Socrate (o meglio, Platone), e la poesia.

Aperto da Eutidemo, 10 Febbraio 2019, 10:42:56 AM

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Eutidemo

Socrate (o meglio, Platone), più volte se la prende con i poeti, soprattutto nella REPUBBLICA, dove, dopo avergliene dette di tutti i colori, scrive: "Eppure non abbiamo mosso alla poesia l'accusa più grave: l'aspetto che più fa paura è infatti la sua capacità di guastare anche gli uomini equilibrati!"
Pertanto, egli bandisce la poesia (e, più in generale, la stessa "arte") dalla sua città ideale, poichè: "...la ragione ne ci obbligava a farlo...in quanto esiste un antico dissidio tra filosofia e poesia: "la cagna latrante che abbaia contro il padrone", "l'uomo grande nelle ciarle degli stolti", "la folla delle teste onniscienti", "i ragionatori sottili" in quanto "affamati" e infinite altre sono le prove della loro antica opposizione!"
Però faceva una eccezione, precisando che. "...in fatto di poesia bisogna accogliere in città soltanto inni agli dèi, e gli encomi di uomini virtuosi."
Ed invece, "...se accoglierai la Musa corrotta della poesia lirica o epica, nella tua città regneranno piacere e dolore invece che la legge e quel principio che di volta in volta l'opinione comune riconosce come il migliore".
Boccaccio pensò che la critica platonica ai poeti fosse indirizzata solo contro la deplorevole poesia comica e satirica, e che lui non volesse affatto bandire dalla Città poeti del calibro di Omero ed Esiodo; tuttavia, quando apparve la prima traduzione latina della Repubblica nel 1402, risultò evidente che la critica di Platone si muoveva proprio contro  Omero ed Esiodo!
In particolare, riguardo al primo, Platone attacca i racconti omerici per il fatto di essere "ingannevoli" e perché incoraggiano, attraverso il piacere, azioni ed emozioni illecite; assunto, che, per me, è alquanto discutibile.
Ma, a ben vedere, a mio avviso, per comprendere bene le ragioni filosofiche dell'avversione di Platone per la poesia, occorre, occorre anche far riferimento anche ai suoi concetti di:
1) MIMESI, cioè "somiglianza", la quale è sostanzialmente il processo per cui l'oggetto reale assomiglia all'idea; ed al cui riguardo Cacciari, nella sua "lectio magistralis", osserva che l'arte, in quanto imita la natura, è addirittura una "imitazione della imitazione". 
2) METESSI, cioè la partecipazione dell'idea nel reale; in quanto l'idea "dà parte di sè" ed è perció rintracciabile a tratti nel mondo sensibile. 
Poi bisognerebbe parlare anche della PAROUSIA platonica, cioè della presenza dell'idea in ogni singolo "fenomeno" (termine non platonico); nel senso che ogni oggetto del mondo reale è una somma imperfetta di frammenti di idee. 
Ma è meglio non ampliare troppo il discorso, perchè mi rendo conto che, per abbreviarlo e semplificarlo troppo, sto correndo il rischio di cadere in imprecisioni ed in una inaccettabile "sommarietà".
Per restare al nostro tema, in sostanza Platone depreca che la poesia "falsifichi" doppiamente la realtà ultima, rendendosi, per così dire, l'"ombra di un ombra" (quella della caverna).
Ma a parte tale aspetto "ontologico", la sua è anche una deprecazione "etica", in quanto, sempre nella Repubblica, scrive: "...tu sai che anche i migliori di noi, quando sentono la poesia di Omero, o di qualche altro tragico che imita uno dei tanti eroi prostrati dal dolore e dilungantesi in lamentose litanie di lamenti, provano diletto per questo e si abbandonano a seguire tali personaggi, soffrendo con loro ed anzi, lodando con convinzione come buon poeta, quello che più degli altri sappia disporli in un siffatto stato di anima."
Per cui, secondo Socrate-Platone, questo genere di "emozione" sospende nelle persone la capacità di giudizio critico di fronte allo spettacolo e le rende permeabili alle sofferenze provate dall'eroe, lasciandosi così andare nello sterile disquilinquimento del dolersi e del compiangersi, senza virilmente reagire a livello razionale.
Come acutamente osserva B. Botter, Platone spiega che questo genere di piacere malsano,  non è né vero né puro, ma dipinto con l'"ombra"; analogamente al pittore ingannevole, il quale non rispetta le proporzioni dell'originale e attraverso un "gioco di ombre"  plasma le copie "non nelle reali proporzioni dell'originale", ma "in quelle che sembrano riprodurre la bellezza".
Al riguardo, non può non venirmi in mente che, talvolta, ciò accade anche nella scultura; laddove, ad esempio, Michelangelo, con un gioco di pieghe della veste, fa mirabilmente sembrare di eguale lunghezza le gambe di Mosè, mentre invece una è più lunga dell'altra (riguardo alla sproporzionate mani del David, invece, il discorso è diverso, perchè la sproporzione non è cammuffata, ma voluta).
Ma, per tornare a Platone, il filosofo condanna coloro che si abbandonano all'empatia con le sofferenze dell'eroe, perché "questa condotta induce il piacere e il dolore a regnare nella città al posto della legge e dell'ente che sempre è stato creduto superiore agli altri:  la RAGIONE". 
Questo, a mio parere, avrebbe potuto scriverlo anche Robespierre!
Sempre sotto tale profilo di estrema "razionalità", Platone suggerisce che, alla sera, è consigliabile mantenere viva la parte razionale dell'anima dialogando filosoficamente, conversando di argomenti nobili e astenendosi dal vino e da cibi troppo pesanti;  e, poi, non rubare ore di sonno alla notte, per non "sragionare" il giorno successivo!
A questo punto sarebbe opportuno concludere il discorso osservando, come fa Cacciari nella sua "lectio magistralis" sul tema, che la contrapposizione tra poesia e filosofia non è poi così drastica (neanche in Platone), in quanto tra tra poesia e filosofia sussiste comunque un "rapporto di ospitalità" ; sul che io sono perfettamente d'accordo, ma non voglio allungare troppo il discorso, e, quindi, se siete interessati, vi rinvio a lui -la cui competenza in materia è smisuratamente superiore alla mia-.
https://www.youtube.com/watch?v=ksMioZwYl0g&t=10s

iano

#1
Se il cibarmi non fosse un piacere mi lascerei morire di fame?
La risposta razionale è no . Mangio perché sennò morirei , e non perché godo nel farlo.
Eppure possiamo ben sospettare che il piacere qui non sia un di più superfluo.
Saremmo ancora qui , per la pura ragionevole volontà di sopravvivere , se il sesso non fosse un piacere?
Useremmo il linguaggio come un mezzo per giungere a fare cose razionali , se usarlo non fosse un piacere?
Evidentemente la ragione ha dei limiti e deve convivere in noi con un altro ospite.
Nei limiti in cui il linguaggio si presta ad essere strumento della ragione, per farne buon uso devo ben dominarlo , e lo domino bene se ho avuto, almeno da giovane, il piacere di giocarci , e la poesia è il gioco del linguaggio.
Quella in cui viviamo oggi è una società adulta , che si vergogna dei tempi dell'infanzia in cui giocava con le parole al gioco della filosofia e della poesia.
Dare maggior valore a ciò che meglio si comprende fra tutte le cose che facciamo , non sembra saggio , ma certo , costruire una città ideale non è un gioco da ragazzi , e possiamo scusare l'errore di Platone.
Ma come dice Cacciari questo problema c'è lo siamo trascinati dietro , così si può anche non capire il discorso di Cacciari , ma non si può non capire il suo appello , quando dice , se vuoi capire di cosa parlo guarda dentro te , perché tutti abbiamo ereditato questo problema.
In effetti poi dopo la chiara introduzione di Eutidemo il discorso di Cacciari fila liscio liscio e condivisibile.
L'arte non va' capita , ma praticata , e questa pratica ci aiuta a capire tutto il resto , nei limiti che il linguaggio consente , il quale è vivo e muta nella palestra della poesia  , al contrario di una città ideale e perfetta per la quale qualunque mutamento equivale a un degrado ,salvo che la città ideale è solo un idea di Platone che tale è restata.
Non ci rimane che rassegnarci e rivalutare i vecchi giochi di parole.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Eutidemo

Citazione di: iano il 11 Febbraio 2019, 03:25:24 AM
Se il cibarmi non fosse un piacere mi lascerei morire di fame?
La risposta razionale è no . Mangio perché sennò morirei , e non perché godo nel farlo.
Eppure possiamo ben sospettare che il piacere qui non sia un di più superfluo.
Saremmo ancora qui , per la pura ragionevole volontà di sopravvivere , se il sesso non fosse un piacere?
Useremmo il linguaggio come un mezzo per giungere a fare cose razionali , se usarlo non fosse un piacere?
Evidentemente la ragione ha dei limiti e deve convivere in noi con un altro ospite.
Nei limiti in cui il linguaggio si presta ad essere strumento della ragione, per farne buon uso devo ben dominarlo , e lo domino bene se ho avuto, almeno da giovane, il piacere di giocarci , e la poesia è il gioco del linguaggio.
Quella in cui viviamo oggi è una società adulta , che si vergogna dei tempi dell'infanzia in cui giocava con le parole al gioco della filosofia e della poesia.
Dare maggior valore a ciò che meglio si comprende fra tutte le cose che facciamo , non sembra saggio , ma certo , costruire una città ideale non è un gioco da ragazzi , e possiamo scusare l'errore di Platone.
Ma come dice Cacciari questo problema c'è lo siamo trascinati dietro , così si può anche non capire il discorso di Cacciari , ma non si può non capire il suo appello , quando dice , se vuoi capire di cosa parlo guarda dentro te , perché tutti abbiamo ereditato questo problema.
In effetti poi dopo la chiara introduzione di Eutidemo il discorso di Cacciari fila liscio liscio e condivisibile.
L'arte non va' capita , ma praticata , e questa pratica ci aiuta a capire tutto il resto , nei limiti che il linguaggio consente , il quale è vivo e muta nella palestra della poesia  , al contrario di una città ideale e perfetta per la quale qualunque mutamento equivale a un degrado ,salvo che la città ideale è solo un idea di Platone che tale è restata.
Non ci rimane che rassegnarci e rivalutare i vecchi giochi di parole.

Sottoscrivo!
"Amicus Plato, sed magis amica veritas!" ;)

baylham

La lezione di Cacciari è troppo lunga da ascoltare per me.

La poesia non è imitazione della realtà, al contrario è fantasia, immaginazione, invenzione, irrealtà. Questa è la sua valenza positiva, ma anche in parte negativa: come tutte le cose, anche il valore della poesia è ambivalente.
La città ideale di Platone è ispirata dagli stessi sentimenti che sono alla base dei meccanismi poetici.

Eutidemo

Citazione di: baylham il 13 Febbraio 2019, 11:55:57 AM
La lezione di Cacciari è troppo lunga da ascoltare per me.

La poesia non è imitazione della realtà, al contrario è fantasia, immaginazione, invenzione, irrealtà. Questa è la sua valenza positiva, ma anche in parte negativa: come tutte le cose, anche il valore della poesia è ambivalente.
La città ideale di Platone è ispirata dagli stessi sentimenti che sono alla base dei meccanismi poetici.
Non direi: secondo me la città ideale di Platone è ispirata precipuamente a principi RAZIONALI (sebbene, a mio avviso, diabolicamente distorti), e non certo alla POESIA:)

Lou

#5
Citazione di: Eutidemo il 10 Febbraio 2019, 10:42:56 AM
Socrate (o meglio, Platone), più volte se la prende con i poeti, soprattutto nella REPUBBLICA, dove, dopo avergliene dette di tutti i colori, scrive: "Eppure non abbiamo mosso alla poesia l'accusa più grave: l'aspetto che più fa paura è infatti la sua capacità di guastare anche gli uomini equilibrati!"
Pertanto, egli bandisce la poesia (e, più in generale, la stessa "arte") dalla sua città ideale, poichè: "...la ragione ne ci obbligava a farlo...in quanto esiste un antico dissidio tra filosofia e poesia: "la cagna latrante che abbaia contro il padrone", "l'uomo grande nelle ciarle degli stolti", "la folla delle teste onniscienti", "i ragionatori sottili" in quanto "affamati" e infinite altre sono le prove della loro antica opposizione!"
Però faceva una eccezione, precisando che. "...in fatto di poesia bisogna accogliere in città soltanto inni agli dèi, e gli encomi di uomini virtuosi."
Ed invece, "...se accoglierai la Musa corrotta della poesia lirica o epica, nella tua città regneranno piacere e dolore invece che la legge e quel principio che di volta in volta l'opinione comune riconosce come il migliore".
Boccaccio pensò che la critica platonica ai poeti fosse indirizzata solo contro la deplorevole poesia comica e satirica, e che lui non volesse affatto bandire dalla Città poeti del calibro di Omero ed Esiodo; tuttavia, quando apparve la prima traduzione latina della Repubblica nel 1402, risultò evidente che la critica di Platone si muoveva proprio contro  Omero ed Esiodo!
In particolare, riguardo al primo, Platone attacca i racconti omerici per il fatto di essere "ingannevoli" e perché incoraggiano, attraverso il piacere, azioni ed emozioni illecite; assunto, che, per me, è alquanto discutibile.
Ma, a ben vedere, a mio avviso, per comprendere bene le ragioni filosofiche dell'avversione di Platone per la poesia, occorre, occorre anche far riferimento anche ai suoi concetti di:
1) MIMESI, cioè "somiglianza", la quale è sostanzialmente il processo per cui l'oggetto reale assomiglia all'idea; ed al cui riguardo Cacciari, nella sua "lectio magistralis", osserva che l'arte, in quanto imita la natura, è addirittura una "imitazione della imitazione".
2) METESSI, cioè la partecipazione dell'idea nel reale; in quanto l'idea "dà parte di sè" ed è perció rintracciabile a tratti nel mondo sensibile.
Poi bisognerebbe parlare anche della PAROUSIA platonica, cioè della presenza dell'idea in ogni singolo "fenomeno" (termine non platonico); nel senso che ogni oggetto del mondo reale è una somma imperfetta di frammenti di idee.
Ma è meglio non ampliare troppo il discorso, perchè mi rendo conto che, per abbreviarlo e semplificarlo troppo, sto correndo il rischio di cadere in imprecisioni ed in una inaccettabile "sommarietà".
Per restare al nostro tema, in sostanza Platone depreca che la poesia "falsifichi" doppiamente la realtà ultima, rendendosi, per così dire, l'"ombra di un ombra" (quella della caverna).
Ma a parte tale aspetto "ontologico", la sua è anche una deprecazione "etica", in quanto, sempre nella Repubblica, scrive: "...tu sai che anche i migliori di noi, quando sentono la poesia di Omero, o di qualche altro tragico che imita uno dei tanti eroi prostrati dal dolore e dilungantesi in lamentose litanie di lamenti, provano diletto per questo e si abbandonano a seguire tali personaggi, soffrendo con loro ed anzi, lodando con convinzione come buon poeta, quello che più degli altri sappia disporli in un siffatto stato di anima."
Per cui, secondo Socrate-Platone, questo genere di "emozione" sospende nelle persone la capacità di giudizio critico di fronte allo spettacolo e le rende permeabili alle sofferenze provate dall'eroe, lasciandosi così andare nello sterile disquilinquimento del dolersi e del compiangersi, senza virilmente reagire a livello razionale.
Come acutamente osserva B. Botter, Platone spiega che questo genere di piacere malsano,  non è né vero né puro, ma dipinto con l'"ombra"; analogamente al pittore ingannevole, il quale non rispetta le proporzioni dell'originale e attraverso un "gioco di ombre"  plasma le copie "non nelle reali proporzioni dell'originale", ma "in quelle che sembrano riprodurre la bellezza".
Al riguardo, non può non venirmi in mente che, talvolta, ciò accade anche nella scultura; laddove, ad esempio, Michelangelo, con un gioco di pieghe della veste, fa mirabilmente sembrare di eguale lunghezza le gambe di Mosè, mentre invece una è più lunga dell'altra (riguardo alla sproporzionate mani del David, invece, il discorso è diverso, perchè la sproporzione non è cammuffata, ma voluta).
Ma, per tornare a Platone, il filosofo condanna coloro che si abbandonano all'empatia con le sofferenze dell'eroe, perché "questa condotta induce il piacere e il dolore a regnare nella città al posto della legge e dell'ente che sempre è stato creduto superiore agli altri:  la RAGIONE".
Questo, a mio parere, avrebbe potuto scriverlo anche Robespierre!
Sempre sotto tale profilo di estrema "razionalità", Platone suggerisce che, alla sera, è consigliabile mantenere viva la parte razionale dell'anima dialogando filosoficamente, conversando di argomenti nobili e astenendosi dal vino e da cibi troppo pesanti;  e, poi, non rubare ore di sonno alla notte, per non "sragionare" il giorno successivo!
A questo punto sarebbe opportuno concludere il discorso osservando, come fa Cacciari nella sua "lectio magistralis" sul tema, che la contrapposizione tra poesia e filosofia non è poi così drastica (neanche in Platone), in quanto tra tra poesia e filosofia sussiste comunque un "rapporto di ospitalità" ; sul che io sono perfettamente d'accordo, ma non voglio allungare troppo il discorso, e, quindi, se siete interessati, vi rinvio a lui -la cui competenza in materia è smisuratamente superiore alla mia-.
https://www.youtube.com/watch?v=ksMioZwYl0g&t=10s
Platone è terribile, un commediografo senza precedenti. Il vero poeta è il filosofo, ovvero lui : questa è la tesi finale del Simposio, solo la filosofia è vera forma d'arte, perchè per imitare la Verità circondata dalla Bellezza, solo il filosofo che la conosce la può cantare, in miti, tragedie, commedia, un mimo esteta genialmente burlone della verità ...e... in Dialoghi che non sono che dialettica in poesia, il Protagora tutto sommato è una commedia tremenda, forti di una tealtralità innegabile. E poi non parliamo dei miti platonici, il geniale mito della caverna, o nel Fedro dell'anima. Il ricorso al mito in Platone è l'emblema della potenza che egli stesso riconosce in esso come veicolo educativo!!! Nietzsche in questo fu assai accorto, è la filosofia platonica la zattera che salva e trasforma la poesia greca. Solo, che quel che tocca Platone non lo lascia così com'è.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Menandro

Posso solo aggiungere che Omero ed Esiodo, lontani almeno quattro secoli da Platone, erano i pilastri di una sapienza antichissima che si esprimeva in versi, in tempi in cui la parola poetica era ancora investita di una valenza magico-religiosa, e i poeti erano "maestri di verità" (Detienne). In una civiltà che non ha mai avuto testi sacri, l'evocazione della cosmogonia e della nascita degli dei da parte di Esiodo ebbe per secoli un valore molto superiore a ciò che noi consideriamo poesia, cioè "semplice" arte. Anche celebrare le gesta eroiche dei mortali (Omero) e sottrarle all'oblio è alétheia, in un'accezione non filosofica ma in senso lato religiosa.
Ma nelle generazioni precedenti a quella di Socrate, quelle della nascita della filosofia, mentre il prestigio della parola poetica sopravvive (non pochi dei primi filosofi si esprimono in versi), l'autorità di Omero ed Esiodo viene messa in dubbio. Prima di Platone, entrambi sono oggetto degli attacchi di Eraclito, che li dipinge come caricature di sapienti. Senofane critica la rappresentazione antropomorfica degli dei.

Non ricordo se è Platone stesso che lo racconta o un'altra fonte, ma il suo interesse da giovane pare fosse proprio la poesia: Platone voleva intraprendere la carriera di drammaturgo, e fu Socrate a convincerlo ad occuparsi invece di filosofia. Forse la filologia può suggerirci qualche altro indizio per capire l'avversione di Socrate e Platone per Omero. Eric Dodds rileva che nei personaggi di Omero accadimenti spirituali di ogni tipo sono attribuiti all'intervento esterno di un daimon (cioè "un dio", quando non si sa quale): così il ricordare, l'intuire, il riconoscere, ma anche la trasmissione di energia vitale, di forza, e all'opposto lo smarrirsi temporaneo della coscienza (ate). Le azioni sconsiderate e colpevoli compiute in stato di ate non sono conseguenza di malvagità, ma dipendono dalla propria moira (destino personale) o dall'opera di un dio. A me sembra che questo possa in parte spiegare perché Platone consideri diseducativo Omero.
Un altro aspetto su cui Dodds si sofferma è la mancanza in Omero di un concetto unitario di anima. Il thymòs non è ancora l'anima come la intende Platone (in polarità con il corpo), ma una specie di voce interiore indipendente che dice all'uomo quando mangiare, bere o uccidere, che consiglia e suggerisce, qualcosa con cui si può anche parlare (come fa Odisseo: "Sopporta, cuore..."). Dodds parla a questo proposito di tendenza ad oggettivare gli impulsi emotivi e a percepirli come non-io. Cioè qualcosa di incompatibile con la dottrina platonica dell'anima.
Secondo Cicerone il primo ad affermare l'immortalità dell'anima fu Ferecide di Siro, secondo altri Talete. Siamo comunque in epoca successiva al costituirsi dei poemi omerici. Irresponsabili, dominati dalle passioni, inconsapevoli dell'anima immortale, i personaggi di Omero devono essere sembrati a Platone spiritualmente troppo rozzi (e grazie alle seduzioni dell'arte troppo pericolosi) per avere cittadinanza nel suo Stato ideale.

baylham

Citazione di: Eutidemo il 14 Febbraio 2019, 07:18:55 AM
Non direi: secondo me lacittà ideale di Platone è ispirata precipuamente a principi RAZIONALI (sebbene, a mio avviso, diabolicamente distorti), e non certo alla POESIA:)

Per quanto mi sforzi non riesco a comprendere che cosa ci sia di razionale nel bandire la poesia, l'arte in generale.
Platone è un filosofo irrazionale: come già rilevato la città ideale, l'iperuranio, il mito della caverna sono un capovolgimento della realtà, il risultato di fantasia, immaginazione, invenzione, gli stessi meccanismi alla base dell'arte.

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