SUL VALORE DELLA EREDITÀ PLATONICA

Aperto da PhyroSphera, 01 Dicembre 2022, 16:28:56 PM

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PhyroSphera

La concezione della filosofia quale preparazione alla morte fu per Socrate una contingenza dettata dalla fatalità della pena di morte... Né si deve imputare a Platone di averne ipostatizzato, dato che i dialoghi platonici in quanto tali non possono essere costituiti da affermazioni categoriche e univoche né assolute.
La metafora platonica del corpo carcere dell'anima, oltre ad essere tale cioè metafora, non aveva lo scopo di descrivere i rapporti naturali tra anima e corpo ma soltanto di rendere presente la situazione di chi aspirando alla saggezza deve avere in considerazione la realtà spirituale non materiale e trovando difficoltoso questo còmpito lo vive drammaticamente.
Analogamente, le tre ipostasi neoplatoniche di Uno, Intelletto e Anima non rappresentano di per sé una cosmologia ma solo una descrizione della realtà così come il saggio la incontra nel proprio cammino, per cui l'anima deve volgersi dalle cose materiali a quelle spirituali contemplando le verità dell'intelletto per ritrovare l'unità del reale, senza cui non si darebbe nessuna saggezza...

Da queste precisazioni acquista un senso diverso da quello usualmente tramandato l'aneddoto secondo cui Plotino una volta avrebbe esclamato di vergognarsi del proprio corpo. Che senso dare all'affermazione? Forse Plotino era ridotto così male che pensava di aver vissuto già troppo o forse era tanta l'aspirazione alla saggezza che non aveva amato più il proprio corpo? In questo ultimo caso, l'affermazione comunque sarebbe da collocarsi in un momento di insavia non già di possesso dei risultati della propria filosofia...
E insomma il mondo della cultura dovrebbe abbandonare i 'luoghi comuni' costruiti su Platone, il pensiero platonico, il platonismo, il neoplatonismo; secondo questi luoghi comuni ci sarebbe in tale movimento filosofico, forse il principale nella vicenda della filosofia, una trascuranza o peggio una svalutazione della corporeità, ma evidentemente questo non può riguardare suddetto movimento in quanto tale... E dunque le critiche cristiane mosse ad esso non possono essere con giustezza riferite a ciò in cui consisteva esso stesso; tanto è vero che gli stessi primi critici cristiani nel rivalutare il ruolo della materia assumevano di esso movimento le stesse nozioni per altri versi criticate... Né si trova che i platonici non cristiani del mondo antico rimanessero inerti e impotenti; per esempio la specificazione del valore della materia non è solo da parte di Agostino, ma anche di Proclo.

Vale la pena di trattare l'eredità platonica con rispetto senza cadere nei tranelli tesi da una falsa cultura purtroppo diffusissima anche in mezzo alla vera.


Mauro Pastore

niko

In realta', quello che divise i cristiani dal platonismo fu non tanto il disprezzo per il corpo (ci hai colto), che non era pieno e reale gia' in Platone, e non era pieno e reale tanto meno nel cristianesimo delle origini (ancora di piu', ci hai colto) ma il fatto che il platonismo valorizza la reminiscenza e la conoscenza, dunque il passato, il cristianesimo, figlio dell'ebraismo, valorizza la fede e la profezia, dunque il futuro.

Molto piu' delle possibili divergenze riguardo allo psicosoma, queste due visioni del mondo NON hanno lo stesso sentimento del tempo, la stessa valorizzazione etica delle dimensioni temporali.

Pesiero dell'eskaton da una parte, e pensiero della decadenza, dall'altra.

Il giudizio sul tempo e' necessariamente anche un giudizio sull'irreversibile: chi ama il passato (e con esso la conoscenza), stante la realta' innegabile del male, sostanzialmente pensa che il male, la caduta nel male, sia irreversibile; chi ama il futuro (e con esso la profezia e la fede) pensa alla redenzione e all'emandazione del male, alla trasformazione del male in bene, e quindi apre lentamente le porte a quell'immenso cambiamento storico e culturale che portera' da un mondo egemonizzato dal paganesimo e dalla filosofia a un mondo dominato dalle religioni del libro, religioni in un modo o nell'altro della conversione e della redenzione.

E' per questo che i cristiani gnostici, rimasti nell'orizzonte della conoscenza salvifica e della conversione retrospettiva al passato inteso come stato increato, e quindi ideale, del mondo, sono rimasti sostanzialmente platonici.

Gli gnostici sono rimasti nel giorno eterno, sono rimasti in Platone, mentre i portatori della (nuova) ortodossia hanno imposto una sorta di supremazia etica del perenne (ex nunc), sull'eterno (ex tunc), dunque un pensiero della reversibilita' del male e della fede in un futuro indeterminato, che e' assolutamente inesistente in Platone.

Detto questo, ci sono delle affermazioni innegabili di svalutazione del corpo in Platone, e di preferenza della morte sulla vita difficile da giustificare da un punto di vista vitalistico (il canto del cigno nel Fedone, ad esempio, oltreche' il corpo vome prigione dell'anima e tante altre).

La questione e' complessa, e piu' che un odio del corpo, si tenta di delineare un sospetto verso l'io e l'ego, che nel corpo risiedono, per guadagnare una migliore oggettivita' e imparzialita' nell'episteme, nello stesso quadro in cui si tenta di confutare la sofistica, ed esaltare come sommo bene la giustizia, giustizia in cui nessun "io" prevale su un "tu".

Il corpo e' messo sotto accusa in quanto sede di una molteplicita' meno perfetta dell'Uno originario.

Unita' che deve essere ricostruita con il dialogo reale tra persone, e, secondariamente, con il pensiero, in quanto dialogo interiore.

E' sempre chiamata in causa l'inesauribile questione di stabilire quanto è se il personaggio letterario  di Socrate sia portatore unico e preferenziale del punto di vista di Platone, perche' e' sempre il persobaggio di Socrate, che pronuncia le frasi di svalutazione del corpo.

E di fatto poi apprezza in senso inequivocabilmento -omo-sessuale molti ragazzini e uomini, dimostrando di apprezzare gli amori carnali.

La questione e' che tutta la filosofia in Platone vuole presentarsi come un ingentilimento e una sublimazione del rapporto pederastico, che idealmente dovrebbe sfociare nel rapporto maestro-alievo, lasciando nel mistero quanto della componente sessuale originaria rimanga/permanga.

La maggior parte degli interpreti considera le celeberrime ultime parole di Socrate:

 "dobbiamo un gallo ad Asclepio"

Una forte ed ennesima affermazione antivitalistica, di svalutazione del corpo e amoreggiamento con la morte: Asclepio e' il dio della medicina, e Socrate sta bevendo non una medicona, ma un veleno (o meglio un pharmakon, che significa sia medicina, che veleno!) .

Quindi con cio' si vorrebbe definire la morte come medicina e cura della vita: Asclepio ci fa la grazia di farci morire, andando verso una vita extracorpirea migliore, o comunque, quantomeno, verso la fine di tutte le sofferenze, e noi lo ringraziamo, offrendogli in sacrificio un gallo.

Questa e' l'interpretazione ufficiale, quella che va per la maggiore.

Uno dei punti piu' antivitalistici e di condanna del corpo che si possono trovare in Platone, in piu' in una posizione "topica" di massima evidenza, perche' sono le ultime parole di Socrate.

Ma ci sono almeno altre due interpretazioni: una ironica e una assurdamente vitalistica: quella ironica e' semicemente che un uomo in salute ha accettato di bere un veleno in esecuzione di una legge e di una sentenza, accettando la morte per le sue idee e per la coerenza davanti ai propri discepoli, ma facendo con cio' torto ad Asclepio che e' il Dio della salute e della medicina e mai vorrebbe che qualcuno in salute e nel pieno delle forze si stroncasse da solo bevendo veleno, facendo uso sbagliato, ed , di un farmaco: in questo senso, dobbiamo un gallo ad Asclepio, semplicemente perche' Asclepio e' indignato per ogni vita sana costretta a suicidarsi, e bisogna placarlo con un sacrificio, magari, appunto, di un gallo.

Ma l'interpretazione genuinamente vitalistica, anche se difficilmente sostenibile, praticamente fantasiosa, e' che Socrate, con la frase "dobbiamo un gallo ad Asclepio", come in un lampo di imparzialita' e visione non soggettiva delle cose, si rende conto delle ragioni, pratiche, anche se magari non etiche, che hanno portato i suoi nemici a condannarlo a morte, e, dunque, degli aspetti insostenibili, perche', appunto, antivitali, della sua stessa filosofia. Distruggendo tutte le certezze, si distrugge la possibilita' stessa della vita. E Socrate non aveva il "diritto" di far seprpeggiare il dubbio metodico e radicale su praticamente  ogni aspetto dell'etica e della virtu' nella sua stessa citta'; citta' che ora, "giustamente", lo condanna a morte, per difendere i presupposti pratici (fede nei miti, nei poeti, nella tradizione, nel tragico, nella democrazia, nella sofistica, insomma fede in qualcosa piuttosto che nel nulla), a prescindere da quelli etici, della sua stessa vita di comunita' e di citta'.

In questo, senso dice ai suoi discepoli:  "Dobbiamo un gallo ad Asclepio" perche' il torto contro la vita lo abbiamo fatto noi, non i nostri accusatori.

Ci vuole una espiazione pienamente volontaria, non una conseguente a una sentenza.

Di questa esperienza filosofica  che ha diffuso il dubbio fino a mettere in dubbio la "vita", (cioe' fino a mettere in dubbio i valori tradizionali e attuali della citta') ne e' valsa la pena, ma ne dobbiamo pagare, e soprattutto riconoscere, le conseguenze.

Il contrario esatto di uno spirito di vendetta.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

PhyroSphera

Citazione di: niko il 01 Dicembre 2022, 19:29:20 PMIn realta', quello che divise i cristiani dal platonismo fu non tanto il disprezzo per il corpo (ci hai colto), che non era pieno e reale gia' in Platone, e non era pieno e reale tanto meno nel cristianesimo delle origini (ancora di piu', ci hai colto) ma il fatto che il platonismo valorizza la reminiscenza e la conoscenza, dunque il passato, il cristianesimo, figlio dell'ebraismo, valorizza la fede e la profezia, dunque il futuro.

Molto piu' delle possibili divergenze riguardo allo psicosoma, queste due visioni del mondo NON hanno lo stesso sentimento del tempo, la stessa valorizzazione etica delle dimensioni temporali.

Pesiero dell'eskaton da una parte, e pensiero della decadenza, dall'altra.

Il giudizio sul tempo e' necessariamente anche un giudizio sull'irreversibile: chi ama il passato (e con esso la conoscenza), stante la realta' innegabile del male, sostanzialmente pensa che il male, la caduta nel male, sia irreversibile; chi ama il futuro (e con esso la profezia e la fede) pensa alla redenzione e all'emandazione del male, alla trasformazione del male in bene, e quindi apre lentamente le porte a quell'immenso cambiamento storico e culturale che portera' da un mondo egemonizzato dal paganesimo e dalla filosofia a un mondo dominato dalle religioni del libro, religioni in un modo o nell'altro della conversione e della redenzione.

E' per questo che i cristiani gnostici, rimasti nell'orizzonte della conoscenza salvifica e della conversione retrospettiva al passato inteso come stato increato, e quindi ideale, del mondo, sono rimasti sostanzialmente platonici.

Gli gnostici sono rimasti nel giorno eterno, sono rimasti in Platone, mentre i portatori della (nuova) ortodossia hanno imposto una sorta di supremazia etica del perenne (ex nunc), sull'eterno (ex tunc), dunque un pensiero della reversibilita' del male e della fede in un futuro indeterminato, che e' assolutamente inesistente in Platone.

Detto questo, ci sono delle affermazioni innegabili di svalutazione del corpo in Platone, e di preferenza della morte sulla vita difficile da giustificare da un punto di vista vitalistico (il canto del cigno nel Fedone, ad esempio, oltreche' il corpo vome prigione dell'anima e tante altre).

La questione e' complessa, e piu' che un odio del corpo, si tenta di delineare un sospetto verso l'io e l'ego, che nel corpo risiedono, per guadagnare una migliore oggettivita' e imparzialita' nell'episteme, nello stesso quadro in cui si tenta di confutare la sofistica, ed esaltare come sommo bene la giustizia, giustizia in cui nessun "io" prevale su un "tu".

Il corpo e' messo sotto accusa in quanto sede di una molteplicita' meno perfetta dell'Uno originario.

Unita' che deve essere ricostruita con il dialogo reale tra persone, e, secondariamente, con il pensiero, in quanto dialogo interiore.

E' sempre chiamata in causa l'inesauribile questione di stabilire quanto è se il personaggio letterario  di Socrate sia portatore unico e preferenziale del punto di vista di Platone, perche' e' sempre il persobaggio di Socrate, che pronuncia le frasi di svalutazione del corpo.

E di fatto poi apprezza in senso inequivocabilmento -omo-sessuale molti ragazzini e uomini, dimostrando di apprezzare gli amori carnali.

La questione e' che tutta la filosofia in Platone vuole presentarsi come un ingentilimento e una sublimazione del rapporto pederastico, che idealmente dovrebbe sfociare nel rapporto maestro-alievo, lasciando nel mistero quanto della componente sessuale originaria rimanga/permanga.

La maggior parte degli interpreti considera le celeberrime ultime parole di Socrate:

 "dobbiamo un gallo ad Asclepio"

Una forte ed ennesima affermazione antivitalistica, di svalutazione del corpo e amoreggiamento con la morte: Asclepio e' il dio della medicina, e Socrate sta bevendo non una medicona, ma un veleno (o meglio un pharmakon, che significa sia medicina, che veleno!) .

Quindi con cio' si vorrebbe definire la morte come medicina e cura della vita: Asclepio ci fa la grazia di farci morire, andando verso una vita extracorpirea migliore, o comunque, quantomeno, verso la fine di tutte le sofferenze, e noi lo ringraziamo, offrendogli in sacrificio un gallo.

Questa e' l'interpretazione ufficiale, quella che va per la maggiore.

Uno dei punti piu' antivitalistici e di condanna del corpo che si possono trovare in Platone, in piu' in una posizione "topica" di massima evidenza, perche' sono le ultime parole di Socrate.

Ma ci sono almeno altre due interpretazioni: una ironica e una assurdamente vitalistica: quella ironica e' semicemente che un uomo in salute ha accettato di bere un veleno in esecuzione di una legge e di una sentenza, accettando la morte per le sue idee e per la coerenza davanti ai propri discepoli, ma facendo con cio' torto ad Asclepio che e' il Dio della salute e della medicina e mai vorrebbe che qualcuno in salute e nel pieno delle forze si stroncasse da solo bevendo veleno, facendo uso sbagliato, ed , di un farmaco: in questo senso, dobbiamo un gallo ad Asclepio, semplicemente perche' Asclepio e' indignato per ogni vita sana costretta a suicidarsi, e bisogna placarlo con un sacrificio, magari, appunto, di un gallo.

Ma l'interpretazione genuinamente vitalistica, anche se difficilmente sostenibile, praticamente fantasiosa, e' che Socrate, con la frase "dobbiamo un gallo ad Asclepio", come in un lampo di imparzialita' e visione non soggettiva delle cose, si rende conto delle ragioni, pratiche, anche se magari non etiche, che hanno portato i suoi nemici a condannarlo a morte, e, dunque, degli aspetti insostenibili, perche', appunto, antivitali, della sua stessa filosofia. Distruggendo tutte le certezze, si distrugge la possibilita' stessa della vita. E Socrate non aveva il "diritto" di far seprpeggiare il dubbio metodico e radicale su praticamente  ogni aspetto dell'etica e della virtu' nella sua stessa citta'; citta' che ora, "giustamente", lo condanna a morte, per difendere i presupposti pratici (fede nei miti, nei poeti, nella tradizione, nel tragico, nella democrazia, nella sofistica, insomma fede in qualcosa piuttosto che nel nulla), a prescindere da quelli etici, della sua stessa vita di comunita' e di citta'.

In questo, senso dice ai suoi discepoli:  "Dobbiamo un gallo ad Asclepio" perche' il torto contro la vita lo abbiamo fatto noi, non i nostri accusatori.

Ci vuole una espiazione pienamente volontaria, non una conseguente a una sentenza.

Di questa esperienza filosofica  che ha diffuso il dubbio fino a mettere in dubbio la "vita", (cioe' fino a mettere in dubbio i valori tradizionali e attuali della citta') ne e' valsa la pena, ma ne dobbiamo pagare, e soprattutto riconoscere, le conseguenze.

Il contrario esatto di uno spirito di vendetta.




Per me la tua è una teoria tutta sbagliata sulla storia e sulla filosofia e anche sulle biografie. Inoltre noto che non ti confronti col pensiero altrui.

Mauro Pastore 

niko

Citazione di: PhyroSphera il 02 Dicembre 2022, 00:42:01 AMPer me la tua è una teoria tutta sbagliata sulla storia e sulla filosofia e anche sulle biografie. Inoltre noto che non ti confronti col pensiero altrui.

Mauro Pastore

Vedi quello che ti ho detto nel tread su Schopenahuer: io mi confronto finche' tu, me ne dai la possibilita'.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

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