almeno le cose che si osservano sono reali e l'esperienza è la base di tutto il sapere della fisica. Dai dati osservati poi ci fai la teoria ma come "assioma" di partenza hai appunto la realtà osservativa. Motivo per cui non puoi dimostrare che "esista qualcosa" anche se ovviamente è una cosa vera. Altro assioma fisico è che la descrizione che fai è di natura matematica.

Detto questo il problema che ha affossato il positivismo è che non appena ha creato il criterio di sensatezza tale criterio era in effetti insensato. "Le proposizioni verificabili sono sensate" è inverificabile, quindi insensata. Il neo-positivismo era inconsistente, motivo per cui è stato abbandonato. Il post-modernismo sinceramente mi sembra più interessato alla critica sociale, la quale è ben lontana dallo stabilire un'epistemologia. Anzi critica sociale ed epistemologia vivono su due mondi diversi.

Infine il teorema di incompletezza è uno dei motivi per cui fisici (anche del calibro di Hawking) criticano la ricerca della "Teoria del Tutto". Motivo per cui è in realtà nell'interesse della fisica (specie teorica). Inoltre solitamente lo scienziato per essere onesto ad esempio deve dire che per lui è un mistero la questione ad esempio del rapporto matematica-realtà, la quale è una questione meta-fisica.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

InVerno

#10
Dal mio punto di vista personale (visto che ci sono un sacco di esempi personali) Il dubbio (nel senso di sospensione di giudizio) è il prodotto della relazione con me stesso e la mia finitezza, non solo il prodotto, ma anche la condizione base per avere una relazione con me stesso e per permettere il dinamismo delle idee, l'indagine. Poi, per comodità di relazione con gli altri affermo qualcosa (sempre sottesa al dubbio) isolando determinati elementi che mi interessa si scontrino con altri elementi, perchè credo che da quello scontra avvenga un operazione di affinamento, di smussatura, e poi lo ributto nel calderone del dubbio cambiato, affinato. Si potrebbe parlare di certezze liquide, nel senso che ottengono la forma di un contenitore solamente per essere manipolate, e la riperdono nel momento che non è più necessario manipolarle. Anche questa affermazione sta per perdere la sua forma.. 3...2...1...puff

Apeiron

Citazione di: maral il 11 Dicembre 2016, 12:41:59 PMCiò di cui si dubita presuppone comunque una sua prima assunzione in significato, è del significare dell'ente che è possibile dubitare non dell'ente in sé, ossia del suo presentarsi come un segno che si pone in relazione con altri segni per accadere. Il dubbio è quindi il prodotto diretto di una situazione relazionale tra segni che accadono, è il prodotto di un dialogo (con gli altri e con se stessi) che consente il confronto per trovare un terreno pubblicamente condivisibile per l'accadere effettivo del proprio sentire. Sappiamo che la problematica del dubbio emerse con particolare evidenza filosofica con le meditazioni cartesiane, con cui, si potrebbe dire, che si inaugurò l'era moderna. Al termine della prima meditazione, Cartesio fece questa ipotesi: immaginiamo un Dio onnipotente e ingannatore che goda nell'ingannare le sue creature, una sorta di "Matrix" ante litteram, ebbene, osservò Cartesio, questo Dio non potrà tuttavia ingannare sul fatto, indispensabile affinché l'inganno si realizzi, che il soggetto (io che vengo ingannato) realmente esista. Con questo Cartesio fondò la posizione indubitabile del soggetto come soggetto che pensa e pensando dubita e aprì la strada alla "rivoluzione" kantiana che procede filosoficamente in senso opposto a quella copernicana, ponendo il soggetto trascendentale (non quindi psichico) come perno del mondo, colui che giungendo cartesianamente a dubitare del suo stesso dubitare, non può che affermare la sua indubitabile presenza pensante. Eppure, se è impossibile dubitare del proprio dubitare (dato che nel momento in cui lo si fa è indubbio che si dubiti), qualcosa di cui originariamente dubitare e su cui fondare la propria incontrovertibile presenza dubitante, dovrà pur presentarsi: e questo qualcosa è il mondo, il mondo proprio in quanto dubitabile, fonda a ritroso l'assoluto indubitabile del soggetto, ne è il presupposto irrinunciabile. E con questo il pensiero cartesiano apre la strada alla scienza moderna che parte proprio da un mondo tenuto innanzi a sé in oggetto per dubitarne e risolverlo in ciò che a tutti i soggetti viene mostrato condivisibile, in quanto sperimentalmente e tangibilmente per tutti verificabile sulla base di presupposti universali e non soggettivi di metodo. Si potrebbe allora dire, seguendo Cartesio: io esisto nel mio dubitare, ma questo dubitare necessita di qualcosa di cui dubitare che non sono io stesso, necessita di un mondo che mi precede e di cui sono chiamato a risolvere il dubbio nel segno di una realtà che si presenta sempre più condivisibile in ogni dettaglio, ma in ogni dettaglio, tuttavia, ancora dubitabile affinché si mantenga la certezza incontrovertibile del dubitare e sia con essa vanificata l'onnipotenza dell'inganno che sta proprio nel dire che "le cose stanno così" prima che possano apparire a ciascuno condivisibili secondo un criterio pubblicamente e oggettivamente condiviso. Il dubbio con la sua necessità di risoluzione pubblica viene a questo punto a stabilire una nuova realtà metafisica che ovviamente si scontra con la realtà metafisica di chi trova necessario credere senza dubitare (o, si potrebbe dire, di chi non crede nella certezza fondante del dubbio), appellandosi alla incontestabile trascendenza della Verità rivelata (sia essa misticamente o razionalmente fondata) a cui aderisce con piena fede, ossia con assoluta volontà di credere. In questi termini evidentemente non ci può essere un dialogo che permetta un confronto tra posizioni, poiché qualsiasi confronto implica sempre un sentire fondamentalmente dubitabile la propria posizione in un pubblico confronto (implica sempre un "dubito quindi sono", una primarietà del pensiero dubitante che dubitando si autoconferma indubitabile). Fortunatamente, se vogliamo, non siamo noi a decidere delle nostre posizioni metafisiche, per cui anche tra le posizioni più inconciliabili per il fatto stesso che si presentino reciprocamente anche in modo del tutto ostile, si determinano sempre inaspettate risonanze in virtù delle quali esse mutano e mutano proprio in quanto comunque si fanno segno pur rifiutandosi. Mutano, senza che lo si voglia, nel proprio medesimo significare, a dispetto della resistenza che questo significare costruisce attorno a sé per mantenersi eternamente, ma illusoriamente, stabile in una incorruttibile purezza. Esse ci trascendono, ma proprio per questo non ci appartengono e, proprio nel loro trascenderci, restano comunque sempre dubitabili in ciò che manifestano nelle nostre volontà di credere.

In linea di massima concordo con te ma non del tutto. Se ammetti il dubbio devi ammettere che il dubitare abbia senso, quindi d'altronde non stai dubitando su tutto. A mio giudizio è impossibile fare nessuna attività filosofica senza un "fondamento", un assioma di partenza. Il dubbio è un'attività quindi non si può dubitare che si sta dubitando, quindi la completa sospensione del giudizio è anch'essa un dogma. Per quanto riguarda però i problemi di Dio e dell'anima secondo me non si può dimostrare la loro esistenza. Quindi devi in questo caso accettarli o non accettarli per fede. Si può fare certamente una verifica sulla "ragionevolezza" di queste ipotesi però dopotutto non otterremo mai quello che desideriamo, cioè una prova razionale. Tant'è vero che Kant postula l'esistenza di Dio e dell'anima nella Critica della Ragion Pratica. Ed essenzialmente il suo "io formale" della ragion pura se non erro non lo considerava un ente ma semplicemente l'insieme delle varie forme (ad esempio spazio, tempo, causalità, quantità ecc). In sostanza l'io di Kant non era di certo un "io personale" ma semplicemente il "fondamento" (l'assioma) con cui si deve partire per fare affermazioni dimostrabili. Fuori dall'"isola dei fenomeni" la ragione non poteva esprimersi perchè non poteva più dimostrare alcunché.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

x inverno

anch'io credo che il soggetto sia la risultanza di questo continuo lavorio di affinamento e rimessa in dubbio.

x aperion

il mio modo di intendere filosofia non prevede la necessità di creare un sistema formale che preveda una formulazione di una verità.

è  molto più legato a quello che succede al soggetto nel suo contesto storico, e ovviamente se il soggetto sono io, mi interessa ancor di più.

per onestà intellettuale credo che fare a meno di un soggetto dubitante sia deleterio, delirante. da qui nasce un sostanziale scontro di visioni.

per me esiste sempre un soggetto, un parlante, un ente. (ti ripeto negarlo o far finta che sia indecidibile per me è pura follia)

a partire da una evidenza ossia dal mio corpo, ho già scritto comunque che il mio fondamento formale è quello della coppia Peirce-Hegel (pur essendo solo all'inizio della loro indagine, ho già notato un parallelismo forte).

Dunque la verità è ciò che si da come negazione necessaria a partire da un soggetto, che non è mai dato come apriori, ma che è un transeunte nella storia. Verità formale, una come tante, certo, avvallata però sulla grandezza del pensiero idealista tedesco. (Kant ed Hegel).
Ossia credo che il soggetto esista, e che sia storico. (pur nei suoi caratteri negativi a livello fenomenico)

L'implementazione di questo soggetto che si dà nella storia, questo è solo l'inizio della complessità filosofica che invece che soffermarsi su quegli autori, vira pesantemente nel mio caso, con il pensiero Heidegeriano e con i suoi detrattori Derrida e Marx. In questo movimento che riconosco come dialettico, ritrovo le basi per la questione del "discorso" come la intende la psicanalisi di Calciolari, o meglio di quello che riesco a capire io.
Il discorso sul discorso è la parte fondamentale del mio interesse, che trova esplicazione in campo italiano nella figura di CARLO SINI.

Il discorso si fa pratica, e la teoria diventa quella pratica che controlla le pratiche.

La realtà è perciò il discorso che "si fanno" le pratiche, e che per cui mi fa interessare anche di fisisca matematica biologia etc....etc.....

La realtà è ovviamente un paradigma che serve a costruire un discorso.

Essendo paradigma è infatti una pratica fra le pratiche. Il discorso della verità diventa perciò un controllo del paradigma che si sta usando per descrivere l'aderenza o meglio le aderenze, o meno, a cui il soggetto si trova a fare i conti, in carne ed ossa come direbbe Husserl.
Ossia l'inveramento del soggetto è una questione del suo farsi paradigma dentro ai discorsi che si affacciano come paradigma.
Salvo non essere questione formale, ma appunto in carne e ossa, in una sola parola storica. Del qui e ora.Vivente dice Husserl.

Questione che non capirà mai un fisico e in generale uno scienziato, che lascio volentieri ai loro giochetti mentalisti se la realtà sia duale o monista, che sia riduzionista o meno. Quel tipo di verità a me non interessa, se non appunto a livello formale.
Posso fare il gioco se sia uno o l'altro o l'altro ancora modello. Ma nessuna di quelle posizioni assume cosa succede DOPO che hanno inventato il loro soggetto e il loro oggetto. Non credo sia un caso, è invece la verità che non vogliono occuparsi della realtà e dei suoi infiniti discorsi.

In questo caso verità ha chiaramente una coloratura polemica. Se è quello che disturba, beh avete ragione: non siamo amici.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

maral

#13
Citazione di: Angelo Cannata il 11 Dicembre 2016, 13:33:21 PM
Quanto vale una ricerca che già prima di partire si prefigge dei limiti intoccabili? Se io ho perso le chiavi di casa, che senso ha stabilire in anticipo che devo limitarmi a cercarle esclusivamente nella stanza da pranzo, con divieto di cercare nelle altre stanze? Se c'è stato un delitto, che senso ha escludere in partenza una persona dalle indagini, semplicemente perché quella persona è intoccabile? Che senso ha parlare del dubbio stabilendo in anticipo che però dell'ente in sé non si deve dubitare? L'ente in sé ha l'immunità parlamentare? ;D
No, non è che non si deve dubitare, non si può dubitare, poiché l'ente è e di per sé è esattamente quello che è, sempre identico a se stesso. Ciò di cui si dubita e si può e si deve dubitare (e, nel mio intervento mi pare di essere stato chiaro in merito) è di ciò che l'ente è per noi, ossia del manifestarsi nel segno che lascia e in cui crediamo di conoscerlo dicendo cos'è.

maral

Citazione di: Apeiron il 11 Dicembre 2016, 19:08:23 PM
In linea di massima concordo con te ma non del tutto. Se ammetti il dubbio devi ammettere che il dubitare abbia senso, quindi d'altronde non stai dubitando su tutto. A mio giudizio è impossibile fare nessuna attività filosofica senza un "fondamento", un assioma di partenza. Il dubbio è un'attività quindi non si può dubitare che si sta dubitando, quindi la completa sospensione del giudizio è anch'essa un dogma. Per quanto riguarda però i problemi di Dio e dell'anima secondo me non si può dimostrare la loro esistenza. Quindi devi in questo caso accettarli o non accettarli per fede. Si può fare certamente una verifica sulla "ragionevolezza" di queste ipotesi però dopotutto non otterremo mai quello che desideriamo, cioè una prova razionale. Tant'è vero che Kant postula l'esistenza di Dio e dell'anima nella Critica della Ragion Pratica. Ed essenzialmente il suo "io formale" della ragion pura se non erro non lo considerava un ente ma semplicemente l'insieme delle varie forme (ad esempio spazio, tempo, causalità, quantità ecc). In sostanza l'io di Kant non era di certo un "io personale" ma semplicemente il "fondamento" (l'assioma) con cui si deve partire per fare affermazioni dimostrabili. Fuori dall'"isola dei fenomeni" la ragione non poteva esprimersi perchè non poteva più dimostrare alcunché.
Non solo non è possibile fare alcuna attività filosofica senza un fondamento da cui partire, ma non è possibile pensare alcunché senza assumere un fondamento sulla base del quale iniziare a pensare (e qui concordo con te sulla necessità di chiarire agli altri e a se stessi su quali fondamenti di senso si basa il proprio pensiero) e sui fondamenti non si può discutere razionalmente, sono razionalmente incommensurabili l'uno all'altro, a meno che non si dimostri che al loro interno generano autocontraddizioni, in tal caso essi si dimostrano da se stessi nulli. Come ho detto l'io kantiano non è un io psichico, ossia l'io personale, ma l'io trascendentale, quell'io trascendentale che Husserl nella "Crisi delle scienze europee" mette alla base del suo progetto fenomenologico (quello che lui stesso, in punto di morte considerò solo "un piccolo inizio"). Concordo nel mettere Dio tra le assunzioni indimostrabili, ma questo non significa a mio avviso poter solo scegliere se credervi o non credervi (fatto salvo che questo credervi o non credervi è determinato da condizioni di contorno, da tutta quella storia universale che si manifesta in ogni soggetto determinando il suo modo specifico di sentire), si può anche, ragionevolmente, sospendere il giudizio in merito, anche se questo per lo più rende invisi sia a chi crede che a chi non crede.

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