Tecniche di solitudine, saggezza antica e scenari futuri per la filosofia

Aperto da Kobayashi, 30 Novembre 2017, 07:57:06 AM

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Kobayashi

Buongiorno a tutti.
Volevo sottoporvi alcune riflessioni ispirate dalla lettura di un articolo di Thomas Macho (Aut Aut n.355).

In questo articolo Macho parte dalla constatazione che nella nostra civiltà sono sempre esistite tecniche di solitudine, cioè pratiche che spingono le persone alla ricerca di un certo isolamento considerato positivo o necessario.
Queste tecniche di solitudine si sono sempre caratterizzate come tecniche di raddoppiamento.
Ci si isola per poter stabilire un rapporto con se stesso, come se si fosse in due.
Nell'antichità ci si immaginava di avere a che fare con un doppio più nobile: un custode, un guardiano che esercitasse il controllo del dialogo interiore.
Perché il problema era questo: arrivare a non essere posseduti dalle immagini che si formano nella propria cittadella interiore.
Quindi le tecniche di solitudine miravano a disciplinare i dialoghi interiori.

Queste tecniche sono state poi riprese dai primi monaci cristiani.
Il combattimento spirituale dei monaci del deserto era una lotta contro forze (che il monaco considerava demoniache) che miravano all'egemonia dell'io dell'atleta.
Anche qui si trattava di una questione di libertà: essere posseduti dai demoni o sovrani e liberi.
Ovviamente il loro "grande Altro", il custode nobile, era Cristo.

Lasciamo lo scritto di Macho e veniamo ora ai nostri giorni.
A me sembra che la situazione attuale sia dominata da un potere che attraverso le tecnologie digitali impedisce sempre di più la solitudine positiva (perché è interesse di questo specifico sistema economico che tutti partecipino attivamente per esempio ai social network etc.), e dal fatto che il custode nobile che ci dovrebbe accompagnare in un processo di liberazione sia sparito o si sia moltiplicato in una schiera di figure ambigue.

Eppure la filosofia, nel tempo della fine dei grandi sistemi metafisici, sembra aver ritrovato un certo interesse per questi temi, tornando al suo inizio. Basta citare i lavori di Hadot.
Ma si tratta di studi teorici.
La pratica è lasciata a discipline che gravitano intorno alla psicologia e che mancano totalmente di consapevolezza storica, con tutto ciò che ne consegue in fatto di semplificazione e manipolazione delle coscienze.

Vi chiedo: è possibile immaginare un ritorno della filosofia alla sua saggezza antica, alla fondazione per esempio di vere e proprie scuole filosofiche o cose di questo tipo?

È immaginabile secondo voi una filosofia che abbandonando la sua ossessione per la conoscenza teorica inizi a costruire concretamente nuovi "custodi interiori", guardiani di un io sempre più smarrito?

Angelo Cannata

Mi sembra che tu non stia parlando d'altro che di spiritualità.

Hadot lo mette bene in evidenza, perché egli parla di esercizi spirituali praticati dai filosofi antichi. Tutt'al più la spiritualità è più generale dello sdoppiamento di cui hai parlato: tale sdoppiamento può essere considerato un modo di intendere la spiritualità, mentre invece la spiritualità prende in considerazione tutti i modi di vivere la vita interiore, visto che la spiritualità si definisce come vita interiore.

Nella domanda finale chiedi se ciò sia immaginabile, io ritengo che, più che immaginabile sia necessario; necessario non solo come opportunità di sviluppo, ma direi perfino come processo inevitabile a cui sia la filosofia che la religione conducono, nel senso che mi sembra che prima o poi (considerando l'andamento delle cose più poi che prima) si arriverà a questo.

acquario69

Credo che l'intenzione dei monaci, come nei casi accennati sopra riguarda più semplicemente ( e perciò fuori dai soliti stupidi stereotipi e ottusi pregiudizi di noi "moderni") quello della libertà e perciò della consapevolezza della nostra autentica natura (le considerazioni demoniache altro non sarebbero state che "metafore" che servivano a quei tempi per indicare l'inclinazioni sbagliate che finiscono per rendere schiavo l'uomo) Cristo per i fedeli di questa religione e' il SE'..e' la Libertà..che si ritrova(va) sia pure in diverse altre forme, in diverse altre civiltà,in tempi e luoghi altrettanto diversi..  ma  con la stessa identica essenza

CitazioneVi chiedo: è possibile immaginare un ritorno della filosofia alla sua saggezza antica, alla fondazione per esempio di vere e proprie scuole filosofiche o cose di questo tipo?

È immaginabile secondo voi una filosofia che abbandonando la sua ossessione per la conoscenza teorica inizi a costruire concretamente nuovi "custodi interiori", guardiani di un io sempre più smarrito?

Si...ma solo quando saremo pronti a liberarci da ogni nostro meschino conformismo (che ci ha appunto portati dritti dritti alla schiavitù attuale)...e al contempo la consapevolezza dovra' prendere il posto della sterile erudizione.

..e i tempi sono maturi..visto pure la sofferenza che monta ogni giorno di piu

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=37508

Kobayashi

Angelo scrive: "Mi sembra che tu non stia parlando d'altro che di spiritualità.
Hadot lo mette bene in evidenza, perché egli parla di esercizi spirituali praticati dai filosofi antichi. Tutt'al più la spiritualità è più generale dello sdoppiamento di cui hai parlato: tale sdoppiamento può essere considerato un modo di intendere la spiritualità, mentre invece la spiritualità prende in considerazione tutti i modi di vivere la vita interiore, visto che la spiritualità si definisce come vita interiore".

Ma se la spiritualità si definisce come vita interiore, perché usare un termine con forti connotazioni religiose quando si sta parlando di esercizi filosofici che lavorano sulla propria soggettività senza riferimenti a forze trascendenti l'uomo?

A essere sincero, molta di questa generica spiritualità contemporanea mi sembra il tentativo di salvare qualcosa della vecchia religione... quei piaceri della devozione, del sacro, quelle tensioni mistiche, che ora non si cercano più direttamente in una relazione con Dio (a cui non si crede più), ma attraverso pratiche più concrete (meditazione etc.).


Acquario69 scrive: "Credo che l'intenzione dei monaci, come nei casi accennati sopra riguarda più semplicemente ( e perciò fuori dai soliti stupidi stereotipi e ottusi pregiudizi di noi "moderni") quello della libertà e perciò della consapevolezza della nostra autentica natura (le considerazioni demoniache altro non sarebbero state che "metafore" che servivano a quei tempi per indicare l'inclinazioni sbagliate che finiscono per rendere schiavo l'uomo) Cristo per i fedeli di questa religione e' il SE'..e' la Libertà..che si ritrova(va) sia pure in diverse altre forme, in diverse altre civiltà,in tempi e luoghi altrettanto diversi..  ma  con la stessa identica essenza".

I demoni sono una metafora per noi, perché ovviamente non crediamo in geni maligni o roba del genere.
Per i monaci si trattava di qualcosa di molto più reale. Possiamo poi interpretare la costruzione di immagini così fantasiose come il risultato di una tendenza a proiettare forze interiori che venivano interpretate come esterne e quindi prendevano quelle forme.

Del resto non è che faccia molta differenza sentirsi posseduto da un demone o schiavo di una malattia o passione...
 

acquario69

Citazione di: Kobayashi il 01 Dicembre 2017, 07:32:04 AM
Acquario69 scrive: "Credo che l'intenzione dei monaci, come nei casi accennati sopra riguarda più semplicemente ( e perciò fuori dai soliti stupidi stereotipi e ottusi pregiudizi di noi "moderni") quello della libertà e perciò della consapevolezza della nostra autentica natura (le considerazioni demoniache altro non sarebbero state che "metafore" che servivano a quei tempi per indicare l'inclinazioni sbagliate che finiscono per rendere schiavo l'uomo) Cristo per i fedeli di questa religione e' il SE'..e' la Libertà..che si ritrova(va) sia pure in diverse altre forme, in diverse altre civiltà,in tempi e luoghi altrettanto diversi..  ma  con la stessa identica essenza".

I demoni sono una metafora per noi, perché ovviamente non crediamo in geni maligni o roba del genere.
Per i monaci si trattava di qualcosa di molto più reale. Possiamo poi interpretare la costruzione di immagini così fantasiose come il risultato di una tendenza a proiettare forze interiori che venivano interpretate come esterne e quindi prendevano quelle forme.

Del resto non è che faccia molta differenza sentirsi posseduto da un demone o schiavo di una malattia o passione...

Sono d'accordo ed e' quello che intendevo anch'io.
Penso che ogni epoca ha le sue diverse forme per esprimere fondamentalmente le stesse cose...se oggi non crediamo più al "diavolo" come lo intendevano loro,possiamo pero liquidare la cosa dicendo che il "diavolo" non esiste e semplificare il tutto come ingenua superstizione?
o non sarebbe invece,da intendere,diciamo cosi,appunto solo come un "simbolo" che bisognerebbe invece sempre tener presente?..

Naturalmente non sto appunto dicendo che esiste il diavolo con le corna e il forchettone :) ma che non si dovrebbe negare qualcosa che farebbe comunque parte di noi e che se viene invece negata questa si ripresenta più forte di prima e pure a nostra insaputa, facendo si stavolta dei veri e propri danni .. sono stato chiaro? :)

Lo sintetizza bene questo aforisma che dice:

La più grande astuzia del diavolo e' farci credere che non esiste...

oppure...

La strada per l'inferno e' lastricata di buone intenzioni

acquario69

Un altra semplice breve riflessione...

Il denaro e l'usura in particolare era ritenuto dagli antichi (quelli che usualmente definiamo oggi ignoranti, ingenui, incivili eccetera) come qualcosa di negativo in assoluto...vera e propria maledizione... sterco del demonio!  E veniva naturalmente condannato....

Al contrario per noi da qualche tempo e' invece diventato il nostro "Dio" (!)...e (ma guarda che coincindenza!) il pianeta intero governato da una manciata di strozzini (!)

dunque,non avevano affatto torto e in realtà la sapevano molto molto lunga  :)

Angelo Cannata

Citazione di: Kobayashi il 01 Dicembre 2017, 07:32:04 AMMa se la spiritualità si definisce come vita interiore, perché usare un termine con forti connotazioni religiose quando si sta parlando di esercizi filosofici che lavorano sulla propria soggettività senza riferimenti a forze trascendenti l'uomo?

A essere sincero, molta di questa generica spiritualità contemporanea mi sembra il tentativo di salvare qualcosa della vecchia religione... quei piaceri della devozione, del sacro, quelle tensioni mistiche, che ora non si cercano più direttamente in una relazione con Dio (a cui non si crede più), ma attraverso pratiche più concrete (meditazione etc.).
Questo è purtroppo un grosso problema della parola spiritualità: essa porta con sé forti connotazioni religiose. Sebbene, come ha mostrato Hadot, la spiritualità come pratica si possa rintracciare tra i primi filosofi, tuttavia il termine nasce nella religione cattolica ed è tuttora percepito come fortemente intriso di religiosità.

Il fatto è che non esistono altri termini che riescano con migliore efficacia ad indicare la "vita interiore".

D'altra parte, ormai da diversi anni c'è un lavoro che viene compiuto in tutto il mondo per recuperare la parola "spiritualità" ad un significato nello stesso tempo laico e serio, tanto che ormai non è una novità parlare anche di spiritualità degli atei. Siamo però ancora lontani da una percezione generalizzata del termine in modo laico e questo impedisce di avvalersi di tutte le potenzialità che esso è in grado di dischiudere.

cvc

Ho fatto le stesse riflessioni di Kobayashi e sono giunto alla conclusione che questi esercizi ( il come li si voglia chiamare è mera convebzione) conviene farli senza aspettare che sorga una qualche scuola specifica. Logico che questa attuale realtà virtuale (ossimoro?) mal si sposa con pratiche che non si prestano alla condivisione multimediale. Perché queste pratiche, anche se svolte collettivamente, non fanno che risaltare l'individualità in lotta con se stessa per trovare quello che Battiato chiamerebbe un centro di gravità permanente.
Come rilevava il professor Reale le scuole filosofiche antiche non usavano la logica per giungere ad un giudizio, bensì anteponevano un giudizio (l'apatia stoica, la scepsi degli scettici, l'atarassia epicurea) e poi usavano la logica per difenderlo. La logica più che uno strumento era quindi un esercizio. Di fatti uno dei problemi di questo mondo è che si possiedono straordinari strumenti logici ma sovente poca propensione alla logica.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Angelo Cannata

Citazione di: cvc il 01 Dicembre 2017, 11:45:37 AM...questi esercizi ( il come li si voglia chiamare è mera convebzione) conviene farli senza aspettare che sorga una qualche scuola specifica...
Può essere il caso di tener presente che un'attività che si accosta a questo genere di ricerca e sta facendosi strada anche in Italia è quella del cosiddetto "counseling filosofico" (ad esempio SSCF, AiCoFi, METIS). Si tratta di laureati o esperti in filosofia, che si servono di questa loro competenza per essere d'aiuto a persone con problemi esistenziali. È un tipo di servizio ancora poco chiaro, poco conosciuto e poco regolamentato dalla legge, ma che sta tentando di affermarsi, farsi conoscere e apprezzare.

In particolare c'è in Italia Augusto Cavadi, che è solito tenere, tra l'altro, incontri mensili di "spiritualità laica".

Per ultimo, mi permetto di segnalare il mio stesso sito spiritualita.org, di cui una sezione è presente su riflessioni.it, tra le "rubriche d'autore", col nome La spiritualità e le spiritualità. Lo scopo è proprio quello di favorire la coltivazione e la conoscenza della spiritualità da un punto di vista indipendente. Ultimamente ho anche creato un gruppo Whatsapp che tenta di fare della spiritualità laica un impegno pratico condiviso, quindi dei veri e propri esercizi spirituali comuni, non religiosi.

green demetr

breve sunto per chi non volesse leggere tutta la "menata".

impressioni generali

punto 1 -  la mia strada, non sono previste risposte

punto 2 - problemi generali preventivi della custodia spirituale, risposta per kobayashi

punto 3 - una domanda per kobayashi angelo e altri credenti.




Quello che hai descritto ha creato un eco immediata rispetto al mio studio di Umano Troppo Umano.

Quando nella sua seconda parte, Nietzche si trova a confronto con le ombre.

Ne abbiamo discusso con Garbino nel suo 3d dedicato proprio al maestro tedesco : in "Ecce Homo" , la sua autobiografia, è lui stesso  a dire che si tratta di proiezioni fatte da se stesso, precisando che sono come delle alter ego.

Ma rispetto alla prima parte dell'opera, non vi è descritta tecnica, infatti ricordo ancora, invece, il forte senso malinconico, di cordoglio e l'imminente necessità di viaggio.

Per come lo stesso leggendo, se la prima parte è la costruzione della critica genealogica alla metafisica, la seconda riprende il testimone 10 anni dopo mi sembra, e si avventura in territori che francamente non conosco.

Il messaggio si fa veramente esoterico, come poi lo sarà, ancor di più, nello Zarathustra.

Come a dire la tecnica degli antichi, è completamente esonerata, dismessa.
Forse c'entra qualcosa quella alchemica che mi attende impaziente.

Sono d'accordissimo con la tua analisi impietosa sullo statuto della psicologia, anzi volendo ci si arrischierebbe in critiche ancora più aspre.
Ma a che servirebbe? Ovviamente io ritengo che l'uso della psicologia sia del tutto generico, nel senso che vi si possono trovare ottimi spunti, ma il vero lavoro sull'"Io", Freud o Lacan che sia, non l'hanno mai fatto.

Non vi è esoterismo in loro.

Dunque dicevamo delle tecniche di controllo del doppio, dell'ombra, della conversazione interiore, della spiritualità.

E allora riprendiamo il dialogo con Sloterdijk.

Nella sua introduzione a "devi cambiare la tua vita" egli tira con la solita maestria un disegno di orizzonte improntato alla dicevamo antropotecnica.

Ma andando a leggere nei meandri di quella introduzione, mi sono soffermato spesso ad una serie di questioni che a mio parere non possono essere lasciate sul tavolo con troppa facilità.

Ossia quello del rapporto verticalità orizzontalità.  * vedi punto 2

Ne parlo anch'io nel mio 3d.

punto 1


Ovvero io ne parlo, e invece Sloterdijk no.

Infatti per lui, come altri amici del forum, non esiste orizzontalità, esiste invece solo verticalità.

E delle molte verticalità prospettate, vi è anche quello fra spirituale e materiale.

Che viene riletto come eccellenza etica di uno rispetto ad un altro.

Ma di nuovo insieme a Sini, non dovremmo chiederci chi ha deciso, come si è costruita questa etica?

Quale è il suo valore effettivo, quale quello proiettivo?

Come immaginerai non sono d'accordo. Perchè infatti risulterebbe a mio parere che ognuno è libero di costruirsi il suo cammino il suo progetto, e dunque non può esistere una etica in quel senso.
Sarebbe falsa.  E' per questo che nessuno crede più al Demonio o a Dio.
Perchè l'evoluzione del tutto casuale, imprevedibile umana, ci ha portato ad un tipo  di società piuttosto che ad un altro. E le credenze (e non l'etica) sono cambiate con essa (e sono di nuovo ad oggi completamente sbagliate).

E dunque se la costruzione di una etica che custodisca il segreto di una verticalità presunta, è del tutto all'interno dello stesso processo storico, che vorrebbe dimenticare nella sua conversazione interiore.

Allora per logica, anche quell'etica è frutto di una proiezione, del demonio etc...

E capisco benissimo che così non ne usciamo.

Se anche la tecnica è una proiezione come fare? Che fare?

Riprendendo dal nostro discorso privato, allora io chiedo se qualcuno ha qualche illuminazione (magari rispettando quanto detto prima, e sennò va bene lo stesso, ne avrei bisogno) sulla mia illuminazione:

ci ero quasi, perchè in fin dei conti per me la riflessione rimbalza una fenomenologia (un campo di segni, per Peirce veramente) , che non può che essere intellettuale.

Ossia non è la tecnica in ballo ma la stessa intellettualità.

Perchè se fosse in gioco il linguaggio, la teoria dei segni, qualsiasi essa sia, allora inevitabilmente sarebbe come anche sloterdik ha scritto una questione della verticalità.

Come se Sloterdijk mi capisse, ma non mi ascoltasse per niente.

E' invece l'intellettualità in gioco. E come se la gioca? Nel mio percorso, non ho idea perchè, si è trasmutata in materia.
All'improvviso mi sono sentito dire fra me e me, che è la materia intellettuale quella su cui mi dovevo concentrare.

C' era qualcosa di materico, qualcosa che si lega all'oggetto. Ai libri cartacei, oltre che ai pixels invasivi.
In quel momento sono ripartito.

Ma poi si è inceppato, nel senso che proprio mentre ero nel mentre dello studio, l'urgenza si è spostata immediatamente su quella sensazione sgradevolissima di essere risucchiato da quello stesso studio.

Da lì a poche settimane dopo mi sono fermato stordito per davvero.

E da allora non riesco a riconvincermi a ripartire, senza aver risolto quell'arcano.

E' su questo punto che chiedo aiuto.


punto 2

cit. secondo le direttive europee per "fair use"
"così le "culture" ascetiche conoscono la differenza guida tra perfezione e imperfezione" le religiose quello tra sacro e profano, le aristocratiche quello tra nobile e triviale, le militari tra valoroso e vile, le politiche  trapotente e impotente, le amministrative tra superiore e subordinato,le atletiche tra "eccellenza e medicorità, le economiche tra abbondanza e scarsità, le cognitive tra sapere e ignoranza, le sapienziali tra illuminazione e cecità.
In ogni campo abbiamo in comune la partigianeria per il primo polo, che fa da attrattore mentre il secondo fa da repulsore."
Sloterderdijk "devi cambiare la tua vita" raffaello cortina editore (p18)

Per Sloterdijk si tratterebbe di rendere esplicito un nuovo illuminismo che proceda alla traduzione dei linguaggi dell'antropotecnica in quelli di una religione progressista.
In questo egli si proclama conservatore e nemico del post-modernismo con le sue derive specialistiche.

Il suo primo passo consiste a quello di richiamarsi a Rilke.

Egli rifugge qualsiasi epochè intellettuale e invece si richiama alla passione nell'essere nel mondo.

Concentrandosi su quella passione egli vuole costruire un sistema immunitario di prevenzione a questo stare nel mondo.

La prevenzione temo sia la ricerca di questa tecnica atta questa spinta funtoriale all'alto.

Ma allora kobayashi questi presunti custodi interiori, non risulterebbero che delle macchinazioni.

E in quanto tali proprio legate al problema dell'uomo macchina che proprio la modernità ha portato alla luce certo illuminata, ma non per questo meno problematica, e a cui ha tentato di rispondere prima il romanticismo e poi la nostra età chiamata post-modernismo.


Questo tentativo di raccordo, naufragato nelle ideologie del novecento, però ha condotto al suo esatto opposto, ossia alla proliferazione dei saperi specialisti, e a quello delle metafisiche personaliste, che oggi possiamo collegare al fenomeno delle fake news, di moda al momento nel dibattito pubblico.

Sì perchè come dice Sini tutto è lavoro, e come chioso io, tutto è politica.

La tua domanda finale Kobayashi in fin dei conti guarda da dentro a questo sistema, e chiede di essere liberata.

Ma non è proprio quello il proposito di Nietzche?

In un altro topic mi chiedevi dove risulta la politica delle amicizie, ovviamente sempre in Umano Troppo Umano (non ne ho letti altri al momento, non ha senso leggerli se prima non capisco questo primo testo)

Ma la politica delle amicizie, ossia della guerra (e come potrebbe esserci liberazione senza guerra? d'altronde) parte proprio dalla tecnica genealogica.
Mi pare di insistere molto su questo punto, ossia sulla capacità nostra attuale di leggere la storia, e il suo filo rosso, come illustrato dal regista Tanner negli "Anni di Luce" film assolutamente esoterico, sebbene del filone socialista in apparenza.

E d'altronde stavo rileggendo proprio un manuale liceale di storia della filosofia antica.

La filosofia nasce proprio insieme alle polis, e cioè alla loro costituzione. (e cioè alle sue guerre ai barbari, altro tema di Sloterdijk, e a quelle iterne)

La filosofia è dunque figlia della polis. Ossia di una comunità.

Insisto anche su questo mi pare, come si fa a fare filosofia se non sia ha nemmeno uno straccio di parvenza teorica sul concetto di comunità.


E il concetto di comunità è per forza di cose legato al tema dell'Altro.

E il tema dell'Altro non è il vero tema sempre negletto dell'intera storia della filosofia, con le sue metafisiche pompose e false?

E anche su questo insisto, a partire da Leopardi, non può esserci comunità felice composta da individui infelici.

Dunque io sono stufo di sentire di parlare di etica.

Ma quale etica? Nel nostro paesaggio intellettuale, non vedo nemmeno un professore che abbia il coraggio di una denuncia, si riducono infine tutti proni al riferirsi ad entità piuttosto neutre come l'etica, come se la giurisdizione, che è poi la conseguenza di non parlare di etica in prima persona, non fosse parte consistente del problema.

Nooooo amici miei non ci siamo. Bisogna tornare a Nietzche e a tutti coloro che sono riusciti ad intenderlo almeno in una qualche sua parte.

Primo la genalogia, poi la comunità, poi l'etica, e solo allora arriverà l'amicizia e la possibilità del dialogo interiore, di una religione in progress (progressista appunto, se il termini non fosse stato ridicolizzato dalla nostro politica italiana).

La tua domanda Kobayashi è più semplice, lo so, ma a me suscita questa infinità di problemi.

punto 3

Il punto che mi sono sempre chiesto nel nostro dialogo è però un altro.

E se la prospettiva fosse totalmente diversa?

Voglio dire come tu giustamente scrivi, la meditazione in fin dei conti è veramente una tecnica, e quindi la questione della fede è ai suoi margini.
(Quando percepisci Dio, che senso ha avere fede? Sai che esiste, punto e vai avanti.)

In questo anche Angelo mi ha sollevato delle obiezioni, parlando del fatto che in Gesù, e nella religione cattolica non è chiesta alcuna tecnica in specifico.

Quindi io vi girerei la domanda, perchè "non so bene quale sia la vostra domanda. " :(

Sono d'accordo che possiamo accorpare la questione specifica filosofica a quella pià generale della spiritualità.
Ma ho questo dubbio persistente. Che non riesco a capire veramente l'orizzonte che voi avete in mente.

E per una discussione non mi pare poco.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Angelo Cannata

Citazione di: green demetr il 02 Dicembre 2017, 23:19:39 PME se la prospettiva fosse totalmente diversa?
La prospettiva è totalmente diversa, deve essere totalmente diversa, dev'essere sempre totalmente diversa.

Mi sembra che in questo senso sia tu, sia Nietzsche, sia Sloterdijk, cadiate sempre nello stesso problema: nel cercare prospettive migliori non vi accorgete che la prospettiva migliore, la prospettiva totalmente diversa, è quella di navigare in continuazione tra prospettive diverse ed esplorarne sempre di nuove. Ossia divenire, camminare, crescere, non fermarsi mai in un punto, mettersi sempre in questione, essere sempre su strada.
Solo in questo modo non ci potrà più essere un altro a farti ancora sospettare che la prospettiva potrebbe essere totalmente diversa, poiché in questo caso sarebbe lui invece a peccare di aspirazione al fermarsi in qualche punto stabile, non più aperto al cambiamento.
Questo modo di vivere (perché di modo di vivere si tratta, in quanto spiritualità, più che filosofia) è secondo me l'unico, vero, custode interiore, guardiano di un io sempre più smarrito, auspicato da Kobayashi nell'ultimo rigo del suo post iniziale. Infatti un custode, un guardiano, che servisse a tenere ordine, cioè staticità, sarebbe un uccisore dell'io e dell'esperienza che ne abbiamo (in questo senso vengono a risultare micidiali, omicide, tutte le ricerche sull'io che mirano a definirne la natura, fisica, cioè neurologica, o non fisica che sia); il vero guardiano deve far camminare, andando avanti lui stesso per primo.

Giovanni Battista diceva, e poi Gesù ripetè "Convertitevi!". Sì, ma convertirsi a cosa? La risposta è nell'esortazione stessa: bisogna convertirsi al convertirsi, cioè prendere l'abitudine al convertirsi in continuazione; al confronto di questo, diventa chiarissimo che qualsiasi altro convertirsi non potrà mai essere un vero convertirsi.

Kobayashi

Per quanto riguarda quello che dice Angelo: sì, ciò che io ho chiamato custode interiore non può essere inteso come un nuovo "tu devi" (parlando in termini nietzschiani) cui ci si attacca per uscire dal proprio smarrimento. Ma è certo che quel "camminare, crescere, non fermarsi mai in un punto, mettersi sempre in questione, essere sempre su strada" di cui parla Angelo comporta necessariamente l'utilizzo di segnali per orientarsi, se non si vuole finire per compiere dei percorsi circolari che conducono sempre nello stesso luogo. E i segnali si scelgono (apparentemente in libertà, per lo più sotto l'effetto di influenze favorevoli o deleterie...). E questa scelta determina la qualità del cammino.
Il discorso che viene fatto da Macho nell'articolo da cui sono partito io nel primo post è sulla stessa lunghezza d'onda, mi pare, ma radicalizza un po' le cose e sembra voler dire che senza una consapevole disciplina, senza un lavoro profondo fatto appunto di esercizi etc., il cammino che finiamo per fare è quello tracciato dal potere dominante.
Da qui la valutazione positiva da parte di Macho di certe tecniche diffuse prima nell'antichità classica poi nel cristianesimo, che a noi magari possono sembrare un po' grezze, come l'elezione di un alter ego nobile etc.
Partendo da una visione allarmata del presente (le manipolazioni di questo demoniaco connubio tra neoliberismo e tecnologie digitali), l'indicazione può essere questa: urge mobilitare tutta la forza della filosofia se ci si vuole opporre alla trasformazione antropologica in atto.

All'esoterico green demetr (che ho capito solo a pezzetti...), sperando di avergli risposto almeno in parte con ciò che ho scritto sopra, propongo un frammento di Nietzsche (forse si trova in Volontà di potenza, ma non ricordo) che descrive il sentiero della saggezza in tre fasi:
prima fase, saper venerare, raccogliere dentro di se' tutte le cose degne di venerazione. Epoca della comunità;
seconda fase, spezzare il cuore venerante. Epoca del deserto. Critica di tutte le cose venerate, tentativo di rovesciare le valutazioni [Umano troppo umano I e II, Aurora];
terza fase, grande decisione sulla capacità di assumere una posizione positiva, di affermazione. L'istinto di colui che crea [dallo Zarathustra in poi].

Angelo Cannata

Mi sembra che il problema che poni si risolva in un bisogno di certezza: come facciamo ad essere certi di non girare in tondo, di non chiuderci, come hai scritto, in "percorsi circolari che conducono sempre nello stesso luogo"?

Quello che hai detto dopo su Nietzsche mi sembra rispecchiare lo stesso problema, su cui secondo me Nietzsche è in fondo cascato: nel suo "sentiero di saggezza" che hai descritto, mi sembra che lui intuisca il bisogno di un continuo rinnovare, ma egli rimane prigioniero della mentalità greca di andare pur sempre a parare in qualcosa di definito, statico, che nella tua sintesi viene detto "posizione positiva, di affermazione".

Nell'affrontare questa questione credo che sia bene accorgersi che essa, posta nei termini che ho detto qui sopra, viene a risultare contraddittoria: muoversi in modo da non girare in tondo non può essere affidato ad un criterio di certezza, perché già il concetto stesso di certezza significa che poi ci si muoverà all'interno di essa, il che significa esattamente girare in tondo. Lo stesso viene a valere quando dici "mobilitare tutta la forza della filosofia": forza significa cose molto chiare, sicure, garantite, il che non fa altro che rinviare di nuovo al concetto di certezza: una filosofia forte conduce coloro che la praticano proprio a girare in tondo, in quanto ancorati a ciò che di essa è forte. Qui il riferimento al "pensiero debole" di Vattimo è scontato.

Il problema rimane: come fare a non ridurci a un girare in tondo?

Per me la soluzione si trova proprio nel camminare, che ho descritto nel mio messaggio precedente e a cui faccio riferimento anche nel mio ultimo articolo su riflessioni.it "Camminare insieme": camminare significa anche camminare riguardo al camminare, cioè interrogarsi in continuazione, criticamente, riguardo al camminare stesso. Con parole diverse, un vero convertirsi non potrà fare a meno di essere, tra l'altro, un convertirsi riguardo al convertirsi. Con questo non ho fatto la scoperta dell'America: in realtà il mestiere della filosofia è stato in gran parte, potremmo dire pressoché da sempre, mettere in discussione sé stessa.

Tra l'altro, tra parentesi, questo è il motivo che mi porta a non essere convinto della sensatezza del "counseling filosofico", visto che esso pone come suo scopo il benessere di persone che hanno problemi: come può la filosofia pretendere di aiutare il benessere della persona, una volta che uno dei suoi mestieri principali è quello di mettere in discussione sé stessa?

In sintesi, mi sembra che il criterio del camminare, che poi non mi sembra essere altro che la filosofia stessa, almeno per come la intendo io, sia l'unico in grado di ospitare in sé stesso l'autocritica, la negazione di sé stesso, la compresenza di essere e non essere, con buona pace di Parmenide e del suo principio di non contraddizione.

Questo viene a significare che il criterio con cui reagire ai manipolatori di ogni genere che circolano nel nostro mondo (politica, marketing) non dovrà essere un criterio di forza, ma di indebolimento, nel senso di smascherare le debolezze degli oppressori, i quali vorrebbero invece spacciarsi nei nostri confronti come forti, rassicuranti e protettivi.

Sia chiaro che il criterio del camminare non è garanzia del non girare in tondo; esso è soltanto, a mio parere, il migliore strumento che abbiamo, o il meno peggio, per tentare di non cadere nel girare in tondo.

Kobayashi

Sul counseling filosofico anch'io ho parecchie perplessità.
Per quanto riguarda il resto, ho letto anche gli articoli della tua rubrica, ci devo riflettere su un po'...

Phil

Citazione di: Kobayashi il 30 Novembre 2017, 07:57:06 AM
Vi chiedo: è possibile immaginare un ritorno della filosofia alla sua saggezza antica, alla fondazione per esempio di vere e proprie scuole filosofiche o cose di questo tipo?

È immaginabile secondo voi una filosofia che abbandonando la sua ossessione per la conoscenza teorica inizi a costruire concretamente nuovi "custodi interiori", guardiani di un io sempre più smarrito?
Queste due domande, in prima battuta, mi sono sembrate una "strana coppia": da un lato, il ritorno alla saggezza antica, che non trascurava la tecnica del lavoro su se stessi; dall'altro l'abbandono dell'ossessione per la conoscenza teorica proprio nell'attuale epoca della tecnica... la tecnica della solitudine come rimedio (pharmakos platonico inteso à la Derrida?) alla smarrita solitudine nella tecnica...

Il ritorno che comporta abbandono, restauro (da "antiquario", direbbe Nietzsche) del vecchio stile per sfiducia (assenza di fede  ;) ) verso gli stilemi della contemporaneità; eppure, può essere intesa anche come domanda, l'affermazione:
Citazione di: Kobayashi il 04 Dicembre 2017, 13:04:53 PM
urge mobilitare tutta la forza della filosofia se ci si vuole opporre alla trasformazione antropologica in atto
Costeggiando questo presupposto, che non suona scontato a tutti (almeno non a me  ;D ), chiedo: una filosofia che si oppone ad una trasformazione antropologica in atto, è davvero l'auspicata filosofia della saggezza antica?
Ovvero, una tecnica dell'auto-educazione del proprio Io, si oppone spontaneamente alla trasformazione antropologica o, per "funzionare", deve installarsi proprio nella trasformazione antropologica che la circonda (e a cui essa partecipa), senza necessariamente essere destabilizzante, anacronistica o alienante?

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