Tecniche di solitudine, saggezza antica e scenari futuri per la filosofia

Aperto da Kobayashi, 30 Novembre 2017, 07:57:06 AM

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Angelo Cannata

Credo che gli interrogativi che hai proposto non possano ricevere risposta perché, così come sono presentati, presupporrebbero dei punti fermi oggettivi riguardo alla natura umana. Difatti ci sono persone che ritengono di poter stabilire cos'è l'uomo oggettivamente, che cosa gli conviene essere, verso dove sia meglio andare.

Da un punto di vista naturalistico, materialista, scientifico, non è difficile osservare che riguardo a ciò non ci sono criteri: l'uomo non ha un essere stabile, tant'è vero che esiste come sviluppo di modi di essere precedenti che sicuramente non erano da umano: che derivi dalla scimmia, o dai pesci, o da aminoacidi e proteine incendiati da qualche fulmine, in ogni caso se ne deduce che l'uomo deriva da qualcosa di non-uomo, è tuttora in divenire e dunque non possiede una natura predefinita, certa.

Di conseguenza, da questo punto di vista naturalistico non è neanche possibile pronunciarsi su cosa sia meglio: in natura, tra animali e piante, esistono anche l'ingiustizia, la sopraffazione, l'inganno, la disonestà, per cui non è possibile oggettivamente dire che una certa direzione di trasformazione antropologica sarebbe da preferire ad altre.

Questo però non ci costringe al silenzio: abbiamo in noi un bagaglio di storia e di sensibilità insite nel nostro DNA, bagaglio che non c'è motivo di trascurare solo perché non fornisce criteri oggettivi: in mezzo al particolarismo del nostro essere umani, perché non dovremmo tentare comunque quello che qui e ora ci sembra meglio, senza alcuna pretesa di oggettività?

In questo contesto trovo che gli interrogativi proposti da Kobayashi abbiano senso, come occasione di confronto sulle nostre sensibilità attuali.

Da parte mia ritengo un bene prendere dalla saggezza antica quel tipo di tecnica intesa all'ascolto dell'umano, che trovo radicalmente diversa dalle tecniche industriali, massificate, capitaliste, di oggi, tutte orientate a dire, fare, produrre, e così completamente dimentiche dell'importanza dell'ascolto. Un telefonino non può servire all'ascolto di sé stessi, è impossibile creare un software, un'app per favorire l'ascolto di sé stessi: per fare ciò è necessario il contrario: spegnere il telefonino, o il computer, a meno che non li si usi per leggere e soffermarsi sulla parola scritta, cosa che trovo molto vicina allo spegnimento; insomma, trasformare il monitor in un libro.

Non trascuriamo che la trasformazione antropologica in corso contiene anche approfondimenti e strumenti per l'umanesimo, ma su questo mi sembra che non sia difficile osservare nel presente un aumento di massificazione e potenza massificatrice rispetto al passato. Perciò, personalmente, soggettivamente, trovo importante un impegno affinché la trasformazione antropologica in atto riceva delle correzioni.

Alla fine hai usato la parola "alienante". Ma quale alienazione è più dannosa, quella della massa che non capisce niente di arti, o quella dell'artista che vive isolato dalla massa?

Kobayashi

Phil: "Costeggiando questo presupposto, che non suona scontato a tutti (almeno non a me), chiedo: una filosofia che si oppone ad una trasformazione antropologica in atto, è davvero l'auspicata filosofia della saggezza antica?"

Forse no, ma l'importante, secondo me, non è tanto ritornare ad una certa saggezza delle scuole filosofiche antiche quanto prendere coscienza che c'è una battaglia in corso (per accaparrarsi ciò che rimane della coscienza degli uomini), il che significa mettere da parte le delicatezze dell'erudizione e fare l'inventario delle armi che si hanno a disposizione, e l'antichità senz'altro contiene del materiale utile...


Phil: "Ovvero, una tecnica dell'auto-educazione del proprio Io, si oppone spontaneamente alla trasformazione antropologica o, per "funzionare", deve installarsi proprio nella trasformazione antropologica che la circonda (e a cui essa partecipa), senza necessariamente essere destabilizzante, anacronistica o alienante?"

Tra gli effetti di questa trasformazione antropologica c'è una certa tendenza alla semplificazione, ad un pensiero semplicistico. Se ci si imbatte nella complessità si tratta di una complessità orizzontale, come l'enorme quantità di dati che le tecnologie digitale riescono a memorizzare e ad analizzare. Non si tratta di profondità.
Basta pensare alla letteratura contemporanea: spesso ingegnosa, ma non problematica. Non pone enigmi, al limite qualche innocuo indovinello...  
A questa deriva della semplificazione non vedo come ci si possa difendere se non attraverso l'imposizione di una distanza (che va poi continuamente riprodotta perché il sistema tende a riassorbire ogni elemento refrattario).

Phil

Citazione di: Angelo Cannata il 06 Dicembre 2017, 00:08:11 AM
Non trascuriamo che la trasformazione antropologica in corso contiene anche approfondimenti e strumenti per l'umanesimo, ma su questo mi sembra che non sia difficile osservare nel presente un aumento di massificazione e potenza massificatrice rispetto al passato.
Rispetto all'epoca dei nostri nonni (ma non parlo dei nonni dei pochi rampanti ventenni del forum ;D ), dobbiamo anche riconoscere che la "massificazione" comprende anche l'alfabetizzazione di massa e l'informatizzazione-informazione di massa, per cui, se da un lato, i mass media raggiungono tutti e tutti comunicano con tutti (vedi la babele dei social), mentre prima era più facile essere "fuori dal mondo" pur vivendo in società, dall'altro lato è parimenti vero che la massa ha oggi a disposizione molti strumenti (cognitivi, culturali, etc.) per acquisire consapevolezza critica, strumenti che prima le erano preclusi per numerosi fattori (quindi "massificazione" è pur sempre sorellastra della benemerita "democratizzazione").
Parliamo spesso di massificazione con connotazione negativa di appiattimento, conformismo, assenza di riflessione; in fondo, non è sempre stato così per ogni massa, proprio in quanto tale? Ciò non significa certo che sia un bene (né un male  ;) ), ma nemmeno che stiamo rilevando una peculiarità emergente della situazione contemporanea, che dovrebbe spingerci con crucciata operosità a correre ai ripari. Non confonderei la nuova risonanza pubblica-mediatica di tale massificazione, con la sua antica presenza che ha da sempre accompagnato le società (non scommetterei che nel romanticismo o nell'antica Grecia la massa fosse particolarmente profonda e riflessiva, né che non ci fosse una massa piuttosto uniforme per "forma mentis"...).

Quello che non colgo è l'istanza di urgenza, di svolta epocale (in negativo), di allarme per la condizione umana, come se l'uomo si stesse improvvisamente smarrendo dopo un'epoca d'oro e d'idillio... La trasformazione antropologica della società oggi è certamente cacofonica e ad ampia scala, e in una società vasta, dinamica e "chiacchierona", l'interesse, ad esempio, per la cura spirituale e per il conseguimento di una saggezza pratica, non può essere condivisa volontariamente da tutti: ciò valeva ai tempi di Aristotele, nel medioevo e, a quanto pare, persino oggi, che non c'è più l'alibi del "non so leggere" o del "vorrei informarmi, ma devo spaccarmi la schiena per il feudatario" oppure "non posso che fidarmi di quello che dicono gli eruditi e i saggi vestiti bene".

Partendo da questa constatazione, si può forse calcolare una portata realistica delle eventuali correzioni alla trasformazione antropologica, senza demonizzare troppo i vizi (atavici) della società in cui essa accade, perché, proprio come ci insegna la sapienza antica, cambiano le epoche, le lingue, i confini degli stati e i libri di scienza, ma non il comportamento dell'uomo e della massa (parola che, beninteso, non uso con tono dispregiativo, perché ci sono di casa  :) ).

Citazione di: Angelo Cannata il 06 Dicembre 2017, 00:08:11 AM
Alla fine hai usato la parola "alienante". Ma quale alienazione è più dannosa, quella della massa che non capisce niente di arti, o quella dell'artista che vive isolato dalla massa?
L'alienazione di per sé non è dannosa: come tu stesso ricordavi, il danno o il vantaggio sono sempre relativi alla prospettiva di chi vive l'alienazione (se sceglie autonomamente di viverla, se la ritiene un bene, se invece vorrebbe uscirne, etc.). Dal mio punto di vista, non so se una coscienza artistica più solida sarebbe necessariamente un bene per la massa, né se l'alienazione dell'artista sia poi necessaria per renderlo tale...



Citazione di: Kobayashi il 06 Dicembre 2017, 15:05:03 PM
Tra gli effetti di questa trasformazione antropologica c'è una certa tendenza alla semplificazione, ad un pensiero semplicistico. Se ci si imbatte nella complessità si tratta di una complessità orizzontale, come l'enorme quantità di dati che le tecnologie digitale riescono a memorizzare e ad analizzare. Non si tratta di profondità.
Sulla semplificazione vale quanto osservato sopra riguardo la massificazione: che la massa prediliga il semplice è una certezza storica, probabilmente coessenziale alle dinamiche comunitarie umane. Forse è ingiusto imputare alla nostra epoca una semplificazione eccessiva, soprattutto rispetto al passato: l'attuale complessità della vita del singolo, delle interazioni sociali e del panorama culturale globale (non scordiamolo) e informatizzato (overdose di input, nel bene e nel male), mi sembra non abbia precedenti simili nella storia.
Secondo me, la complessità oggi disponibile è stordente e inestricabile, per questo si sente l'esigenza di provare a semplificare (per cogenze e urgenze pragmatiche), ma la semplicità ottenuta è tale solo in rapporto all'epica complessità potenziale del contesto, non è una semplicità assoluta. Non è da sottovalutare, ad esempio, che la profondità del pensiero (e dell'arte, etc.) del passato non è stata rinnegata o eliminata, ma anzi tutelata (e talvolta rielaborata), risultando disponibile e consultabile "in un click"; fermo restando che ogni metabolizzazione del proprio passato produce scarti, nuove energie e cambiamenti (quindi, potenzialmente, anche nostalgia, timore r svalutazione del nuovo, destabilizzazione, etc.)

Citazione di: Kobayashi il 06 Dicembre 2017, 15:05:03 PM
A questa deriva della semplificazione non vedo come ci si possa difendere se non attraverso l'imposizione di una distanza (che va poi continuamente riprodotta perché il sistema tende a riassorbire ogni elemento refrattario).
Forse il migliore antidoto alla semplificazione orizzontale (anche se non sottovaluterei la qualità, tutta postmoderna, della profondità orizzontale) è già quello di tematizzarla, anzi problematizzarla, dall'interno, magari più con "distacco" che con "distanza", ovvero restandoci immersi ma con una "postura autonoma" (non pedissequamente accondiscendente).

acquario69

Citazione di: Phil il 07 Dicembre 2017, 23:58:00 PM
Partendo da questa constatazione, si può forse calcolare una portata realistica delle eventuali correzioni alla trasformazione antropologica, senza demonizzare troppo i vizi (atavici) della società in cui essa accade, perché, proprio come ci insegna la sapienza antica, cambiano le epoche, le lingue, i confini degli stati e i libri di scienza, ma non il comportamento dell'uomo e della massa (parola che, beninteso, non uso con tono dispregiativo, perché ci sono di casa  :) .

Non rovesciamo e confondiamo le cose come al solito, innanzitutto la Sapienza antica con la massa non centra proprio un bel niente

L'uomo massa (o la massa) ha avuto le sue prime comparizioni dopo la rivoluzione francese, trasformandosi definitivamente in società di massa tra la fine e l'inizio del novecento.
Prima di questi eventi non esisteva nemmeno e se proprio si volesse fare una comparazione (forzata) al suo posto cera il popolo

..ed il comportamento della massa e' lontano anni luce da cio che fu quella del popolo.
Il popolo nella sua "ignoranza" aveva in realtà una profonda cultura che la massa non se la sogna nemmeno..perche di cultura con la c maiuscola non sa manco più cosa significa.

Altro periodo storico significativo che ha dato la radicalizzazione definitiva alla massa e a renderla irrimediabilmente insipiente, vuota, "meccanica" e completamente eterodiretta e' il dopo guerra.

Carlo levi e Pasolini hanno dato eccellenti descrizioni del fenomeno e in particolare quest'ultimo aveva capito gia 50 anni fa che la trasformazione in atto sarebbe stata fatale e che da quel momento in poi sarebbe stato sempre più difficile persino incontrare un "banalissimo" essere umano...ed aveva perfettamente ragione!
All'epoca della sua disamina (trasformazione antropologica) si era appena agli inizi ed in confronto ad oggi era paragonabile ad uno scherzetto, tanto questa trasformazione e' penetrata in profondità e a 360 gradi ..e che come volevasi dimostrare non se ne ha nemmeno più la consapevolezza a riprova del fatto che la trasformazione e' arrivata al massimo del suo compimento

Angelo Cannata

Il confronto tra la massificazione di oggi e quella delle varie epoche passate potrebbe essere un approfondimento interessante, ma mi sembra che alla fine risulterebbe inutile rispetto alla domanda originaria di Kobayashi, che mi sembra riguardi piuttosto la capacità della filosofia di recuperare un dialogo interiore, in grado di farci vivere più a contatto con le ricchezze e le profondità del nostro io. A questo scopo mi sembra che il fatto che le masse di oggi siano per diversi aspetti più o meno profonde, più o meno umanizzate rispetto a quelle del passato, sia poco rilevante. La questione non riguarda un semplice tornare al passato, ma un interrogarci sulle capacità della filosofia di essere non solo riflessione, ma anche esperienza di vita interiore e di contatto con l'io.

Phil

Citazione di: acquario69 il 08 Dicembre 2017, 04:09:28 AM
Non rovesciamo e confondiamo le cose come al solito, innanzitutto la Sapienza antica con la massa non centra proprio un bel niente

L'uomo massa (o la massa) ha avuto le sue prime comparizioni dopo la rivoluzione francese, trasformandosi definitivamente in società di massa tra la fine e l'inizio del novecento.
Prima di questi eventi non esisteva nemmeno e se proprio si volesse fare una comparazione (forzata) al suo posto cera il popolo

..ed il comportamento della massa e' lontano anni luce da cio che fu quella del popolo.
Il popolo nella sua "ignoranza" aveva in realtà una profonda cultura che la massa non se la sogna nemmeno..perche di cultura con la c maiuscola non sa manco più cosa significa.
Ovviamente per "massa", intendevo la "maggioranza", il "popolo" in tutte le sue differenti connotazioni storiche.
Quando il popolo ha avuto una "profonda cultura"? Potresti fare esempi?
Se non erro, il popolo ha sempre avuto la sua cultura, intesa come tradizioni e "forma mentis" condivisa, talvolta diametralmente opposta a quella della minoranza di "uomini di cultura" (sapienti antichi, eruditi religiosi, vezzosi aristocratici, ricercatori e scienziati, etc.). La figura dell'"uomo medio del popolo" quando mai è coincisa con quella di chi ha profondità spirituale, conoscenza e saggezza? In un'epoca del genere non ci sarebbero stati saggi e sapienti ed emergere facilmente da una massa-ops!-popolo così spiritualmente elevato  ;)
Perché dunque stupirsi per il fatto che, ancora oggi, la maggioranza quantitativa non si comporti da "maggioranza qualitativa"?
C'est la vie! ;D


Citazione di: Angelo Cannata il 08 Dicembre 2017, 08:29:27 AM
La questione non riguarda un semplice tornare al passato, ma un interrogarci sulle capacità della filosofia di essere non solo riflessione, ma anche esperienza di vita interiore e di contatto con l'io.
Tale capacità, secondo me, va calata e commisurata al contesto attuale, alle tematiche e alle peculiarità dell'odierno vivere (piacciano o meno), altrimenti non è una capacità effettivamente praticabile (fermo restando che anche l'eremitismo e l'alienazione sono possibilità offerte del panorama attuale).

green demetr

#21
cit cannata
"La prospettiva è totalmente diversa, deve essere totalmente diversa, dev'essere sempre totalmente diversa.

Mi sembra che in questo senso sia tu, sia Nietzsche, sia Sloterdijk, cadiate sempre nello stesso problema: nel cercare prospettive migliori non vi accorgete che la prospettiva migliore, la prospettiva totalmente diversa, è quella di navigare in continuazione tra prospettive diverse ed esplorarne sempre di nuove. Ossia divenire, camminare, crescere, non fermarsi mai in un punto, mettersi sempre in questione, essere sempre su strada.
Solo in questo modo non ci potrà più essere un altro a farti ancora sospettare che la prospettiva potrebbe essere totalmente diversa, poiché in questo caso sarebbe lui invece a peccare di aspirazione al fermarsi in qualche punto stabile, non più aperto al cambiamento.
Questo modo di vivere (perché di modo di vivere si tratta, in quanto spiritualità, più che filosofia) è secondo me l'unico, vero, custode interiore, guardiano di un io sempre più smarrito, auspicato da Kobayashi nell'ultimo rigo del suo post iniziale. Infatti un custode, un guardiano, che servisse a tenere ordine, cioè staticità, sarebbe un uccisore dell'io e dell'esperienza che ne abbiamo (in questo senso vengono a risultare micidiali, omicide, tutte le ricerche sull'io che mirano a definirne la natura, fisica, cioè neurologica, o non fisica che sia); il vero guardiano deve far camminare, andando avanti lui stesso per primo.

Giovanni Battista diceva, e poi Gesù ripetè "Convertitevi!". Sì, ma convertirsi a cosa? La risposta è nell'esortazione stessa: bisogna convertirsi al convertirsi, cioè prendere l'abitudine al convertirsi in continuazione; al confronto di questo, diventa chiarissimo che qualsiasi altro convertirsi non potrà mai essere un vero convertirsi."


In Sloterdijk si parla di cambiare la vita (Rilke) in te si tratta di cambiare il punto di vista.
Non ci potrebbe essere differenza più grande, e mentre trovo piacere a parlare del paniere della spiritualità, credo che il nostro dialogo si fermi inevitabilmente là. A me interessa la vita, non la spiritualità.

Il guardiano a cui allude Kobayashi potrebbe essere visto in diversi modi.
Come ho già scritto se c'è un guardiano allora c'è anche Kafka. Non mi dilungo ancora, non trovo echi in questo forum.

Non credo che il messaggio di Cristo sia quello della conversione continua, anzi mi pare che indichi un orizzonte chiaramente verticale, metafisico, oltre la verticalità stessa, aggiungerei, ma non trovo echi in questo forum e non mi dilungo.(Tutta la scolastica etc...)


cit kobayashi

"necessariamente l'utilizzo di segnali per orientarsi, se non si vuole finire per compiere dei percorsi circolari che conducono sempre nello stesso luogo."

Cosa che però in Angelo guarda caso porta sempre allo stesso punto di partenza, perciò io ripropongo la metafora del ciclista, che ha imparato sì a rimanere in equilibrio sulla bicicletta, ma che non vuole proprio saperne di ripartire. (Ma ovviamente essendo una cosa che condivido con lui, so già che il problema è quello paranoico, non per lui certo, ma per me sicuramente, mi spiace ripetermi come un disco rotto, e ripeto il punto per uscire da questo impasse è immergersi nella storia e non uscirne o prenderne distanza, come poi criticherò per esempio anche a Phil).


cit kobayashi

"Partendo da una visione allarmata del presente (le manipolazioni di questo demoniaco connubio tra neoliberismo e tecnologie digitali), l'indicazione può essere questa: urge mobilitare tutta la forza della filosofia se ci si vuole opporre alla trasformazione antropologica in atto. "

Sicuramente sono in pochi quelli che riescono a vedere il campanello d'allarme, ma come si fa a vederlo senza un orizzonte sufficemtemente ampio?

Oggi l'allarmismo, serve più come cassa di risonanza pubblica per destare attenzione mediatica.

E' stato appunto immunizzato. Per questo la fine dei tempi teorizzata da Pasolini, oggi è ancora più evidente.



cit kobayashi

"All'esoterico green demetr (che ho capito solo a pezzetti...), sperando di avergli risposto almeno in parte con ciò che ho scritto sopra, propongo un frammento di Nietzsche (forse si trova in Volontà di potenza, ma non ricordo) che descrive il sentiero della saggezza in tre fasi:
prima fase, saper venerare, raccogliere dentro di se' tutte le cose degne di venerazione. Epoca della comunità;
seconda fase, spezzare il cuore venerante. Epoca del deserto. Critica di tutte le cose venerate, tentativo di rovesciare le valutazioni [Umano troppo umano I e II, Aurora];
terza fase, grande decisione sulla capacità di assumere una posizione positiva, di affermazione. L'istinto di colui che crea [dallo Zarathustra in poi]."

lol di esoterico ho veramente poco, una manciata di pagine questa estate, per la precisione, lol.

Ma certo ci sta questa visione in tre trance, ma non mi azzardo ad andare alla terza.

Per questo rimango saldo ad Umano Troppo Umano. Il problema della comunità.

Appunto!

Ci fosse qualcuno che abbia aperto un 3d che gli vada almeno vicino...sono sempre e solo questioni che riguardano le morali.

Io ho proposto quella del cerchio, e dei cerchi aperti, delle continua apertura, e dei tentativi di inclusione in cerchi sempre più ampi. Senza perdere il centro. (Anche Sloterdijk ci ha lavorato in Sfere, di cui ho letto solo il primo libro, e di cui mi sembra il più interessante sarà il terzo).

Poichè il centro non si può perdere, ossia il suo occhio metafisico, vengono i problemi affrontati da Sloterdikkj, ossia le verticalità. (dopo la sfera).

Lato Nietzche siamo sempre nella costruzione genealogica. Evidentemente per superarla, ed affrontare il vero problema dell'Altro, serve ancora molto tempo, il mondo accademico deve ancora  farci i conti (il mondo accademico illuminato ovvio).

Invece tanto per chiarire, mi sembra che la tua domanda Kobayashi, sia ancora prima della genealogia. Infatti non ricordo sia mai stato nei tuoi discorsi.

In questo forum, la intendono solo Maral, che si è defilato quest'anno, e Phil, che però la legge linguisticamente, semioticamente.


cit Cannata

"Quello che hai detto dopo su Nietzsche mi sembra rispecchiare lo stesso problema, su cui secondo me Nietzsche è in fondo cascato: nel suo "sentiero di saggezza" che hai descritto, mi sembra che lui intuisca il bisogno di un continuo rinnovare, ma egli rimane prigioniero della mentalità greca di andare pur sempre a parare in qualcosa di definito, statico, che nella tua sintesi viene detto "posizione positiva, di affermazione"."

Se non capisci Nietzche, perchè avventurarsi in affermazioni che vanno molto lontane dalle intenzioni dell'autore.
Dove pensi che Vattimo abbia derivato il suo pensiero debole, se non che da Nietzche?
Riflettici per favore.


cit Phil

"Ovvero, una tecnica dell'auto-educazione del proprio Io, si oppone spontaneamente alla trasformazione antropologica o, per "funzionare", deve installarsi proprio nella trasformazione antropologica che la circonda (e a cui essa partecipa), senza necessariamente essere destabilizzante, anacronistica o alienante?"

Penso che ancora non si sia capito che l'educazione del proprio Io avviene a contatto con gli Altri.
Per questo è dentro l'antropotecnica.
Ma la differenza è vederci un problema o no.
E mi sembra che tu non lo veda affatto. Vedi poi.


cit Angelo

"Non trascuriamo che la trasformazione antropologica in corso contiene anche approfondimenti e strumenti per l'umanesimo, ma su questo mi sembra che non sia difficile osservare nel presente un aumento di massificazione e potenza massificatrice rispetto al passato. Perciò, personalmente, soggettivamente, trovo importante un impegno affinché la trasformazione antropologica in atto riceva delle correzioni."

Si sono d'accordo con quanti hai scritto, sia sull'importanza del saper ascoltare dalla nostra storia, come umani, sia sull'affrontare la massificazione non necessariamente come un nemico.
Ma....come?



cit Kobayashi

"Forse no, ma l'importante, secondo me, non è tanto ritornare ad una certa saggezza delle scuole filosofiche antiche quanto prendere coscienza che c'è una battaglia in corso (per accaparrarsi ciò che rimane della coscienza degli uomini), il che significa mettere da parte le delicatezze dell'erudizione e fare l'inventario delle armi che si hanno a disposizione, e l'antichità senz'altro contiene del materiale utile..."

Sono molto scettico sull'armamentario dell'antichità.

Infatti il novecento si è detto post-modernista, proprio perchè si è come piegato (fino all'implosione?) sulle domande poste dalla Modernità.
Dopo anni di prolungato ascolto di conferenze e quant'altro, credo che si tratti di ripartire da Cartesio.
Io ho creato lo slogan, "come difendesi dall'uomo macchina modernista".

Ma se non intendimao cosa sia l'uomo moderno, come pensiamo di capire l'uomo post-moderno? o post-metafisico dei giorni nostri?

La metafisica moderna è lì ad attenderci, cosa c'entra quella antica? sono curioso! (non sto dicendo che sia una strada sbagliata, solo che non la conosco, e non ne sono attratto.)


cit Kobayashi

"A questa deriva della semplificazione non vedo come ci si possa difendere se non attraverso l'imposizione di una distanza (che va poi continuamente riprodotta perché il sistema tende a riassorbire ogni elemento refrattario)."

Concordo appieno.  :)

Cit Phil

"Quello che non colgo è l'istanza di urgenza, di svolta epocale (in negativo), di allarme per la condizione umana, come se l'uomo si stesse improvvisamente smarrendo dopo un'epoca d'oro e d'idillio... "

Certo questo è uno dei sintomi più noti della paranoia intellettuale (vedi lo stesso Pasolini, prima citato).

Ma credo che lo conosciamo abbasta bene, per non cadere nella trappola.
Ciò detto, non può dunque valere come rispota immunitaria, al critica storica, di ogni epoca storica!
E cosa sarebbe sennò la genealogia? Non leggere Focault, Sloterdijk non è più un lusso a cui possiamo rinunciare.


Cit Phil

" ...fermo restando che ogni metabolizzazione del proprio passato produce scarti, nuove energie e cambiamenti (quindi, potenzialmente, anche nostalgia, timore r svalutazione del nuovo, destabilizzazione, etc.)


...Forse il migliore antidoto alla semplificazione orizzontale (anche se non sottovaluterei la qualità, tutta postmoderna, della profondità orizzontale) è già quello di tematizzarla, anzi problematizzarla, dall'interno, magari più con "distacco" che con "distanza", ovvero restandoci immersi ma con una "postura autonoma" (non pedissequamente accondiscendente)."

Approvo, con una postilla  :)

Dimentichi questo scritto da Kobayashi: c"he va poi continuamente riprodotta perché il sistema tende a riassorbire ogni elemento refrattario"

Sarebbe il famoso campanello d'allarme, che tu semrbi non sentire, infatti parli di distacco, e di mera postura. (come Sini, quindi capisco benissimo l'intero discorso dietro).

E non capisci che non si mette forza in quel distacco, facendolo diventare vera e propria distanza, si cade inevitabilmente nelle trappole della contemporaneità. (che io chiamo schizoidismo paranoide, non in termini clinici, come giustamente qualcuno su YouTube ha precisato).

Sini (il mio amato Sini) è paranoico! Questo è il sunto. ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

sgiombo

Mi scuso per il fatto di avere scorso molto rapidamente e solo "a tratti" per carenza di tempo questa interessante  discussione, che all' inizio non mi sembrava così interessante.

Per parte mia mi sento di poter dire che nella storia umana il senso critico, e l' autonomia di giudizio e l' autonoma consapevolezza e sviluppo di propri personali, più o meno convinti interessi e convinzioni sono sempre state decisamete minoritarie.

Ma non per una sorta di "destino ineluttabile", bensì per determinate cause sociali, oggi ben comprensibili e superabili.
Tant' é vero che questa condizione generale complessivamente alquanto "deludente" non é mai stata comunque uniformemente e costantemente generalizzata, ma si sono succedute fasi di maggiore o minore (anche se pur sempre relativo e complessivamente minoritario) "sviluppo diffuso" delle facoltà critiche razionali umane, a seconda che si trattasse di momenti storici di progresso o addirittura rivoluzione oppure di conservazione, reazione o addirittura decadenza (come é l' attuale: basti pensare a un fenomeno come l' "analfabetismo di ritorno", che quando ero bambino praticamente non esisteva, mentre permanevano sacche di "analfabetismo primario" che tendevano ad essere sempre più circoscritte ed eliminate: espressione chiara e inequivoca di un regresso culturale di massa).
Inoltre nel considerare il problema a mio parere bisogna rendersi conto della relatività e non assolutezza del fenomeno dell' "ignoranza e acriticità di massa", per così dire: non é la stessa cosa se c' é un 70% di analfabeti in un paese dall' economia prevalentemente agricola, con uno scarso sviluppo industriale e terziario e con un basso PIL o in un paese mediamente (senza dimenticare il pollo di Trilussa!) ricco e sviluppato.

Sono marxista (anzi marxista-leninista; e per i più conformisti aggiungo anche "stalinista") e, senza pretendere di convincere nessuno attraverso discussioni come questa (nella quale ignorerò eventuali provaocazioni su "gulag" e affini perché non ho alcuna intenzione di imbarcarmi in polemiche sterili e preconcette e la sede oggettivamente non consente la possibilità materiale di affrontare seriamente e costruttivamente tali questioni storiche non affatto semplici e banali), ma solo per accennare alle mie convinzioni sperando che qualcuno ci rifletta autonomamente su, affermo che credo che lo stato di cose presenti possa (N. B.: non che necessariamente debba) essere cambiato da cima a fondo (molto in meglio, anche da questo punto di vista dello sviluppo delle migliori facoltà potenzialmente umane), ma solo attraverso un grandissimo sforzo collettivo di avanguardie fortemente coscienti e di masse in tendenziale, progressiva maturazione di coscienza di classe.
Uno sforzo che richiede, oltre che intelligenza e cultura, anche grande disponibilità al sacrificio, al duro lavoro, spirito di abnegazione, e da parte almeno di alcuni perfino eroismo.

Perché movimenti come quello di Tsipras in Grecia e il M5S in Italia, dopo aver proclamato ai quattro venti di voler cambiare tutto, iniziando inevitabilmente con l' uscita da quella autentica moderna "prigione dei popoli" che é l' attuale così impropriamente della "Euroooooooopa", hanno miseramente chinato il capo di fronte ai tiranni?

Secondo me perché non hanno mai avuto il coraggio di dire alle masse che li seguivano, che dall' attuale, continuamente ingravescente inferno in cui si trovano non esiste alcuna uscita facile e indolore, ma si può sperare in un futuro migliore solo se si é disposti ad attraversare tempi durissimi e sopportare grandi sacrifici.
Questo secondo me é il punto di partenza ineludibile per potere sperare con cognizione di causa in un futuro migliore per l' umanità.

Il cammino dell' emancipazione degli sfruttati non é largo, dritto e ben asfaltato come la prospettiva Nevsky" (Lenin).

La rivoluzione non é un pranzo di gala" (Mao Tse Tung).

E chi pretendesse di negarlo o é uno sprovveduto in  buonafede, oppure un privilegiato sfruttatore o un ascaro al servizio dei privilegiati e sfruttatori in malafede.

Kobayashi

X Sgiombo.
L'analisi della situazione mi sembra ampiamente condivisa, indipendentemente dall'essere o meno marxisti. Intendo dire che questo capitalismo neoliberista non può che essere profondamente criticato, a meno di appartenere, come dici tu, a classi privilegiate.
Ciò che però getta nello smarrimento più assoluto è la totale mancanza di un'alternativa a questo sistema. Riproporre la ricetta leninista dell'avanguardia illuminata, francamente, con tutta la simpatia e il rispetto e oserei dire l'amore – poiché ho frequentato a lungo quei luoghi... –, non penso possa portare a nulla.
Si sente il bisogno di qualcosa di nuovo, ma non c'è ancora nulla.
(Vedi per esempio il lavoro di Dardot e Laval: analisi notevolissima del neoliberismo, ma quando si tratta poi di proporre qualcosa di nuovo eccoli venir fuori con delle idee fragilissime...).
Forse bisognerebbe lasciar perdere il discorso politico (almeno fino al crollo definitivo del sistema bancario-finanziario mondiale... perché poi quando i bancomat sputano fuori aria calda anziché banconote voglio vedere se le persone non iniziano a pensare seriamente alle virtù della ghigliottina...) e concentrarsi sulle possibilità della dimensione comunitaria (intendo dire il lavoro pratico con una ventina o più di persone nella costruzione di qualcosa che non sia un'azienda ne una famiglia e che al momento chiamo comunità per mancanza di parole...).

sgiombo

Citazione di: Kobayashi il 09 Dicembre 2017, 16:10:56 PM
X Sgiombo.
L'analisi della situazione mi sembra ampiamente condivisa, indipendentemente dall'essere o meno marxisti. Intendo dire che questo capitalismo neoliberista non può che essere profondamente criticato, a meno di appartenere, come dici tu, a classi privilegiate.
Ciò che però getta nello smarrimento più assoluto è la totale mancanza di un'alternativa a questo sistema. Riproporre la ricetta leninista dell'avanguardia illuminata, francamente, con tutta la simpatia e il rispetto e oserei dire l'amore – poiché ho frequentato a lungo quei luoghi... –, non penso possa portare a nulla.
Si sente il bisogno di qualcosa di nuovo, ma non c'è ancora nulla.
(Vedi per esempio il lavoro di Dardot e Laval: analisi notevolissima del neoliberismo, ma quando si tratta poi di proporre qualcosa di nuovo eccoli venir fuori con delle idee fragilissime...).
Forse bisognerebbe lasciar perdere il discorso politico (almeno fino al crollo definitivo del sistema bancario-finanziario mondiale... perché poi quando i bancomat sputano fuori aria calda anziché banconote voglio vedere se le persone non iniziano a pensare seriamente alle virtù della ghigliottina...) e concentrarsi sulle possibilità della dimensione comunitaria (intendo dire il lavoro pratico con una ventina o più di persone nella costruzione di qualcosa che non sia un'azienda ne una famiglia e che al momento chiamo comunità per mancanza di parole...).
CitazioneLa forza dei dominanti sta proprio soprattutto in questo luogo comune, che sono riusciti a diffondere a livello di massa, del preteso "fallimento" del tentativo leninista di superare il capitalismo (che a mio parere, malgrado grossi limiti ed errori, non é affatto fallito -basta considerare come si stava "da quelle parti", ma di riflesso o meglio in conseguenza in tutto il mondo e anche qui da noi, prima dell' '89 e come si sta ora- ma invece é stato sconfitto; in una guerra totale, senza esclusione di colpi, purché oggettivamente possibili ovviamente).
E se (ammesso e non concesso) ogni realistico tentativo di cambiare si risolve in una tragedia peggiore del presente é ovvio che sia meglio subire il presente e il futuro in via di costante ulteriore, "inevitabile" peggioramento.

E questo soprattutto per il fatto che, per lo meno in Occidente, si é diffusa a livello di massa una certa "mollezza", l' assurda irragionevole, irrealistica pretesa che l' orrendo stato di cose presente possa essere cambiato senza grandissimi sforzi, pesantissimi sacrifici, durissime lotte e anche, in una certa misura, senza compiere errori anche relativamente tragici: se non si é disposti a soffrire e a sporcarsi le mani ci si può lamentare fin che si vuole e si possono confezionare radiosissime ma sterili utopie, ma non si compie alcun passo avanti reale.
Come prometteva realisticamente ai suoi connazionali in un altro drammatico momento storico un miserabile reazionario (ma "con le palle"), se non si é disposti a pagare con abbondanti "sangue, sudore e lacrime" non si può che rassegnarsi a subire, si é confitti in partenza.
E infatti alla prima difficoltà (vedi Syriza e M5S), ci si piega docilmente alle pretese dei dominanti.

InVerno

Citazione di: sgiombo il 09 Dicembre 2017, 18:55:10 PM
Citazione di: Kobayashi il 09 Dicembre 2017, 16:10:56 PM
CitazioneLa forza dei dominanti sta proprio soprattutto in questo luogo comune, che sono riusciti a diffondere a livello di massa, del preteso "fallimento" del tentativo leninista
Uno sforzo microscopico, essendo che non solo il tentativo leninista fallito, ma anche tutti i singoli tentativi "spontanei" comunitari, non è rimasta una singola comune in piedi, nemmeno sotto falso nome o sotto i più bislacchi stendardi (tipo i mormoni) nemmeno nelle borgate, nemmeno a livello di amministrazione di condominio, sono tutte implose da sole anche dove il capitale non riusciva a penetrare perchè nemmeno c'erano le strade, persino gli Elfi toscani si sono disciolti. Le "fake news" ebbero davvero vita facile davanti a tanto spontaneo fallimento...
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Kobayashi

A green demetr che scrive "bisogna ripartire da Cartesio" rispondo: cioè dovremmo tornare al razionalismo del Seicento e di nuovo a persuaderci che la nostra ragione, pura, limpida, se ben condotta da un metodo ci può portare alla costruzione di nuovi sistemi metafisici?
Ma se tutta la filosofia da Nietzsche in poi non è stata altro che lo smantellamento di queste convinzioni!
E poi se la questione è: di fronte alla crisi spirituale ed esistenziale dei nostri tempi, quale può essere il ruolo della filosofia? La risposta non può essere un ritorno a uno di quei fondamenti – un certo tipo di razionalità di cui Cartesio è fondatore e simbolo – ormai superati.
Mentre riproporre alcune tecniche della saggezza antica, per esempio, è altra cosa perché significa ritornare a un modo di vivere la filosofia prima che diventasse un sistema di conoscenza di verità ultime.

Ma il punto è che anche la condizione di chi resiste alla tentazione della metafisica, nelle sue diverse forme, non può essere sopportata a lungo... Siamo un po' tutti stanchi di sguazzare nelle fragili prospettive della post-modernità.
Il lavoro di Sloterdijk è il prodotto di questa situazione limite.
Ma non stiamo ricercando melanconicamente delle certezze. Questo aspetto, la presunta esigenza di un assoluto, di qualcosa di stabile, è, secondo me, profondamente sopravvalutato.
La crisi attuale non è il sintomo della perdita di Dio nelle sue diverse forme.
Gli europei non sono depressi perché non riescono a elaborare un lutto. Sono in realtà catatonici perché non possono convincersi che quella che stanno sperimentando sia vera vita, e così come gli insetti d'inverno, riducono il proprio metabolismo quasi allo zero...

Forse  quello che manca davvero all'europeo è la capacità di immaginare di poter uscire da questa immobilità e sperimentare qualche grande avventura (avventura nel senso indicato da Vittorio Mathieu di "cose che vengono a noi dal futuro, ma non senza che noi, di nostra iniziativa, ci muoviamo"; "l'incontro di eventi dipende da un nostro muoverci nello spazio"; "se noi non ci muovessimo non avremmo un futuro, fausto o infausto che sia, mentre il nostro spostarci ci fa incontrare le adventura").

Kobayashi

InVerno: sì hai ragione, ma l'individualismo moderno non è fatto per degli esseri umani, quindi non resta che pensare a qualcos'altro. Nella Grecia classica il cittadino era impegnato su tre livelli: quello privato (famiglia e lavoro); quello politico (partecipazione ad assemblee in cui si deliberava); quello dell'Agorà (luogo pubblico in cui si pensava insieme al futuro della città, luogo quindi politico ma non esecutivo, diciamo così, luogo di dialogo tra persone che riconoscevano la presenza di un legame reciproco).
Lasciamo pure perdere le utopie e i movimenti rivoluzionari, ma dimmi, dobbiamo rassegnarci a contenere la nostra umanità nella sola vita privata?

acquario69

Citazione di: Kobayashi il 09 Dicembre 2017, 16:10:56 PM
Forse bisognerebbe lasciar perdere il discorso politico (almeno fino al crollo definitivo del sistema bancario-finanziario mondiale... perché poi quando i bancomat sputano fuori aria calda anziché banconote voglio vedere se le persone non iniziano a pensare seriamente alle virtù della ghigliottina...) e concentrarsi sulle possibilità della dimensione comunitaria 

condivido !
sui bancomat...e in definitiva sui contanti:
ci si potrebbe in effetti chiedersi quali siano i (veri) motivi per cui viene propagandato a tutto spiano l'invito a non usarli e a breve di eliminarli definitivamente.
a quel punto basterebbe un semplice "click" informatico e un apposito chip sottopelle per decidere chi può continuare a vivere e sopratutto in che determinate condizioni

acquario69

Sgiombo scrive
CitazionePerché movimenti come quello di Tsipras in Grecia e il M5S in Italia, dopo aver proclamato ai quattro venti di voler cambiare tutto, iniziando inevitabilmente con l' uscita da quella autentica moderna "prigione dei popoli" che é l' attuale così impropriamente della "Euroooooooopa", hanno miseramente chinato il capo di fronte ai tiranni?

Secondo me la risposta ancor prima di essere politica  e' "filosofica" e per certi versi e' riassunta in quest'altra tua considerazione finale qui sotto;

CitazioneE chi pretendesse di negarlo o é uno sprovveduto in buonafede, oppure un privilegiato sfruttatore o un ascaro al servizio dei privilegiati e sfruttatori in malafede.

E tradotto in altri termini,il marcio che ce' fuori non e' altro che il riflesso speculare di quello che sta dentro

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