Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.

Aperto da Koba II, 25 Dicembre 2023, 09:08:41 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Koba II

Un noto manuale di teologia giustifica l'esistenza della teologia fondamentale come la riflessione necessaria per "dare risposta a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi", citando la nota la frase della prima lettera di Pietro.
La speranza dei primi cristiani, ancora molto vicini all'ebraismo e poco avvezzi al platonismo, era quella dell'esistenza di un Dio che sì, li avrebbe accolti dopo la morte, ma capace anche di trasformare il mondo. Il Regno di Dio è qui, in questo mondo, appunto.
Inizia la storia. Ambigua nel miscuglio del "già e non ancora".

Questa epopea però è finita. Non si spera più nella trasformazione del mondo, per opera di un Dio o per effetto di una rivoluzione. Tantomeno si spera in una vita dopo la morte.
La speranza ora riguarda la propria salute mentale, il proprio equilibrio, il proprio benessere. La vita privata, insomma.
Tutto è concentrato nel presente. Il futuro è l'apocalisse ambientale. È l'incomprensibilità delle istituzioni in cui avvengono le decisioni politiche.

Rinunciare ad ogni speranza nel futuro è allora da una parte ciò che viene auspicato dal capitalismo (perché la speranza che si concentra nel presente privato significa soprattutto consumo e assenza di qualsivoglia opposizione organizzata), dall'altra anche un modo per sottrarsi ad un'illusione millenaria, un modo, forse l'unico, di liberazione reale.

Vorrei capire, e quindi vi chiedo:
1. se sia preferibile conservare l'attitudine a sperare in grande, nonostante tutto;
2. se invece, nel caso si decida per una rinuncia ad essa, tale rinuncia possa essere intesa come saggezza filosofica, o invece piuttosto come l'effetto definitivo di una manipolazione sociale e politica per rendere l'essere umano sempre più simile ad una macchina che produce e consuma.

Jacopus

Bisognerebbe sperare ancora ma per essere reale quella speranza dovrebbe essere pratica e quindi "faticosa". Significherebbe abolire privilegi e consumi e quindi rovesciare il mondo manipolatorio che descrivi al punto due, che rappresenta molto bene la nostra condizione. La rinuncia alla speranza è collegata non tanto ad una saggezza superiore ma ad un sentimento di profonda angoscia.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Pio

Direi decisamente anch'io il punto 2. Non si vede grande saggezza in giro, anzi. Però aggiungerei che anche la speranza religiosa in una radicale trasformazione è venuta meno. Soprattutto il cristianesimo si è appiattito sul contingente, sul problema immediato, sull' interrogarsi su come rispondere alla secolarizzazione secolarizzandosi. L'epoca attuale vive anche la delusione data proprio dalla fine delle grandi illusioni, sociali e politiche del novecento. Non c'è più NULLA in cui aver fiducia: né in un Dio silenzioso né nell'uomo. È si può bere tutti i Fernet branca di questo mondo ma l'angosciante senso di solitudine davanti a enormi e irrisolvibili problemi non si digerisce.
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

bobmax

Secondo me, occorrerebbe prima indagare il significato di "speranza".
In cosa spera chi spera?

La speranza è davvero rivolta ad un ipotetico futuro migliore, oppure va ben più in profondità, cioè vuole molto di più?
Davvero sarei soddisfatto se il mio futuro di felicità si avverasse? Se pure tutto il mondo fosse finalmente felice?

O non rimarrebbe sempre un'ombra, una tristezza per il male, la sofferenza che sono comunque stati nel mondo passato?

Questa mia speranza, non è rivolta in fin dei conti all'annullamento di ogni male passato, presente e futuro?
Non bramo forse l'impossibile, senza il quale ogni speranza sarebbe vana?

E allora dove può rivolgersi questa speranza, se non verso la Verità?

La speranza è fede, l'unica autentica fede, fede nella Verità.
Verità impossibile, ma per Dio tutto è possibile.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Alberto Knox

Che lo vogliamo o no siamo dentro questo ingranaggio folle di produzione e cunsumo. Oggi siamo superingozzati di notizie e  di prodotti sul mercato , tutto il mondo di oggi si fonda sulla materia e, di conseguenza,  sui criteri su cui viene gestita la materia, avere più che l'essere. E poi tutto il sistema economico è fondato esclusivamente sul profitto. Se noi ci mettiamo a pensare capiamo subito che ciò di cui abbiamo veramente bisogno non è quello che il sistema ci da. Dove si è costretti a lavorare a ritmi spaventosi, in orari e turni che spesso destabilizzano il normale ritmo della vita per produrre delle cose per lo più inutili dove altri lavorano a ritmi spaventosi per poter comprare, implementare e rivendere. Perchè questo è ciò che da soldi alle multinazionali, alle grandi e medie aziende. Si può forse uscire da questo ingranaggio folle che umilia le nostre esistenze?
Se sì, ditemi come si fa.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

InVerno

Una cosa è la speranza, un altra è l'ottimismo, dove l'origine della prima è personale, paradigmatica la seconda. Si può, perciò, essere pessimisti ed avere speranza, o meglio, ha senso, filosoficamente.  Ed è anche la radice cristiana del topic, la fine del mondo paventata da Cristo era certamente pessimista, ma la speranza personale di superarla se non di vincerla, altrettanto forte. Non diversamente oggi, si possono nutrire diverse idee su come il mondo non vada bene, ma questo non preclude la porta della speranza. Sul lungo periodo, lungo lungo, gli ottimisti vincono sempre la scommessa, anche l'ottimismo ha senso filosofico, anche se forse ne ha poco pratico. La questione del "pensare in grande" è diversa, c'è un cambio generazionale da fare prima.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Ipazia

La capacità corruttiva del Capitale è talmente onnipotente e pervasiva che la speranza si coniuga col credo quia absurdum est.

Malgrado ciò la speranza è l'ultima dea che meriti credito e ogni crepa del Capitale è pr(o/e)messa di redenzione.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

anthonyi

Citazione di: Pio il 25 Dicembre 2023, 10:29:01 AM. L'epoca attuale vive anche la delusione data proprio dalla fine delle grandi illusioni, sociali e politiche del novecento. Non c'è più NULLA in cui aver fiducia: né in un Dio silenzioso né nell'uomo. .
Sono finite, almeno si spera, le illusioni rivoluzionarie che tanti errori hanno portato e continuano a portare, quello che rimane è quello che gia c'era prima, e che viene continuamente riscoperto. Tra questo certamente Dio, un Dio che è silenzioso solo per chi non lo sa ascoltare, è certamente la cosa piu importante in cui riporre la speranza, ma anche nell'uomo, soprattutto nell'uomo che sa ascoltare la voce di Dio nel suo cuore.

Jacopus

Questo Dio consolatorio è inutile quando non è complice dell'attuale rovina del pianeta terra. Un Dio vero dovrebbe realmente schierarsi dalla parte dei vinti e dalla parte della giustizia e ciò dovrebbe fare chi lo invoca. Un Dio vero e i suoi seguaci dovrebbero schierarsi a favore dell'uomo e non del suo simulacro, il denaro. In caso contrario saranno preghiere fredde e violente, nella loro apparente spiritualità asettica. Essere coerenti con il Vangelo è estremamente faticoso.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Pensarbene

Povero Dio, povero Cristo e povero diavolo.
Detto questo io dico che gli esseri umani adulti sono grandi abbastanza per farcela da soli.In questo saranno facilitati se vogliono esserlo ma nessuno li considererà come bambini o  adolescenti  bisognosi di autorità di qualsiasi genere,spiriti compresi.
Quindi, cari umani adulti alzatevi e agite, se non volete farlo restare proni ai troni,sottostanti e sottomessi.
Non c'è altro da fare smettendola di aspettare Qualcuno o Qualcosa di salvifico o di terrificante:
NON ARRIVERANNO MAI.
Adesso un piccolo ragionamento: le guerre mondiali hanno obbligato centinaia  di milioni di persone ad alzarsi e combattere, civili o militari.
La pandemia anche, i disastri naturali pure.
Ma allora, vogliamo restare alzati e combattere anche in tempo di pace, di relativa tranquillità, di "normalità"  ? 
Combattere malattie, diseguaglianze, violazioni dei diritti umani,illegalità e tutto ciò che viola i nostri diritti di esseri umani SENZA BISOGNO DI CREARE SITUAZIONI ESTREME CHE CI OBBLIGANO A FARLO?
E soprattutto, senza obbligare gli Spiriti a contribuire e,a volte, in parte, creare, queste situazioni limite per costringerci a svegliarci e combattere?
Penso che abbiate capito quello che intendo dire.











 responsabili e capaci di esserlo in tutti quei campi in cui 

Koba II

Citazione di: bobmax il 25 Dicembre 2023, 11:52:24 AMSecondo me, occorrerebbe prima indagare il significato di "speranza".
In cosa spera chi spera?
La speranza è davvero rivolta ad un ipotetico futuro migliore, oppure va ben più in profondità, cioè vuole molto di più?
Davvero sarei soddisfatto se il mio futuro di felicità si avverasse? Se pure tutto il mondo fosse finalmente felice?
O non rimarrebbe sempre un'ombra, una tristezza per il male, la sofferenza che sono comunque stati nel mondo passato?
Questa mia speranza, non è rivolta in fin dei conti all'annullamento di ogni male passato, presente e futuro?
Non bramo forse l'impossibile, senza il quale ogni speranza sarebbe vana?
E allora dove può rivolgersi questa speranza, se non verso la Verità?
La speranza è fede, l'unica autentica fede, fede nella Verità.
Verità impossibile, ma per Dio tutto è possibile.

La speranza che rifiuta ogni limite e che si abbandona all'impossibile: è per me, per esempio, ciò che si incontra a ogni pagina del "Libro della mia vita" di Teresa d'Avila, una specie di radicale reinterpretazione della propria vita interiore ponendo come origine delle cose che contano (emozioni e pensieri potenti) Dio. Un continuo e reale dialogo con Dio.
E certo viene da considerare questo racconto intimo come il risultato della fantasticheria religiosa di una donna mortalmente annoiata (quindi una versione teologica di Don Chisciotte), poi però ci si ricorda di Edith Stein, incredibilmente colta e intelligente, piena di talento filosofico, che proprio leggendo Teresa, nel periodo in cui era assistente di Husserl, si abbandona allo stesso realismo religioso, cosa che le darà poi la forza di vivere il viaggio infernale verso Auschwitz piena di amore verso le altre vittime.

Sembrerebbe cioè che nella religione cristiana non ci possa essere misura: o con Teresa ed Edith Stein, o con la teologia colta di un Ratzinger, la quale è dialogo su Dio, non dialogo con Dio, come nel realismo dei santi, e quindi in fondo cultura, poesia. Il fascino dei simboli. Ma nessuno slancio reale "suicida" alla Francesco d'Assisi. Cioè, non si tratta propriamente di religione.

Tu scrivi che la speranza è fede nella Verità. E questa Verità è il rovescio di ciò che pensiamo sia reale. Ne è la prova il fatto che tale presunta realtà sia inaccettabile. È corretto?

Appena rifiutiamo le piccole consolazioni private veniamo investiti dall'orrore. Non la meraviglia, non lo stupore per l'essere, per una pienezza gratuita. Ma l'orrore. Il male.
Dopodiché? Nell'impotenza di un superamento razionale, di un cambiamento, che cosa facciamo? Ci facciamo una dormita e torniamo l'indomani a giocare? Ma se un bel giorno non riuscissimo più ad anestetizzarci?

daniele22

Citazione di: Koba II il 25 Dicembre 2023, 09:08:41 AMUn noto manuale di teologia giustifica l'esistenza della teologia fondamentale come la riflessione necessaria per "dare risposta a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi", citando la nota la frase della prima lettera di Pietro.
La speranza dei primi cristiani, ancora molto vicini all'ebraismo e poco avvezzi al platonismo, era quella dell'esistenza di un Dio che sì, li avrebbe accolti dopo la morte, ma capace anche di trasformare il mondo. Il Regno di Dio è qui, in questo mondo, appunto.
Inizia la storia. Ambigua nel miscuglio del "già e non ancora".

Questa epopea però è finita. Non si spera più nella trasformazione del mondo, per opera di un Dio o per effetto di una rivoluzione. Tantomeno si spera in una vita dopo la morte.
La speranza ora riguarda la propria salute mentale, il proprio equilibrio, il proprio benessere. La vita privata, insomma.
Tutto è concentrato nel presente. Il futuro è l'apocalisse ambientale. È l'incomprensibilità delle istituzioni in cui avvengono le decisioni politiche.

Rinunciare ad ogni speranza nel futuro è allora da una parte ciò che viene auspicato dal capitalismo (perché la speranza che si concentra nel presente privato significa soprattutto consumo e assenza di qualsivoglia opposizione organizzata), dall'altra anche un modo per sottrarsi ad un'illusione millenaria, un modo, forse l'unico, di liberazione reale.

Vorrei capire, e quindi vi chiedo:
1. se sia preferibile conservare l'attitudine a sperare in grande, nonostante tutto;
2. se invece, nel caso si decida per una rinuncia ad essa, tale rinuncia possa essere intesa come saggezza filosofica, o invece piuttosto come l'effetto definitivo di una manipolazione sociale e politica per rendere l'essere umano sempre più simile ad una macchina che produce e consuma.
Datemi un punto d'appoggio e vi solleveró il mondo disse qualcuno.
Nel forum si dice "faticoso", "ottimismo e pessimismo". È l'ottimismo quello che fa più fatica.
Senza speranza non si vive, qualsiasi sia il punto su cui essa si focalizza. Anche gli altri animali hanno la speranza, pure se non lo sanno, ma sarebbe ben focalizzata, più nitida, almeno per noi che guardiamo.
Quando si pensi alla speranza dovremmo considerare senz'altro due gesti estremi a cui può portare invece la disperazione. Il gesto omicida e il gesto suicida. Questo valga tanto per l'individuo quanto per una nazione. Io personalmente sono un ottimista con qualche sfumatura di pessimismo e in tutta onestà mi vedo più come un'omicida che come un suicida, ma non so se questo basti per vedere l'omicida come potenziale guerrafondaio, dato che per la nazione il gesto omicida si inquadra nella guerra e dato pure che io, pur tifando ora blandamente per i russi e molto di più per i palestinesi, non mi senta affatto un guerrafondaio.
Datemi un punto d'appoggio dunque, e il Dio ebraico sarebbe appunto il fulcro su cui fa leva il disperato gesto estremo omicida. Naturalmente i credenti qui da noi sono ben pochi, diciamo che credono in qualche derivato più terra terra. Ma in contrasto penso pure che gli ebrei siano credenti, solo che sono partiti spingendo sul lato corto della leva ... e continuano!! Testa dura cuore tenero si dice pure ... chissà se sarà vero. Per come la vedo io si sarebbero semplicemente sbagliati

bobmax

Citazione di: Koba II il 25 Dicembre 2023, 17:49:01 PMLa speranza che rifiuta ogni limite e che si abbandona all'impossibile: è per me, per esempio, ciò che si incontra a ogni pagina del "Libro della mia vita" di Teresa d'Avila, una specie di radicale reinterpretazione della propria vita interiore ponendo come origine delle cose che contano (emozioni e pensieri potenti) Dio. Un continuo e reale dialogo con Dio.
E certo viene da considerare questo racconto intimo come il risultato della fantasticheria religiosa di una donna mortalmente annoiata (quindi una versione teologica di Don Chisciotte), poi però ci si ricorda di Edith Stein, incredibilmente colta e intelligente, piena di talento filosofico, che proprio leggendo Teresa, nel periodo in cui era assistente di Husserl, si abbandona allo stesso realismo religioso, cosa che le darà poi la forza di vivere il viaggio infernale verso Auschwitz piena di amore verso le altre vittime.

Sembrerebbe cioè che nella religione cristiana non ci possa essere misura: o con Teresa ed Edith Stein, o con la teologia colta di un Ratzinger, la quale è dialogo su Dio, non dialogo con Dio, come nel realismo dei santi, e quindi in fondo cultura, poesia. Il fascino dei simboli. Ma nessuno slancio reale "suicida" alla Francesco d'Assisi. Cioè, non si tratta propriamente di religione.

Tu scrivi che la speranza è fede nella Verità. E questa Verità è il rovescio di ciò che pensiamo sia reale. Ne è la prova il fatto che tale presunta realtà sia inaccettabile. È corretto?

Appena rifiutiamo le piccole consolazioni private veniamo investiti dall'orrore. Non la meraviglia, non lo stupore per l'essere, per una pienezza gratuita. Ma l'orrore. Il male.
Dopodiché? Nell'impotenza di un superamento razionale, di un cambiamento, che cosa facciamo? Ci facciamo una dormita e torniamo l'indomani a giocare? Ma se un bel giorno non riuscissimo più ad anestetizzarci?


Sì, questa realtà dell'esistenza è inaccettabile.
E poiché è inaccettabile, non può essere Verità.
Infatti la Verità ha bisogno di me, Dio ha bisogno di me per esserci.

E se Dio non c'è, posso continuare a fuggire quanto mi riesce, ma prima o poi sarò comunque preda dell'orrore.

Ed è proprio il male, l'orrore a costringermi ad affrontare finalmente lo sguardo della Medusa.
Una strada che mi conduce  all'inferno. 
Non so se è l'unica possibile, ma comunque è la mia.
L'inferno non è in un ipotetico al di là, ma è qui, ora, vi posso accedere in ogni momento. È un luogo dell'anima.
È sufficiente per me soffermarmi, anche solo per un attimo, su una mia colpa e, in nome della Verità, mi ritrovo subito all'inferno!

Ho trovato conferma nel "Lo specchio delle anime semplici" di Margherita Porete. L'uomo è al sicuro solo in due luoghi. Uno è il paradiso, l'altro l'inferno. Solo lì infatti Dio è certo.

Non vi è possibilità di superare l'orrore tramite il pensiero razionale. Perché la razionalità, la logica, sono soltanto le condizioni necessarie per lo svolgimento del gioco della vita.
Ma il gioco, lo conduce l'Etica.

Il bene e il male non sono eventualità contingenti della realtà, ma la ragione stessa della realtà fisica!

Il mondo è il palcoscenico affinché si manifesti il bene e il male.
E il male, in fin dei conti, è la forza che, negandola, ti conduce man mano dal non essere all'essere.

Senza il male, senza la morte, non saremmo forse persi per sempre nel regno della dissomiglianza?
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Che la livella livelli è un fondamento etico fondamentale. Ma la di-sperazione non sta lì, bensì nell'incapacità di filosofi e filosofie scadenti di dare un senso umano, individuale e sociale, a ciò che sta tra la nascita e la morte.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Pensarbene

Questo è vero se intendi un senso relativo alla specie e agli individui.Dare un senso alla specie umana  su questa terra è una impresa improba e piena di trappole.
La risposta migliore sarebbe quella di dire:"non ne ha uno, è nata casualmente e si è evoluta naturalmente"
Se questo fosse il senso, quale sarebbe quello di un individuo umano?
Non ne avrebbe uno, sarebbe qui per caso e naturalmente per poi sndarsene.
Questo risolverebbe i problemi e libererebbe specie e individui per omnia saecula saeculorum.
Però....per la Signora Umanità e per i Signori Umani ciò sarebbe troppo.poco, una banalità...QUINDI...blablabla...www.... 8)

Discussioni simili (5)