Teoria della mente bicamerale

Aperto da Apeiron, 19 Dicembre 2016, 14:00:11 PM

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paul11

Ho molte perplessità sulla teoria dell'evoluzione, perchè se studiamo un "meccanismo" non basta scomporne ne parti, gli insiemi funzionali, bisogna necessariamente conoscerne il progetto. Aristotele aveva intuito e capito qualcosa, coniando il termine entelachia, un finalismo evolutivo,  ma ancora manca la fase di progettazione;:perchè si costruisce un meccanismo funzionante in una certa maniera e finalizzato ad uno scopo.
Ma rischio di andare o.t.

La parola inplica e sforza la memoria se non esiste la scrittura.
Dicono che oggi abbiamo superato anche la scrittura, essendo nel tempo delle immagini-
La scrittura deve essere mediata dal segno-significante e persino dall'interpretante non essendoci il passaggio diretto della parola-
La tradizione ebraica sacralizza il testo scritto, per cui tutto deve essere riscritto perfettamente uguale.
La tradizione induista passa oralmente e mnemonicamente da millenni interi testi sacri(così sono stati "scoperti" brani vedici anche del Mahabharata

Trovo, e quì lo dico brevemente, che la tradizione talmudica ebraica abbia dato alcune risposte contrapposte al modo comune di pensare, che non ci sia stato nemmeno a livello genetico una progressione, ma regressione dell'uomo e si riferisce all'epoca prediluviana e prima della torre di Babele che fanno da spartiacque al decadimento dell'umanità. La stessa cosa dice il kali-yuga vedico,segnato dal progresso materiale e decadenza spirituale

filofisico

X Sgiombo( e tutti)



Dal libro dell'autore cito testualmente (pag 539)
-una versione debole della teoria asserirebbe che la coscienza si fonda sul linguaggio, ma invece che
essere un fenomeno cosi' recente, ebbe inizio proprio con il sorgere del linguaggio,forse anche prima
della civilizzazione,diciamo 12000 anni A.C,pressappoco con l'inizio della mentalita' bicamerale
di udire le voci.Entrambi i sistemi mentali (mente bicamerale e coscienza) sarebbero potuti procedere
assieme fino all'abbandono della mente bicamerale................Questa e' una posizione estremente
debole,poiche' potrebbe spiegare quasi tutto, ed e' pressoche' inconfutabile (N.B metodo popperiano,
posizione mi pare accostabile all'intervento di Sgiombio).
La versione forte e' di maggior interesse ed e' quella enunciata nell'introdurre il concetto di  mente bicamerale.Essa stabilisce una data sorprendentemente vicina per l'ingresso nel mondo di questa
straordinaria privatezza di eventi non manifesti che chiamiamo coscienza..........la data e' all'incirca
il 1000 A.C. questa datazione puo' essere individuata nelle testimonianze provenienti dalla
Mesopotamia, dove il disgregarsi della mente bicamerale e' ben evidente.Esso fu dovuto alle
caotiche disfunzioni sociali,alla sovrappopolazione e probabilmente al successo della scrittura
nel rimpiazzare le modalita' orali di comando (indebolimento delle voci allucinatorie dell'emisfero
destro). questa disgregazione diede origine a molte pratiche che ora chiameremmo religiose, che furono sforzi per reintegrare le voci perdute degli dei.-

Le precisazioni di Sgiombo,condivisibili in quanto da me malamente interpretata la suddetta teoria, non inficiano il ruolo
portante della scrittura nella genesi della coscienza "moderna".
Altro punto di estremo interesse, che qualifica la ricerca jaynesiana come assolutamente eccentrica, e' il concetto di
autocoscienza come precipua caratteristica dell'uomo rispetto alle altre specie viventi.
Cio' viene recisamente negato all'autore:-Quando ci poniamo la domanda "che cosa e' la coscienza?" diventiamo
coscienti della coscienza.E la maggior parte di noi ritiene che proprio  questa coscienza della coscienza
sia la coscienza. MA NON E' COSI'.-(pag 37 ib)
Ho riflettuto a lungo sul fatto che Jaynes ricusasse l'autocoscienza come caratteristica eminentemente umana, poi piu'
avanti nel libro ho trovato la soluzione:- La metafora e' il fondamento costitutivo del linguaggio(pag 70 ib).......
Se capire una cosa significa pervenire ad una metafora che ce la renda familiare, possiamo vedere che nel
comprendere la coscienza ci sara' SEMPRE una DIFFICOLTA'. dovrebbe essere immediatamente chiaro
che nella nostra esperienza immediata non c'e' e non puo' esserci alcunche' di simile all'esperienza immediata stessa.
Si puo' dire percio' che in un certo senso noi non saremo mai in grado di capire la coscienza nello stesso modo in cui
possiamo capire le cose di cui siamo coscienti.-

Questo potrebbe definirsi forse "il problema difficile" di Chalmers, ma mentre in Chalmers non approda a niente,


https://it.wikipedia.org/wiki/David_Chalmers


In Jaynes mi trasmette una strana sensazione di pace interiore,di appagamento

sgiombo

Citazione di: filofisico il 06 Gennaio 2017, 23:20:12 PM
X Sgiombo( e tutti)



Dal libro dell'autore cito testualmente (pag 539)
-una versione debole della teoria asserirebbe che la coscienza si fonda sul linguaggio, ma invece che
essere un fenomeno cosi' recente, ebbe inizio proprio con il sorgere del linguaggio,forse anche prima
della civilizzazione,diciamo 12000 anni A.C,pressappoco con l'inizio della mentalita' bicamerale
di udire le voci.Entrambi i sistemi mentali (mente bicamerale e coscienza) sarebbero potuti procedere
assieme fino all'abbandono della mente bicamerale................Questa e' una posizione estremente
debole,poiche' potrebbe spiegare quasi tutto, ed e' pressoche' inconfutabile (N.B metodo popperiano,
posizione mi pare accostabile all'intervento di Sgiombio).
La versione forte e' di maggior interesse ed e' quella enunciata nell'introdurre il concetto di  mente bicamerale.Essa stabilisce una data sorprendentemente vicina per l'ingresso nel mondo di questa
straordinaria privatezza di eventi non manifesti che chiamiamo coscienza..........la data e' all'incirca
il 1000 A.C. questa datazione puo' essere individuata nelle testimonianze provenienti dalla
Mesopotamia, dove il disgregarsi della mente bicamerale e' ben evidente.Esso fu dovuto alle
caotiche disfunzioni sociali,alla sovrappopolazione e probabilmente al successo della scrittura
nel rimpiazzare le modalita' orali di comando (indebolimento delle voci allucinatorie dell'emisfero
destro). questa disgregazione diede origine a molte pratiche che ora chiameremmo religiose, che furono sforzi per reintegrare le voci perdute degli dei.-

Le precisazioni di Sgiombo,condivisibili in quanto da me malamente interpretata la suddetta teoria, non inficiano il ruolo
portante della scrittura nella genesi della coscienza "moderna".
Altro punto di estremo interesse, che qualifica la ricerca jaynesiana come assolutamente eccentrica, e' il concetto di
autocoscienza come precipua caratteristica dell'uomo rispetto alle altre specie viventi.
Cio' viene recisamente negato all'autore:-Quando ci poniamo la domanda "che cosa e' la coscienza?" diventiamo
coscienti della coscienza.E la maggior parte di noi ritiene che proprio  questa coscienza della coscienza
sia la coscienza. MA NON E' COSI'.-(pag 37 ib)
Ho riflettuto a lungo sul fatto che Jaynes ricusasse l'autocoscienza come caratteristica eminentemente umana, poi piu'
avanti nel libro ho trovato la soluzione:- La metafora e' il fondamento costitutivo del linguaggio(pag 70 ib).......
Se capire una cosa significa pervenire ad una metafora che ce la renda familiare, possiamo vedere che nel
comprendere la coscienza ci sara' SEMPRE una DIFFICOLTA'. dovrebbe essere immediatamente chiaro
che nella nostra esperienza immediata non c'e' e non puo' esserci alcunche' di simile all'esperienza immediata stessa.
Si puo' dire percio' che in un certo senso noi non saremo mai in grado di capire la coscienza nello stesso modo in cui
possiamo capire le cose di cui siamo coscienti.-

Questo potrebbe definirsi forse "il problema difficile" di Chalmers, ma mentre in Chalmers non approda a niente,


https://it.wikipedia.org/wiki/David_Chalmers


In Jaynes mi trasmette una strana sensazione di pace interiore,di appagamento
CitazioneE' ovviamente impossibile criticare in due a parole un libro di centinaia di pagine.
 
Quel che posso dire (anche avendo letto l' intervento di Paolo Zardi da te linkato in un precedente intervento) è che questa teoria mi fa la netta impressione di una serie di fantasiose ipotesi "in libera uscita a briglia sciolta dall' immaginazione", anche se con pretese "prove documentali" (un po' come le elucubrazioni sulle "scie chimiche nel cielo").
Fra l' altro, salvo che in quest' ultimo tuo intervento, mi sembra che da parte di chi illustra questa teoria (compreso Paolo Zardi) si faccia una costante confusione fra coscienza (che per me è ragionevolissimo pensare sia posseduta anche da molte altre specie animali) ed autocoscienza (che per me, contrariamente a Jaines, che qui dici negarlo recisamente, è esclusivamente umana e probabilmente richiede, come conditio sine qua, non elevate capacità di pensiero astratto che per lo meno sono alla base del linguaggio e che dal linguaggio sono potentemente favorite e sviluppate).
 
Non sono nemmeno d' accordo che la metafora (una metafora, fra le tante altre possibili) sia da identificarsi con la comprensione di un problema; per me una metafora al massimo può costituire un aiuto nella comprensione o un tentativo di "adombrare" (e non realmente spiegare) ciò che si intende comunicare a chi non sia dotato dei mezzi teorici necessari per comprenderlo realmente (una autentica, reale spiegazione – comprensione di un problema per me richiede una serie di argomentazioni più o meno astratte costituenti un discorso logico inferenziale).
 
ll "problema difficile di Chalmers è tutt' altra cosa, cioè quello del nesso o relazione fra l' esperienza cosciente da una parte e il cervello dall' altra.
Chalmemers non lo risolve (almeno non soddisfacentemente per me; proponendo comunque un' ipotesi panpsichistica a mio avviso poco convincente e non sufficientemente esplicativa), ma ha l' immenso merito di riconoscerlo di rendersene conto, al contrario di pressocché tutti i neurofisiologi e gran parte dei filosofi della mente che credono che l' individuare e il definire sempre meglio, con crescente precisione e completezza, i correlati neurofisiologici della coscienza (con i quali indebitamente, erroneamente tendono ad identificarla, mentre di si tratta di ben diverse "cose"!) risolva tutti i problemi (molti del "problema difficile" nemmeno si rendono conto).

maral

Tutti tentativi di spiegazione poggiano inevitabilmente su delle metafore e certamente in primis, il fenomeno "coscienza", ma qui certamente il tentativo si rivela di impossibile soluzione, poiché si tratta di spiegare l'origine della coscienza a partire dalla coscienza stessa e un fenomeno non può avere la visione della propria origine, se non poendo l'oggetto di cui pretende di vedere l'origine come altro da ciò che è.
Certo "linguaggio" e "coscienza" hanno in comune lo spezzare l'unità del mondo, il primo lo divide tra segno e cosa, il secondo tra soggetto (individuale o collettivo, che gestisce il significato) e l'oggetto o l'accadimento, il segno in sé. Questo può far ritenere che solo con il prodursi del linguaggio si possa produrre coscienza e autocoscienza, quando anche il soggetto si duplica, così da apparire a sua volta in oggetto, come segno reale di se stesso che interpreta.
Poter dire "questo oggetto sono io" non credo possa essere spiegato semplicemente con il tramonto di un'ipotetica mente bicamerale, anche perché a ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce. Paradossalmente si potrebbe sostenere che la mente bicamerale, per quanto meno funzionale, veda le cose più realisticamente di quella non più bicamerale.

sgiombo

Citazione di: maral il 07 Gennaio 2017, 13:11:00 PM
Tutti tentativi di spiegazione poggiano inevitabilmente su delle metafore e certamente in primis, il fenomeno "coscienza", ma qui certamente il tentativo si rivela di impossibile soluzione, poiché si tratta di spiegare l'origine della coscienza a partire dalla coscienza stessa e un fenomeno non può avere la visione della propria origine, se non poendo l'oggetto di cui pretende di vedere l'origine come altro da ciò che è.
Certo "linguaggio" e "coscienza" hanno in comune lo spezzare l'unità del mondo, il primo lo divide tra segno e cosa, il secondo tra soggetto (individuale o collettivo, che gestisce il significato) e l'oggetto o l'accadimento, il segno in sé. Questo può far ritenere che solo con il prodursi del linguaggio si possa produrre coscienza e autocoscienza, quando anche il soggetto si duplica, così da apparire a sua volta in oggetto, come segno reale di se stesso che interpreta.
Poter dire "questo oggetto sono io" non credo possa essere spiegato semplicemente con il tramonto di un'ipotetica mente bicamerale, anche perché a ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce. Paradossalmente si potrebbe sostenere che la mente bicamerale, per quanto meno funzionale, veda le cose più realisticamente di quella non più bicamerale.

CitazioneA me sembra che le spiegazioni non poggino necessariamente su delle metafore, anche se queste possono aiutare (in un certo senso possono spesso -non sempre necessariamente- svolgere un ruolo euristico nelle spiegazioni, cioè aiutare a raggiungere la comprensione del problema, che però da metafore non é costituita bensì da ragionamenti logici e constatazioni empiriche).
Per esempio per spiegare a un bambino che la terra gira intorno al sole (relativamente alle "stelle fisse") e su se stessa e che se si può cadere nell' errore di pensare il contrario è per l' intrinseca, "connaturata" relatività dei movimenti ci si può aiutare  con l' esempio dell' apparente movimento del proprio treno rispetto alla stazione mentre é quello del binario a fianco a partire (se il bimbo ha avuto questa esperienza), ma non é certo questa la spiegazione (non é il fatto che a partire rispetto alla stazione era l' altro treno che spiega che relativamente alle "stelle fisse" -fin da quando non esisteva alcun treno e per molto tempo anche quando non esisteranno più treni- é la terra che gira su se stessa e non il sole intorno ad essa): la spiegazione dell' una dell' altra apparenza e possibile errore é invece la relatività del moto (la metafora, o in questo caso l' esempio, non spiega ma aiuta a capire).

Secondo me bisogna distinguere fra "spezzare realmente" o "separare fisicamente" da una parte e "distinguere mentalmente" o "discernere teoricamente" dall' altra.
Certe cose, come un soggetto autocosciente (soggetto di coscienza ed anche oggetto di coscienza) non si possono fisicamente separare, ma si possono benissimo teoricamente distinguere come funzioni, aspetti, caratteristiche di un' unica, medesima entità reale (o insieme-successione di eventi reali): connotazioni dello stesso denotato reale, come (esempio-metafora, non propriamente spiegazione!) il fatto di essere pensabile in quanto (attraverso il senso o connotazione del concetto di) "stella del mattino" e/o in quanto "stella della sera" dell' unica entità reale che entrambi i concetti significano o denotano: il pianeta Venere.
Dissento quindi dall' affermazione che 
a ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce.
Secondo me a rigor di logica può benissimo esserlo in quanto unica, fisicamente inseparabile entità reale considerata teoricamente, pensata in due diversi modi, ponendo l' attenzione separatamente su ciascuno di due suoi diversi aspetti o caratteristiche che nella realtà sono inseparabili ma nel pensiero discernibili.

maral

#50
Citazione di: sgiombo il 08 Gennaio 2017, 10:26:58 AM
A me sembra che le spiegazioni non poggino necessariamente su delle metafore, anche se queste possono aiutare (in un certo senso possono spesso -non sempre necessariamente- svolgere un ruolo euristico nelle spiegazioni, cioè aiutare a raggiungere la comprensione del problema, che però da metafore non é costituita bensì da ragionamenti logici e constatazioni empiriche).
Per esempio per spiegare a un bambino che la terra gira intorno al sole (relativamente alle "stelle fisse") e su se stessa e che se si può cadere nell' errore di pensare il contrario è per l' intrinseca, "connaturata" relatività dei movimenti ci si può aiutare  con l' esempio dell' apparente movimento del proprio treno rispetto alla stazione mentre é quello del binario a fianco a partire (se il bimbo ha avuto questa esperienza), ma non é certo questa la spiegazione (non é il fatto che a partire rispetto alla stazione era l' altro treno che spiega che relativamente alle "stelle fisse" -fin da quando non esisteva alcun treno e per molto tempo anche quando non esisteranno più treni- é la terra che gira su se stessa e non il sole intorno ad essa): la spiegazione dell' una dell' altra apparenza e possibile errore é invece la relatività del moto (la metafora, o in questo caso l' esempio, non spiega ma aiuta a capire)
.
Ma la relatività del moto che regge la metafora dell'esempio, può essere mai pensata e compresa se non attraverso metafore? non è che il concetto astratto della relatività del moto non sia in fondo altro che ciò che lega e si pensa sottostare a tanti diversi accadere che appaiono metaforicamente legati l'uno all'altro e che alla fine, proprio per considerarli tutti insieme li leghiamo in quel solo principio di significare metaforico che è la relatività del moto?  

CitazioneSecondo me bisogna distinguere fra "spezzare realmente" o "separare fisicamente" da una parte e "distinguere mentalmente" o "discernere teoricamente" dall' altra.
Certe cose, come un soggetto autocosciente (soggetto di coscienza ed anche oggetto di coscienza) non si possono fisicamente separare, ma si possono benissimo teoricamente distinguere come funzioni, aspetti, caratteristiche di un' unica, medesima entità reale (o insieme-successione di eventi reali): connotazioni dello stesso denotato reale, come (esempio-metafora, non propriamente spiegazione!) il fatto di essere pensabile in quanto (attraverso il senso o connotazione del concetto di) "stella del mattino" e/o in quanto "stella della sera" dell' unica entità reale che entrambi i concetti significano o denotano: il pianeta Venere.
Dissento quindi dall' affermazione che
Citazionea ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce.
Secondo me a rigor di logica può benissimo esserlo in quanto unica, fisicamente inseparabile entità reale considerata teoricamente, pensata in due diversi modi, ponendo l' attenzione separatamente su ciascuno di due suoi diversi aspetti o caratteristiche che nella realtà sono inseparabili ma nel pensiero discernibili.
Il problema è che il soggetto che conosce non può conoscere, proprio per quanto si è detto, l' "intero" di se stesso, per questo il se stesso che vede in oggetto, nella propria prospettiva, non è lui che conosce determinando la prospettiva in cui si vede. Al massimo se lo immagina, lo vuole così per recuperare la sua unità che sente necessaria. Ciò che non può vedere è proprio il se stesso che sta vedendo, ossia il punto di partenza che lo determina. Può vederlo come riflesso di ciò che gli altri vedono e gli raccontano di lui, ma ciò che gli altri vedono è pur sempre lui che lo vede nella sua parzialità visiva, dunque l'immagine che ho di me, non sono io, proprio perché per vederla io non sono quell'immagine, quell'oggetto in cui mi identifico, anche se mi metto davanti a uno specchio che sembra dirmi questo sei proprio tu.

filofisico

Citazione di: paul11 il 06 Gennaio 2017, 21:59:24 PM
Ho molte perplessità sulla teoria dell'evoluzione, perchè se studiamo un "meccanismo" non basta scomporne ne parti, gli insiemi funzionali, bisogna necessariamente conoscerne il progetto. Aristotele aveva intuito e capito qualcosa, coniando il termine entelachia, un finalismo evolutivo,  ma ancora manca la fase di progettazione;:perchè si costruisce un meccanismo funzionante in una certa maniera e finalizzato ad uno scopo.
Ma rischio di andare o.t.

La parola inplica e sforza la memoria se non esiste la scrittura.
Dicono che oggi abbiamo superato anche la scrittura, essendo nel tempo delle immagini-
La scrittura deve essere mediata dal segno-significante e persino dall'interpretante non essendoci il passaggio diretto della parola-
La tradizione ebraica sacralizza il testo scritto, per cui tutto deve essere riscritto perfettamente uguale.
La tradizione induista passa oralmente e mnemonicamente da millenni interi testi sacri(così sono stati "scoperti" brani vedici anche del Mahabharata

Trovo, e quì lo dico brevemente, che la tradizione talmudica ebraica abbia dato alcune risposte contrapposte al modo comune di pensare, che non ci sia stato nemmeno a livello genetico una progressione, ma regressione dell'uomo e si riferisce all'epoca prediluviana e prima della torre di Babele che fanno da spartiacque al decadimento dell'umanità. La stessa cosa dice il kali-yuga vedico,segnato dal progresso materiale e decadenza spirituale


Non rischi di andare off topic, con Jaynes e' quasi impossibile vista la vastita' di argomentazioni e l'incrocio spericolato
tra molteplici discipline che rende, a mio giudizio, difficile il controllo del tessuto argomentativo del libro.
Nel capitolo "Auspici della scienza", si esprime in questi termini che io traslo secondo tradizione talmudica:
-In Gran Bretagna,a partire dal seicento, lo studio della cosidetta storia naturale era comunemente la gioia consolatrice
di individuare in natura le perfezioni di un creatore benevolo.......ma l'annuncio congiunto per opera di due uomini
formatisi in quello stesso ambiente,Darwin e Wallace,entrambi naturalisti dilettanti di gran livello, che era stata l'evoluzione
e non l'intelligenza divina a creare l'intera natura,fu come un cataclisma.......Il CASO,freddo e non calcolatore,dando ad
alcuni la capacita' di sopravvivere meglio in questa lotta per la vita......ha foggiato questa specie umana dalla materia.
quando si combino' con il materialismo tedesco(huxley), la teoria dell'evoluzione per selezione naturale fu il cupo rintocco
funebre per quella tradizione che aveva nobilitato l'uomo facendone la deliberata creazione delle grandezze possenti, che
risaliva direttamente sino alle remote profondita'inconsce dell'epoca bicamerale.
Questa teoria diceva in poche parole che non c'e' alcuna autorizzazione esterna,guardate bene,non c'e' nulla.Quel che dobbiamo
fare deve venire da noi stessi.......dobbiamo divenire la nostra stessa autorizzazione -pag 520

Fin qui niente di nuovo, su Darwin il dibattito e' sempre infuocato, invece qualche pagina piu' indietro c'e' forse un contributo
piu' interessante:

-Noi talvolta pensiamo,e ci piace pensare, che le due imprese piu' grandi che hanno influito sull'umanita', la religione e la scienza,
sono sempre state avversarie storiche e ci attirano in direzioni opposte.Ma questo e' clamorosamente erroneo.Non la religione
e la scienza, ma la chiesa e la scienza furono ostili l'una all'altra.E fu rivalita' non conflitto.Tanto la chiesa quanto la scienza
furono religiose;erano due giganti che si combattevano muovendosi sullo stesso terreno..........
Per comprendere correttamente la rivoluzione scientifica dovremmo sempre ricordare che il suo impulso piu' possente fu
la ricerca instancabile della divinita' nascosta.In questi termini essa e' una discendente diretta del crollo della mente bicamerale-pag 516

E poi prosegue citando Newton,Locke e john Ray.Anche oggi e' cosi', Einstein non ha esclamato contro la fisica quantistica
la famosa invettiva  "Dio non gioca a dadi con l'universo!" oppure Godel non ha tentato di dimostrare matematicamente
l'esistenza di Dio? Sembra che la teoria dell'evoluzione non RIESCA ad essere compresa fino alle sue ultime conseguenze,
E' intellettualizzata e catalogata in un angolo della coscienza, ma sembra che la nostra mente non la possa accettare.
E quindi si va dal mondo ologramma di Bohm, ai multimondi di Green, tutto va bene purche' ci sia una spiegazione Esterna.
Quindi quello che dici e' quello che pensano quasi tutti.
Certo mi si puo' dire che anche il darwinismo e' una religione,una rappresentazione, ma per me si tratta di scegliere il male
minore, dato che e' suffragato da migliaia e migliaia di verifiche e di osservazioni, che tutte le altre rappresentazioni si sognano.
In merito all'altra questione da te tratteggiata con la presunta decadenza del genere umano, come testimoniato da antichi libri
di saggezza,anche qui l'autore ha parole derimenti la questione:
-......() E' questa,io penso,ancora un'altra caratteristica della forma religiosa ch tali movimenti hanno raccolto, nel vuoto causato
dal venir meno della certezza ecclesiastica: quella di una presunta CADUTA dell'uomo.
Questa idea strana,e secondo me falsa, di un innocenza perduta assume il suo contrassegno proprio nel crollo della mente bicamerale
come prima grande narratizzazione cosciente dell'umanita'. Ed ecco il canto dei Salmi assiri, il lamento degli inni ebraici, il mito
dell'Eden..........Io interpreto questa ipotetica caduta dell'uomo, come il tentativo di uomini da poco coscienti di narratizzare
cio' che era a loro accaduto, la perdita delle voci e delle  assicurazioni divine in un caos di orientamenti umani ed egoismi
iniviuali.questo tema di una certezza e splendori perduti noi lo vediamo non solo affermato da tutte le religioni storiche, ma anche nelle
tradizioni non religiose.La troviamo a partire dalla teoria dell'anamnesi nei dialoghi platonici,secondo cui ogni cosa nuova e' in realta'
solo il ricordo di un mondo migliore perduto, sino ai lamenti di Rousseau per la corruzione dell'uomo naturale da parte degli artifici
della civilta'.E lo si riconosce anche negli scientismi moderni, nell'assunto  di Marx di una perduta "infanzia sociale del'umanita'"....
o nell'accento posto da Freud sul profondo radicamento delle nevrosi nella civilta'e di terribili azioni e desideri nel nostro passato
razziale ed individuale, e nell'affermazione implicita di una piu' antica innocenza,del tutto vaga.........-pag 527-28


Orbene,secondo Jaynes, sembra che dal trapasso della mente bicamerale alla coscienza,datata ormai 3000 e piu' anni fa,
l'uomo non ha ancora superato lo shock della "scoperta" della soggettivita',imprigionato come si sente in un corpo
destinato all'annichilimento, volgendosi con Nostalgia ai tempi in cui le sue azioni erano dettate dall'oggettivita'
garantita dalle voci.



filofisico

Citazione di: maral il 07 Gennaio 2017, 13:11:00 PM
Tutti tentativi di spiegazione poggiano inevitabilmente su delle metafore e certamente in primis, il fenomeno "coscienza", ma qui certamente il tentativo si rivela di impossibile soluzione, poiché si tratta di spiegare l'origine della coscienza a partire dalla coscienza stessa e un fenomeno non può avere la visione della propria origine, se non poendo l'oggetto di cui pretende di vedere l'origine come altro da ciò che è.
Certo "linguaggio" e "coscienza" hanno in comune lo spezzare l'unità del mondo, il primo lo divide tra segno e cosa, il secondo tra soggetto (individuale o collettivo, che gestisce il significato) e l'oggetto o l'accadimento, il segno in sé. Questo può far ritenere che solo con il prodursi del linguaggio si possa produrre coscienza e autocoscienza, quando anche il soggetto si duplica, così da apparire a sua volta in oggetto, come segno reale di se stesso che interpreta.
Poter dire "questo oggetto sono io" non credo possa essere spiegato semplicemente con il tramonto di un'ipotetica mente bicamerale, anche perché a ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce. Paradossalmente si potrebbe sostenere che la mente bicamerale, per quanto meno funzionale, veda le cose più realisticamente di quella non più bicamerale.


Anche io la penso cosi', ho appuntato nel libro una frase che cosi' recita: piu' sei cosciente e piu' sei lontano dalla realta'

sgiombo

Citazione di: maral il 08 Gennaio 2017, 13:18:49 PM
Citazione di: sgiombo il 08 Gennaio 2017, 10:26:58 AM
A me sembra che le spiegazioni non poggino necessariamente su delle metafore, anche se queste possono aiutare (in un certo senso possono spesso -non sempre necessariamente- svolgere un ruolo euristico nelle spiegazioni, cioè aiutare a raggiungere la comprensione del problema, che però da metafore non é costituita bensì da ragionamenti logici e constatazioni empiriche).
Per esempio per spiegare a un bambino che la terra gira intorno al sole (relativamente alle "stelle fisse") e su se stessa e che se si può cadere nell' errore di pensare il contrario è per l' intrinseca, "connaturata" relatività dei movimenti ci si può aiutare  con l' esempio dell' apparente movimento del proprio treno rispetto alla stazione mentre é quello del binario a fianco a partire (se il bimbo ha avuto questa esperienza), ma non é certo questa la spiegazione (non é il fatto che a partire rispetto alla stazione era l' altro treno che spiega che relativamente alle "stelle fisse" -fin da quando non esisteva alcun treno e per molto tempo anche quando non esisteranno più treni- é la terra che gira su se stessa e non il sole intorno ad essa): la spiegazione dell' una dell' altra apparenza e possibile errore é invece la relatività del moto (la metafora, o in questo caso l' esempio, non spiega ma aiuta a capire)
.
Ma la relatività del moto che regge la metafora dell'esempio, può essere mai pensata e compresa se non attraverso metafore? non è che il concetto astratto della relatività del moto non sia in fondo altro che ciò che lega e si pensa sottostare a tanti diversi accadere che appaiono metaforicamente legati l'uno all'altro e che alla fine, proprio per considerarli tutti insieme li leghiamo in quel solo principio di significare metaforico che è la relatività del moto?  


CitazioneLa relatività del moto è un concetto astratto.
E come tutti i concetti astratti non può essere pensata se non per l' appunto astraendo caratteristiche generali comuni a più casi particolari concreti (nella fattispecie ai moti relativi fra terra, sole, "stelle fisse", ai moti relativi fra treno sul primo binario, treno sul secondo binario, stazione e binari e a un' infinità di altri casi concreti).
Invece le metafore sono sostituzioni di termini proprio con termini figurati, in seguito a una trasposizione simbolica di immagini.
La sussunzione mediante astrazione sotto una legge generale di un caso particolare ne costituisce la spiegazione o comprensione, mentre una (o più) metafora, sostituendo i casi concreti da spiegare con casi figurati attraverso una trasposizione simbolica di immagini costituisce un possibile ausilio alla spiegazione - comprensione.

CitazioneSecondo me bisogna distinguere fra "spezzare realmente" o "separare fisicamente" da una parte e "distinguere mentalmente" o "discernere teoricamente" dall' altra.
Certe cose, come un soggetto autocosciente (soggetto di coscienza ed anche oggetto di coscienza) non si possono fisicamente separare, ma si possono benissimo teoricamente distinguere come funzioni, aspetti, caratteristiche di un' unica, medesima entità reale (o insieme-successione di eventi reali): connotazioni dello stesso denotato reale, come (esempio-metafora, non propriamente spiegazione!) il fatto di essere pensabile in quanto (attraverso il senso o connotazione del concetto di) "stella del mattino" e/o in quanto "stella della sera" dell' unica entità reale che entrambi i concetti significano o denotano: il pianeta Venere.
Dissento quindi dall' affermazione che
Citazionea ben vedere il soggetto, oggetto della mia conoscenza, non può, a rigor di logica, essere effettivamente il soggetto che lo conosce.
Secondo me a rigor di logica può benissimo esserlo in quanto unica, fisicamente inseparabile entità reale considerata teoricamente, pensata in due diversi modi, ponendo l' attenzione separatamente su ciascuno di due suoi diversi aspetti o caratteristiche che nella realtà sono inseparabili ma nel pensiero discernibili.
Il problema è che il soggetto che conosce non può conoscere, proprio per quanto si è detto, l' "intero" di se stesso, per questo il se stesso che vede in oggetto, nella propria prospettiva, non è lui che conosce determinando la prospettiva in cui si vede. Al massimo se lo immagina, lo vuole così per recuperare la sua unità che sente necessaria. Ciò che non può vedere è proprio il se stesso che sta vedendo, ossia il punto di partenza che lo determina. Può vederlo come riflesso di ciò che gli altri vedono e gli raccontano di lui, ma ciò che gli altri vedono è pur sempre lui che lo vede nella sua parzialità visiva, dunque l'immagine che ho di me, non sono io, proprio perché per vederla io non sono quell'immagine, quell'oggetto in cui mi identifico, anche se mi metto davanti a uno specchio che sembra dirmi questo sei proprio tu.
CitazioneVeramente parlavo di autocoscienza, cioè di coscienza del soggetto (in quanto oggetto di coscienza) da parte del soggetto stesso di coscienza (coscienza il cui oggetto si identifica con il soggetto stesso), e non di conoscenza del soggetto (in quanto oggetto di conoscenza) da parte del soggetto di conoscenza (conoscienza il cui oggetto si identifica con il soggetto stesso); ma mi sembra che ci sia un' evidente analogia fra i due casi.
Sull' autoconoscenza (conoscenza di se stesso -come oggetto di essa-  da parte del soggetto stesso della conoscenza) concordo con quanto scritto, se non erro, da Davintro circa il fatto che la conoscenza non deve necessariamente essere conoscenza integrale della totalità del reale, né conoscenza "in toto" di qualcosa di parziale (in quanto distinto dal resto della realtà in toto, e non della realtà in toto nel suo complesso che sarebbe possibile unicamente a Dio, in quanto "onnisciente" per definizione).
Qualcosa si può conoscere anche solo in parte, evitando (fra l' altro) di cadere nel regresso all' infinito per il quale la conoscenza di tale "qualcosa" non implica (e per essere "totale" dovrebbe implicare anche) tale "qualcosa in quanto conosciuto", ovvero la conoscenza di tale "qualcosa", nonché la conoscenza della conoscenza di tale "qualcosa", ecc.
 
Per quel che riguarda l' autocoscienza in quanto sensazione fenomenica, la distinguerei dalla visione (inevitabilmente indiretta, su questo concordo) del mio corpo da parte mia, e la intenderei come il sentire me stesso interiormente come oggetto di questa autosensazione o autosensazioni interiori (dei miei pensieri, sentimenti, ecc.: la cartesiana res cogitans) che ne è anche il soggetto.
Tutte le sensazioni fenomeniche costituenti l' esperienza cosciente (o coscienza) sono tali (sono fenomeni: "esse est percipi") sia nel caso di quelle materiali che nel caso di quelle mentali; invece i loro "oggetti" e i loro "soggetti" da esse (sensazioni fenomeniche) distinti (e persistenti, o per lo meno che possono persistere anche allorché esse non accadono, indipendentemente da esse: se ci sono, ci sono anche allorché non sono sentiti fenomenicamente, indipendentemente dall' eventuale essere inoltre soggetti e/o oggetti di sensazioni fenomeniche) non possono che essere cose in sé o noumeno.
E allora (se c'è) l' oggetto di sensazione può benissimo (essere ipotizzato. Non dimostrato; né tantomeno mostrato, per definizione) essere la stessa cosa de- (identificarsi con) il soggetto (questo è il caso delle sensazioni mentali o interiori: quando penso sento* me che pensa, quando provo dolore sento* me sofferente, quando provo piacere sento* me gaudente); oltre che essere diverso da esso (questo è il caso delle sensazioni materiali o esteriori): non vedo in questa ipotesi alcuna contraddizione, ovvero impossibilità in linea di principio, né alcuna impossibilità di fatto.
Secondo la mia personale concezione ontologica "dualistica dei fenomeni, monistica del noumeno" il mio cervello posso vederlo indirettamente (per esempio in uno specchio), perché in questo caso è l' oggetto di sensazione fenomenica cosciente che si identifica con il soggetto (me stesso) ma in quanto percepito "dall' esterno", nella maniera in cui si percepiscono oggetti diversi dal soggetto (dunque "res extensa", i cui elementi o parti per definizione possono darsi sotto diverse prospettive nello spazio percepito), mentre posso sentire "immediatamente" me stesso "dall' interno" in quanto sensazioni fenomeniche costituenti la mia mente, i miei sentimenti, pensieri, ecc. (la "res cogitans").
La res cogitans è autosensazione fenomenica immediata, diretta; la res extensa è eterosensazione fenomenica o, nel caso particolare del proprio cervello, autosensazione fenomenica indiretta, "dall' esterno" (e dunque inevitabilmente indiretta e prospettica per esempio attraverso uno secchio o attraverso l' imaging neurologico funzionale), cioè autosensazione nella maniera in cui si danno le eterosensazioni.

_________________
* Immediatamente, direttamente, "dall' interno". 


maral

Citazione di: sgiombo il 08 Gennaio 2017, 20:51:11 PM
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CitazioneLa relatività del moto è un concetto astratto.
E come tutti i concetti astratti non può essere pensata se non per l' appunto astraendo caratteristiche generali comuni a più casi particolari concreti (nella fattispecie ai moti relativi fra terra, sole, "stelle fisse", ai moti relativi fra treno sul primo binario, treno sul secondo binario, stazione e binari e a un' infinità di altri casi concreti).
Invece le metafore sono sostituzioni di termini proprio con termini figurati, in seguito a una trasposizione simbolica di immagini.
La sussunzione mediante astrazione sotto una legge generale di un caso particolare ne costituisce la spiegazione o comprensione, mentre una (o più) metafora, sostituendo i casi concreti da spiegare con casi figurati attraverso una trasposizione simbolica di immagini costituisce un possibile ausilio alla spiegazione - comprensione.
Appunto perché nel concetto astratto consiste in "una astrazione di caratteristiche generali comuni a più casi particolari concreti", sostengo che esso ha alla base una serie di metafore che evidenziano proprio quegli aspetti comuni che poi il pensiero astratto separa considerandolo in sé. Questo significa che si parte dalle metafore dei significati, non dagli oggetti in sé esperiti, ma dagli oggetti che, esperiti come significati, presentano nel loro modo di significare qualcosa di comune che li rende l'uno metafora dell'altro, ossia il significato dell'uno allude a quello dell'altro. Le metafore sono fondamentali perché stanno alla base di ogni conoscenza possibile che sempre articola tra loro dei significati, non delle cose.

CitazioneVeramente parlavo di autocoscienza, cioè di coscienza del soggetto (in quanto oggetto di coscienza) da parte del soggetto stesso di coscienza (coscienza il cui oggetto si identifica con il soggetto stesso), e non di conoscenza del soggetto (in quanto oggetto di conoscenza) da parte del soggetto di conoscenza (conoscienza il cui oggetto si identifica con il soggetto stesso); ma mi sembra che ci sia un' evidente analogia fra i due casi.
Non so se ho capito bene, ma anch'io parlavo di autocoscienza nel primo senso in cui la presenti. Il fatto che sia del "soggetto sesso" è una "scoperta a posteriori del soggetto stesso che si vede in oggetto e si identifica in quell'immagine che vede e dice quello sono io.
CitazioneSull' autoconoscenza (conoscenza di se stesso -come oggetto di essa-  da parte del soggetto stesso della conoscenza) concordo con quanto scritto, se non erro, da Davintro circa il fatto che la conoscenza non deve necessariamente essere conoscenza integrale della totalità del reale, né conoscenza "in toto" di qualcosa di parziale (in quanto distinto dal resto della realtà in toto, e non della realtà in toto nel suo complesso che sarebbe possibile unicamente a Dio, in quanto "onnisciente" per definizione).
Non deve esserlo perché non può esserlo, ma non essendolo (non essendo noi onniscienti e non potendo collocarci fuori da noi stessi) la conoscenza umana, sempre parziale, è infinitamente problematica (e proprio per questo non potrà mai essere definitiva in merito a nulla). Il problema è che se è parziale essa non conosce cosa sta oltre il parziale che conosce e quindi non può nemmeno sapere quanto ciò che sta fuori da quello che conosce determina ciò che conosce (e neppure se lo determina o no). La conoscenza parziale è in quanto tale sempre errata, l'unico modo per correggerla è delimitarla entro quello che si presume sia il suo ambito, ossia contestualizzarla in un contesto che si definisce per via provvisoria, poiché ovviamente anche questo contesto, per quanto lo si voglia formalmente chiudere, è sempre solo parzialmente chiuso. La conoscenza umana è un'opera infinita, dobbiamo rassegnarci a questo.
CitazionePer quel che riguarda l' autocoscienza in quanto sensazione fenomenica, la distinguerei dalla visione (inevitabilmente indiretta, su questo concordo) del mio corpo da parte mia, e la intenderei come il sentire me stesso interiormente come oggetto di questa autosensazione o autosensazioni interiori (dei miei pensieri, sentimenti, ecc.: la cartesiana res cogitans) che ne è anche il soggetto.
Tutte le sensazioni fenomeniche costituenti l' esperienza cosciente (o coscienza) sono tali (sono fenomeni: "esse est percipi") sia nel caso di quelle materiali che nel caso di quelle mentali; invece i loro "oggetti" e i loro "soggetti" da esse (sensazioni fenomeniche) distinti (e persistenti, o per lo meno che possono persistere anche allorché esse non accadono, indipendentemente da esse: se ci sono, ci sono anche allorché non sono sentiti fenomenicamente, indipendentemente dall' eventuale essere inoltre soggetti e/o oggetti di sensazioni fenomeniche) non possono che essere cose in sé o noumeno.
E allora (se c'è) l' oggetto di sensazione può benissimo (essere ipotizzato. Non dimostrato; né tantomeno mostrato, per definizione) essere la stessa cosa de- (identificarsi con) il soggetto (questo è il caso delle sensazioni mentali o interiori: quando penso sento* me che pensa, quando provo dolore sento* me sofferente, quando provo piacere sento* me gaudente); oltre che essere diverso da esso (questo è il caso delle sensazioni materiali o esteriori): non vedo in questa ipotesi alcuna contraddizione, ovvero impossibilità in linea di principio, né alcuna impossibilità di fatto.
Secondo la mia personale concezione ontologica "dualistica dei fenomeni, monistica del noumeno" il mio cervello posso vederlo indirettamente (per esempio in uno specchio), perché in questo caso è l' oggetto di sensazione fenomenica cosciente che si identifica con il soggetto (me stesso) ma in quanto percepito "dall' esterno", nella maniera in cui si percepiscono oggetti diversi dal soggetto (dunque "res extensa", i cui elementi o parti per definizione possono darsi sotto diverse prospettive nello spazio percepito), mentre posso sentire "immediatamente" me stesso "dall' interno" in quanto sensazioni fenomeniche costituenti la mia mente, i miei sentimenti, pensieri, ecc. (la "res cogitans").
La res cogitans è autosensazione fenomenica immediata, diretta; la res extensa è eterosensazione fenomenica o, nel caso particolare del proprio cervello, autosensazione fenomenica indiretta, "dall' esterno" (e dunque inevitabilmente indiretta e prospettica per esempio attraverso uno secchio o attraverso l' imaging neurologico funzionale), cioè autosensazione nella maniera in cui si danno le eterosensazioni.
E' che in realtà non vi è alcun interno o esterno, quindi non vi è una conoscenza immediata dell'interno o dell'esterno, perché questo presupporrebbe un io originario che separa interno ed esterno e che in realtà non è per nulla originario, ma è solo una costruzione fenomenologica più o meno unitaria, a posteriori.
Tu dici, quello che sento internamente lo sento io e nessun altro, mentre quello che vedo fuori lo vediamo io e gli altri, quindi questo dimostra che quello che sento internamente sono proprio e solo io e sentendolo posso conoscermi e raffigurarmi per quello che sono. Ma questo vale solo quando quell'io c'è e si ritiene autore dei suoi pensieri, sentimenti, emozioni (che comunque non potrà mai comprendere per intero) come se accadessero dentro un involucro che lo nasconde al mondo di fuori. In realtà non c'è alcun involucro, quei pensieri, sentimenti, emozioni sono modi di accadere del mondo che è tutto quello che c'è e di cui ogni "io" è solo un nodo di una rete infinita di relazioni sempre accadenti, un nodo che continuamente si disfa e si rifà in modi diversi e che solo in particolari condizioni può mantenere e riconoscere una propria identità a cui riferire pensieri, sentimenti, emozioni come "miei", perché in realtà essi non sono affatto miei, sono della totalità relazionale per come in questo momento si realizza e per questo momento sembra poter durare. 

sgiombo

Maral:

CitazioneMaral:
Appunto perché nel concetto astratto consiste in "una astrazione di caratteristiche generali comuni a più casi particolari concreti", sostengo che esso ha alla base una serie di metafore che evidenziano proprio quegli aspetti comuni che poi il pensiero astratto separa considerandolo in sé. Questo significa che si parte dalle metafore dei significati, non dagli oggetti in sé esperiti, ma dagli oggetti che, esperiti come significati, presentano nel loro modo di significare qualcosa di comune che li rende l'uno metafora dell'altro, ossia il significato dell'uno allude a quello dell'altro. Le metafore sono fondamentali perché stanno alla base di ogni conoscenza possibile che sempre articola tra loro dei significati, non delle cose. 

Sgiombo:

Astrarre caratteristiche generali da particolari casi concreti non significa proporre metafore: una metafora può essere la sostituzione di un singolo caso concreto a un' altro singolo caso concreto che presenta analogie (e magari dai due singoli casi  concreti è astraibile una caratteristica generale), mentre l' astrazione passa dai particolari concreti al generale ad essi comune.
 
Qui al solito mi è impossibile comprendere (...non c' è metafora che tenga!) la tua solita pretesa, che trovo del tutto infondata e assurda, di attribuire "significati" alle "cose" o agli "oggetti" in generale, mentre le "cose", gli "oggetti" in generale unicamente esistono (se esistono; o accadono se si tratta di eventi), e solo ed unicamente quelle particolarissime "cose" od "oggetti" che sono i "simboli" (verbali o di altro genere) significano qualcosa, ovvero sono dotati di un significato (o più di uno): il Monte Cervino (quello reale, la montagna; non una sua riproduzione, la quale a seconda dei casi può significare ad esempio, una famosa marca svizzera di pastelli colorati, o qualche marca di cioccolato svizzero, o le Alpi svizzere in generale) è e basta; mentre un cerchio blu contornato di rosso e con una barra obliqua rossa posto sul ciglio di una strada o presso un passo carraio, oltre ad essere (esattamente come il Cervino) inoltre anche ha un significato: significa che lì è vietato far sostare veicoli.
 
 
 

Sgiombo:
Sull' autoconoscenza (conoscenza di se stesso -come oggetto di essa-  da parte del soggetto stesso della conoscenza) concordo con quanto scritto, se non erro, da Davintro circa il fatto che la conoscenza non deve necessariamente essere conoscenza integrale della totalità del reale, né conoscenza "in toto" di qualcosa di parziale (in quanto distinto dal resto della realtà in toto, e non della realtà in toto nel suo complesso che sarebbe possibile unicamente a Dio, in quanto "onnisciente" per definizione).

Maral:
Non deve esserlo perché non può esserlo, ma non essendolo (non essendo noi onniscienti e non potendo collocarci fuori da noi stessi) la conoscenza umana, sempre parziale, è infinitamente problematica (e proprio per questo non potrà mai essere definitiva in merito a nulla). Il problema è che se è parziale essa non conosce cosa sta oltre il parziale che conosce e quindi non può nemmeno sapere quanto ciò che sta fuori da quello che conosce determina ciò che conosce (e neppure se lo determina o no). La conoscenza parziale è in quanto tale sempre errata, l'unico modo per correggerla è delimitarla entro quello che si presume sia il suo ambito, ossia contestualizzarla in un contesto che si definisce per via provvisoria, poiché ovviamente anche questo contesto, per quanto lo si voglia formalmente chiudere, è sempre solo parzialmente chiuso. La conoscenza umana è un'opera infinita, dobbiamo rassegnarci a questo.

Sgiombo:
Tutto ciò che è umano è problematico, ma niente di ciò che è umano è infinito, nemmeno la problematicità del suo sapere.
La conoscenza comunque non può mai essere certa, il dubbio scettico non è mai superabile razionalmente.
 
Se una conoscenza è parziale per definizione non è conoscenza di tutto (il reale; né di tutto lo scibile). Ma non per questo non è conoscenza.
 
Che la conoscenza umana sia sempre inevitabilmente limitata e in linea di principio ulteriormente estendibile non mi sembra una cosa a cui "rassegnarsi", ma casomai di cui essere contenti (per mia fortuna sono ottimista).
 
Poi non vedo alcunché di problematico o imbarazzante nell' ovvio possibile (ma non necessario) regresso all' infinito circa la limitatezza delle conoscenze di fatto, la quale è possibile oggetto di ulteriore conoscenza, la quale è possibile oggetto di ulteriore conoscenza, ecc.
 
 


Sgiombo:
Per quel che riguarda l' autocoscienza in quanto sensazione fenomenica, la distinguerei dalla visione (inevitabilmente indiretta, su questo concordo) del mio corpo da parte mia, e la intenderei come il sentire me stesso interiormente come oggetto di questa autosensazione o autosensazioni interiori (dei miei pensieri, sentimenti, ecc.: la cartesiana res cogitans) che ne è anche il soggetto.Tutte le sensazioni fenomeniche costituenti l' esperienza cosciente (o coscienza) sono tali (sono fenomeni: "esse est percipi") sia nel caso di quelle materiali che nel caso di quelle mentali; invece i loro "oggetti" e i loro "soggetti" da esse (sensazioni fenomeniche) distinti (e persistenti, o per lo meno che possono persistere anche allorché esse non accadono, indipendentemente da esse: se ci sono, ci sono anche allorché non sono sentiti fenomenicamente, indipendentemente dall' eventuale essere inoltre soggetti e/o oggetti di sensazioni fenomeniche) non possono che essere cose in sé o noumeno.E allora (se c'è) l' oggetto di sensazione può benissimo (essere ipotizzato. Non dimostrato; né tantomeno mostrato, per definizione) essere la stessa cosa de- (identificarsi con) il soggetto (questo è il caso delle sensazioni mentali o interiori: quando penso sento* me che pensa, quando provo dolore sento* me sofferente, quando provo piacere sento* me gaudente); oltre che essere diverso da esso (questo è il caso delle sensazioni materiali o esteriori): non vedo in questa ipotesi alcuna contraddizione, ovvero impossibilità in linea di principio, né alcuna impossibilità di fatto.Secondo la mia personale concezione ontologica "dualistica dei fenomeni, monistica del noumeno" il mio cervello posso vederlo indirettamente (per esempio in uno specchio), perché in questo caso è l' oggetto di sensazione fenomenica cosciente che si identifica con il soggetto (me stesso) ma in quanto percepito "dall' esterno", nella maniera in cui si percepiscono oggetti diversi dal soggetto (dunque "res extensa", i cui elementi o parti per definizione possono darsi sotto diverse prospettive nello spazio percepito), mentre posso sentire "immediatamente" me stesso "dall' interno" in quanto sensazioni fenomeniche costituenti la mia mente, i miei sentimenti, pensieri, ecc. (la "res cogitans").La res cogitans è autosensazione fenomenica immediata, diretta; la res extensa è eterosensazione fenomenica o, nel caso particolare del proprio cervello, autosensazione fenomenica indiretta, "dall' esterno" (e dunque inevitabilmente indiretta e prospettica per esempio attraverso uno secchio o attraverso l' imaging neurologico funzionale), cioè autosensazione nella maniera in cui si danno le eterosensazioni.

Maral:
E' che in realtà non vi è alcun interno o esterno, quindi non vi è una conoscenza immediata dell'interno o dell'esterno, perché questo presupporrebbe un io originario che separa interno ed esterno e che in realtà non è per nulla originario, ma è solo una costruzione fenomenologica più o meno unitaria, a posteriori. 
Tu dici, quello che sento internamente lo sento io e nessun altro, mentre quello che vedo fuori lo vediamo io e gli altri, quindi questo dimostra che quello che sento internamente sono proprio e solo io e sentendolo posso conoscermi e raffigurarmi per quello che sono. Ma questo vale solo quando quell'io c'è e si ritiene autore dei suoi pensieri, sentimenti, emozioni (che comunque non potrà mai comprendere per intero) come se accadessero dentro un involucro che lo nasconde al mondo di fuori. In realtà non c'è alcun involucro, quei pensieri, sentimenti, emozioni sono modi di accadere del mondo che è tutto quello che c'è e di cui ogni "io" è solo un nodo di una rete infinita di relazioni sempre accadenti, un nodo che continuamente si disfa e si rifà in modi diversi e che solo in particolari condizioni può mantenere e riconoscere una propria identità a cui riferire pensieri, sentimenti, emozioni come "miei", perché in realtà essi non sono affatto miei, sono della totalità relazionale per come in questo momento si realizza e per questo momento sembra poter durare. 
 

Sgiombo:
Infatti l' esistenza di un soggetto (e di oggetti) delle sensazioni fenomeniche coscienti non è dimostrabile; ciò che è indubitabile (se accade) è solo l' esperienza fenomenica cosciente.
Ma se esistono (cioè per chi arbitrariamente, indimostrabilmente decida di crederlo, rifiutando lo scetticismo radicale e anche il più limitato solipsismo, che altrimenti non avrebbe alcun senso stare qui a discutere sul nulla di conoscibile), allora tutte le persone considerate comunemente sane di mente per lo meno agiscono come se esistessero esse stesse in quanto soggetti di sensazioni fenomeniche coscienti e come se per lo meno in determinati casi (non quelli dei sogni e delle allucinazioni) esistessero anche oggetti di sensazioni fenomeniche coscienti, da loro come soggetti distinti nel caso di sensazioni esterne ovvero esteriori (materiali) oppure costituiti da loro stessi nel caso di sensazioni interne ovvero interiori (mentali).
 
Non comprendo che cosa possa significare l' affermazione che pensieri, sentimenti, emozioni che comunque non potranno mai comprendere per intero; e che sono modi di accadere del mondo che è tutto quello che c'è e di cui ogni "io" è solo un nodo di una rete infinita di relazioni sempre accadenti, un nodo che continuamente si disfa e si rifà in modi diversi e che solo in particolari condizioni può mantenere e riconoscere una propria identità a cui riferire pensieri, sentimenti, emozioni come "miei", perché in realtà essi non sono affatto miei, sono della totalità relazionale per come in questo momento si realizza e per questo momento sembra poter durare. 
Per me, se è vero un minimo di premesse indimostrabili né mostrabili ma credibili del tutto arbitrariamente, letteralmente per fede (e di fatto credute da tutti coloro che vengono comunemente ritenuti sani di mente; se, ecc.: vedi sopra), io esisto come soggetto di sensazioni di oggetti di esse esistenti come cose in sé, che nel caso siano cose in sé da me diverse mi si manifestano fenomenicamente "dall' esterno di me" come sensazioni materiali, nel caso con me (con miei modi di essere e divenire) si identifichino mi si manifestano fenomenicamente "dall' interno di me" come sensazioni mentali.

filofisico

Dato che il dibattito si sta concentrando sul concetto di metafora e linguaggio allego la posizione dell'Autore in maniera
piu' compiuta, entrando nel corpus pricipale della sua ricerca.

Parliamo della matafora.La proprieta' piu' affascinante del linguaggio e' la sua capacita' di fare metafore......la metafora non
e' infatti un mero arzigogolo linguistico marginale,come viene cosi' spesso svilita nei vecchi manuali scolastici di
composizione:essa e' il fondamento costitutivo del linguaggio.Io intendo qui la metafora nel suo senso piu' generale:
l'uso di un termine proprio di una cosa per descriverne un'altra in conseguenza di una qualche somiglianza esistente
tra loro o fra le loro relazioni con altre cose.In una M. sono sempre presenti due cose; la cosa che deve essere descritta
che chiamero' metaferendo e la cosa o relazione usata per delucidarla, che chiamero' metaferente. Una M. e' sempre un
metaferente noto che opera su un metaferendo meno noto.
E' proprio grazie all'uso della M. che il linguaggio cresce.E' questo il modo principale in cui si forma il vocabolario di
una lingua.La grandiosa e vigorosa funzione della M. e' quella di generare nuove componenti della lingua secondo
il bisogno, a mano a mano che la cultura umana si fa piu' complessa. Uno sguardo casuale al'etimologia di parole comuni
in un dizionario dimostrera' questa asserzione.
Il corpo umano e' un metaferente particolarmente fecondo,che crea una quantita' di distinzioni in precedenza inesprimibili.
Testa (esercito,pagina, letto,chiodo,spillo)-occhio(ago, ciclone,forbici) fronte(edificio,battaglia, testo con traduzione) ecc.......
Tutte queste M. concrete accrescono enormemente le ns capacita' di percepire il mondo che ci circonda e di comprenderlo
e creano letteralmente nuovi oggetti. Insomma, il linguaggio e' un organo di percezione e non semplicemente un mezzo
di comunicazione.
Tale e' il linguaggio che si muove sincronicamente(senza riferimento al tempo) nello spazio del mondo per descriverlo e
percepirlo in modo sempre piu' definitivo.
Ma il linguaggio si muove anche in un modo diverso e piu' importante, diacronicamente, ossia nel tempo e dietro le ns
esperienze sulla base di strutture aptiche (innate) nel ns sistema nervoso, per creare concetti astratti i cui referenti
non sono osservabili tranne che in senso metaforico.E anche questi sono generati da M.
Queste M. sono visibili solo con l'occhio della mente.Nelle astrazioni concernenti i rapporti umani, la pelle diventa un
metareferente di particolare importanza. Noi entriamo o restiamo "in contatto" con altri che possono essere di pelle dura,
oppure aver i nervi a fior di pelle.
I concetti della scienza sono tutti di questo genere, concetti astratti generati da metafore concrete................
All'alba dei tempi il linguaggio e i suoi referenti salirono dal concreto all'astratto attraverso i gradini della metafora,
o addirittura crearono l'astratto sulle basi della metafora........
Le parole astratte sono antiche monete le cui immagini concrete sono state logorate dall 'uso nel continuo scambio
del discorso.
Poiche', nella ns breve vita noi abbracciamo cosi' poco della vastita' della storia, abbiamo troppo spesso la tendenza
a ritenere il linguaggio solido come un dizionario anziche' vederlo come il mare inquieto e prorompente di Metafore
che esso e' in realta'. Se consideriamo i mutamenti lessicali che hanno avuto luogo nel corso degli ultimi 2-3 millenni,
e sulla base dei risultati ottenuti, cerchiamo di prevedere quale sara' la situazione fra vari millenni, ci imbatteremmo
in un interessante paradosso.
Se infatti riusciremo mai a pervenire a una lingua che abbia il potere di esprimere qualsiasi cosa, la metafora non sara'
piu' possibile.In tal caso io non potro' dire che il mio amore e' una rosa rossa, poiche' la parola amore si sara'
frantumata in migliaia di termini esprimenti le sue mille e mille sfumature, e l'applicazione ogni volta del termine corretto
lascera' la rosa metaforicamente morta.
Il lessico del linguaggio e' quindi una serie finita di termini che ,grazie alla metafora, puo' estendersi a coprire una serie
infinita di circostanze,creando addirittura circostanze nuove. (La coscienza non potrebbe essere appunto una nuova
creazione?) (estratti da pag 70 a pag 75).

La mente cosciente soggettiva e' un analogo di quello che e' chiamato il mondo reale.Essa e' costruita con un
vocabolario o campo lessicale i cui termini sono tutte metafore o analoghi del comportamento nel mondo
fisico. La sua realta' e' dello stesso ordine della matematica.Essa ci consente di abbreviare dei processi di
comportamento e di pervenire a decisioni piu' soddisfacenti. Come la matematica, la mente cosciente soggettiva
piu' che una cosa o un serbatoio, e' un operatore, ed e' intimamente connessa alla volizione e alla decisione.(pag 78)
,

paul11

#57
Citazione di: filofisico il 08 Gennaio 2017, 14:17:59 PM
Citazione di: paul11 il 06 Gennaio 2017, 21:59:24 PM
Ho molte perplessità sulla teoria dell'evoluzione, perchè se studiamo un "meccanismo" non basta scomporne ne parti, gli insiemi funzionali, bisogna necessariamente conoscerne il progetto. Aristotele aveva intuito e capito qualcosa, coniando il termine entelachia, un finalismo evolutivo,  ma ancora manca la fase di progettazione;:perchè si costruisce un meccanismo funzionante in una certa maniera e finalizzato ad uno scopo.
Ma rischio di andare o.t.

La parola inplica e sforza la memoria se non esiste la scrittura.
Dicono che oggi abbiamo superato anche la scrittura, essendo nel tempo delle immagini-
La scrittura deve essere mediata dal segno-significante e persino dall'interpretante non essendoci il passaggio diretto della parola-
La tradizione ebraica sacralizza il testo scritto, per cui tutto deve essere riscritto perfettamente uguale.
La tradizione induista passa oralmente e mnemonicamente da millenni interi testi sacri(così sono stati "scoperti" brani vedici anche del Mahabharata

Trovo, e quì lo dico brevemente, che la tradizione talmudica ebraica abbia dato alcune risposte contrapposte al modo comune di pensare, che non ci sia stato nemmeno a livello genetico una progressione, ma regressione dell'uomo e si riferisce all'epoca prediluviana e prima della torre di Babele che fanno da spartiacque al decadimento dell'umanità. La stessa cosa dice il kali-yuga vedico,segnato dal progresso materiale e decadenza spirituale


Non rischi di andare off topic, con Jaynes e' quasi impossibile vista la vastita' di argomentazioni e l'incrocio spericolato
tra molteplici discipline che rende, a mio giudizio, difficile il controllo del tessuto argomentativo del libro.
Nel capitolo "Auspici della scienza", si esprime in questi termini che io traslo secondo tradizione talmudica:
-In Gran Bretagna,a partire dal seicento, lo studio della cosidetta storia naturale era comunemente la gioia consolatrice
di individuare in natura le perfezioni di un creatore benevolo.......ma l'annuncio congiunto per opera di due uomini
formatisi in quello stesso ambiente,Darwin e Wallace,entrambi naturalisti dilettanti di gran livello, che era stata l'evoluzione
e non l'intelligenza divina a creare l'intera natura,fu come un cataclisma.......Il CASO,freddo e non calcolatore,dando ad
alcuni la capacita' di sopravvivere meglio in questa lotta per la vita......ha foggiato questa specie umana dalla materia.
quando si combino' con il materialismo tedesco(huxley), la teoria dell'evoluzione per selezione naturale fu il cupo rintocco
funebre per quella tradizione che aveva nobilitato l'uomo facendone la deliberata creazione delle grandezze possenti, che
risaliva direttamente sino alle remote profondita'inconsce dell'epoca bicamerale.
Questa teoria diceva in poche parole che non c'e' alcuna autorizzazione esterna,guardate bene,non c'e' nulla.Quel che dobbiamo
fare deve venire da noi stessi.......dobbiamo divenire la nostra stessa autorizzazione -pag 520

Fin qui niente di nuovo, su Darwin il dibattito e' sempre infuocato, invece qualche pagina piu' indietro c'e' forse un contributo
piu' interessante:

-Noi talvolta pensiamo,e ci piace pensare, che le due imprese piu' grandi che hanno influito sull'umanita', la religione e la scienza,
sono sempre state avversarie storiche e ci attirano in direzioni opposte.Ma questo e' clamorosamente erroneo.Non la religione
e la scienza, ma la chiesa e la scienza furono ostili l'una all'altra.E fu rivalita' non conflitto.Tanto la chiesa quanto la scienza
furono religiose;erano due giganti che si combattevano muovendosi sullo stesso terreno..........
Per comprendere correttamente la rivoluzione scientifica dovremmo sempre ricordare che il suo impulso piu' possente fu
la ricerca instancabile della divinita' nascosta.In questi termini essa e' una discendente diretta del crollo della mente bicamerale-pag 516

E poi prosegue citando Newton,Locke e john Ray.Anche oggi e' cosi', Einstein non ha esclamato contro la fisica quantistica
la famosa invettiva  "Dio non gioca a dadi con l'universo!" oppure Godel non ha tentato di dimostrare matematicamente
l'esistenza di Dio? Sembra che la teoria dell'evoluzione non RIESCA ad essere compresa fino alle sue ultime conseguenze,
E' intellettualizzata e catalogata in un angolo della coscienza, ma sembra che la nostra mente non la possa accettare.
E quindi si va dal mondo ologramma di Bohm, ai multimondi di Green, tutto va bene purche' ci sia una spiegazione Esterna.
Quindi quello che dici e' quello che pensano quasi tutti.
Certo mi si puo' dire che anche il darwinismo e' una religione,una rappresentazione, ma per me si tratta di scegliere il male
minore, dato che e' suffragato da migliaia e migliaia di verifiche e di osservazioni, che tutte le altre rappresentazioni si sognano.
In merito all'altra questione da te tratteggiata con la presunta decadenza del genere umano, come testimoniato da antichi libri
di saggezza,anche qui l'autore ha parole derimenti la questione:
-......() E' questa,io penso,ancora un'altra caratteristica della forma religiosa ch tali movimenti hanno raccolto, nel vuoto causato
dal venir meno della certezza ecclesiastica: quella di una presunta CADUTA dell'uomo.
Questa idea strana,e secondo me falsa, di un innocenza perduta assume il suo contrassegno proprio nel crollo della mente bicamerale
come prima grande narratizzazione cosciente dell'umanita'. Ed ecco il canto dei Salmi assiri, il lamento degli inni ebraici, il mito
dell'Eden..........Io interpreto questa ipotetica caduta dell'uomo, come il tentativo di uomini da poco coscienti di narratizzare
cio' che era a loro accaduto, la perdita delle voci e delle  assicurazioni divine in un caos di orientamenti umani ed egoismi
iniviuali.questo tema di una certezza e splendori perduti noi lo vediamo non solo affermato da tutte le religioni storiche, ma anche nelle
tradizioni non religiose.La troviamo a partire dalla teoria dell'anamnesi nei dialoghi platonici,secondo cui ogni cosa nuova e' in realta'
solo il ricordo di un mondo migliore perduto, sino ai lamenti di Rousseau per la corruzione dell'uomo naturale da parte degli artifici
della civilta'.E lo si riconosce anche negli scientismi moderni, nell'assunto  di Marx di una perduta "infanzia sociale del'umanita'"....
o nell'accento posto da Freud sul profondo radicamento delle nevrosi nella civilta'e di terribili azioni e desideri nel nostro passato
razziale ed individuale, e nell'affermazione implicita di una piu' antica innocenza,del tutto vaga.........-pag 527-28


Orbene,secondo Jaynes, sembra che dal trapasso della mente bicamerale alla coscienza,datata ormai 3000 e piu' anni fa,
l'uomo non ha ancora superato lo shock della "scoperta" della soggettivita',imprigionato come si sente in un corpo
destinato all'annichilimento, volgendosi con Nostalgia ai tempi in cui le sue azioni erano dettate dall'oggettivita'
garantita dalle voci.



La tematica è vasta, troppo vasta, comunque....
All'inizio c'era solo scienza che comprendeva tutto e no scienza contro spirito.
all'inizio non c'era soggetto ed oggetto, perchè il cielo e la terra erano uniti, non c'era divisone fra natura e spirito;
all'inizio non c'erano i sacerdoti per come li intendiamo noi oggi, c'erano i saggi, i sapienti che conoscevano la scienza e la tramandavano.Quando natura e spirito si divisero si divise anche la propria autocoscienza e si divisero i guerrieri dai sacerdoti, la natura dallo spirito ognuno con la sua arte e la sua sapienza
all'inizio tuttti gli antichi testi uniscono in un unico corpus, come la Torà Tanack, come il corpus dei libri ariani , i Veda, l'intera conoscenza i primordi delle future spirituali. i primordi dei futuri codici coem Hammurabi.

E se ti dicessi che gli Elohim erano telepatici? E se ti dicessi che che ci furono più Adami, più esperimenti genetici fra un pitecantropo(homo erectus) e pochi geni significativi di quegli Elohim la cui gestazione fu affidata ad una dea ,la Grande Madre? E se dicessi che gli angeli caduti e i giganti rappresentano il tratto di unione che non doveva accadere fra gli Elohim e il genere umano?
E se dicessi che la metafora complica l'interpretazione invece di semplificarla, quando il concreto e l'astratto erano uniti dal "reale"? E se dicessi che fu il capo degli Elohim a decidere che le conoscenze non dovevano essere trasmesse all'uomo dagl angeli caduti e che non dovevano concupire le donne umane e generare i giganti?
E se dicessi che furono gli Elohim a sapere del diluvio universale e che doveva estinguersi l'umanità poichè decadeva? E se invece un Elohim trasgredì il suo capo e aiutò gli umani (Noè, ma in altre tradizioni il racconto simile prende altri nomi).

E se poi venne "qualcuno" ancora più potente degli Elhoim che non dovevano creare un essere senziente con coscienza per farlo loro schiavo?perchè questa è una legge universale non solo del pianeta Terra?
E se tutto questo divenne essoterismo ed esoterismo,perchè di nuovo pochi dovevano sapere?

Io conosco un'altra storia ,non solo quello che racconta l'attuale storia e scienza, priva di un origine di un fine. di un progetto.

maral

Citazione di: sgiombo il 09 Gennaio 2017, 18:45:32 PM
Astrarre caratteristiche generali da particolari casi concreti non significa proporre metafore: una metafora può essere la sostituzione di un singolo caso concreto a un' altro singolo caso concreto che presenta analogie (e magari dai due singoli casi  concreti è astraibile una caratteristica generale), mentre l' astrazione passa dai particolari concreti al generale ad essi comune.
Infatti non ho detto che astrarre significhi costruire metafore, ma che a partire dalle metafore che mostrano delle analogie tra casi concreti, è possibile "astrarre" quelle analogie. In altre parole dico che il pensiero astratto si basa sul pensiero metaforico, non che è il pensiero metaforico.

CitazioneQui al solito mi è impossibile comprendere (...non c' è metafora che tenga!) la tua solita pretesa, che trovo del tutto infondata e assurda, di attribuire "significati" alle "cose" o agli "oggetti" in generale, mentre le "cose", gli "oggetti" in generale unicamente esistono (se esistono; o accadono se si tratta di eventi), e solo ed unicamente quelle particolarissime "cose" od "oggetti" che sono i "simboli" (verbali o di altro genere) significano qualcosa, ovvero sono dotati di un significato (o più di uno): il Monte Cervino (quello reale, la montagna; non una sua riproduzione, la quale a seconda dei casi può significare ad esempio, una famosa marca svizzera di pastelli colorati, o qualche marca di cioccolato svizzero, o le Alpi svizzere in generale) è e basta; mentre un cerchio blu contornato di rosso e con una barra obliqua rossa posto sul ciglio di una strada o presso un passo carraio, oltre ad essere (esattamente come il Cervino) inoltre anche ha un significato: significa che lì è vietato far sostare veicoli.
Lo so, questa polemica è vecchia tra noi, ma magari un giorno riusciremo a capirci, chissà. Non c'è nessun "Monte Cervino" e nemmeno nessuna "montagna" se non nei significati che questi termini riflettono nell'ambito di una conoscenza solo umana. Per un albero che cresce sulla montagna, per uno stambecco che scende a balzi da essa, non c'è proprio nessuna montagna reale in oggetto, c'è solo nell'essere umano che interpreta il significato delle sue prassi, interpreta quello che vede e quello che fa e dice questa è una montagna e quest'altra una pianura. E non è che per questo un essere umano che vede come da fuori una montagna abbia più ragione dello stambecco che solo vive sulla montagna e la sente solo nel vivere. Certo che c'è qualcosa, questo qualcosa che accade noi la sogniamo come una montagna, lo stambecco la sogna (nel nostro sogno umano del sogno di uno stambecco), come un puro vivere accadendo; è il nostro vivere accadendo (ma non il suo) che produce sogni significanti montagne e significanti stambecchi, sogni che non possiamo scegliere nel loro significare, poiché noi stessi siamo in questi sogni, non sopra di essi a poter vedere come stanno le cose in realtà.   
Ed è per questo che nulla di definitivo potrà mai essere detto riguardo al mondo, al reale, perché pure essendo sempre in esso significa sempre altro, come in un eterno inseguimento il cui scopo è dire l'assolutamente indicibile, perché il dire stesso, nel momento in cui è detto, è già altro, ogni detto sfugge nel dirlo.
Ed è chiaro che questo è una pena per chi vorrebbe definire una volta per tutte come stanno le cose, mentre è una gioia per chi sente l'immensa potenza vitale di questo gioco che non finisce mai, il gioco della conoscenza di cui anche la nostra diatriba infinita, in un certo senso, fa parte.


sgiombo

Citazione di: maral il 10 Gennaio 2017, 10:18:45 AM

Infatti non ho detto che astrarre significhi costruire metafore, ma che a partire dalle metafore che mostrano delle analogie tra casi concreti, è possibile "astrarre" quelle analogie. In altre parole dico che il pensiero astratto si basa sul pensiero metaforico, non che è il pensiero metaforico.
CitazioneL' astrazione é distinzione di caratteristiche comuni a più casi particolari concreti, la metafora é l' impiego di uno o più casi particolari concreti, solitamente a scopo esplicatoivo al posto di uno o più altri, diversi casi (comunque sempre) particolari concreti.
Esporre metafore é una cosa, operare astrazioni un' altra. La metafora non esce dai particolari concreti, mentre l' atrazione attinge al generale.
Se intendi dire questo sono d' accordo.



CitazioneQui al solito mi è impossibile comprendere (...non c' è metafora che tenga!) la tua solita pretesa, che trovo del tutto infondata e assurda, di attribuire "significati" alle "cose" o agli "oggetti" in generale, mentre le "cose", gli "oggetti" in generale unicamente esistono (se esistono; o accadono se si tratta di eventi), e solo ed unicamente quelle particolarissime "cose" od "oggetti" che sono i "simboli" (verbali o di altro genere) significano qualcosa, ovvero sono dotati di un significato (o più di uno): il Monte Cervino (quello reale, la montagna; non una sua riproduzione, la quale a seconda dei casi può significare ad esempio, una famosa marca svizzera di pastelli colorati, o qualche marca di cioccolato svizzero, o le Alpi svizzere in generale) è e basta; mentre un cerchio blu contornato di rosso e con una barra obliqua rossa posto sul ciglio di una strada o presso un passo carraio, oltre ad essere (esattamente come il Cervino) inoltre anche ha un significato: significa che lì è vietato far sostare veicoli.
Lo so, questa polemica è vecchia tra noi, ma magari un giorno riusciremo a capirci, chissà. Non c'è nessun "Monte Cervino" e nemmeno nessuna "montagna" se non nei significati che questi termini riflettono nell'ambito di una conoscenza solo umana. Per un albero che cresce sulla montagna, per uno stambecco che scende a balzi da essa, non c'è proprio nessuna montagna reale in oggetto, c'è solo nell'essere umano che interpreta il significato delle sue prassi, interpreta quello che vede e quello che fa e dice questa è una montagna e quest'altra una pianura. E non è che per questo un essere umano che vede come da fuori una montagna abbia più ragione dello stambecco che solo vive sulla montagna e la sente solo nel vivere. Certo che c'è qualcosa, questo qualcosa che accade noi la sogniamo come una montagna, lo stambecco la sogna (nel nostro sogno umano del sogno di uno stambecco), come un puro vivere accadendo; è il nostro vivere accadendo (ma non il suo) che produce sogni significanti montagne e significanti stambecchi, sogni che non possiamo scegliere nel loro significare, poiché noi stessi siamo in questi sogni, non sopra di essi a poter vedere come stanno le cose in realtà.  
Ed è per questo che nulla di definitivo potrà mai essere detto riguardo al mondo, al reale, perché pure essendo sempre in esso significa sempre altro, come in un eterno inseguimento il cui scopo è dire l'assolutamente indicibile, perché il dire stesso, nel momento in cui è detto, è già altro, ogni detto sfugge nel dirlo.
Ed è chiaro che questo è una pena per chi vorrebbe definire una volta per tutte come stanno le cose, mentre è una gioia per chi sente l'immensa potenza vitale di questo gioco che non finisce mai, il gioco della conoscenza di cui anche la nostra diatriba infinita, in un certo senso, fa parte.

CitazioneIn barba all' eventuale ignoranza dell' albero e dello stambecco (che infatti "scende a balzi da essa", e non "dal nulla"!) la montagna c' é (e c' era anche prima e dopo dell' albero e dello stambecco).
Nell' essere umano, eventualmente, c' é in più il pensiero, la conoscenza (dell' esistenza) della montagna.

Circa il mondo, il reale, che pure essendo sempre in esso significerebbe sempre altro, come in un eterno inseguimento il cui scopo è dire l'assolutamente indicibile, perché il dire stesso, nel momento in cui è detto, è già altro, ogni detto sfugge nel dirl, qiesto per me é arabo.
Ma non mi procura alcuna pena, anche se ho ben viva dentro me (relativamente appagata; come tutto é limitato e relativo in noi esseri umani) l' apirazione a comprendere quanto meglio possibile (senza alcun delirio di onniscenza) come stanno le cose.

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