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Sostanza dell'essere

Aperto da Mariano, 01 Dicembre 2021, 22:49:54 PM

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Jacopus

Per rispondere a Iano. Non metto la mia coscienza in relazione ad un'anima in cui non credo, ma non posso neppure considerare tutte le coscienze degli esseri viventi allo stesso livello. Avere la percezione di essere è necessario a tutti gli organismi viventi. I batteri se li mettiamo in un luogo troppo caldo cercheranno di spostarsi verso un luogo meno caldo. Ma la percezione di essere e di cercare di sopravvivere è già coscienza? Nel caso dell'uomo e dei mammiferi superiori, la coscienza assume una fisionomia molto più complessa. Il cane risponde al nome Fido, sa di essere Fido, mentre il batterio potete anche chiamarlo Ringo ma dubito che lui saprà di essere Ringo. L'uomo, oltre a cercare di sopravvivere (liv. 1), oltre a sapere di essere Mario (liv. 2), si domanderà: " perché sono Mario, e non sono Giovanni? e soprattutto si domanderà " perché penso?"( liv. 3). Senza sottilizzare fra Cartesio e Damasio, il nocciolo della coscienza è questo.
La domanda successiva è chiedersi se questa coscienza di terzo livello deriva esclusivamente dal cervello umano, nella sua modulazione fra cognizioni ed emozioni, oppure dal cervello umano in relazione alla storia culturale dell'uomo, che interagiscono reciprocamente. Questa è la mia posizione, autorevolmente sostenuta dal neurofilosofo Northoff.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

@ Jacopus
Sicuramente le coscienze dei diversi esseri viventi non sono equivalenti, ma a che serve saperlo se poi non sono in grado di discriminare con certezza i diversi livelli?
Non è che nella ricerca di una semplificazione operativa io voglia negare la ricchezza dei diversi livelli, ma anzi provare a ridefinirli laddove se ne presenti la necessità ripartendo da una base operativa.
Neanch'io credo nell'anima, ma non perciò mi confondo con la pura materia, quella che "agisce" in modo determinato.
Mi si confondono invece le idee quando devo distinguere diversi livelli in modo incerto.
Comunque leggerei volentieri l'autore che citi per potermi ricredere.
Io non sapevo neanche dell'esistenza dei neurofilosofi.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

@jacopus
Con l'ultimo post ti sei risposto al precedente. La autocoscienza ha stadi evolutivi successivi, ma che abbia bisogno di un supporto materiale per esistere lo sapevano anche gli antichi ed è di una evidenza cristallina al netto di ogni nominalismo. Del resto fin dall'inizio hai parlato molto opportunamente dell'organo biologico che la contiene e le permette di "sostanziarsi" pur rimanendo nella sua immaterialità; accidentale, direbbe Aristotele.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Caro iano
Intanto separerei l'essere dalla coscienza. Essere Essente è tutto ciò che esiste indipendentemente da un osservatore umano che lo pensa. Le prove per separare l'essente dall'osservatore umano sono molteplici e convincenti.

Sull'essenza dell'essente umano che chiamiamo essere,(per antonomasia, con l'articolo davanti), si esce dalla fisica e si entra nella metafisica.

La sostanza dell'essere umano è la sua matrice biologica di cui l'autocoscienza è un accidente evolutivo di successo grazie ad una intelligenza fuori dal coro. Dire una parola di più LW nol consente. Tipo: la sostanza dell'essere. Essere, chi ?
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve jacopus. Citandoti : "Il cane risponde al nome Fido, sa di essere Fido, mentre il batterio potete anche chiamarlo Ringo ma dubito che lui saprà di essere Ringo".

Infatti la coscenzialità non è affatto una condizione on-off (mancante prima di un certo livello di complessità neurologica e che si manifesti ad un certo punto al comparire di una certa complessità neurologica).


La coscenzialità è secondo me la risultante di un certo bilancio (sempre presente ma variabilmente evidente) tra la passività e l'attività biologica (ed ovviamente soprattutto neurologica) del soggetto.

Infatti in batterio è organismo assai più passivo che attivo, quindi avrà grossi problemi nel risultare cosciente del fatto che lo stimolo sonoro (non credo che i batteri abbiano le orecchie) "Ringo" riguardi la sua esistenza individuale. Infatti la molteplicità e l'acutezza dei sensi (quasi mancanti nelle forme elementari di vita) sono ciò che permette SUPERIORI LIVELLI DI COSCENZIALITA'.

Infatti poi a livello canino (mi chiamo Fido e sono molto vivo) e poi magari umano (mi chiamo Genio e sono il vertice della biologia).......................................il grado di attività (intensità delle relazioni con il proprio ambiente) è - ovviamente del tutto diverso e superiore.


Ma la coscienza è funzione comunque connessa all'esistenza di un qualsiasi sistema nervoso, ed il fatto che essa non sia precisamente individuabile dipende appunto dal suo risultare gradualmente diffusa ma tuttavia permeante tutti gli organismi dotati appunto di una qualsiasi (sensibilità=sistema nervoso). Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jacopus

Ipazia. L'immaterialità accidentale la colloco nel processo culturale che la specie homo sapiens ha messo in atto da circa 40.000 anni, almeno a quanto risulta finora. Accanto a tale immaterialità tuttaltro che metafisica, vi è un secondo oggetto che ci permette di avere una coscienza così sofisticata, ovvero il cervello e il sistema nervoso centrale e periferico. Le due condizioni interagiscono.
In modo appropriato citi per iniziali anche Wittgenstein, per il quale il linguaggio non è la funzione per esprimere concetti e giudizi (due tipiche espressioni della coscienza) ma la causa che ci permette di esprimere concetti e giudizi, che saranno influenzati in modo rilevante proprio dal linguaggio usato. Basti pensare che il concetto di "essere" non è presente in tutte le lingue umane, mentre noi in Occidente ne abbiamo fatto un mantra da qualche millennio.
L'essere, la coscienza, l'autocoscienza hanno una storia culturale che si innestano, come se si trattasse di un programma, in un cervello che sarà operativo a partire da un sistema di funzionamento di base che è quello che ha appreso linguisticamente e culturalmente. Se i Computer, per funzionare, hanno bisogno di ambiente IOS o Windows o Android, noi attiviamo il nostro SNC tramite l'ambiente culturale di cui facciamo parte. Il concetto stesso di cervello e come il cervello si percepisce e viene percepito modifica il suo funzionamento. Per questo motivo la coscienza non può essere solo un attributo individuale.


Viator. Quello che scrivi mi trova sostanzialmente d'accordo. Ho già scritto e riscritto che il termine coscienza ha diverse possibili significati. I batteri non hanno sistema nervoso e neppure cervello, ma hanno la capacità di sopravvivere e di distinguere le situazioni confortevoli e che facilitano la loro vita da quelle che invece l'avversano. Hanno per solo questo motivo una coscienza? Non saprei rispondere, ma in omaggio al tanto di moda "postumanesimo" mi sono limitato a fornire una scala su vari livelli della coscienza, suggerendo che anche il batterio ne possa avere una molto arcaica. Nel contesto batterico "coscienza" quindi equivale a "difendere la propria vitalità" e il batterio lo sa fare benissimo. Ma già le api, nel momento in cui si relazionano fra di loro o reagiscono alle aggressioni di un calabrone, mettono in atto un comportamento più complesso e di complessità in complessità, i processi evolutivi hanno scommesso nell'ingrandimento di un organo, il cervello, a sfavore di altri organi che si sono atrofizzati o ridimensionati. Vedremo se questa scommessa avrà successo, considerando il successo nei termini di permanenza più o meno lunga della specie homo sapiens sulla terra.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Mariano

#36

Scusate il mio rozzo intervento, ma per dialogare ritengo necessario chiarire cosa si intende per le parole che si usano.

E spesso le parole assumono significati diversi in funzione di chi le adopera, e se poi si vanno a consultare i vocabolari la confusione può aumentare.
Con il pericolo di tediare chi legge, elenco qui di seguito il significato che io intendo relativamente alle principali parole di questo "topic":
·        L'essere: un corpo che ha vita;
·        Vita: forza in virtù della quale  un essere reagisce agli stimoli;
·        Sostanza: proprietà dell'essere aldilà del suo apparire;
·        Coscienza: capacità di essere consapevoli delle proprie azioni (per le persone sappiamo che statisticamente è così, per gli altri esseri possiamo solo immaginarlo);
·        Anima: principio immateriale composto al corpo (le neuroscienze potranno illuminarci nel futuro);
Ammettendo la mia ignoranza sul DNA e sulle neuroscienze, in mio scritto iniziale significava interrogarsi se nel futuro la neuroscienza saprà dare una definizione logica dell'anima.


iano

#37
Citazione di: Ipazia il 05 Dicembre 2021, 14:46:39 PM
Caro iano
Intanto separerei l'essere dalla coscienza. Essere Essente è tutto ciò che esiste indipendentemente da un osservatore umano che lo pensa. Le prove per separare l'essente dall'osservatore umano sono molteplici e convincenti.

Sull'essenza dell'essente umano che chiamiamo essere,(per antonomasia, con l'articolo davanti), si esce dalla fisica e si entra nella metafisica.

La sostanza dell'essere umano è la sua matrice biologica di cui l'autocoscienza è un accidente evolutivo di successo grazie ad una intelligenza fuori dal coro. Dire una parola di più LW nol consente. Tipo: la sostanza dell'essere. Essere, chi ?

Che ci sia un essere indipendente dell'osservatore convengo, chiamiamolo qui per comodità metaessere, ma se da esso è indipendente non coincide con ciò  che esso afferma per averne preso coscienza.
L'essere è il risultato della nostra interazione col metaessere , meglio detto realtà.
Quindi non si esce dalla fisica, ma ci si rapporta con la metafisica, cioè con la realtà in quanto ipotesi non dimostrabile, ragionevolmente assunta.
L'essere fisico non è definitivo perché la sua natura è funzionale.
Se considero essere lo spazio assoluto mi rapporto con la realtà in un modo, se considero che non esiste mi rapporto in un altro, ma non esiste nessuno spazio di nessun tipo necessariamente.
O se preferisci esiste, ma non in modo indipendente dall'osservatore.
Il nostro rapporto con la realtà è flessibile , perché indiretto.
Non abbiamo accesso diretto a nessun essere.
Nella misura in cui crediamo di avervi accesso non può essere separato dalla coscienza.
La coscienza ci appare esser un accidente evolutivo in effetti, ma non è per questa via che possiamo comprenderla.
Per puro accidente in ogni caso  si realizza solo il possibile, ciò che è già in potenza.
Sta a noi decidere se la coscienza era già in potenza nella materia, o se sia meglio considerare la materia come quell'essere  non indipendente dall'osservatore, che l'osservatore trae dal suo rapporto con la realtà come prodotto della coscienza. Allora dovremo convenire che un prodotto della coscienza non può produrre coscienza.


Il motivo per cui ci pare di vivere in un mondo fatto di esseri da noi indipendenti è che tutti lo condividiamo,, ma se lo condividiamo è perché c'è un motivo funzionale.
Se vedere il mondo tutti in un certo modo funziona se ne può trarre un impressione di oggettività.
È però un impressione errata, perché non c'è un solo modo di vedere le cose che funziona.
Questo è il motivo che rende possibile l'evoluzione, la quale si sostanzia nel riuscire a "rivedere l'ambiente" in modo funzionale ai suoi mutamenti.


Osa comporta tale modo di vedere le cose?
Comporta che possiamo ben confermare che la fisica funziona, ma senza andare oltre.
Senza affezionarsi troppo agli atomi come cose che sono in se', pronti quindi ad abbracciare nuove teorie che si affianchino alla chimica seppur queste comportassero  "l'esistenza" di essenti in contraddizione con quelli della chimica.
Possono coesistere funzionalità fra loro in contraddizione se operativamente disgiunte.
Posso applicare la teoria di Newton col suo spazio assoluto perché funziona, e posso applicare quella di Einstein col suo spazio- tempo. Basta non pretendere di applicarle insieme.
Ma ciò comporta che non esiste nessuno spazio Newtoniano e nessuno spazio-tempo, nel senso di un esistenza in quanto tale.
L'esistenza in quanto tale può essere solo supposta, e noi la supponiamo riferendoci alla realtà in quanto tale.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Jacopus

Rispondo come posso a Mariano. Se intendi con anima "principio immateriale composto al corpo", dubito che le neuroscienze potranno rispondere al tuo quesito. La scienza in generale non si occupa di trovare l'anima o dargli una definizione logica. Un tentativo famoso fu quello di Cartesio che credette di aver trovato l'anima nella ghiandola pineale, che era l'unica parte del cervello a non essere doppia. In realtà la ghiandola pineale ci racconta un'altra storia. Essendo presente in tutti i vertebrati, è una delle tante prove dell'origine comune della vita, visto che vertebrati sono gli uccelli, i pesci, i mammiferi, i rettili e gli anfibi.
La scienza non si occupa di anima perchè non è visibile e non è individuabile sperimentalmente, nè si sono mai verificati episodi in cui l'anima ha prodotto delle conseguenze nel mondo fisico. Molto interesse l'anima la suscita, oltre che nei religiosi, negli storici, compresi gli storici della filosofia, nei sociologi e negli antropologi e negli psicologi, ma il loro interesse è determinato dal voler comprendere i comportamenti sociali ed individuali che vengono attivati dalla credenza in una entità immateriale e legata al senso del sacro come l'anima. Ma il loro interesse è esterno alla credenza dell'anima. La studiano come un oggetto di interesse perchè ha prodotto delle azioni e dei pensieri importanti nel corso della storia umana, non perchè "esistente".
D'altra parte, pensare ad una scienza in grado di definire o sezionare l'anima metodologicamente, mi appare inquietante. L'anima lasciamola vagare piccola e dolce fra i versi dei poeti.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

daniele22

Un'intelligenza, la nostra, tanto fuori dal coro da risultare perfino stonata. A parte che saranno i posteri a valutare il successo della nostra specie, volevo esprimere un pensiero. Se l'evidenza della materia sta nell'atomo (presempio l'idrogeno: una carica positiva e una negativa) e l'evidenza della vita di un vivente sta nel rapporto tra bene e male (anche qui vige un gioco tra positivo e negativo), non vedo per quale motivo nelle nostre attenzioni all' essere tale duplice aspetto così pervasivo non sia posto in evidenza. O meglio, il motivo c'è, ma lo si fa ricadere nella metafisica

iano

#40
Citazione di: daniele22 il 06 Dicembre 2021, 07:48:50 AM
Un'intelligenza, la nostra, tanto fuori dal coro da risultare perfino stonata. A parte che saranno i posteri a valutare il successo della nostra specie, volevo esprimere un pensiero. Se l'evidenza della materia sta nell'atomo (presempio l'idrogeno: una carica positiva e una negativa) e l'evidenza della vita di un vivente sta nel rapporto tra bene e male (anche qui vige un gioco tra positivo e negativo), non vedo per quale motivo nelle nostre attenzioni all' essere tale duplice aspetto così pervasivo non sia posto in evidenza. O meglio, il motivo c'è, ma lo si fa ricadere nella metafisica
A me gli aspetti dell'essere sembrano molteplici e diversi sono i gradi con cui li percepiamo.
Credo che il gioco della conoscenza consista in un primo tempo in una necessaria semplificazione che poi con più calma necessariamente va' rivista, di modo che dopo aver tagliato con l'accetta la nostra percezione della realtà ne riscopriamo poi la continuità.
Diciamo che nel nostro cervello ci sta quello che ci sta e non tutto necessariamente deve starci se la sua capienza , come dice Jacopus, è a scapito di altre risorse cui in cambio si rinuncia, baratto la cui convenienza non è scontata.
Dallo stesso Jacopus apprendo che siamo in una fase di post-umanesimo, e ciò in effetti coincide col mio sentire.
In armonia con ciò Jacopus parla di una coscienza che non può essere solo individuale, e in tal senso io parlo di una individualità convenzionale, non nascondendomi la difficoltà che a cio' sembra sfuggire l'unità  pensante quale ci percepiamo. Unità che persiste a dispetto del fatto che la materia su cui insiste muta in continuazione, tal che ogni pensiero stesso , ogni azione la più banale, come tamburellare con un dito sul tavolo, la muta in tempo reale.
Al che ' viene quasi l'ansia di badare bene a ciò che si fa' per non compromettere l'investimento fatto.
Ma se l'unità permane nel cambiamento allora diventa facile appellarsi all'anima, la quale, se è, è garanzia di essere immodificabile, in quanto non manipolabile.
Si torna al paradosso di un divenire che per essere giustificato abbisogna di un essere che rimanga tale e quale, così che la sostanza del divenire sembra essere il suo contrario.
Ma un tale essere a cui paradossalmente sembra non si possa rinunciare a garanzia del divenire, trova il massimo esponente nell'idea di anima, perché priva di scadenza. È sempre lì, ovunque stia, anche quando gli va' a finire male.
È un concetto limite a cui non si può rinunciare.
In una ritrovata continuità del reale post-umanista, dovrebbe meglio apparirci che la differenza fra fisico e metafisico è una sfumatura che ci è toccato finora necessariamente marcare per assecondare le limitate risorse craniche .
A pelle non parteggio per la metafisica. Tutto il contrario. Però mi sembra che manchiamo di sottolineare i diversi gradi con cui  l'essere ci appare,  i quali a quanto sembra si possono sfumare fino a renderlo impalpabile, e che non può quindi liquidarsi ad infinitum con un essere in quanto tale.
Sia pure che sia stata una necessaria semplificazione, ma è arrivato il momento di renderne conto, se le risorse craniche   ci assecondano in modo sostenibile, perché pure esse hanno un limite, e quando non possono impegnarsi troppo si inventano concetti leggeri e vaghi .
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#41
La materia è quella cosa che muta secondo leggi costanti.
La legge stessa è sinonimo dì costanza.
Quale mutamento sarebbe quello da cui non possa trarsi costanza?
Seppure vi fosse esso non avrebbe come riferimento l'essere.
La sostanza dell'essere sembra dunque stare nella ripetizione , potendosi percepire ciò che si ripete uguale, acquisendo una dimensione temporale.
Su questo essere immerso nel tempo si innesta la vita come ciò che sfugge alle leggi, ma che non ha altro modo di farlo che basandosi su esse. Lo fa' in armonia con esse, senza comprometterle.
Non si può sperare quindi di trovare un senso nella vita se non si trova un senso nel suo contrario.
Ma il fatto stesso che vi sia una tale frattura funzionale nell'essere sembra già un insanabile non sense, tanto da chiedersi quanto sia reale.
La realtà, per dirla in sintonia con Bobmax, è una, ma frazionabile ,perciò là si può percepire, dove la percezione è una relazione fra parti, ma nel percepirla si è di fatto rinunciato a poterla comprendere.
Se pure ciò può vedersi come una condanna , l'essere come prodotto del peccato originale della conoscenza, disperando una redenzione, godiamoci almeno il fatto che ci sono tanti modi di peccare e che possiamo sperimentarli tutti.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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daniele22


"A me gli aspetti dell'essere sembrano molteplici e diversi sono i gradi in cui li percepiamo."
Non mi è molto chiara questa tua affermazione, cmq proviamo ad andare oltre. Porre il problema dell "essere", fintanto che non si riesca a definirlo in termini abbastanza soddisfacenti equivale per me mettere sul piatto una sensazione, ovvero la sensazione dell'esistenza dell'essere. Sembra che tutti lo si percepisca, io compreso, ma non so di preciso quale sia la prova della sua effettiva esistenza al di là  della semplice parola che lo rappresenta (per me lo stesso vale anche per la parola Dio, o per la parola Coscienza). Tra l'altro ricordo che nel topic dove si parlava del senso della storia umana senza Dio tu mettevi in dubbio l'esistenza del concetto "storia umana".
Ora accade che io sia poco competente in storia della filosofia, quindi che possa dire delle stupidaggini, ma mi son fatto la sensazione che la filosofia non abbia risposto in modo esauriente quali siano le fattezze dell'essere. Non so se, da ultimo Heidegger, nel suo accostarlo al tempo, forse a farlo coincidere col tempo, ne abbia dato un'idea esaustiva. Ma se i suoi insegnamenti legittimano ad esempio l'emersione dell'idea che l'essere umano sia dominato dalla volontà di dominio, non riconoscendomi in questo atteggiamento non posso far altro che contestarlo (se non Heidegger, l'emersione di quell'idea). Non sarebbe cioè questo ciò che produce l'essere attraverso le immagini che io raccolgo dal divenire.
Ti rimando a questo punto al mio post precedente in cui esprimo io (la mia sensazione) dove dovrebbe svolgersi la ricerca dell'essere in modo tale da farlo apparire più chiaro, ma forse pure più scomodo (la duplicità nella sua unità). Ricordo tra l'altro quello che ha detto Ipazia circa l'unità psicofisica che ti porti dentro dalla nascita alla morte e Jacopus nel dire che le cellule del sistema nervoso son sempre quelle, non ricambiandosi, e suggerendo tra l'altro che lui cercherebbe semmai lì, se ci fosse, la sostanza dell'essere. E pure Viator con la sua definizione di "essere" come una condizione per cui ... le cose accadono. Per me, questi ultimi e molti altri non qui citati, rappresenterebbero tutta una serie di tasselli che concorrerebbero alla formazione di un quadro che dovrebbe risultare infine coerente

iano

#43
Ciao Daniele.
Al di la' della dimostrazione di esistenza, l'essere ci appare in diverso grado.
Una roccia  non ci appare come un atomo, se concediamo alla scienza di essere un modo in cui le cose ci appaiono, e le idee in altro grado di esistenza ci appaiono . Possono coesistere tutti questi diversi tipi di essere in un solo mondo in base ad un unica definizione se Platone sentiva l'esigenza di relegarli in mondi a parte?
La scommessa che possiamo fare è che nonostante i loro diversi gradi di apparenza abbiano origine comune e possano condividere quindi lo stesso luogo.
La vecchia definizione di essere in quanto tale non rende conto però dei diversi gradi dell'essere.
Intuitivamente vale bene per una roccia, ma meno bene per le idee.
Una definizione che fosse operativa, dove l'essere è qualcosa che noi costruiamo, darebbe meglio conto dei diversi gradi.
Certo, intuitivamente essa varrebbe più per una idea, che per una roccia.
Ma un essere come costruzione rende conto dei diversi suoi gradi se si trova una variabile che li modula, e questa variabile è la coscienza.
Più ne usi nella costruzione minore appare la consistenza dell'essere.
Così l'idea, sulla cui esistenza pure scommettiamo, è eterea quanto certamente costruita, essendo testimoni della sua nascita se non autori, sebbene non abbiamo coscienza di come facciamo a costruirla. Gli enti della fisica mostrano più consistenza, sappiamo infatti come facciamo a costruirli in laboratorio.
La roccia invece mostra la massima consistenza perché il processo che la genera ci è del tutto ignoto, o quasi.
Ammetto che riuscire a vedere un atomo come qualcosa di costruito non è facile.
Ma non si può neanche negare che non lo "percepiamo" con la stessa consistenza di una roccia.
Io non credo che la realtà sia fatta di atomi o di idee, ma anche di questi e di quelle.
Però esistono finché ci siamo noi che li costruiamo, essendo il risultato della nostra esclusiva interazione con la realtà.
Lo spazio Newtoniano fino a un certo punto lo abbiamo costruito, e perciò esisteva, poi abbiamo smesso di costruirlo e quindi non esiste più.
O forse è più corretto dire che ha perso consistenza, declassato da etere a qualcosa se possibile di ancora più inconsistente, una idea.
Eppure quando applichiamo la fisica Newtoniana, ogni volta lo ricostruiamo e torniamo a rimirarlo come fosse lì.

Ma esso esiste solo come costruzione, come uno dei tanti possibili prodotti della nostra interazione con la realtà, che perciò sono.
L'essere è il risultato risultato di una storia.
Cambia la storia cambia l'essere.
L'umanità non ha una storia, perché è attraverso una storia che essa viene individuata, e questa storia è cambiata nel tempo, e perciò è cambiata l'umanità.
L'umanità è una costruzione.



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iano

#44
Citazione di: daniele22 il 07 Dicembre 2021, 10:56:53 AM



Ti rimando a questo punto al mio post precedente in cui esprimo io (la mia sensazione) dove dovrebbe svolgersi la ricerca dell'essere in modo tale da farlo apparire più chiaro, ma forse pure più scomodo (la duplicità nella sua unità). Ric
Che l'essere sia oggettivo è una possibilità, se ammettiamo come fai che essa è da ricercare perché non sempre appare subito chiara. Questo però comporta il credere un rapporto diretto con la realtà.
Essa sarebbe fatta di parti oggettive la cui esistenza può essere chiarita da una indagine in corso.
Ma la duplicità nell'unita' cui accenni fa' pensare più all'essere come ciò che media relativamente fra noi e la realtà .
È il prodotto di una interazione che mostra tanta più solidità quanto meno in essa usiamo coscienza.
Nella misura in cui usiamo coscienza è propriamente una costruzione.
Se costruiamo qualcosa abbiamo contemporaneamente creato il suo duplice, la sua negazione.
Se qualcosa ci appare per quel che è, non come qualcosa di costruito, ma ci appare contemporaneamente il suo duplice, allora possiamo pensare che sia qualcosa di costruito.
Qualunque attributo diamo all'essere possiamo dirlo solo in presenza del suo opposto.
Se diciamo che l'essere è pieno, possiamo dirlo solo se esso è circondato di vuoto.
La realtà però non possiede ne' pieni ne' vuoti. La realtà nella sua unicità non duplice è oggettiva.
O meglio la realtà e la non- realtà sono gli unici opposti che non condividono lo stesso luogo, perché si autoescludono.
O esiste tutto, o non esiste niente


L'inspiegabile efficacia con cui la matematica descrive il mondo si può spiegare solo col fatto che il mondo è una costruzione come lo è una teoria matematica, e per questo la matematica riesce a spiegarlo.
Ogni costruzione è in se' arbitraria , perché come per ogni teoria matematica per essere costruita abbisogna necessariamente di ipotesi che non sono in se' necessarie, nel senso che essendo arbitrarie le si può liberamente cambiare.
Questa libertà però è solo potenziale . Di solito noi non assumiamo le ipotesi a partire dalle quali costruiamo il mondo in piena libertà, perché la nostra relazione con la realtà è relativa ma non gratuita, perché la realtà non è gratuita.
Le,teorie matematiche descrivono il mondo, ma non tutte lo descrivono per il fatto di essere teorie.
Il fatto che conoscevamo gli atomi prima ancora di scoprirli significherà pure qualcosa , e sarebbe banale liquidare tutto con la profetica genialità di un qualche filosofo.
Semmai ciò ci mostra come la filosofia sia parte essenziale nella costruzione dei mondi in cui viviamo, che sono però solo un interfaccia con la realtà.
Il mondo in cui viviamo è fatto di atomi.
E la realtà pure?
Io non direi.
Finché noi saremo fatti così, il mondo in cui viviamo sarà fatto di atomi.
Questa consapevolezza e un invito alla creazione di nuovi mondi possibili in cui vivere.
In effetti lo stiamo già' facendo. Sta cambiando il mondo in cui viviamo e stiamo cambiando noi.
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