Socrate e il brodino di pollo!

Aperto da Eutidemo, 04 Agosto 2024, 17:32:17 PM

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Eutidemo

Nel sedicesimo capitolo del Fedone, nel dialogo tra Socrate e Cebete, per dimostrare che, così come dalla vita scaturisce la morte, allo stesso modo dalla morte scaturisce la vita, troviamo scritto:
----------------------------------------------------------------------------------
" Ed egli dimandò: - Or su, è alcuna cosa la quale sia cosí contraria all'esser vivo, come è il dormire al vegliare?
- Sí, - rispose.
- Quale?
- L'esser morto.
- E però si generano l'uno dall'altro, dacché son contrari?
Ed, essendo due, sono anche due i mutamenti o le generazioni, le quali sono nel mezzo?-
- Come no?
E Socrate: - Delle due coppie di contrarii, le quali ho citato ora, una te la dico io, con le generazioni sue; tu poi mi dirai l'altra.
Ecco: vegliare, e dormire; dal dormire nasce il vegliare, dal vegliare il dormire; e le generazioni, o i mutamenti, sono lo addormentarsi e lo svegliarsi.
Ti pare, o no?-
- Sí, - rispose.
- Ora parlami anche tu similmente della vita e della morte: non dici che esser morto è contrario a esser vivo?
- Io sí.-
- E che nasce l'uno dall'altro?-
- Sí.-
- Che è, adunque, quel che nasce dal vivo?-
Rispose: - Il morto.-
Ripigliò Socrate: - E dal morto?-
E l'altro: - Il vivo; di necessità s'ha a consentire.-
- Dunque, o Cebete, dai morti nascono i vivi.-
- A vedere è cosí!-
-----------------------------------------------------------------------------
***
Almeno secondo me, quello di Socrate era un "sofisma" della peggiore specie, in quanto l'alternanza tra il "vegliare" ed  il "dormire" non presenta alcuna analogia con il "vivere" e con il "morire".
Ed infatti:
a)
L'alternanza tra il "vegliare" ed  il "dormire" è un dato sperimentale, in quanto più volte sono state viste delle persone passare dallo stato di veglia allo stato di sonno, e dallo stato di sonno allo stato di veglia; però, sebbene siano state viste molte persone passare dallo stato di vita allo stato di morte, non è mai stato visto nessuno tornare dallo stato di morte allo stato di vita (miracoli a parte, almeno per chi ci crede).
b)
In ogni caso quello di veglia, quello di sonno, quello di ubriachezza, quello di ipnosi ecc. ecc., più che diversi e contrapposti "stati ontologici", più correttamente costituiscono soltanto diverse "modalità psichiche" di una persona "in stato di vita"; per cui, a mio parere, "omologarli" ad una "contrapposizione tra vita e morte", costituisce un "paralogismo" (cioè un errore logico di carattere sofistico).
***
Quindi, almeno secondo me, correttamente ragionando, già all'epoca, si sarebbe dovuto capire che Socrate stava facendo soltanto un abile "gioco di prestigio con le parole".
***
In ogni caso, oggi come oggi, il suo "pseudo-ragionamento" cozzerebbe eclatantemente con il "II Principio della Termodinamica", detto anche "Legge dell'Entropia"; per cui Socrate avrebbe benissimo potuto sacrificare un pollo ad Esculapio, trasformandolo in un buon brodino, ma, dal brodino, non sarebbe mai più riuscito a far tornare in vita il pollo! :)

Jacopus

Ciao Eutidemo. Sicuramente Socrate qui gioca con le parole, ma che vita e morte siano intrecciate è verissimo. Solo morendo diamo spazio alle nuove generazioni che mutando, cercheranno di adeguarsi ai mutamenti dell'ambiente. Giocando con il tuo esempio, il sacrificio del pollo ad Esculapio non farà tornare in vita il pollo, ma è uno dei tanti atti che generarono un nuovo tipo di vita, la vita culturale dell'uomo. In sostanza dietro quel brodo c'è la nascita dell'uomo post-litico.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Eutidemo

Ciao Jacopus. :)
Non c'è alcun dubbio che la vita e la morte siano strettamente intrecciate.
***
Ed infatti, a parte le tue giustissime osservazioni, occorre anche considerare che:
a)
Gli esseri viventi si nutrono di altri esseri viventi dopo averli uccisi; cioè, in un certo senso, "si nutrono della morte"!
b)
Qualora non vengano divorati da altri esseri viventi (nel qual caso lo fanno tramite le loro feci), "i morti concimano il terreno con i loro cadaveri, facilitando la nascita delle piante".
***
Però Socrate, con il suo sofistico ragionamento (e con i successivi), non intende affatto sostenere questo, che è indubitabile, bensì intende sostenere "l'immortalità dell'anima individuale"; la qualcosa è molto differente, dal limitarsi a dire, giustamente, che la vita e la morte sono strettamente intrecciate.
***
Un cordiale saluto! :)
***

niko

Si puo' sostenere che la morte renda possibile la vita in molti modi: la morte "fa spazio" alla vita, perche' senza la morte i vivi sarebbero ben presto in sovrannumero rispetto alle risorse ambientali presenti.

Gli animali si nutrono e si concimano gli uni degli altri, quindi: mors tua vita mea.

Inoltre, un essere civile e cosciente come l'uomo ama, tramanda, istruisce e preserva la vita, sua e dei suoi cari, e, per quanto possibile, anche in senso estetico ed eudaimonistico tale vita "se la gode", pradossalmente proprio perche' sa della morte, e del suo, e del loro, dover morire: la vita cosciente di morte, quindi la vita etica, religiosa e culturale in genere, e', banalmente, resa possibile, e necessaria, proprio dalla morte e dalla coscienza del dato di fatto della morte.

Purtroppo Socrate (e quindi Platone) nello specifico di questo suo discorso non pare alludere a nessuna di queste universalmente e anche "modernamente" condivisibili verita', ma solo e specificamente al fatto che, dopo la morte, si dischiuda per il defunto l'accesso ad una vita nuova, disincarnata e migliore; cosa condivisibile solo da chi, tra gli uomini, nutra speranze metafisiche e di vita utraterrena, e quindi non da tutti, e non per tutti.

Insomma questo, che sostanzialmente  recita:

1 se ammettiamo che i vivi prima o poi diventano morti, verita' che e' a tutti evidente;

e se ammettiamo (2) che in natura, nell'umano pensiero e nell'esistenza in generale tutti i contrari si generino incessantemente tra di loro, il caldo dal freddo, la luce dal buio eccetera, il che era una teoria poetico naturalistica che andava per la maggiore ai tempi di Platone,

>> allora (3) in qualche recondito e non empiricamente evidente senso, i morti devono pur "diventare vivi", o meglio devono pur "generare i vivi", cioe' resuscitare, magari in un senso e in una dimensione spirituale, quantomeno per "chiudere il cerchio", della innegabile danza dei contrari, che, con "i vivi che diventano morti", e che generano i morti, cioe' con il punto iniziale del nostro ragionamento, sempre sembra iniziare.

In paratica, secondo Socrate/Platone sarebbe incoerente, ammettere il primo e il secondo punto, senza ammettere il terzo...

Questo, dicevo, e' solo uno tra i vari argomenti, Platonici, che dovrebbero convincerci dell'immortalita' dell'anima, ed e' universalmente considerato (chissa' perche' :D ) uno tra i piu' sofistici e tra i piu' deboli, insomma uno tra i peggiori.

Per la gioia pero' dei sostenitori dell'immortalita' dell'anima, nel testo stesso del Fedone, di argomenti simili in favore dell'immortalita' dell'anima ve ne sono di migliori, e di meritato maggior successo, anche tra i lontanissimi  posteri.

A un livello piu' serio e profondo, io direi che e' vero semmai il contrario: la notte segue al giorno e poi di nuovo, dopo la notte, si rifa' giorno, e l'estate alla primavera, e poi al termine di un ciclo e' di nuovo primavera ma... non con altrettanta evidenza, alla nostra personale morte segue, o seguira' la nostra personale vita, cioe' una vita ultraterrena, e/o un ritorno ciclico a una vita terrena. La possibilita' del nulla assoluto, dell'oblio definitivo, c'e' sempre, ed e' sempre da considerare.
Insomma, l'irreversibile, la presenza di eventi senza ritorno, rompe ogni ciclicita' e ogni illusione, o impressione, di ciclicita'. Da cui il nesso, come diceva giustamente qualcuno, con la termodinamica.

Magari in questo dilemma contano non i dati esperibili e i fatti, ma il desiderio o la volonta': che cosa vogliamo, noi personalmente, dopo questa vita?

Che cosa vogliamo nella liberta' del desiderio, anche se non lo otteremo mai?

La sua identica ripetizione?

Una migliore?

Nessuna?

Una diversa ma non necessariamente  migliore, magari per progredire e per imparare?

Le risposte a queste domande sono tutti tipi umani, caratteri;  il tipo umano che ne vuole una migliore, il tipo umano che ne vuole una semplicemente diversa, il tipo umano che farebbe un altro giro di giostra in una vita identica a quella appena trascorsa, il tipo umano che non ne vuole nessuna, eccetera, il mio elenco non pretende di essere esaustivo.

Il confronto, qui come non mai, se ci interroghiamo su cosa ci sia dopo la morte, non e' tra tante possibili  "verita' ", ma tra tanti possibili tipi umani/caratteri.

Dal loro intimo desiderio definiti.

Non esiste, solo il tipo umano che ne vuole una migliore, di vita dopo la morte; anche davanti alla innegabile realta' della morte, si puo' desiderare in altro modo, in modo piu' maturo.

Insomma, non e' vero che tutti vorrebbero una vita migliore, ma non tutti lo ammettono. Non e' vero, che siamo tutti cristiani.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Eutidemo

Citazione di: niko il 05 Agosto 2024, 13:27:33 PMSi puo' sostenere che la morte renda possibile la vita in molti modi: la morte "fa spazio" alla vita, perche' senza la morte i vivi sarebbero ben presto in sovrannumero rispetto alle risorse ambientali presenti.
Gli animali si nutrono e si concimano gli uni degli altri, quindi: mors tua vita mea.
Inoltre, un essere civile e cosciente come l'uomo ama, tramanda, istruisce e preserva la vita, sua e dei suoi cari, e, per quanto possibile, anche in senso estetico ed eudaimonistico tale vita "se la gode", pradossalmente proprio perche' sa della morte, e del suo, e del loro, dover morire: la vita cosciente di morte, quindi la vita etica, religiosa e culturale in genere, e', banalmente, resa possibile, e necessaria, proprio dalla morte e dalla coscienza del dato di fatto della morte.
Purtroppo Socrate (e quindi Platone) nello specifico di questo suo discorso non pare alludere a nessuna di queste universalmente e anche "modernamente" condivisibili verita', ma solo e specificamente al fatto che, dopo la morte, si dischiuda per il defunto l'accesso ad una vita nuova, disincarnata e migliore; cosa condivisibile solo da chi, tra gli uomini, nutra speranze metafisiche e di vita utraterrena, e quindi non da tutti, e non per tutti.
Insomma questo, che sostanzialmente  recita:
1 se ammettiamo che i vivi prima o poi diventano morti, verita' che e' a tutti evidente;
e se ammettiamo (2) che in natura, nell'umano pensiero e nell'esistenza in generale tutti i contrari si generino incessantemente tra di loro, il caldo dal freddo, la luce dal buio eccetera, il che era una teoria poetico naturalistica che andava per la maggiore ai tempi di Platone,
>> allora (3) in qualche recondito e non empiricamente evidente senso, i morti devono pur "diventare vivi", o meglio devono pur "generare i vivi", cioe' resuscitare, magari in un senso e in una dimensione spirituale, quantomeno per "chiudere il cerchio", della innegabile danza dei contrari, che, con "i vivi che diventano morti", e che generano i morti, cioe' con il punto iniziale del nostro ragionamento, sempre sembra iniziare.
In paratica, secondo Socrate/Platone sarebbe incoerente, ammettere il primo e il secondo punto, senza ammettere il terzo...
Questo, dicevo, e' solo uno tra i vari argomenti, Platonici, che dovrebbero convincerci dell'immortalita' dell'anima, ed e' universalmente considerato (chissa' perche' :D ) uno tra i piu' sofistici e tra i piu' deboli, insomma uno tra i peggiori.
Per la gioia pero' dei sostenitori dell'immortalita' dell'anima, nel testo stesso del Fedone, di argomenti simili in favore dell'immortalita' dell'anima ve ne sono di migliori, e di meritato maggior successo, anche tra i lontanissimi  posteri.
A un livello piu' serio e profondo, io direi che e' vero semmai il contrario: la notte segue al giorno e poi di nuovo, dopo la notte, si rifa' giorno, e l'estate alla primavera, e poi al termine di un ciclo e' di nuovo primavera ma... non con altrettanta evidenza, alla nostra personale morte segue, o seguira' la nostra personale vita, cioe' una vita ultraterrena, e/o un ritorno ciclico a una vita terrena. La possibilita' del nulla assoluto, dell'oblio definitivo, c'e' sempre, ed e' sempre da considerare.
Insomma, l'irreversibile, la presenza di eventi senza ritorno, rompe ogni ciclicita' e ogni illusione, o impressione, di ciclicita'. Da cui il nesso, come diceva giustamente qualcuno, con la termodinamica.
Magari in questo dilemma contano non i dati esperibili e i fatti, ma il desiderio o la volonta': che cosa vogliamo, noi personalmente, dopo questa vita?
Che cosa vogliamo nella liberta' del desiderio, anche se non lo otteremo mai?
La sua identica ripetizione?
Una migliore?
Nessuna?
Una diversa ma non necessariamente  migliore, magari per progredire e per imparare?
Le risposte a queste domande sono tutti tipi umani, caratteri;  il tipo umano che ne vuole una migliore, il tipo umano che ne vuole una semplicemente diversa, il tipo umano che farebbe un altro giro di giostra in una vita identica a quella appena trascorsa, il tipo umano che non ne vuole nessuna, eccetera, il mio elenco non pretende di essere esaustivo.
Il confronto, qui come non mai, se ci interroghiamo su cosa ci sia dopo la morte, non e' tra tante possibili  "verita' ", ma tra tanti possibili tipi umani/caratteri.
Dal loro intimo desiderio definiti.
Non esiste, solo il tipo umano che ne vuole una migliore, di vita dopo la morte; anche davanti alla innegabile realta' della morte, si puo' desiderare in altro modo, in modo piu' maturo.
Insomma, non e' vero che tutti vorrebbero una vita migliore, ma non tutti lo ammettono. Non e' vero, che siamo tutti cristiani.
Catullo, sebbene sia un poeta e non un filosofo, secondo me è molto più perspicuo del verboso e arzigigolato Socrate, quando molto semplicemente scrive: "Soles occidere et redire possunt: nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda!"
Ed infatti, almeno secondo me, e fino a prova contraria è proprio così! :(

iano

#5
Citazione di: niko il 05 Agosto 2024, 13:27:33 PMLe risposte a queste domande sono tutti tipi umani, caratteri;  il tipo umano che ne vuole una migliore, il tipo umano che ne vuole una semplicemente diversa, il tipo umano che farebbe un altro giro di giostra in una vita identica a quella appena trascorsa, il tipo umano che non ne vuole nessuna, eccetera, il mio elenco non pretende di essere esaustivo.
Come dire che, se la strategia della vita è la diversità , essendo le molteplici individualità un modo di realizzarla, la coscienza dell'individualità però non la compromette, aggiungendo diversità culturale a quella biologica.

Parliamo di una molteplicità che insiste su uno spazio, quello terrestre, che è però una strategia limitata se non estesa anche sul tempo, che non sia cioè una diversità sempre da se diversa.

A pensarci bene su, come fanno Socrate e Platone, uno a questo meccanismo potrebbe pensare di sottrarsi, una volta presa coscienza di essere la rotellina di un ingranaggio, per quanto possa apparire in se virtuoso, se non fosse che non la sola coscienza a tutto ciò sovrintende.
La strategia delle individualità funziona nella misura in cui gli individui sono liberi di esprimersi, e ad ogni presa di coscienza di costrizione quindi l'individuo si ribella per sua natura, facendo senza volere il gioco della vita, creando ulteriore differenza culturale.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Lou

[88 Diels-Kranz ] La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi.

Eraclito.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

iano

Citazione di: Lou il 05 Agosto 2024, 15:39:28 PM[88 Diels-Kranz ] La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi.

Eraclito.
Ciò che non muta è il cambiamento.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Lou

Citazione di: iano il 05 Agosto 2024, 16:04:20 PMCiò che non muta è il cambiamento.
Esattamente il mutamento è ciò che permane.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

bobmax

Citazione di: Lou il 05 Agosto 2024, 16:16:29 PMEsattamente il mutamento è ciò che permane.

Il molteplice e il divenire fondano l'esistere.
Ma l'esistere non è l'Essere.
Ed è questo che facevano notare sia Eraclito sia Parmenide.
Che non erano affatto in contrapposizione, come invece spesso erroneamente interpretati.

Infatti entrambi affermavano l'Uno.
Parmenide facendo notare come l'Essere non potesse essere molteplice.
Eraclito mostrando l'unità sottostante ogni mutamento: vi è sempre e solo l'Uno

"Immortali mortali, mortali immortali, viventi la morte di quelli, morienti la vita di questi"
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Eutidemo

#10
Ciao Bobmax :)
Esatto!
L'"esistere" dell'"io individuale" (o dell'anima individuale, per chi preferisce tale terminologia) non va confuso con l'"Essere" del"Sè universale" (ovvero dell'anima universale, per chi preferisce tale terminologia).
***
Ed infatti il primo è soltanto un transeunte "epifenomeno" dell''"Essere", il quale, avendo un'inizio, non può che avere una fine, allorquando si riunisce all'UNO (cioè all'Essere, che è il comun denominatore di tutti gli "enti"); un pò come l'"onda", che è soltanto un transeunte "epifenomeno" del mare, la quale, avendo un'inizio, non può che avere una fine, allorquando, spumeggiando, rifluisce nel MARE.
***
Detto in sintesi:
- l'"io individuale" ad un certo punto, non può che "morire", perchè è "nato";
- il "Sè universale", invece, non può "morire" per il semplice fatto che non è mai "nato".
***
Ma stabilire i rapporti tra l'uno e l'altro, ammesso e non concesso che la mia Weltanschauung sia corrispondente alla realtà ontologica dell'"esistere" e dell'"essere", non è certo semplice; direi, anzi, che è un vero e proprio "mistero".
***
Un cordiale saluto! :)
***
P.S.
Quanto al frammento 62 di Eraclito, che, come suo solito, è alquanto criptico: "Immortali mortali, mortali immortali, viventi la morte di quelli, morienti la vita di questi", secondo me vuol dire che il nostro "SE' immortale", convive, per un certo tempo con il nostro "IO mortale"; ma che continua a vivere dopo la morte del nostro "IO mortale" (cioè individuale), il quale, morendo, torna a vivere in modo assoluto come "SE' immortale" (cioè universale).

Lou

#11
Citazione di: bobmax il 05 Agosto 2024, 16:42:46 PMIl molteplice e il divenire fondano l'esistere.
Ma l'esistere non è l'Essere.
Ed è questo che facevano notare sia Eraclito sia Parmenide.
Che non erano affatto in contrapposizione, come invece spesso erroneamente interpretati.

Infatti entrambi affermavano l'Uno.
Parmenide facendo notare come l'Essere non potesse essere molteplice.
Eraclito mostrando l'unità sottostante ogni mutamento: vi è sempre e solo l'Uno

"Immortali mortali, mortali immortali, viventi la morte di quelli, morienti la vita di questi"
Sulla distinzione tra essere ed esistere negli autori che citi la trovo una operazione a posteriori, certamente non teorizzata in pieno dagli stessi ( o non consapevole a parlare con le nostre categorie odierne - scusa ma un tot una prospettiva genealogica  ) sebbene sottesa, a mio modo di intendere,nel pensiero presocratico, in ogni caso è fonte di dibattito.
Sulla contrapposizione tra i due sono quasi in totale accordo, con i dovuti distinguo: il mutamento eracliteo non presenta gli stessi caratteri di quello parmenideo. Parlando di "Uno" sotteso diciamo con con Eraclito si sottoscrive una permanenza che è garante dell'impermanenza (perció parlavo di mutamento quale permanere) con Parmenide l'impermanenza pare qualcosa di effimero, trascurabile, come se non avesse nulla a che fare con la realtà.
La citazione finale è immensa, per ció che penso attualmente è il leit motiv che innerva accompagna la filosofia e la poesia da cui siamo nati.

P.s. La mia citazione precedente era per sottolineare come Platone ( non Socrate, o il Socrate di Platone, facciamo così ) rielabori il pensiero eracliteo ( a suo uso e consumo ? ) per sostenere altre tesi, estranee a mio pare, a chi scrisse quel frammento.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

iano

#12
Citazione di: Eutidemo il 05 Agosto 2024, 17:16:05 PMMa stabilire i rapporti tra l'uno e l'altro, ammesso e non concesso che la mia Weltanschauung sia corrispondente alla realtà ontologica dell'"esistere" e dell'"essere", non è certo semplice; direi, anzi, che è un vero e proprio "mistero"
Un mistero da qualche parte bisogna piazzarlo, avendone facoltà, e io lo metterei qua.
L' ''essere'', che io preferisco chiamare ''la realtà che se ne sta dietro le quinte'', ammette sue rappresentazioni fornendo  essenti  recitanti.
Nessuno confonderebbe una recita con la realtà, però non è per verificare la falsità di una recita che noi vi assistiamo, ma per immedesimarci in essa nel breve tempo di una vita.

La recita si replica anche senza di noi, ma senza di noi il teatro chiude.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

bobmax

Sì, Eutidemo, come un'onda del mare.
Tuttavia la metafora può essere, secondo me, anche fuorviante.
Come d'altronde lo sono un po' tutte le metafore.

Perché il mare dà l'idea di un qualcosa di grande, immenso, in cui mi diluisco, scompaio, non sono più...
L'onda prima c'era e dopo non c'è più. Va beh è tornata a essere mare, ma a me, cioè all'onda, in sostanza che frega?

Sarei perciò più propenso a vederla diversamente.
Cioè che in realtà nessuno muore, per la semplice ragione che non c'è nessuno.
Nessuno nasce, nessuno muore.
E tu... sei.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

bobmax

Citazione di: Lou il 05 Agosto 2024, 17:40:04 PMSulla distinzione tra essere ed esistere negli autori che citi la trovo una operazione a posteriori, certamente non teorizzata in pieno dagli stessi ( o non consapevole a parlare con le nostre categorie odierne - scusa ma un tot una prospettiva genealogica  ) sebbene sottesa, a mio modo di intendere,nel pensiero presocratico, in ogni caso è fonte di dibattito.
Sulla contrapposizione tra i due sono quasi in totale accordo, con i dovuti distinguo: il mutamento eracliteo non presenta gli stessi caratteri di quello parmenideo. Parlando di "Uno" sotteso diciamo con con Eraclito si sottoscrive una permanenza che è garante dell'impermanenza (perció parlavo di mutamento quale permanere) con Parmenide l'impermanenza pare qualcosa di effimero, trascurabile, come se non avesse nulla a che fare con la realtà.
La citazione finale è immensa, per ció che penso attualmente è il leit motiv che innerva accompagna la filosofia e la poesia da cui siamo nati.

P.s. La mia citazione precedente era per sottolineare come Platone ( non Socrate, o il Socrate di Platone, facciamo così ) rielabori il pensiero eracliteo ( a suo uso e consumo ? ) per sostenere altre tesi, estranee a mio pare, a chi scrisse quel frammento.

Sì, Lou, penso anch'io che vi siano sfumature diverse tra i due.
Ma ho l'impressione che ciò dipenda da una qual ritrosia, una esitazione a prendere davvero il toro per le corna.

Così Parmenide insiste sull'"essere è il non essere non è"
Mentre Eraclito osserva che "tutto diviene".

Ma cos'è che resta implicito in entrambi, sebbene non espresso?

Perché nella esistenza, l'essere è tale solo in quanto qualcosa diviene... Mentre il divenire necessita che qualcosa permanga...

E allora?

L'indicibile:
Essere = Nulla

D'altronde questi magnifici pensatori per quale motivo si sono messi a riflettere sul Fondamento?

Secondo me, per l'etica.
È l'etica che li sospinge.

Così almeno capita a me.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

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