Siamo responsabili delle nostre azioni?

Aperto da Socrate78, 18 Novembre 2017, 20:28:36 PM

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Socrate78

Secondo voi si può parlare veramente e pienamente di responsabilità dell'uomo per le azioni che compie? In una parola, siamo liberi almeno in qualche misura? Mettendo tra parentesi le situazioni estreme in cui si configura un'incapacità di intendere e volere, ormai sembra che le neuroscienze stiano sempre più andando nella direzione di individuare dietro pensieri e sentimenti determinate sostanze chimiche (dopamina, serotonina, glutammato, per citarne alcune....) che a loro volta provocano precisi comportamenti attraverso la connessione tra i neuroni. Quindi è come se l'intero cervello obbedisca ad un codice come il software di un computer, per cui ad una certa concentrazione di un neurotrasmettitore corrisponde un sentimento o un atteggiamento.
Ora, un individuo con comportamento violento, antisociale, refrattario alla morale, sarebbe veramente colpevole dei danni che causa? La sua tendenza a non rispettare le esigenze altrui potrebbe essere data ad esempio da un mancato collegamento tra alcuni tipi di neuroni (quelli dell'empatia, per esempio o dei lobi frontali...) oppure da una concentrazione carente o eccessiva di un certo ormone o neurotrasmettitore.
Se le cose stanno così, io deduco che la responsabilità individuale sia molto meno forte di quanto si pensi e prevalga un notevole condizionamento genetico e biologico nella nostra condotta. Quali sono le vostre opinioni sul rapporto tra struttura genetica/chimica e libertà?

Jacopus

Buonasera Socrate. Hai rispolverato un classico argomento di discussione di questo forum. In modo molto succinto ti rispondo: sì e no. Siamo responsabili e non siamo responsabili, se presi singolarmente. Credo che la nostra responsabilità debba essere misurata in termini sociali e in termini di estensione temporale non riducibile ad un singolo atto. Per spiegare questo ho bisogno di formulare alcuni esempi.
Nel momento in cui tu stai leggendo queste righe inevitabilmente il tuo plastico cervello si sta modificando e si modificherebbe anche se stessi annusando una pizza ovviamente. Ma la pizza non fornisce criteri di giudizio e di valore mentre le parole sì. Se quello che scrivessi fosse così pieno di significato per te, il tuo cervello si riorganizzerebbe e questo scritto resterebbe inscritto in modo più duraturo fra quelle che potremmo chiamare i modelli di riferimento culturale all'azione. Se lo stesso tipo di messaggio continuasse ad arrivarti, specialmente quando sei molto giovane, o bambino, quella architettura mentale diventerebbe molto solida e tenderebbe a sopravalutare tutto ciò che la conferma e a rimuovere tutto ciò che la contraddice. Ho recentemente letto una lettera che un bambino di Napoli ha spedito a Babbo Natale: il bambino chiedeva un regalo soltanto a Babbo Natale, perché è consapevole che Babbo Natale i regali li va a rubare. Una lettera del genere sarebbe impensabile a Stoccolma per il semplice fatto che l'ambiente e le interazioni sociali sono coerenti verso un modello che rifiuta la trasgressione "rubare", ma ne accetta altre.
Un secondo aspetto è quello che tu stesso hai accennato, relativo al campo delle scoperte genetiche e neuroscientifiche, che stanno mettendo sempre più in crisi l'uomo moderno fondato sull'individualismo e sulla capacità quasi eroica di superare ogni difficoltà. Qui ad esempio si può citare il concetto di metilazione, cioè la trasmissione di generazione in generazione della predisposizione a certe azioni, percui se il padre ha usato cannabis ha attivato una parte del suo codice genetico che ha apprezzato quell'uso, e questo potenziale apprezzamento verrà trasmesso geneticamente ai figli, indipendentemente dai condizionamenti sociali che possono aumentare o diminuire il rischio di entrare in contatto con le sostanze stupefacenti (qui è solo un esempio, non voglio certo aprire il discorso sulle droghe leggere).
Un terzo aspetto è quello relativo alla parte più primitiva della nostra struttura mentale, ancora ordinata per poter fronteggiare la violenza della natura e degli altri esseri umani con altrettanta violenza, sia per paura, sia per deterrenza, sia per difesa del proprio onore.

In tutte questi tre diversi aspetti della natura umana si perviene ad una consistente riduzione del libero arbitrio in senso individuale. E' per questo che ritengo che il libero arbitrio debba essere adottato come libera volontà di un aggregato sociale sufficientemente ampio da modificare il comportamento medio dei soggetti per un periodo di tempo sufficientemente lungo. Ed effettivamente è quello che sta realmente accadendo da qualche secolo a questa parte proprio in molti paesi dell'occidente, come ho accennato in altre discussioni. Tutti i modelli di azioni che teoricamente impongono la condivisione dei comportamenti favoriscono una consapevolezza della libera volontà in termini collettivi e un declino delle ideologie e delle teorie che invece sottolineano l'irriducibilità individuale del libero arbitrio.
Questi modelli di azione sono, a livello politico, la democrazia, a livello economico, il libero scambio delle merci in un sistema capitalistico "responsabile", a livello culturale, l'illuminismo e il pensiero scientifico moderno. E' inevitabile che in società complesse come la nostra le responsabilità siano diffuse.

Detto questo va anche sottolineato che non siamo neppure degli automi lobotomizzati. Abbiamo la nostra parte di responsabilità anche individuale poichè ognuno di noi è dotato di meccanismi di resilienza agli stress ambientali diversi. Non tutti gli abitanti di Scampia sono degli spacciatori (detto per inciso a Scampia ci sono due licei, una serie di attività di contrasto all'illegalità e moltissime attività regolari). La molteplicità dei fattori individuali, fenotipici e genotipici, la complessità sociale, vista anche in chiave storica, l'interdipendenza fra soggetti sociali, i possibili parassitismi e spinte verso l'innovazione, creano un mileu dove le cause esterne e interne dell'agire umano si intersecano.
DIrei che quello che si può affermare con una certa sicurezza è la constatazione della maggiore causalità da parte di fattori esterni,rispetto a quelli individuali e la necessità proprio a partire da questa premessa di individuare dei nuovi paradigmi di responsabilità estesa e globale.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Phil

Citazione di: Socrate78 il 18 Novembre 2017, 20:28:36 PM
la responsabilità individuale sia molto meno forte di quanto si pensi e prevalga un notevole condizionamento genetico e biologico nella nostra condotta.
Le neuroscienze, così intese, sembrano poter aggiungere un altro capitolo all'"encomio di Elena" di Gorgia  ;)  stabilendo un interlocutorio dualismo fra l'individuo e il suo corredo genetico-neurologico (come se quest'ultimo non facesse parte dell'individuo...).
Credo che sul piano della responsabilità (civile/penale, etica/morale o altro) il soggetto non si possa assolvere per "manifesto malfunzionamento di neurotrasmettitore x" (anche in caso di "incapacità di intendere e di volere" ci sono conseguenze di tutela per la società, se non erro).
Il motivo di un mio comportamento nocivo (o potenzialmente tale), se inteso in termini esclusivamente chimico-biologico-altro,  non mi può esonerare dall'esserne pubblicamente responsabile (standone le condizioni previste dalla legge), altrimenti viene meno l'imputabilità di qualunque azione, perché il soggetto sarà sempre tutelato dall'"alibi neurologico" (lascio volutamente in disparte la "responsabilità privata" di stampo religioso, che suggerisce tutt'altro paradigma di lettura anche per l'eredità genetica e il corpo che abbiamo ricevuto in sorte...).

Scoprire una causa fisiologica di un comportamento pericolosamente anti-sociale ricondurrebbe la colpa, anzi, il dolo, ad una dimensione sanitaria: "non faccio questo perché sono cattivo, ma perché ho carenza di un enzima (o altro); dunque curatemi, riprogrammatemi e sarò un buon cittadino" (similmente a quanto accade nel "mentale": se ho avuto un'infanzia infelice o ho subito un trauma, resto comunque individualmente responsabile in caso commetta nefandezze).
Scenario distopico che solleva molte spinose questioni "bioeticopolitiche"(si può dire? ;D ), eugenetiche, etc.

P.s. Come accennato da Jacopus, sul libero arbitrio si è già discusso molto altrove, non scendo nel merito per non ripetermi  :)

viator

Salve. Quesito non originale ma sempre interessante. Prendiamo il caso di una persona che - dal punto di vista clinico e criminologico - risulti CONVENZIONALMENTE in grado di intendere e di volere (cioè sia maggiorenne ed esente da patologie o condizioni riconoscibili che clinicamente ne minorino le facoltà -  l'ASSOLUTA idoneità all'intendere ed al volere d'altra parte non può mai venir certificata poiché è aspetto del tutto metafisico).
Costui commette un delitto. Per sacrosanta convenzione sociale costui è responsabile del proprio agire.

Dal punto di vista etico invece la questione si sdoppia.

Secondo un ragionamento deterministico (di orientamento quindi filosofico-scientifico) si può sostenere che il cosiddetto "libero arbitrio" non esista. Tale ragionamento si limita a percorrere la catena di cause ed effetti che hanno portato al comportamento esaminato e non può che giungere a riconoscere che - per un qualsiasi evento - tale sequenza non poteva che necessariamente condurre all'effetto sul quale ci stiamo soffermando. In altre parole, data una causa od un insieme di cause note, l'effetto che si ottiene è non solo inevitabile, ma al limite addirittura prevedibile (nel caso si possedesse la conoscenza completa di TUTTE le cause che hanno agito). Cìò porterebbe a stabilire la predeterminazione dell'evento e quindi ad escludere che noi si sia in possesso di un libero arbitrio. (le nostre libere scelte - anche le più innocue e casuali - sono in realtà influenzata o determinate da fattori incontrollabili che vanno dalla genetica all'educazione alla competizione, ai sentimenti etc. etc. etc.). In effetti e da questo punto di vista all'uomo è lasciata (spesso ma non sempre) l'ILLUSIONE di poter esercitare un libero arbitrio (avete presente il cavaliere che, avendo scorto il volto della Morte tra la folla di Alma Ata se ne fuggì a spron battuto a Samarcanda, ignorando il fatto che la Morte avesse comunque già in programma il proprio trasferimento ivi per affari urgenti.......??). Notare che questo ragionamento riesce a conciliare due aspetti apparentemente antitetici: il fatalismo (era destino che dovesse succedere) ed il suo opposto - appunto il determinismo - (il caso ed il fato non esistono, agisce solo la meccanica cause-effetti).
Questo tipo di ragionamento permette - giungendo a conoscere il quadro completo delle cause che hanno agito, di CAPIRE, di COMPRENDERE e quindi di GIUSTIFICARE qualsiasi evento e comportamento umano ma, !!! attenzione !!!, il capire ed il giustificare sono una cosa mentre l'ASSOLVERE ed il SOLLEVARE DALLA RESPONSABILITA' sono altro!! E' questa la insensata confusione che viene fatta - spessissimo in modo sconcio perché interessato - a proposito degli aspetti umani, pietistici, emozionali che vengono sollevati in occasione di vicende di cronaca che coinvolgano la responsabilità di certi imputati.

Secondo invece un ragionamento possibilistico (di orientamento moralistico-fideistico) l'uomo possiede la capacità di effettuare delle scelte puramente morali che, applicate con discernimento, gli permettono di scegliere tra bene e male, esercitando un autentico libero arbitrio che secondo i credenti gli è stato attribuito da Dio. Tale visione è assai meno problematica di quella deterministica perché permette di evitare di tormentarsi nell'esame di cause ed effetti ritenuti "bypassabili" dalla volontà umana, e conduce direttamente alla responsabilizzazione del soggetto così come voluto nella pratica dalla società e dal Codice Penale.

Quale dei due atteggiamenti è il migliore ? Occorrono entrambi.

Se si vuole CAPIRE chi si ha davanti si farà bene ad usare il primo approccio al suo caso.
Se invece si vuole o si deve CONDANNARE OD ASSOLVERE.......si dovrà usare il secondo.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Angelo Cannata

#4
Ci sono diversi tipi di critiche, su diversi livelli, che è possibile tener presente in merito alla libertà.

Partiamo dal livello più basso.

Distinguere tra libertà e determinismo implica il ricorso al concetto di causa. Questo concetto però non ha nulla di chiaro, tant'è vero che, se proviamo a cercare in un vocabolario le parole "causa" e "determinare", scopriamo che il vocabolario non riesce a fare altro che usarli in circolo vizioso: per spiegare cosa significa "determinare" fa ricorso alla parola "causa", ma se andiamo a cercare "causa", il vocabolario usa il verbo "determinare". Possiamo arrivare alla stessa conclusione riflettendo su come nasca nel nostro pensiero il concetto di causa: semplicemente osserviamo degli eventi e notiamo che certuni sono sempre collegati nel tempo in successione, cioè, quando c'è il primo c'è sempre anche il secondo; ad esempio, osservo che tutte le volte che do un calcio ad un pallone il pallone parte verso una certa direzione. Il calcio è stato la causa del movimento del pallone. Ma, se ci riflettiamo, in questo caso la parola "causa" significa solo che abbiamo sperimentato i due fenomeni sempre in stretta connessione temporale. Ma perché il pallone parte a muoversi dopo il mio calcio? È inutile rispondere a questa domanda, perché per ogni risposta ci si potrà ancora chiedere il perché, scoprendo quello che ho detto sopra: il concetto di "causa" non ha niente di chiaro. Lo sentiamo familiare solo perché vi facciamo riferimento tutti i giorni e tutti i momenti, senza accorgerci che non è per niente scontato. È un po' come usare la lingua con cui parliamo: a noi sembra chiara, naturalissima, perfino bella, ovvia, scontata, ma basta provare ad usarla con uno straniero per accorgerci che non ha niente di chiaro, niente di scontato.

Dunque dobbiamo abituarci a quest'idea critica: la nostra mente ci inganna in continuazione riguardo a cose che ci sembrano chiare e ovvie: appena cominciamo a rifletterci un poco ci accorgiamo subito che non hanno niente di chiaro o di ovvio. Questo significa che tutto il nostro riflettere è sempre un pensare "obscura per obscuriora", cioè, quando tentiamo di spiegare concetti oscuri, spesso, anzi direi sempre, non ci accorgiamo che i concetti elementari che stiamo usando per spiegarli sono in realtà ancora più oscuri di ciò che dovrebbero spiegare.

Una volta accertato criticamente che in realtà non abbiamo nessuna idea di cosa significhi la parola "causa", ne consegue che i concetti di libertà e di determinismo, che ad essa fanno riferimento, sono creazioni nostre per parlare tra di noi delle nostre esperienze, ma in realtà non hanno nulla di chiaro, di definito, di ovvio.

Questa che ho fatto finora è, diciamo, la critica al livello più basso.

Accertato questo, possiamo comunque provare ad esaminare lo stesso alcune caratteristiche implicate dal concetto di libertà. Possiamo osservare che un nostro gesto può essere libero o non libero. Se c'è una ragione che riesce a spiegarlo, allora non è libero, ma determinato da quella ragione; se non ha spiegazioni, allora è un gesto libero, cioè una creazione dal nulla. A questo punto però ci accorgiamo che approdiamo ad una conclusione bizzarra: se la libertà esiste, essa non deve avere spiegazioni, non deve poter essere spiegata perché, se ha spiegazioni, non è più libertà, ma è effetto di tali spiegazioni. In altre parole, se la libertà esiste, dev'essere impossibile parlarne perché, appena ne parliamo, la facciamo dipendere immediatamente dai concetti con cui ne parliamo, quindi non è più libertà. Questo vale di conseguenza anche per termini strettamente legati a quello di libertà, come "creare".

Possiamo esplorare un'altra critica ancora. Nel caso in cui noi fossimo totalmente determinati, insomma non fossimo altro che computers o orologi, che si muovono in base ai loro meccanismi, da ciò verrebbe a conseguire che anche il nostro interrogarci sul concetto di libertà sarebbe in realtà determinato dai meccanismi che comandano i nostri comportamenti. Significa che perfino la nostra sensazione di aver deciso di interrogarci sull'esistenza della libertà può essere sospettata di illusorietà. Insomma, un computer che mi dice che si sta interrogando sulla propria libertà non ha alcuna possibilità di accorgersi che in realtà è solo un computer che sta ubbidendo ai meccanismi dei propri circuiti. Il problema è che questo è sospettabile anche di noi. Ciò significa che non abbiamo nessuna possibilità di sapere se siamo liberi, perché il dubbio stesso, l'interrogativo stesso può essere sospettato di essere solo una risposta a certi impulsi.

Una volta preso atto di queste critiche di base al concetto di libertà, possiamo procedere ancora ulteriormente. C'è il problema che tutte queste critiche non riescono comunque a dirimere la questione, cioè non riescono ad eliminare in maniera definitiva il sospetto che la libertà esista. Insomma, si tratta di dubbi, non di certezze, e un dubbio, se ha il potere di intaccare qualsiasi certezza, non ha mai tuttavia il potere di distruggerla del tutto, altrimenti non sarebbe più un dubbio; in altre parole, ogni dubbio non può fare a meno di dubitare anche di sé stesso. Insomma, potremmo essere degli orologi, ma il problema è che non riusciamo ad essere sicuri neanche di questo.

Una volta che una riflessione di tipo meccanico, logico, analitico, non riesce a farci approdare a nulla in merito al concetto di libertà, è possibile procedere ancora oltre e buttarci su una ricerca di tipo esistenziale, cioè riguardante il senso dell'esistenza, le nostre sensibilità umane, le dinamiche che riusciamo ad instaurare nelle nostre relazioni in modo da rendercele interessanti, significative, vitali.

A questo punto si tratta di stabilire le ermeneutiche, cioè le chiavi di lettura, i punti di vista, entro cui vogliamo muoverci, in base alla fecondità che vi intravediamo. Ad esempio, è possibile interrogarci sulle nostre responsabilità da un punto di vista politico, oppure morale, o spirituale, religioso, sociale, psicologico, ecc.

Tutta la riflessione fatta sopra sarà importante per evitare di ricadere in ricerche di tipo meccanicistico: se intraprenderemo, ad esempio, una via di approfondimento politico, sarà inutile imboccare di nuovo la strada della ricerca infinita delle cause: ad esempio, è possibile dire che i cattivi politici sono il frutto di cattivi elettori, che i cattivi elettori sono a loro volta il frutto di meccanismi storici e sociali che li hanno condizionati. Approfondire tutto questo sarà interessantissimo, ma sempre cercando di evitare di andare a finire di nuovo nella ricerca di tipo elementare la cui critica ho descritto sopra. Insomma, si tratterà di muoverci su livelli più alti, perché su quelli più bassi abbiamo già visto che non si ricava niente.

Allora, andando al titolo della discussione, piuttosto che chiederci se siamo responsabili delle nostre azioni, si profila più fruttuoso chiederci che senso dare alla nostra sensazione di responsabilità, come sfruttarla, in che modo essa può arricchire le nostre relazioni, quali dinamiche interpersonali può essere fruttuoso indagare e magari coltivare.

In ultima analisi, si tratta di mettere in pratica un criterio di base a cui mi sembra che la filosofia sia ormai pervenuta: piuttosto che chiederci, riguardo a qualsiasi cosa, "che cos'è", si profila più fruttuoso chiederci "cosa possiamo farci".

Menti non abituate a tutto questo discorso penseranno che sia impossibile portare avanti l'approfondimento, visto il totale fallimento delle analisi di base che ho descritto all'inizio. L'esperienza però dimostra che non è così. Ad esempio, un artista non sa le cause ultime meccaniche per cui ha creato un quadro, non sa se egli è solo un orologio che risponde ai propri meccanismi, ma non per questo la sua opera risulta piatta, insignificante. Lo stesso vale non solo per gli artisti, ma per ogni attività umana.

Addirittura si potrà magari scoprire che è vero il contrario: era la vecchia mentalità di conoscere tutto, illudersi di sapere la costituzione, le cause e i meccanismi basilari di ogni elemento dell'essere, ad impoverire la nostra esistenza.

Alla fine il dubbio, lungi dal distruggere i significati, in realtà li libera.

Per quanto riguarda la considerazione delle nostre strutture genetiche/chimiche, la trovo insignificante perché, anche quando fossimo riusciti a ricondurre ogni minuzia di ogni nostro comportamento a precisissime strutture genetiche/chimiche, non avremmo stabilito niente perché tali strutture non sono comunque l'ultimo approdo della ricerca fisico/chimica: oltre le strutture genetiche ci sono le molecole, oltre le molecole ci sono gli atomi e così via, all'infinito: siccome non esiste un punto di arrivo verso il sempre più piccolo e il sempre più analitico, la riconduzione a tali strutture si rivela priva di utilità al fine di discutere sull'esistenza della libertà. Cioè, ci sarà sempre qualcosa di più microscopico di ciò che al momento conosciamo, che non sappiamo se e a quali meccanismi ubbidisce.

In merito alle conseguenze giuridiche a cui ha fatto riferimento Phil, mi sembra che tutto ciò che ho detto abbia una conseguenza utile, in realtà già presente nella giurisprudenza, ma ancora poco valorizzata: ogni pena non può avere di mira il pagamento di un prezzo, perché questo concetto è insensato: per nulla esiste un prezzo in grado di sostituire o riparare il male compiuto; quel che è fatto è fatto, il passato non può essere né cancellato, né modificato. L'unico scopo sensato di qualsiasi pena è la rieducazione. Questo scopo è sensato perché risponde a tutto il discorso che ho fatto, cioè abbandona la ricerca della cause ultime per dedicarsi invece all'arricchimento dell'esistenza, la cui essenza può essere individuata proprio nell'educazione, educarsi, o autoeducarsi, che poi in altre parole è crescere, camminare, divenire.

Jacopus

Non sono d'accordo Viator. Non si tratta di un doppio regime secondo lo scopo di comprendere o condannare. E neppure bisogna tirare in ballo Dio e il bene e il male.
Dal punto di vista giuridico c'e' un processo nel quale si accerta l'intenzionalita' e si condanna o si assolve o si introducono riti alternativi o benefici secondo l'ordinamento vigente. La capacita' di intendere e volere verra' stabilita nei casi concreti dai periti concreti. Grazie alla Costituzione (non a Dio) viviamo in uno stato di diritto.
Altra cosa e' ragionare sul libero arbitrio a proposito dell'agire antisociale. Questa e' una dimensione dove si puo' comprendere oppure condannare moralisticamente o fare riferimento a Dio. La distinzione non e' quindi da un lato comprendere usando tutte le discipline scientifiche e dall'altro giudicare usando vetusti strumenti che mi ricordano piu' uno stato islamico e la sharia che uno stato moderno.
La distinzione corretta e' applicare le norme nei casi concreti di giudizio da un lato e dall'altro permettere a tutte le varie discipline di elaborare le loro teorie, che giocoforza, una volta considerate piu' convincenti finiranno per introdursi anche mel diritto positivo.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Il_Dubbio

Citazione di: Phil il 18 Novembre 2017, 22:34:35 PM
Il motivo di un mio comportamento nocivo (o potenzialmente tale), se inteso in termini esclusivamente chimico-biologico-altro,  non mi può esonerare dall'esserne pubblicamente responsabile (standone le condizioni previste dalla legge), altrimenti viene meno l'imputabilità di qualunque azione, perché il soggetto sarà sempre tutelato dall'"alibi neurologico" (lascio volutamente in disparte la "responsabilità privata" di stampo religioso, che suggerisce tutt'altro paradigma di lettura anche per l'eredità genetica e il corpo che abbiamo ricevuto in sorte...).

Questa è una scusa bella e buona. Non sta in piedi nemmeno con le stampelle.  :-* 

Se esiste una responsabilità questa non può essere imputabile ad un "mal funzionamento" del sistema, ma deve essere data esclusivamente alla volontà di compiere un atto nocivo.

Facciamo un esempio di atto non volontario ma che è preceduto da un atto volontario. Vediamo dove si annida l'atto volontario.
Un uomo ubriaco corre su un'automobile ed investe un pedone.
L'uomo è ubriaco quindi non ha tutte le facoltà per impedire il reato. Siccome però è ubriaco l'atto non è volontario in quanto le sue capacità sono offuscate dall'alcool. Quando allora l'atto diventa volontario? Da quel che si comprende quando incomincia a bere.
Nel momento in cui incomincia a bere infatti (sicuramente è un recidivo) sa gia che potrebbe commettere atti non volontari.
Ma non arriviamo al punto limite in cui sia completamente privo di ogni inibizione. Basta anche bere poco per essere poco lucidi. Se in quel mentre si investe qualcuno si è responsabili e si accusati di aver commesso un reato.

Analizziamo piu da vicino la questione. Il legislatore dice che se ti metti alla guida dopo aver bevuto (anche un po') sei responsabile. Stai facendo qualcosa contro le regole. Il guidatore che invece si è messo alla guida del mezzo dopo aver bevuto poco (ma basta anche poco per perdere la lucidità sufficiente per evitare delle tragedie) pensa di essere lucido anche se ha bevuto poco, quindi si mette alla guida del mezzo.
Ora analizziamo la questione: "pensa di essere lucido" quindi decide di mettersi alla guida contravvenendo ad una regola.
Solitamente una regola va rispettata e il pensiero va sospeso. Noi siamo per il pensiero libero ma le regole vanno rispettate. Il legislatore quindi prova a far rispettare la regole aumentando le sanzioni. Se uno che ha bevuto poco e, anche senza aver commesso alcun reato,  si mette alla guida, viene fermato e gli si sospende la patente.
Il nocciolo della questione è che la regola (e le eventuali sanzioni) dovrebbe fare da deterrente per evitare che qualcuno commetta un reato.
Quindi regola e sanzioni sono una sorta di imput a processi chimici neurologici che fanno scatenare all'interno dell'individuo la sua reazione di responsabilità.
Ma ci sono individui che invece non reagiscono alle regole e alle sanzioni, non diventano quindi responsabili. Questo cosa vuol dire?  Che regole e sanzioni non bastano. Altrimenti se bastassero regole e sanzioni per raggiungere lo scopo della responsabilità non saremmo testimoni di tanti crimini. Sicuramente regole e sanzioni fanno da deterrente per tanti che gia erano "quasi" responsabili e che avevano bisogno di quelle regole per esserlo con piu coscienza, ma per raggiungere tutti c'è bisogno di altro. E se il legislatore ha messo delle sanzioni, oltre a delle regole, è perche sa che ci sarà chi non diventerà responsabile sono con le sole regole imposte. Ciò vuol dire che sa gia che la responsabilità nel commettere reato non dipende dalla sola conoscenza delle regola. Sa che deve mettere una sanzione per costringere chi ancora non riesce ad essere responsabile a responsabilizzarsi. Per cui chi continua a commettere un reato, seguendo questo criterio di responsabilità, regole e sanzioni, non è ancora responsabile. Se fosse responsabile per davvero, cioè la sua responsabilità dipendesse da un processo chimico neurologico inculcato da regole e sanzioni, nessuno commetterebbe piu crimini. Mentre questo non è vero. Allora se uno commette un crimine la responsabilità è del legislatore che non ha trovato le giuste misure per responsabilizzare i propri cittadini. Oppure se il legislatore sostenesse che il criminale era responsabile solo perche era a conoscenza delle regole e delle sanzioni sta ammettendo implicitamente che regole e sanzioni sono sufficienti per responsabilizzare un individuo. Mentre ciò è falso, altrimenti non ci sarebbero criminali.

Jacopus

Caro Il Dubbio, credo che il concetto di responsabilita' di Phil afferisca al nesso di causalita' fra azione e conseguenze dell'azione. Il classico "dolo" insomma, mentre tu fai riferimento alla responsabilita' come capacita' di autocontrollo.
Sul fatto che lo stato ci stia lavorando da quasi 400 anni hai ragione. Un motivo del Leviathan di Hobbes e' proprio questo ma la responsabilizzazione deve inevitabilmente procedere anche per altre vie. Non si puo' istituire per legge, cosī come non si puo' esportare la democrazia con i cannoni.
Del resto la responsabilizzazione imposta dall'alto (dei cieli o dei parlamenti) spesso crea un diverso tipo di delinquenza di stato, riassumibili in violenze etniche, politiche, religiose. Anche in questo caso dovremmo domandarci se quelle istituzioni sono libere di commettere quei delitti o se sono determinate dalla loro natura e qui si potrebbero fare anche dei raffronti.
In questo modo pero' per quanto la questione sia interessante rischiamo di perdere il nocciolo della discussione di questo topic.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Il_Dubbio

Citazione di: Jacopus il 19 Novembre 2017, 00:52:08 AM
Caro Il Dubbio, credo che il concetto di responsabilita' di Phil afferisca al nesso di causalita' fra azione e conseguenze dell'azione. Il classico "dolo" insomma, mentre tu fai riferimento alla responsabilita' come capacita' di autocontrollo.

Se esiste una differenza a me sfugge.

Ammettiamo che esista sempre una causa. L'azione quindi è provocata da una causa e questa provoca una conseguenza, ovvero in questo caso il dolo.
Ammettiamo poi che il soggetto sia in realtà una macchina che conmpie delle azioni. Il fine che ci prefiggiamo è di evitare che il soggetto provochi un dolo. Di conseguenza cosa facciamo? Mettiamo una regola che dovrebbe costringere il soggetto a non fare piu azioni che provocherebbero un dolo.
Come per i computer io inserisco una regola di accensione e spegnimento, un software in pratica che regola  il computer quando accendersi e quando spegnersi.
Questo basta? Anche i computer sono macchine particolari che possono andare in conflitto con alcuni software. Magari accidentalmente si inceppa, o meglio si blocca eil meccanismo di accensione e spegnimento non avviene come secondo la regola che abbiamo dettato.
Chi è il responsabile di questo mancato spegnimento o accensione?

Quello che asserisco io è che se la regola imposta dal legislatore non eliminasse la causa che provoca il dolo, allora evidentemente il soggetto che agisce non è responsabile del dolo stesso, essendo lui una macchina a cui è stato imposto un software di conflitto con la macchina stessa.

Per cui se partiamo dalla considerazione che noi siamo in fondo delle macchine che ci accendiamo e spegnamo, la responsabilità della mancata accensione o spegnimento non è imputabile alla macchina ma a chi ha introdotto il software di accensione e spegnimento.  Per cui la responsabilità è dello stato o del legislatore.

Non è una questione di autocontrollo. La macchina non si autocontrolla esegue delle procedure. Queste procedure o le imparara, se è una macchina che riesce a imparare dall'esperienza (ed è credo uno degli obiettivi della I.A.), o gli vengono imposte tramite software.
Ammettiamo che in fondo noi siamo macchine che imparano dall'esperienza e che vengono controllare da programmi di controllo delle procedure.
Se la macchina va in conflitto, ammettiamo che qualcosa non funzioni tra l'esperienza e il controllo delle procedure tramite programmi software imposte dal legislatore, chi è il responsabile di quello che succederà? La macchina o il legislatore? La macchina non può avere responsabilità, lui procede per causalità intriseche alla macchina e che possono essere corrette dalle regole imposte.

Per questo ho risposto nel modo come ho risposto a Phil. E' una scusa bella e buona, prima mi dici che sono una macchina e dentro di me agiscono solo forze conseguenti a delle azioni che non posso controllare, poi mi dici che comunque sei responsabile?

Socrate78

E' comunque secondo me abbastanza evidente un fatto: la "libertà" o almeno una parvenza di essa deriva dal pensiero critico, non certo dall'istinto o dal sentimento.
Mi spiego: se io mi trovo in una situazione problematica da cui non so come uscire, ad esempio ho perso il lavoro , se io mi lascio prendere dai sentimenti negativi di fallimento, di frustrazione, è chiaro che non faccio altro che essere succube della situazione: se invece inizio a pensare a trovare una soluzione, lasciando da parte la frustrazione, è possibile che le cose migliorino davvero. Quindi è come se noi avessimo sostanzialmente due parti diverse nella nostra mente/cervello: una, basata sull'analisi critica delle situazioni, ci avvicina alla libertà, l'altra invece, quella reattiva e impulsiva, ci rende più schiavi, più simili ad automi che obbediscono ad impulsi esterni.

Jacopus

Caro Dubbio. Le cose sono leggermente piu' complesse. Noi non siamo una macchina e se e' vero che le nuove scoperte riducono la ns responsabilita' nel senso di " imputazione di un atto a noi stessi in una situazione che prevede alternative", resta comunque un area di libera scelta che singolarmente possiamo orientare. Inoltre e' il ns substrato fisiologico a renderci quello che siamo. L'aggressivita' o l'atto deviante nascono da millenni di storia biologica dell'uomo e non e' certo lo stato a poter rimediare con i suoi 400 anni di eta'.
D'altro canto e' vero anche il contrario. L'umanita' e' nella sua maggioranza altamente morale, visto che segue le regole senza bisogno che ci sia un carabiniere che controlla da vicino.
La differenza fra dolo e responsabilizzazione riguarda la differenza che c'e' fra l'intenzione di commettere un fatto punito dalla legge penale, indipendentemente dal realizzarsi dell'evento (c'e' infatti anche il tentato reato, art 56 cp) e la capacita' di controllare il proprio agire sulla base di reciproche aspettative sociali e su questo versante credere che la pena sia una sorta di software di "off" del comportamento e' vero ma solo se lo si considera come un circuito di emergenza poiche' la nostra socializzazione e quindi il contrasto agli atti delinquenziali avviene prima nel contesto di vita, quello che viene definito Lebenswelt, in contrasto al System di cui e' parte preminente proprio lo Stato e le istituzioni giudiziarie.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

acquario69

Citazione di: Jacopus il 19 Novembre 2017, 11:47:39 AM
 L'aggressivita' o l'atto deviante nascono da millenni di storia biologica dell'uomo e non e' certo lo stato a poter rimediare con i suoi 400 anni di eta'.

bisognerebbe dirlo a quelle civiltà che proprio a partire da quella data sono state sterminate e che prima hanno vissuti per millenni in sostanziale armonia fra di loro e l'ambiente circostante..dicasi madre natura.
Roba che quest'ultima proprio grazie all'avvento di tale "civiltà progredita" degli ultimi 400 anni ha gia in gran parte distrutto ed e' quella che ha pure cancellato davanti a se un futuro possibile persino a se stesso!

sgiombo

#12
Non si può essere "liberi da se stessi", non ha senso (pretendere di) parlare di libertà dalle determinazioni che ciò che si é (il nostro modo di essere) imprimono alle nostre scelte (ma casomai da coercizioni o impedimenti estrinseci che impediscono l' esplicarsi delle nostre tendenze comportamentali intrinseche).
Ha senso parlare di libertà delle scelte unicamente intendendola come assenza di coercizioni o impedimenti estrinseci alla propria volontà.

Chi sia vittima di violenza carnale (autentica; non della pretesa -in questo momento molto in voga- di far passare per violenza carnale subita la "prostituzione" -come si dice appropriatamente in lingua italiana- che si é liberissimamente scelto di praticare e cioè l' avere liberissimamente e senza coercizione alcuna rapporti sessuali con un partner più o meno ripugnante in cambio di denaro, direttamente elargito o indirettamente, ad esempio come compenso per una parte in un film o in una fiction") non dispone della libertà di scelta se avere un rapporto sessuale o meno secondo la propria volontà; se uno mi chiude una porta a chiave e io non dispongo di una copia della chiave stessa non sono libero di varcare quella soglia.

Ma "libertà da determinazioni intrinseche" non ha senso: se compio un' azione liberamente (cioè in assenza di coercizioni o impedimenti estrinseci alla mia volontà), allora la compio in conseguenza di quel che sono e dunque di quel che voglio, dipendentemente da come sono (oppure del tutto casualmente).

Quindi "un individuo con comportamento violento, antisociale, refrattario alla morale" per me é del tutto "veramente colpevole dei danni che causa. Se "La sua tendenza a non rispettare le esigenze altrui" é "data ad esempio da un mancato collegamento tra alcuni tipi di neuroni (quelli dell'empatia, per esempio o dei lobi frontali...) oppure da una concentrazione carente o eccessiva di un certo ormone o neurotrasmettitore", allora vuol dire che, a meno che qualcun altro violentemente gli imponga di agire o non agire come agisce o non agisce non come vorrebbe, ma invece in modo contraria alla sua propria volontà, egli é uno spregevole prepotente e si comporta di conseguenza, e che "prima facie" é perfettamente responsabile delle scelte che la sua propria malvagia e spregevole natura (e niente e nessun altro) liberamente (non subendo alcuna coartatazione) determina.

Scrivo "prima facie" perché inevitabilmente (per la forma di necessità in assoluto più inderogabile e cogente, la necessità logica) ci si ritrova ad essere quel che si é e ad agire di conseguenza non per nostra propria libera scelta (e anche se si decide di cambiare e diventare diversi, lo si decide in conseguenza di come si é,non per nostra propria libera scelta, al momento di questa decisione).

Ma così inevitabilmente "va il mondo" così "stanno le cose" e non altrimenti di così potrebbero stare...

sgiombo

#13
Citazione di: Jacopus il 18 Novembre 2017, 21:52:27 PM

Un secondo aspetto è quello che tu stesso hai accennato, relativo al campo delle scoperte genetiche e neuroscientifiche, che stanno mettendo sempre più in crisi l'uomo moderno fondato sull'individualismo e sulla capacità quasi eroica di superare ogni difficoltà. Qui ad esempio si può citare il concetto di metilazione, cioè la trasmissione di generazione in generazione della predisposizione a certe azioni, percui se il padre ha usato cannabis ha attivato una parte del suo codice genetico che ha apprezzato quell'uso, e questo potenziale apprezzamento verrà trasmesso geneticamente ai figli, indipendentemente dai condizionamenti sociali che possono aumentare o diminuire il rischio di entrare in contatto con le sostanze stupefacenti (qui è solo un esempio, non voglio certo aprire il discorso sulle droghe leggere).
CitazioneNon ho letto alcun articolo sulla metilazione del materiale genetico e le tossicodipendenze, ma dubito assai che la metilazione di alcune basi azotate del DNA di chi fuma cannabis (e in qualsiasi altra circostanza in cui ciò accada) possa interessare il DNA della linea cellulare "germinale" dalla quale sola "darwinianamente" (e non invece "lamarkianamente" da qualsiasi altro clone di cellule "somatiche") si possono trasmettere mutazioni genetiche, o anche solo modulazioni nell' espressione epigenetica del genoma, dalla metilazione stessa indotte, alla discendenza.



Questi modelli di azione sono, a livello politico, la democrazia, a livello economico, il libero scambio delle merci in un sistema capitalistico "responsabile", a livello culturale, l'illuminismo e il pensiero scientifico moderno.
CitazioneSenza assolutamente voler aprire (fra l' altro "fuori argomento") una discussione in proposito, ma unicamente come "doverosa" precisazione liberamente (da coercizioni estrinseche) impostami dalla mia propria natura (le mie convinzioni, ecc.), affermo che secondo me <<un sistema capitalistico "responsabile">> é una contraddizione in termini.

Il_Dubbio

Citazione di: Jacopus il 19 Novembre 2017, 11:47:39 AM
Caro Dubbio. Le cose sono leggermente piu' complesse. Noi non siamo una macchina e se e' vero che le nuove scoperte riducono la ns responsabilita' nel senso di " imputazione di un atto a noi stessi in una situazione che prevede alternative", resta comunque un area di libera scelta che singolarmente possiamo orientare.

Magari fosse cosi, ma il tema è: le neuroscienze dove credono di andare a scovare quest'area di libera scelta? Il tema è che le neuroscienze non hanno mai trovato un'area simile. Almeno che io sappia.

Alle volte si può far confusione e rendere tale area simile al concetto classico di probabilità.
Nel mio cell. ci sono applicazioni che inseriscono la percentuale di pioggia che può scatenarsi un un luogo. Mi è capitato di leggere perfino l'1% di probabilità.
Se confusamente pensassimo che la probabilità irrisoria sia dovuto ad un caso di libera scelta commetteremmo un errore grave. La probabilità è infatti legata ad una nostra ignoranza nel poter prevedere se in quel luogo scenderà la pioggia o no. Diciamo che per il 99% non pioverà, ma le previsioni non possono cancellare completamente il caso estremo cioè che pioverà. Ma la pioggia che potrebbe scendere anche nella massima improbabilità ha comunque origine classiche.

Nel caso che stiamo analizzando (che per certi versi potrebbe assomigliare ad un caso metereologico) si intende il movimento di sinapsi scariche elettriche ecc. e il loro scambio di informazioni tra il programma base (ad esempio il dna ecc.) e l'esterno (nel nostro caso si analizzava l'innesto di una regola o anche di una sanzione come fonte di conoscenza dell'individuo). Alla fine se in un caso limite uno commette un reato si potrebbe pensare che egli sia responsabile perche ha avuto l'imput da un'area di libera scelta. Oppure come penso farebbero tutti i neurologhi, il risultato imprevedibile è dato dalla procedura di scambio di informazioni fra le diverse aree di interesse che non può appunto essere previsto. Ma la sua imprevedibilità non è dovuta alla libera scelta dell'individuo ma dall'impossibilità di poter eliminare i margini di errore.

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