Se la realtà fosse indistinta

Aperto da iano, 21 Settembre 2019, 14:17:06 PM

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iano

#15
Ciao Sariputra.
Bello essere ammesso dentro un sutra.😊
Ai sensi aggiungerei gli strumenti di misura.
È opinione corrente che grazie alla scienza si smascherino
le illusorietà sensoriali , ma a me sembra questa la più grande delle illusioni , essendo la scienza solo un modo diverso di costruire nuove illusioni , le quali però, comunque le si costruisca , sono utili.
Non sembra utile invece discriminare fra sensi e scienza.
Sono due punti di vista diversi che mirano allo stesso obiettivo , e possono illuminarsi a vicenda.
Finora la scienza ha fatto luce sui meccanismi della percezione.ora dovrebbe farsi il contrario e la filosofia orientale diventa una buona bussola a tale scopo.
Il tempo può esistere solo nella mia percezione,ma senza ciò che percepisco mi sentirei davvero povero , e possedere il tempo mi fa' sentire davvero ricco.
Però non si può godere della propria ricchezza se non si è sempre pronti a liberarsene.
Non sappiamo molte cose e dobbiamo accettare i nostri limiti , senza però porcene.
Non sappiamo come i sensi costruiscano il tempo fino a farcelo apparire reale.
Ma anche quando facciamo scienza , pur avendo pieno controllo su quel che facciamo , restiamo increduli su quel che riusciamo a costruire .
Così siamo passati dal non credo se non vedo , al non credo anche se lo vedo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

#16
Ciao a tutti...ne è passato del tempo  ;)


Citazione di: iano il 24 Settembre 2019, 14:17:48 PMAi sensi aggiungerei gli strumenti di misura.


E non saresti l'unico... Personalmente, sono d'accordo con questa analogia (ovviamente limitata, come tutte le analogie ma direi molto significativa  ;)  )

Questa analogia in realtà è stata utilizzata da vari fisici, perfino da David Bohm, ora famoso per la sua interpretazione 'realistica' a 'variabili nascoste' (non-locali) della MQ. Bohm, in particolare, prese ispirazione dalla Relatività e dai lavori dello psicologo Jean Piaget.

Il 'mondo' che noi 'sperimentiamo' con i nostri sensi, è un 'mondo' ordinato dalla nostra mente (non 'creato', come direbbero gli 'idealisti ontologici'). La nostra percezione in fin dei conti senza questa 'costruzione' sarebbe assai confusa: non potremmo distinguere le forme, non riusciremmo a sentire suoni 'importanti' (e a distinguerli dal 'rumore') e così via.

In altre parole, la nostra mente ordina le sensazioni riconoscendo in esse delle strutture - dei 'pattern' - significativi ed importanti. Ancora prima che ne siamo consapevoli, il nostro sistema percettivo ha già 'ordinato' le sensazioni 'analizzando' le sensazioni, filtrando le sensazioni 'interessanti' dal rumore e ordinando esse in modo da 'costruire' un'unica immagine coerente. Consapevolmente, in seguito, ordiniamo ancora di più le sensazioni.

In una intervista che si può trovare su youtube (purtroppo in inglese...link: https://www.youtube.com/watch?v=Mst3fOl5vH0 ), David Bohm utilizza l'esempio di un oggetto, solido e circolare. Però, ai nostri occhi, l'oggetto non appare circolare. Infatti, poiché lo vediamo sotto una certa angolazione lo vediamo ellittico. D'altra parte, però, se ci muoviamo rispetto a tale oggetto, lo vediamo ancora ellittico, ma con una forma diversa. A questo punto, cerchiamo di costruire un''immagine coerente' di ciò che vediamo:  capiamo che la 'forma apparente' (quella che vediamo da una certa angolazione) non è una proprietà intrinseca dell'oggetto 'in sé' ma è una proprietà relazionale (rispetto a noi l'oggetto appare un'ellisse con determinate misure ecc). Quindi - e qui arriva la nostra tendenza ad 'unificare' le apparenze - concludiamo che l'oggetto deve avere una 'forma intrinseca', poniamo circolare: appare ellittico perché lo si osserva da varie angolazioni, ma in realtà è circolare.
E la cosa funziona stupendamente bene... Attribuendo una forma intrinseca al nostro oggetto e utilizzando il concetto di prospettiva, abbiamo ora un'unica immagine coerente che sembra spiegare tutte le forme apparenti, che sono ciò che noi effettivamente osserviamo (con o senza strumenti di misura di vario tipo...).

Ma poi, ecco che arriva lo scienziato di turno e... vede che il nostro 'oggetto circolare' non può essere considerato tale. In realtà, la forma circolare era anch'essa un'apparenza, per così dire: nuove osservazioni sembrano essere spiegate da una 'immagine' diversa, ad esempio quella degli atomi. L'oggetto 'circolare' è composito, ovvero formato da una miriade di 'oggettini' piccoli. Quindi, non c'è neanche la 'forma intrinseca' che credevamo ci fosse. La 'forma intrinseca' di questo oggetto, in realtà, non è 'intrinseca', ma è 'solo' un'utile astrazione che ci permette di conciliare apparenze diverse.

La scienza, dunque, sembra effettivamente somigliare al processo percettivo: facciamo molte osservazioni e registriamo ciò che osserviamo (apparenze). Poi cerchiamo di costruire un'unica 'immagine coerente', un sistema concettuale, un'unica 'teoria' (Bohm osserva che etimologicamente, teoria viene da 'theoria', 'vedere uno spettacolo'...) che riesce a dare una spiegazione concettuale a tutte queste apparenze. Siamo soddisfatti non appena questa teoria riesce ad accordarsi con gli esperimenti. Poi, però, di solito, accade che alcune osservazioni non possono essere conciliate con la teoria, il nostro sistema concettuale. Lo dobbiamo cambiare.

Buona parte della storia della scienza può essere pensata come un susseguirsi di teorie smentite. Un continuo susseguirsi di osservazioni, di creazione di sistemi concettuali che avevano lo scopo di predire le osservazioni e 'rappresentare' la 'realtà-così-come-è' , di successive conferme e smentite. Arrivati alla smentita, il 'ciclo' ri-iniziava.

La teoria della meccanica newtoniana, ad oggi è una di queste 'teorie smentite'. Oggi sappiamo che essa non può descrivere la 'realtà così come è'. Ma non ci deve venire in mente che è completamente sbagliata, visto che, in fin dei conti, sotto moltissime condizioni prevede le osservazioni con estrema accuratezza. Quindi, possiamo dire che è 'smentita' se ci eravamo convinti che rispecchiava la 'realtà in sé'. Ma, in realtà, è una teoria ancora estremamente efficiente.

Ecco che, vedendo questo, alcuni interpreti della MQ hanno concluso che dobbiamo rinunciare all'ipotesi che la scienza descriva la 'realtà così come è'...

Riassumendo, possiamo dire, secondo me, che ciò che osserviamo sono apparenze. Le teorie nella storia della fisica hanno avuto due funzioni: (1) prevedere i risultati delle osservazioni, (2) farci comprendere alcuni aspetti del mondo 'in sé' (ad essere precisi, quelli quantitativi...già Galileo aveva escluso che la scienza si occupasse di eventuali altri aspetti dei fenomeni naturali).  

Dalla nascita della MQ, la seconda funzione è stata messa in discussione da diversi padri fondatori della MQ, come Bohr e Heisenberg. Anche Bohm stesso, in realtà, era abbastanza convinto che la scienza non ci avrebbe mai dato una 'immagine perfetta' della realtà, ma la nostra speranza era quella di costruirne sempre di migliori. Altri (ad es. Bitbol) ritengono che la MQ è stata una sorta di socratico 'riconoscere di non sapere': ovvero che, in realtà, la fisica non ci può dare un'immagine di certi aspetti del 'mondo in sé' ma 'solo' modelli che prevedono le osservazioni. Secondo questi pensatori, la scienza non ci dà informazioni ontologiche sulla realtà.  

Citazione di: iano
Se la realtà fosse indistinta , questa sarebbe la sua definizione completa , che nessuno però potrebbe dare.
Sarebbe completa perché in una realtà indistinta non vi è cambiamento e quindi non vi è altro da dire.
Al contrario , se vi è mutamento , la realtà è distinta in parti.


Se la 'realtà in sé' fosse realmente indistinta, perché se scendo in 'pianura' dal 'Monte Bianco' osservo alcune differenze? Perché il 'paesaggio' cambia se vado da 'Milano' a 'Roma'?

Più che l'assenza di distinzioni, ritengo che gli sviluppi recenti della fisica sembrano indicare che le 'cose' tra di esse non sono così separate come sembra ma, anzi, che esse non siano separabili da un certo contesto. Ovvero più che una assenza di distinzioni, credo che sia più corretto dire, come hai già detto tu:

Citazione di: iano il 24 Settembre 2019, 02:27:13 AMPer dirla con Bobmax , se esistono oggettivamente non sembra però che la loro oggettività sia separabile dal contesto. Diciamo che non è possibile definirli fuori da un contesto, come realtà a se stanti. Il sorriso del gatto esiste , ma non separato dal contesto. Lo stesso vale per la temperatura , per il tempo , e forse per ogni "oggetto" di cui facciamo esperienza. Tutto esiste finché è in rete, per usare una analogia dei nostri tempi. Come se l'oggettivita' fosse più una qualità della percezione e della esperienza che degli "oggetti". Probabilmente non possiamo mai giurare che ciò che oggi ci appare oggettivo tale rimarrà nella nostra considerazione domani.


Da questo non concluderei che la 'realtà è indistinta' (anche se probabilmente intendevi questo :)  a volte, la comunicazione scritta può essere molto ambigua...). Le distinzioni sembrano effettivamente divenire meno 'evidenti', diciamo. Ma pare anche non corretto dire 'non ci sono distinzioni'. Insomma, una via di mezzo ... ::) ;)  

La fisica è piena zeppa di 'pure astrazioni'. Un esempio lampante è la 'particella libera', ovvero particelle isolate. Tale idea nasce dal ritenere che le 'cose' siano fatte da 'mattoncini' e che sia possibile isolare questi 'mattoncini' e analizzarli uno per uno, 'astraendoli' dal contesto. E poi 'ricostruire' la 'realtà' a partire dalle proprietà di questi 'mattoncini' accuratamente separati.

Per esempio, un modo intuitivo per farlo è quello di allontanare le 'parti'. Per esempio, ci aspettiamo che allontanando due particelle esse non presenteranno alcun 'legame'. E, invece, ecco che gli esperimenti su particelle entangled sembrano dirci che questa intuizione fallisce, talvolta. Così per le particelle entangled, questo metodo 'analitico' arriva ad una consistenza: se veramente crediamo che ci siano davvero due particelle con posizioni sempre definite, queste sembrano comportarsi (se 'entangled') come se fossero una cosa sola, per così dire.

Ma senza scomodare le particelle 'entangled', è chiaro che non è possibile osservare alcuna particella libera, anche perché, in fin dei conti, per essere davvero libera non dovrebbe interagire con niente. Ma non solo non può osservare, non può nemmeno esserci, molto probabilmente. Come può una particella trovarsi in una situazione in cui non interagisce con niente?
Ma se non ci sono nella realtà particelle isolate, tale concetto è una pura astrazione. Indubbiamente, una utilissima astrazione.  Ma se questo concetto non descrive qualcosa di reale, allora è difficile sostenere che si possano veramente 'separare' completamente le 'parti'. Ergo, il contesto diventa fondamentale.

Citazione di: iano il 24 Settembre 2019, 14:17:48 PM
Ma anche quando facciamo scienza , pur avendo pieno controllo su quel che facciamo , restiamo increduli su quel che riusciamo a costruire .
Così siamo passati dal non credo se non vedo , al non credo anche se lo vedo.


A dire il vero, ritengo che questo 'spirito' non è per niente una novità. Ma è alla base di scienza e filosofia, nel senso che si cerca di non interpretare in modo errato ciò che si vede, osserva ecc. 

Ma è anche vero che, in realtà, pare estremamente difficile applicare questo 'modus vivendi' in tutti gli aspetti della nostra vita :)

Buona serata!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

iano

#17
Ciao Apeiron , bentornato😊
Un mondo che è distinto e indistinto allo stesso tempo non può essere dato .Rimane la possibilità che non sia ne' l'uno né l'altro.Che distinto e indistinto siano emergenze che appaiono e scompaiono all'occorrenza sfumando uno nell'altro.
Il fatto che siamo in grado di fare previsioni , come forse mi pare sottintendi , non ci garantisce di avere afferrato la realtà, ma è la prova che interagiamo con essa.
Potremmo dire però che qualcosa della realtà conosciamo bene , nella misura in cui le nostre teorie entrano a farne parte , più che esserne la narrazione approssimata.
È sufficiente applicare le teorie , senza conoscere la realtà.
Ma in effetti non  è neanche necessario conoscere le teorie.
Sembra sia dimostrato che il pettirosso si orienti con l'entenglement di cui nulla sa'.
La costruzione di teorie quindi ha più a che fare con una presa di coscienza del modo in cui facciamo le cose e non con la possibilità di farle.
Ma a cosa serve la coscienza?
Serve a fare ,delle parti separate di cui apparentemente è composta l'amanita' , un tutt'uno, affiancando all''ereditarietà genetica la cultura , potenziando le capacità di adattamento.
La scienza non è dunque il lusso della conoscenza , ma la necessità della sopravvivenza.
Di questo nesso però non c'è diffusa coscienza se ci stiamo riducendo come ci stiamo riducendo.
Se ci fosse questa coscienza capiremmo che:
La diminuita fiducia nella scienza è diminuita fiducia in noi stessi.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

#18
Ciao @iano,

Citazione
Un mondo che è distinto e indistinto allo stesso tempo non può essere dato . Rimane la possibilità che non sia ne' l'uno né l'altro.

Sì, personalmente concordo. Ci sono alcuni sistemi filosofici che sembrano affermare che il mondo è sia distinto che indistinto. Per esempio, alcuni monismi. In questi sistemi, ogni cosa condivide la stessa sostanza. Ma, al tempo stesso, le cose si distinguono dalla forma - in altre parole, ogni cosa è una manifestazione della stessa sostanza. Oppure i monismi che trattano il 'Tutto' come una 'Totalità', ovvero come 'Una Cosa Sola' (Bohm stesso talvolta sembra sostenere questo tipo di ontologia, quando parla di 'ordine implicito' ed 'ordine esplicito'). Sono secondo me, prospettive affascinanti. Però, attualmente non sono d'accordo con esse.

Il mondo non può essere, secondo me, realmente 'indistinto' perché non possiamo negare l'esperienza del mutamento e della diversità. Facevo l'esempio del mutamento che si osserva quando ci si sposta da un posto all'altro, ma quello che faceva il buon @Sari delle fasi della vita è certamente più significativo. Una filosofia che nega anche quello - ovvero considerare illusorio anche quello -andrebbe contro l'esperienza diretta (e la scienza parte dall'esperienza...).

D'altra parte, si possono citare esempi nella storia della filosofia in cui si negava totalmente il mutamento, almeno stando all'interpretazione 'tradizionale' di tali filosofi. Un esempio sono gli Eleati, per i quali l'Essere non poteva avere né parti né poteva insorgere e svanire. Per questo motivo, hanno negato distinzioni e mutamento.

Sembra un'idea 'bizzarra' eppure un'interpretazione (filosofica) della Relatività molto diffusa afferma proprio che lo 'scorrere' del tempo sia totalmente illusorio. D'altra parte, ritengo che negare alcuni 'fatti empirici' sia esagerato...

Se si nega questo e si negano le distinzioni, ciò che rimane è una realtà né distinta né indistinta. Non si negano totalmente le distinzioni, ma esse devono essere intese come apparenze. Il pensiero sembra non riuscire ad 'afferrare' questo. Intendevo questo, quando dicevo nel mio precedente intervento:


Citazione
Da questo non concluderei che la 'realtà è indistinta' (anche se probabilmente intendevi questo  a volte, la comunicazione scritta può essere molto ambigua...). Le distinzioni sembrano effettivamente divenire meno 'evidenti', diciamo. Ma pare anche non corretto dire 'non ci sono distinzioni'. Insomma, una via di mezzo ...  

Un'alternativa è ammettere sì che le distinzioni sono meno 'evidenti', ma che questo non significhi che sono 'illusorie'. Anche questa alternativa, a pensarci bene, è 'una via di mezzo'.

La domanda è: fino a che punto vogliamo 'negare' le distinzioni? Quanta 'realtà' vogliamo dare loro? (Purtroppo, è difficile anche porre le domande in modo chiaro...questo denota la difficoltà del linguaggio...)

Una cosa simile avviene se si considerano le 'proprietà relazionali'... Se si arrivasse al punto in cui gli esperimenti suggeriscono fortemente (per alcuni, ci siamo già) che gli 'oggetti' hanno solo proprietà relazionali e non intrinseche, si può ancora parlare propriamente di 'oggetti'? Possono esserci 'oggetti' che hanno solo proprietà relazionali? D'altra parte, non possiamo a livello empirico negare l''apparenza' di tali 'oggetti'. Così come non si può negare l''apparenza' delle distinzioni ecc. Questo è il caso dell'interpretazione di Rovelli, che nell'abstract dell'articolo 'Relational Quantum Mechanics' (link: https://arxiv.org/abs/quant-ph/9609002 ), scrive:

Citazione
I suggest that the common unease with taking quantum mechanics as a fundamental description of nature (the measurement problem) could derive from the use of an incorrect notion, as the unease with the Lorentz transformations before Einstein derived from the notion of observer-independent time.I suggest that this incorrect notion that generates the unease with quantum mechanics is the notion of observer-independent state of a system, or observer-independent values of physical quantities.

Traduzione:
Suggerisco che il comune disagio che si prova con il perdere la meccanica quantistica come la fondamentale descrizione della natura (il problema della misura) può derivare dall'uso di una nozione errata, come il disagio con le trasformazioni di Lorentz prima di Einstein derivava dalla nozione di un tempo indipendente dall'osservatore*. Suggerisco che questa errata nozione che genera disagio è la nozione di uno stato indipendente dall'osservatore* di un sistema, o di valori indipendenti dall'osservatore* delle quantità fisiche.

[* n.d.t: Rovelli nel suo articolo spiega che per 'osservatore' nella sua interpretazione si deve intendere qualsiasi sistema fisico.]

Ci si può chiedere, dunque: ma se non vi è uno stato di un sistema fisico indipendente dagli altri sistemi fisici, si può parlare ancora di sistema fisico? Un sistema fisico senza uno stato intrinseco può essere considerato davvero un 'sistema fisico'?

Il pensiero sembra effettivamente avere difficoltà ad 'afferrare' la realtà. Lo si vede anche dalla difficoltà ad esprimere in modo chiaro questo tipo di pensieri.

Citazione
Il fatto che siamo in grado di fare previsioni , come forse mi pare sottintendi , non ci garantisce di avere afferrato la realtà, ma è la prova che interagiamo con essa.

Sì, esatto! Fare previsioni non dimostra che conosciamo la 'realtà-così-come-è', ma che, al limite, abbiamo una buona conoscenza della 'realtà-come-appare'. L'osservatore non è 'distaccato' e visto che non è 'distaccato' non può pensare di 'vedere' la 'realtà-così-come-è', ma dalla sua prospettiva, diciamo.

Ritengo di essere vicino alla prospettiva di Bohm, anche se non la accetto totalmente. Gli strumenti di misura sono effettivamente qualcosa di analogo ai sensi e dunque le osservazioni stesse 'somigliano' ai dati sensoriali. Si possono poi costruire modelli concettuali che tentano di dare una spiegazione unitaria di tutti questi dati (ad es, la 'forma circolare' del disco nell'esempio di Bohm spiega, con l'aiuto della prospettiva, perché noi vediamo che esso assume forme ellittiche diverse...). La scienza, dunque, ci fa, per così dire, 'vedere meglio' le cose. Possiamo pure ipotizzare che i nostri modelli concettuali descrivano esattamente la 'realtà-così-come-è' ma questo ha finito per produrre smentite, anche clamorose. La 'realtà-così-come-è' probabilmente è di per sé inafferrabile, al massimo possiamo avvicinarsi.

Addirittura, se l'interpretazione di Copenaghen e simili sono corrette, allora dobbiamo rinunciare all'ipotesi che esista una unica descrizione concettuale dei fenomeni. Questo a causa del 'Principio di Complementarietà'.  

Citazione
È sufficiente applicare le teorie , senza conoscere la realtà.
Ma in effetti non  è neanche necessario conoscere le teorie.

Per la scienza, non è necessario attribuire un'ontologia alle teorie della fisica (vedi dopo sul 'QBism', per esempio). Basta saperle applicare.


Citazione
La scienza non è dunque il lusso della conoscenza , ma la necessità della sopravvivenza.

Più che 'necessità della sopravvivenza', anche la più 'pragmatica' delle interpretazioni della scienza, dovrebbe ammettere che è un modo per migliorare la vita umana. Ecco, che, inaspettatamente, si entra nell'etica. 'Migliore', infatti, è un giudizio di valore, non scientifico. Anche se si può basare sulla conoscenza scientifica. Ma come si era ben espresso Wittgenstein, la scienza 'di per sé' non include l'etica. Anche se la scienza viene intesa come qualcosa di puramente 'applicativo', è l'etica che la guida...Ma questa è una digressione.

Probabilmente, l'interpretazione della MQ che utilizza l'analogia della percezione nel modo più radicale è il 'QBism', una recente interpretazione, simile a quella di Bohr. Nel suo paper 'Notwithstanding Bohr, the Reasons for QBism' (link: https://arxiv.org/abs/1705.03483 ) , il fisico Christopher Fuchs scrive nell'abstract:

Citazione
[W]e lay out three tenets of QBism in some detail: 1) The Born Rule---the foundation of what quantum theory means for QBism---is a normative statement. It is about the decision-making behavior any individual agent should strive for; it is not a descriptive "law of nature" in the usual sense. 2) All probabilities, including all quantum probabilities, are so subjective they never tell nature what to do. This includes probability-1 assignments. Quantum states thus have no "ontic hold" on the world. 3) Quantum measurement outcomes just are personal experiences for the agent gambling upon them.

Traduzione:
[E]sponiamo in dettaglio i principi del QBism con un po' di dettaglio: 1) La Regola di Born — il fondamento di ciò che la teoria quantistica significa per il QBism — è un'istruzione normativa. Riguarda il comportamento decisionale a cui ogni agente individuale dovrebbe sforzarsi di tendere; non è una 'legge della natura' descrittiva nel senso usuale. 2) Ogni probabilità, incluse tutte le probabilità quantistiche, sono così soggettive che non dicono alla natura cosa fare. Questo include le assegnazioni di probabilità pari ad 1*. Gli stati quantistici non hanno alcuna 'presa ontologica' sul mondo. 3) I risultati delle misure quantistiche sono semplicemente esperienze per l'agente che ci scommette sopra.

*[n.d.t: Ovvero 'certezza', in pratica il QBism interpreta la probabilità come un grado di fiducia/credenza dell'agente e non riguarda una proprietà degli oggetti fisici. A pagina 10, l'autore scrive: "With regard to quantum probabilities, QBism asserts that they are to be interpreted as genuinely personal, Bayesian degrees of belief. This is the idea that probability is not something out in the world that can be right or wrong, but a personal accounting of what one expects.
" (traduzione: "Riguardo alle probabilità quantistiche, il QBism afferma che esse sono da interpretare come genuinamente personali, gradi di credenza Bayesiani. Questa è l'idea che la probabilità non è qualcosa fuori nel mondo che può essere giusta o sbagliata, ma un calcolo personale di quanto uno si aspetta.")

Curiosamente, tra pagina 10 e 11, l'autore afferma che Bohr aveva riserve sull'analogia misura-percezione:

Citazione
QBism holds with Pauli (and against Bohr) that a measurement apparatus must be un- derstood as an extension of the agent himself, not something foreign and separate. A quantum measurement device is like a prosthetic hand, and the outcome of a measurement is an unpre- dictable, undetermined "experience" shared between the agent and the external system.

Traduzione:
Il QBism afferma con Pauli (e contro Bohr) che l'apparato di misura dev'essere inteso come una estensione dell'agente stesso, non qualcosa di estraneo e separato. Uno strumento di misura quantistica è come una mano protesico, e il risultato della misura è una imprevedibile, indeterminata 'esperienza' condivisa dall'agente e dal sistema esterno.

"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

iano

#19
Ciao Apeiron.
Mi sembra di aver capito quasi tutto e concordo su quasi tutto.
Suggerisco che tutto ciò che ci appare siano qualità emergenti della realtà,in diverso grado.
La temperatura è una qualità emergente degli atomi di un gas che a loro volta sono qualità emergenti di qualcosa altro , ma nessuna di queste qualità si può dire fondamentale in assoluto.
Tutte queste emergenze ,in quanto tali ,specie quelle più  "slegate" dalla percezione classica saranno indigeribili in vario grado al senso comune , ma questa percezione non è immutabile.
Se di emergenze si tratta non sarà strano che alcune di esse si contraddicono a vicenda , se esse non intervengono contemporaneamente nel processo percettivo , inteso in senso lato.
La scienza è un processo percettivo fattosi esplicito , e nella misura in cui si autoreputa  di essere altro , criticherà la percezione come inadeguata , non mancandogli gli argomenti.
Ma non si capisce da dove nasca questa reputazione.
L'impressione è che si voglia rimettere su un confine , sferico o meno , che divida il corruttibile dall'incorruttibile , nella speranza che noi si possa prima o poi varcarlo.
La matematica atemporale vive in un mondo a parte.
Va bene, ma chi lo dice?
L'uomo? Allora questo mondo a parte è contiguo all'uomo.
Ecco perché non lo vediamo , perché è da sempre sotto i nostri occhi.
Succede così nella percezione comune , no?
Il confine ci passa dentro.
Magari se andiamo a cercare tutti i trucchi e i giochi di prestigio della percezione li ritroviamo camuffati nella esperienza scientifica.
In questa ottica infine la ricerca della teoria del tutto perde il senso ontologico , pur restando desiderabile in se' unificare diverse teorie se cio' ne dovesse aumentare l'efficacia applicativa , o anche solo perché continuare a sognare , non è peccato.😊
Se anche faccio riferimento spesso a un criterio di utilità non accetterei mai che mi ponesse limiti.


Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

#20
Ciao @iano,

Citazione di:  iano
Suggerisco che tutto ciò che ci appare siano qualità emergenti della realtà,in diverso grado.
La temperatura è una qualità emergente degli atomi di un gas che a loro volta sono qualità emergenti di qualcosa altro , ma nessuna di queste qualità si può dire fondamentale in assoluto.

Il concetto di 'emergente' come lo intendiamo noi, sembra necessitare di un 'livello fondamentale' altrimenti si rischia una regressione infinita. Se ciò accade, anche il modo in cui intendiamo concetto di 'emergente' cambia.
Prendiamo l'esempio della temperatura. La temperatura è spiegabile come una proprietà emergente, perché è spiegabile col moto delle particelle. Ma se queste particelle sono anch'esse qualcosa di emergente, allora è solo vero fino ad un certo punto che la temperatura 'emerge davvero' dalle particelle. Non è 'falso', ma non completamente vero, nel senso che non è il concetto di 'emergente' usuale...non so se riesco a spiegarmi....
Se, poi, quel 'qualcosa' da cui sembrano emergere le particelle è il 'livello fondamentale', la catena si interrompe. Ma se anch'esso è qualcosa di 'emergente', si deve andare avanti ecc.
Se non si arriva mai a qualcosa di fondamentale, si ha la regressione infinita.

Ergo, trattare le distinzioni che vediamo 'alla nostra scala' come 'emergenti' non ci aiuta, quindi, a capire se la realtà è 'davvero' distinta, indistinta ecc. Inversamente, si arrivasse ad un 'livello fondamentale' della realtà, si potrebbe capire se la realtà è fondamentalmente distinta o meno.

Citazione di:  iano
La scienza è un processo percettivo fattosi esplicito , e nella misura in cui si autoreputa  di essere altro , criticherà la percezione come inadeguata , non mancandogli gli argomenti.
Ma non si capisce da dove nasca questa reputazione.

Quando Galileo ha usato il cannocchiale, riusciva a vedere più nitidamente i dettagli della superficie solare. Quando guardo un tessuto al microscopio, riesco a vedere più nitidamente i dettagli, es. le cellule e così via.
Analogamente, noi riusciamo a distinguere intervalli temporali di una certa lunghezza, ma gli orologi atomici riescono a fare meglio.

Credo che sia opportuno dire che l'analogia 'organi di senso' - 'strumenti di misura' sia valida. È, volendo, un po' come il concetto di 'realtà aumentata'. Gli strumenti di misura ci permettono di 'vedere' più nitidamente le cose, di 'vedere' cose che normalmente non riusciamo e così via.
A livello pratico-sperimentale, perciò, l'analogia è valida.  Non a caso, chiaramente, si possono fare esperimenti anche senza strumenti di misura, volendo. Saranno strumenti poco precisi, avranno un ambito di validità assai limitato ecc, ma si può fare, volendo. Perché no?
Da questi esperimenti si possono poi creare modelli quantitativi che possono essere utilizzati per 'ricavare' i risultati ottenuti e prevederne nuovi. Ma nuovamente, possiamo costruire dei modelli anche se usiamo i nostri organi di senso per studiare i fenomeni.

C'è, però, poi un altro livello, ed è quello dell'interpretazione dei modelli quantitativi. Fino a non molto tempo fa, si dava per scontato che la scienza potesse darci un'immagine fedele delle proprietà quantitative della 'realtà così come è'. Nel secolo scorso questa idea è stata messa in discussione. Ma anche se la si accettasse, non vedo perché rigettare l'analogia 'organi di senso' - 'strumenti di misura'.

Si può poi addirittura, forse, dire che, in effetti, è semplicemente impossibile non fondare la scienza sulla percezione sensoriale. Visto che, alla fine, è, ad esempio, con i nostri occhi che vediamo il responso degli strumenti di misura.
Alcuni affermano (ad es. Bitbol ecc) che non dobbiamo dimenticarci che, in realtà, il nostro 'sguardo' è 'situato'. Noi stessi definiamo un contesto, una prospettiva e così via. E non dobbiamo dimenticarlo.

Ergo, in conclusione, ritengo che si possa certamente dire che la scienza ci aiuti a 'vedere meglio'. Possiamo 'vedere' in modo straordinariamente nitido, dettagliato, preciso ecc. Ma non riesco a vederla veramente come 'altro' dalla percezione.


Citazione di: iano
L'impressione è che si voglia rimettere su un confine...che divida il corruttibile dall'incorruttibile , nella speranza che noi si possa prima o poi varcarlo.

La 'conoscenza incorruttibile' è certamente una tradizionale speranza della filosofia. Non solo occidentale, in realtà. E non solo della filosofia...
Eppure la conoscenza, a ben vedere, può mai essere davvero 'incorruttilbile', 'inerrante'? Noi siamo 'nel' mondo, non lo possiamo vedere 'da fuori'. Possiamo davvero, quindi, vedere la 'realtà così come è'?

Platone vide che la realtà è instabile, difficile da 'afferrare' ecc, la nostra conoscenza è imperfetta ecc. Ergo, ebbe a mio avviso, una delle già profonde intuizioni della storia della filosofia. Prendiamo la matematica. Nello spazio euclideo, la somma dei tre angoli dei triangoli è pari ad un angolo piatto. Bene, qualcosa di abbastanza noto. Eppure, disegnare un triangolo 'perfetto' è impossibile.
Ergo, Platone, sembra aver capito che una conoscenza concettuale della 'realtà sensibile' è impossibile. Se c'è un oggetto di conoscenza concettuale che ci può dare una conoscenza 'incorruttibile' dev'essere 'da un'altra parte', non in 'questo mondo'.

Anche se la sua intuizione fosse falsa (personalmente, credo che la sua intuizione sia in parte corretta, ma forse è uno di quei casi in cui è o completamente vera o completamente falsa...), credo che dica qualcosa di profondo. Le regole della matematica sono fisse, non sembrano soggette alle contingenze e così via. Ergo, non è possibile pensare che la matematica sia esattamente applicabile in 'questo mondo'  ;)  

Einstein scrisse: "Finché le leggi della matematica si riferiscono alla realtà, non sono certe, e finché sono certe, non si riferiscono alla realtà." (fonte per Wikiquote: https://it.wikiquote.org/wiki/Albert_Einstein#cite_note-6 )

Citazione di: iano
Il confine ci passa dentro.


'Il confine ci passa dentro'... Beh è sicuramente una frase molto interessante, e molto 'forte'. Sembra richiamare la filosofia di Kant. Per Kant, la matematica era un'intuizione a-priori del nostro intelletto. In pratica, essa è una pre-condizione della nostra esperienza, viene prima di essa, ma non è 'là fuori'. Ma non è meno qualcosa di 'esterno' a noi, visto che è una forma trascendentale della nostra conoscenza.

Trascendentale —>  Qualcosa che va oltre l'esperienza, però nel senso che la precede, che ne è una pre-condizione.  

Citazione di: iano
Magari se andiamo a cercare tutti i trucchi e i giochi di prestigio della percezione li ritroviamo camuffati nella esperienza scientifica.

Non mi sorprenderebbe per niente. (O meglio, magari non tutti visto che le analogie sono sempre limitate, ma alcuni, forse più di quelli pensiamo, sì... ;) )

Citazione di: iano
In questa ottica infine la ricerca della teoria del tutto perde il senso ontologico , pur restando desiderabile in se' unificare diverse teorie se cio' ne dovesse aumentare l'efficacia applicativa , o anche solo perché continuare a sognare , non è peccato.😊
Se anche faccio riferimento spesso a un criterio di utilità non accetterei mai che mi ponesse limiti.

Ottimo!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

iano

#21
Ciao Apeiron .
Una regressione delle emergenze non ci avvicina necessariamente al livello fondamentale della realtà , a meno che non si ammetta che sia utile allontanarsene sempre più ai fini pratici.
Cioè tutto il contrario a cui sembra tendere la conoscenza ai fini pratici.

Se lanciamo una moneta un numero sufficiente di volte troviamo sempre 50 e 50 , pur non essendo ciò garantito a priori.
50 e 50 è nella realtà e non in un mondo a parte.
Se lanciamo tutti i triangoli del mondo troviamo il triangolo perfetto , ed è in questo mondo , perché emerge in questo modo.
Queste emergenze semplificano la realtà, eliminando una enorme quantità di informazione, rendendola così accessibile e gestibile  (comprensibile , compressibile😄 ? ).
Non si può quindi dire che un triangolo sia una perfetta realtà, e anzi è tanto imperfetta da non sembrare di questo mondo.
Giusto per il gusto di capovolgere il senso comune😄.
Oppure.
Proviamo a definire un triangolo perfetto come quello che statisticamente meno differisce da ogni triangolo reale.
Più lanci facciamo minore è la differenza percentuale dei risultati.
Da ciò induciamo una simmetria duale perfetta.
E non viceversa.
Non esistono triangoli reali imperfetti , ma triangoli reali diversi, la cui "misura" da come risultato un triangolo perfetto.
Possiamo quindi indurre da ciò che la realtà non è asimmetrica ,cioè non favorisce un particolare tipo di triangolo , o una particolare faccia ,entro il range di errore sperimentale.
La matematica emerge dalla realtà.
Ne è il riassunto, e quindi si presta ad esserne una comprensibile descrizione.
Ma il riassunto di un testo non è il testo.
E , per chiudere , una pulce nell'orecchio.
Se non si può fare a meno della statistica non è perché le facce della realtà a livello fondamentale non sono tutte uguali?
Cioè, gli "atomi della realtà " non sono tutti uguali.
Possiamo però ricavare leggi predittive perché la realtà è non è asimmetrica.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

Ciao @iano,

Citazione di: iano
Una regressione delle emergenze non ci avvicina necessariamente al livello fondamentale della realtà , a meno che non si ammetta che sia utile allontanarsene sempre più ai fini pratici.
Cioè tutto il contrario a cui sembra tendere la conoscenza ai fini pratici.

Sul fatto che "una regressione delle emergenze non ci avvicini ad un livello fondamentale necessariamente" concordo. 

'Ai fini pratici', in genere, ci si ferma ad un certo 'livello' utile. Per esempio, quando si studiano le transizioni di fase, si guarda solo il comportamento medio dei dettagli microscopici. Dipende da cosa richiede la 'pratica', in realtà. A volte richiede di fermarsi ad un livello preciso.


Citazione di: iano
Se lanciamo tutti i triangoli del mondo troviamo il triangolo perfetto , ed è in questo mondo , perché emerge in questo modo.
...
Non si può quindi dire che un triangolo sia una perfetta realtà, e anzi è tanto imperfetta da non sembrare di questo mondo.
Giusto per il gusto di capovolgere il senso comune😄.


Argomentazione molto interessante  :)  Rimane però il problema che, ad esempio, mentre i 'triangoli del mondo' sono transitori, il 'triangolo perfetto' sembra non essere soggetto al mutamento. Nota però che, nel mio post precedente, quando dicevo che il triangolo disegnato non è 'perfetto', è perché i tentativi di 'replicare' il triangolo ideale nella realtà 'falliscono' (seppur, a volte, di molto poco). Ovvero, volevo dire che per quanto ci sforziamo, non riusciamo! 

D'altra parte, però, si può anche dire che i 'triangoli del mondo' essendo forme transitorie sono imperfetti (personalmente, concordo con questa prospettiva, ovvero che la transitorietà è una sorta di imperfezione...). 
Questo probabilmente è alla base della concezione platonica della matematica. Platone riteneva che i 'triangoli del mondo' che vediamo sono proiezioni transitorie del triangolo ideale nella 'materia'. Curiosamente, Platone sarebbe, secondo me, d'accordo con te che il triangolo 'ideale' è più semplice di quello 'reale' e che lo si può pensare come una sorta di 'media' (come affermi tu dopo). Questo perché una volta proiettato nella 'materia', la forma viene deformata. Platone dava precedenza all'uno, 'a ciò che è comune': se tutti i triangoli del 'mondo sensibile' avevano in comune l'avere tre lati, allora la caratteristica, la proprietà di avere tre lati, precede i triangoli del mondo sensibile. 


Personalmente, sono sempre stato affascinato da questa filosofia. La vedo come un altro esempio di come l'uomo riesca a pensare in modo 'contro-fattuale'. Non si incontrano mai 'triangoli ideali', eppure li possiamo usare con il nostro pensiero. Questo tipo di pensiero è ciò che, alla fine della fiera, ci ha permesso di progredire, anche in campo 'pratico' (seppur con le dovute differenze). Per esempio, prima che l'uomo scoprisse che si poteva accendere e controllare il fuoco, per lui il solo pensiero di fare una cosa del genere era certamente 'contro-fattuale'. Anzi a molti sarà sembrato una speranza vana. Eppure...

Con questo non dico che Platone aveva ragione. Come ho detto è una prospettiva che mi affascina. Ciò che affascina, non necessariamente convince. 


Citazione di: iano
Proviamo a definire un triangolo perfetto come quello che statisticamente meno differisce da ogni triangolo reale.
Più lanci facciamo minore è la differenza percentuale dei risultati.
Da ciò induciamo una simmetria duale perfetta.

Qui assumi però che la distribuzione dei triangoli sia simmetrica e che sfavorisca grandi discostamenti dal triangolo ideale. Ma se fai così, ammetti che ci siano delle regolarità nei fenomeni, la quale sembra essere a sua volta almeno approssimativamente descrivibile matematicamente. 

Citazione di: iano
Possiamo quindi indurre da ciò che la realtà non è asimmetrica ,cioè non favorisce un particolare tipo di triangolo , o una particolare faccia ,entro il range di errore sperimentale.
La matematica emerge dalla realtà.


Se la realtà è simmetrica, stai dando alla realtà una caratteristica matematica, l'esser simmetrica. Il 'buon' Platone ti direbbe che, in realtà, anche in questo caso la simmetria è approssimata, non esatta, perché è il risultato di una proiezione nella 'materia' della simmetria 'ideale' (virgoletto 'materia' perché nell'Antica Grecia tale parola poteva essere intesa in modo diverso dal nostro. Per es. Aristotele riteneva la materia 'potenzialità', e non ammetteva che gli oggetti materiali fossero veramente la 'materia pura'. Essi erano materia e forma. Platone la vedeva in modo simile, con la differenza che le forme che vediamo nella 'materia' non sono vere e proprio forme, le quali 'risiedono' solo nel 'mondo delle Forme'...)

Citazione di:  iano
Se non si può fare a meno della statistica non è perché le facce della realtà a livello fondamentale non sono tutte uguali?
Cioè, gli "atomi della realtà " non sono tutti uguali.
Possiamo però ricavare leggi predittive perché la realtà è non è asimmetrica.

Come esattamente dici tu, se si possono ricavare leggi predittive, è perché la realtà sembra essere simmetrica, o quasi. La statistica sembra basarsi su ciò. Una teoria predittiva può descrivere o meno le regolarità della 'realtà così come è', ma la sua utilità sembra suggerire che ci sono regolarità matematiche o qualcosa di simile. 

Bitbol, per es., sostiene che la MQ è una teoria predittiva che non ha pretese descrittive e, in realtà, non fa alcuna assunzione sull'esistenza di una 'realtà così come è' 'dotata' di regolarità matematiche o qualcosa di simile. Rimane il dilemma di come spiegare le regolarità che osserviamo, senza fare tale assunzione. Ma se la facciamo, ci si potrebbe chiedere: qual è l'origine di tali regolarità? Hanno un'origine? Ecc
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

iano

#23
Ciao Apeiron.
La matematica è una descrizione atemporale della realtà,e perciò perfetta , in contrapposizione alla transitorietà della realtà , quindi corruttibile , quindi imperfetta.
Non sono pochi quelli affascinati da Platone , ma.....
se le aspettative sui risultati del lancio di una moneta derivano dal mondo Platonico , è perché questo mondo è in noi, e se è in noi fa' parte di un mondo transitorio , cioè un mondo che è funzione del tempo , comprese la funzione costante.
L'idea dell'esistenza di un mondo incorruttibile nasce dall'osservazione della volta celeste coi suoi movimenti apparentemente circolari e immutabili , in contrapposizione al corruttibile mondo terrestre soggetto al mutamento e quindi alla corruzione.
Si tratta di un errore prospettico dovuto al particolare punto di vista.
Questa perfezione nasce dunque da una percezione non perfetta , in quanto , come tutte le percezioni affetta da necessaria semplificazione.
La percezione di questo mondo perfetto forse quindi non sarebbe tale se ad essa non fosse associata una perfetta semplicità.
Se provo a disegnare una curva chiusa , non riusciro' a disegnare un cerchio , ma non riuscirò a pensare di fare qualcosa di diverso da un cerchio , perché non avrei nessun buon motivo per non farlo , perché non è economico complicarsi inutilmente la vita.
L'idea del cerchio è in me non perché è naturalmente perfetta , ma perché un idea diversa sarebbe innaturalmente imperfetta.
L'idea di un cerchio è più semplice dell'idea di un non cerchio.
Se il mio cerchio disegnato è imperfetto , la mia idea su cosa voglio disegnare è però perfetta nella sua semplicità, a causa della sua semplicità , se intendo disegnare una curva chiusa.
Tutto ciò però non necessita' della coscienza e dell'intenzione di voler fare una cosa semplice.
Per fare una cosa semplice non occorre un gran cervello , perché viene da se'.
Non c'è la coscienza che dietro alla perfezione vi sia una necessaria semplificazione , cosicché la perfezione diventa un pregiudizio percettivo , e siccome appunto tendiamo a confondere ciò che percepiamo con la realtà, ci inventiamo un mondo, se non questo , altro , in cui ciò che percepiamo realmente esiste.
Ma arriva sempre il momento in cui si cambia punto di vista , magari usando un cannocchiale , in cui il nostro pregiudizio di perfezione  nato da semplicità, inizia a complicare le cose.
Così le macchie della luna , e l'erraticita' dei pianeti , seppur ben visibili ad occhio nudo , non sono più offuscate e giustificate  dal pregiudizio .
E siccome per amore di perfezione ci siamo arrampicati sugli specchi con gli emicicli , ci siamo complicati talmente la vita , che alla fine non se ne può più, e sentiamo il bisogno , questa volta in modo cosciente , e quindi secondo scienza , di ritornare a un quadro semplice e gestibile del mondo.
La MQ appare come cosa utilissima , ma complicata e gestibile solo dagli addetti ai lavori , magari facendo fare i calcoli ai computer.
Se al tempo degli emicicli ci fossero stati i computer forse saremmo rimasti a quel tempo lì.
Se scienza e percezione condividono qualcosa abbiamo molto da imparare dalla percezione, per la quale in fondo confondere ciò che percepiamo con la realtà è solo un utile semplificazione, finché le semplificazioni restano tali , fin quando quando l'imperfetto e corruttibile punto di vista , non cambia.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#24
Mi rendo conto di non essere stato perfetto nell'esposizione , e perfino apparentemente contraddittorio, ma è perché sono pensieri colti sul nascere , stimolati dalle risposte puntuali di Apeiron.
L'idea però di ciò che voglio dire , se si sorvola sui dettagli , spero sia chiara.
La scienza , che si è rivoltata alla percezione come fanno tutti i figli ,dopo i suoi successi , oggi può prendersi una pausa e riconoscere i meriti del padre, dal quale ha ereditato tutti i pregi e difetti.
Pensare che la percezione ci restituisca la realtà è ingenuo , ma è anche un utile semplificazione.
Lo stesso dicasi per la scienza.
Non esistono alte  sfere neanche per la scienza con la sua matematica , come non esistono per le stelle , anche quando queste sfere le percepiamo.
La realtà non è indistinta se possiamo descriverla , seppur ci inventassimo tutto , e ciò che ci inventiamo ne fa' parte.
Potremmo allora dire che se le cose stanno così, che almeno una parte della realtà la conosciamo bene , se l'abbiamo inventata noi.
Ciò è vero solo in parte perché la coscienza di ciò che facciamo non sempre è necessaria.
E se forse mai la matematica l'abbiamo inventata noi , di certo non abbiamo coscienza di ciò.
Di fare matematica , o a piacere , di scoprirla ,invece siamo ben coscienti.
Però mi pare più semplicemente logico farla che scoprirla al di là delle semplici apparenze percettive.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

#25
Gran parte della realtà si regge su fenomeni facilmente percepibili: la fisica classica, le leggi fondamentali della chimica, i fenomeni atmosferici e i processi fisiologici. Le complicazioni nascono di fronte ai grandi numeri micro e macro: struttura DNA, distanze astronomiche, fisica delle particelle ovvero MQ. In tali situazioni l'IA e tecnologie capaci di superare di ordini di grandezza la percezione umane sono indispensabili. Ma una volta completato l'iter della ricerca il tutto diventa esplicabile. Talvolta ci si arriva per via matematica, quando si riesce ad infilare un fenomeno in una funzione dimostrando la scientificità di tale operazione: riproducibilità in condizioni controllate individuando ed escludendo i processi interferenti. Ovvero predittività.

Io penso che tante complicazioni della ricerca fondamentale dipendano dal fatto che siamo in presenza di teorie in cui la parte dimostrativa, quando c'è, è ancora troppo debole di fronte alla complessità dell'argomento trattato. Finchè non arriva il Galileo, Lavoisier, Einstein,... capace di produrre un paradigma che dia ragione teorica (anche una semplice formula matematica) della sezione di reale trattato, suffragato da una messe di prove sperimentali che confermano la giustezza della strada imboccata. Talvolta ci si deve accontentare della matematizzazione del fenomeno in prima istanza. Ma prima o poi arriva qualcuno che ne sa dare anche la spigazione logica completando il discorso.
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#26
Citazione di: Ipazia il 03 Ottobre 2019, 08:42:52 AM
Talvolta ci si arriva per via matematica, quando si riesce ad infilare un fenomeno in una funzione dimostrando la scientificità di tale operazione: riproducibilità in condizioni controllate individuando ed escludendo i processi interferenti. Ovvero predittività.


Lee Smolin la chiama fisica nella scatola , che sta per sistema isolato.Isolato da ciò che sta fuori della scatola , compreso lo sperimentatore.
A rigore però esiste un solo sistema isolato : l'universo , ed è comprensivo dello sperimentatore.
Tutto comunque sembra funzionare finché non è proprio il comportamento dell'universo nel suo insieme che vogliamo studiare , dal quale non possiamo considerarci fuori.
Col fenomeno dell'entenglement , dove le particelle correlate possono trovarsi ai capi dell'universo , non possiamo parlare di fisica in una scatola , e la caratterizzazione che abbiamo dato finora alla Meccanica Quantistica , come competente nella dimensione micro , non può più essere considerata adeguata.
Non possiamo escludere le interferenze esterne quindi a priori , ma possiamo dire a posteriori che , siccome la fisica nella scatola entro certi limiti funziona , allora entro quei limiti le interferenze esterne non sono importanti.
Però l'accelerazione delle galassie , e la materia ed energia oscure , non possiamo sperare di spiegarle con delle leggi trovate dentro a una scatola.
Se le abbiamo trovate dentro una scatola , che è più piccola dell'universo , perché le chiamiamo universali ?
Con la fisica dentro la scatola i problemi comunque non mancano , anche quando non vogliamo studiare il comportamento dell'universo , e riguardano il tempo.
Il problema è che l'orologio col quale facciamo le misure dentro la scatola dovrebbe stare dentro e noi con lui , e invece stiamo fuori.
Qualunque cosa si muova è un orologio.
Ma come fa' qualcosa che succede fuori dalla scatola a spiegare il movimento dentro alla scatola?
Questo è un problema se non esiste il tempo assoluto , e ormai sappiamo che non esiste.
C'è quindi una interferenza non eliminabile non di tipo fisico , ma metodologico.

Le tecnologie come IA e altro sono strumenti di una
"percezione aumentata" , ma che non cambia nella sostanza.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

Ciao @iano,

Citazione di: iano
se le aspettative sui risultati del lancio di una moneta derivano dal mondo Platonico , è perché questo mondo è in noi, e se è in noi fa' parte di un mondo transitorio , cioè un mondo che è funzione del tempo , comprese la funzione costante.

Poniamo che questo sia vero... il 'mondo platonico' sia un'altra struttura emergente (assumo anche che la coscienza sia emergente, anche se secondo me è una posizione che presenta moltissime difficoltà). Però ci sono delle regolarità dei fenomeni - o meglio, diciamo che è molto ragionevole che sia così. Ma se questo è vero: le regolarità del mondo fisico vengono prima o dopo il mondo fisico? Sono anch'esse qualcosa di fisico? Perché ci sono regolarità? Ecc

Poniamo pure che le regolarità cambiano nel tempo. Il loro mutare è qualcosa di regolare o no? Se sì, si sposta il problema...


Citazione di: iano
L'idea dell'esistenza di un mondo incorruttibile nasce dall'osservazione della volta celeste coi suoi movimenti apparentemente circolari e immutabili , in contrapposizione al corruttibile mondo terrestre soggetto al mutamento e quindi alla corruzione.

'Nì' nel senso che è vero che Platone sosteneva che le forme geometriche potessero essere trovate negli atomi e nei movimenti dei corpi celesti (per lui) eterni (mi pare che sostenga questo nel 'Timeo' ma l'ho letto tempo fa e potrei sbagliarmi), ma (1) non credo che sia così fondamentale nella sua filosofia e (2) credo che il Timeo possa anche essere interpretato 'allegoricamente'.
Per Platone, non è tanto il 'mondo terrestre' ad essere corruttibile, quanto il mondo sensibile, ovvero quello empirico. Se Platone pensava che veramente ci fossero forme 'perfette' nel mondo sensibile (terrestre o celeste), si contraddirebbe secondo me. L''altro mondo' è il mondo intelligibile ovvero il mondo conoscibile non tramite i sensi ma tramite l'intelletto, la mente. Il mondo 'delle Forme' platoniche perciò non poteva essere il cielo stellato o gli atomi, ma qualcosa di inaccessibile ai cinque sensi (ma solo dalla mente...).  
O, almeno, così capisco io la filosofia platonica. Quindi dire che per Platone il mondo 'celeste' era incorruttibile è discutibile.

D'altra parte è ben possibile che Platone si sia contraddetto. Però, secondo me, la tesi platonica è che il mondo sensibile sia una sorta di proiezione di quello intelligibile. Ad ogni modo, non credo che tale obiezione sia così rilevante.

Citazione di: iano
Si tratta di un errore prospettico dovuto al particolare punto di vista.

Sì, bene o male è anche un mio dubbio. Ma questo, forse, può essere un'obiezione per una particolare formulazione della matematica. Per es., la 'geometria analitica' mostra che forme geometriche ed equazioni possono essere legate. Non mi sorprenderebbe, infatti, che i risultati matematici che abbiamo trovato potessero avere degli 'analoghi' con forme estremamente diverse.

Se questo è vero, si può addirittura essere 'platonici' e ammettere che la matematica-come-la-impariamo-noi è una formulazione contingente e particolare.

Citazione di: iano
Non c'è la coscienza che dietro alla perfezione vi sia una necessaria semplificazione

In realtà, nel mio precedente post volevo dire che la perfezione può essere semplice. Infatti, le complicazioni possono essere viste come imperfezioni. Questa idea della perfezione come 'semplicità', in realtà, ha una lunga tradizione filosofica. E non c'è visto nulla di 'negativo' in tale semplificazione, anzi. D'altra parte...

Citazione di: iano
cosicché la perfezione diventa un pregiudizio percettivo , e siccome appunto tendiamo a confondere ciò che percepiamo con la realtà, ci inventiamo un mondo, se non questo , altro , in cui ciò che percepiamo realmente esiste.

Anche questo però può essere vero. Non sempre 'semplificare' è meglio...


Citazione di: iano
E siccome per amore di perfezione ci siamo arrampicati sugli specchi con gli emicicli , ci siamo complicati talmente la vita , che alla fine non se ne può più, e sentiamo il bisogno , questa volta in modo cosciente , e quindi secondo scienza , di ritornare a un quadro semplice e gestibile del mondo.

Beh, è anche vero il modello di Copernico risultava essere più 'semplice' di quello tolemaico e quindi preferibile, sotto un'altra nozione di 'semplicità'. Infatti, Galileo ecc lo preferivano proprio per questo. Le 'rifiniture' e le complicazioni che si dovevano inserire in quello Tolemaico risultavano troppe, ineleganti ecc.

Sembra che ci siano più di una nozione di 'perfezione' e di 'semplicità', più o meno valide.  

Citazione di: iano
Pensare che la percezione ci restituisca la realtà è ingenuo , ma è anche un utile semplificazione.
Lo stesso dicasi per la scienza.
Non esistono alte  sfere neanche per la scienza con la sua matematica , come non esistono per le stelle , anche quando queste sfere le percepiamo.

Quello che volevo dire io, @iano, è che lo sviluppo della scienza sembra suggerire che 'perfezioni' più 'raffinate', 'astratte' ecc 'funzionano meglio' di quelle più 'ovvie'. Non ci sono orbite circolare, certamente. Ma, d'altra parte, la Relatività Generale (tanto per fare un esempio) è una teoria che utilizza concetti geometrici astratti, simmetrie 'semplici' ecc. Anche la MQ, per esempio, utilizza molto nozioni astratte di simmetria ecc.

Non mi sorprenderebbe che un'eventuale futura teoria che include tutte le nostre teorie attuali sarà caratterizzata da una 'armonia' ancora più astratta.

D'altra parte, è anche vero che, talvolta, 'ricercare la semplicità' può non essere d'aiuto. Per esempio, trascurare l'attrito può risultare in formule più semplici ed eleganti ma allo stesso tempo non essere molto 'realistico'. Idem, per riprendere il tuo esempio dei moti celesti, può non essere d'aiuto considerare il nostro pianeta fermo anche se 'sembra' così.


Per @Ipazia (che saluto) ma anche per @iano,


Personalmente ritengo che il 'nuovo paradigma' sia effettivamente una maggiore consapevolezza delle 'limitazioni' della scienza che, in realtà, a ben vedere non lo sono (su questo punto concordo con @iano). Per esempio, l'ideale dell''osservatore distaccato' postula che la misura 'ideale' non rechi alcun disturbo al sistema osservato e che riveli proprietà intrinseche di esso. Oggi, c'è una maggiore consapevolezza del fatto che 'quello che osserviamo' potrebbe essere qualcosa di 'relazionale', ovvero come il sistema osservato appare a no e che l'osservazione potrebbe 'disturbare' radicalmente il sistema.  

L'esempio di Smolin della 'fisica nella scatola' citato da @iano è uno dei tanti. Lo stesso Rovelli sostiene che una 'totologia' - ovvero uno studio del 'Tutto' - è impossibile. Sostiene, per esempio, che la stessa cosmologia non descrive 'la totalità dell'universo' ma solo 'l'universo ad una scala sufficientemente grande' (lo dice - in inglese - qui: https://www.youtube.com/watch?v=TzmykSv6OBY ).

In realtà, la stessa Relatività Ristretta si fonda sull'idea che molto di ciò che osserviamo è una proprietà relazionale. Nemmeno le durate e le distanze spaziali che osserviamo sono veramente 'intrinseche' ai fenomeni fisici osservati. Ma ancora prima, la 'rivoluzione copernicana' aveva in effetti i 'semi' di questa idea. Solitamente la rivoluzione copernicana la si ricorda perché ha decentralizzato la Terra (e l'essere umano). Ma, in realtà, ha anche stabilito che il moto celeste osservato è relazionale.


Concludendo il mio intervento, ritengo che in questi tempi vi è più reticenza nel pensare che le osservazioni ci mostrino proprietà intrinseche dei sistemi osservati.  
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

iano

#28
@Apeiron.
La rivoluzione Copernicana è paradigmatica.
Dire che la terra gira intorno al sole è più semplice e più elegante ai fini descrittivi e pratici , ma non perciò più vero del suo contrario , cioè che il sole giri intorno alla terra.
È solo vero che esiste fra essi una relazione descrivibile in diversi modi , e la descrizione più semplice non è la più vera , perché nessuna lo è.
Questa può essere considerata la vera lezione Copernicana che spiana la strada al relazionismo ,come ben dici.

Evitare inutili complicazioni è solo una questione di buon senso. Il rasoio di Occam non è una legge di natura.

Rimane il fatto significativo che ancor oggi si afferma comunemente che sia la terra a girare attorno al sole.
Si può considerare ciò come una prova di come la scienza possegga gli stessi "difetti" , o meglio meccanismi ,della percezione , essendone figlia.
Non so' se la realtà è relazionale , ma di sicuro lo sono i racconti possibili sulla realtà, scientifici e non.
In effetti dire che la realtà nella sua essenza , cioè indipendentemente dall'osservatore , è relazionale , credo sia privo di significato.
Parimenti mi pare privo di senso dire che la realtà abbia un carattere assoluto.
È un po' come predicare bene e razzolare male.😊
Parlare di assoluto di fatto è modo di autoincensarsi dell'osservatore , seppur un autoincensarsi in evoluzione , che si sposta sempre un po' più in la', che cambia per restare uguale.
L' assoluto siamo noi.
È l'espressione della nostra parte inconscia ,sia nel percepire che nel fare scienza, e sempre avra' luogo , un luogo assoluto, per quanto la coscienza possa guadagnarsi sempre più spazio relazionale.
Sarebbe errato però intendere il lato inconscio come il lato oscuro e indesiderabile.
Forse senza di esso noi non saremmo noi.
Possiamo intuire , se non percepire , una relazione fra lato oscuro e lato chiaro. Una osmosi vitale.
Se l'essenza dell'universo non ci sarà mai data , quell'essenza pero' e' in noi.
Si potrebbe ben descrivere la coscienza come un banale strumento a disposizione degli esseri viventi , se l'uomo non l'avesse caricata di tante aspettative.
Abbiamo capito che la fisica non è duplice , celeste e terrestre .
Resta da capire che neanche la nostra percezione lo è, se il mondo platonico noi lo percepiamo.
Unica e' la percezione come unico è il mondo seppur in molteplice apparenza.
Un computer è fatto software e di hardware, ma chi può negare che si tratti di un unica realtà?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

#29
Ciao @iano,

perdona il ritardo nella risposta!

Citazione di: iano
È solo vero che esiste fra essi una relazione descrivibile in diversi modi , e la descrizione più semplice non è la più vera , perché nessuna lo è.
Questa può essere considerata la vera lezione Copernicana che spiana la strada al relazionismo ,come ben dici.

Ecco...io invece sono un po' reticente nell''abbracciare' pienamente il 'relazionalismo', anche se c'è una piccola sottigliezza su quello che intendo con questa parola. Ci sono, diciamo, due concezioni di 'relazionalismo':


  • La prima è quella puramente ontologica. Rovelli, ad esempio, sembra sostenere questa versione. In pratica, la concezione ontologica sostiene che le proprietà sono solo relazionali. Gli oggetti non hanno proprietà intrinseche, ma solo relazionali, ovvero sono definite solamente rispetto ad altro.
  • La seconda è quella, che chiamare, concezione epistemologica. Bitbol, ad esempio, sembra sostenere questa. La differenza con la prima, è che qui si parla degli oggetti della nostra conoscenza, ovvero di ciò che effettivamente conosciamo. Per certi versi, non è una posizione ontologica: non si dice 'come la realtà è', ma si descrive solo il contenuto della nostra conoscenza.

Ritengo che entrambe queste prospettive sono molto profonde. Ad essere precisi, la seconda mi sembra la più rigorosa delle due, ma entrambe sono profonde. Tuttavia, sono reticente ad 'abbracciarle' pienamente. In realtà, penso di essere un 'realista' anche se apprezzo molto il tipo di ragionamento alla base delle posizioni 'relazionaliste'. Il problema è che, secondo me, è difficile credere che la scienza (ma anche altre cose) non ci dica almeno in modo parziale 'come la realtà è'. Come dici, è vero che non è nemmeno vero, propriamente, che la 'Terra gira attorno al Sole', ma è una descrizione migliore di quella contraria. Senza una 'realtà' che possiamo almeno parzialmente conoscere (una realtà, per così dire, 'velata'), difficilmente possiamo giustificare il fatto che una prospettiva è migliore di un'altra ('la Terra gira attorno al Sole' come descrizione migliore è giustificato dalla Relatività Generale: il Sole, avendo più massa, curva di più lo spazio-tempo ecc).    


Citazione di: iano
Rimane il fatto significativo che ancor oggi si afferma comunemente che sia la terra a girare attorno al sole.
Si può considerare ciò come una prova di come la scienza possegga gli stessi "difetti" , o meglio meccanismi ,della percezione , essendone figlia.
Non so' se la realtà è relazionale , ma di sicuro lo sono i racconti possibili sulla realtà, scientifici e non.


Sulla prima e la terza frase mi sono espresso sopra. Sulla seconda, come detto, concordo. Concordo in buona parte anche con la prima e la terza, in realtà  ;)

Citazione di: iano
In effetti dire che la realtà nella sua essenza , cioè indipendentemente dall'osservatore , è relazionale , credo sia privo di significato.

Il motivo per cui la seconda prospettiva relazionale, quella epistemologica, mi sembra più 'rigorosa' è che non si serve di oggetti 'reali' senza proprietà intrinseche. Non sono sicuro che affermare che gli oggetti non hanno proprietà intrinseche non sia contraddittorio.

Citazione di: iano
Parlare di assoluto di fatto è modo di autoincensarsi dell'osservatore , seppur un autoincensarsi in evoluzione , che si sposta sempre un po' più in la', che cambia per restare uguale.

Sono almeno parzialmente d'accordo. Così come lo era un 'realista', Erwin Schroedinger:

Citazione
the scientist subconsciously, almost inadvertently, simplifies his problem of understanding Nature by disregarding or cutting out of the picture to be constructed himself, his own personality, the subject of cognizance. According to Schro ̈dinger, this "leaves gaps, enormous lacunae, leads to paradoxes and antinomies whenever, unaware of this initial renunciation, one tries to find oneself in the picture, or to put oneself, one's own thinking and sensing mind, back into the picture
Traduzione:
Lo scienziato subconsciamente, quasi inavvertitamente, semplifica il suo problema della comprensione della Natura tralasciando e lasciando fuori dal quadro che dev'essere costruito sé stesso, la sua personalità, il soggetto della cognizione. Secondo Schroedinger, questo 'lascia buchi, enormi lacune, conduce a paradossi e antinomia ogni volta che, inconsapevoli di questa rinuncia, uno cerca di trovarsi nel quadro, o rimettere se stesso, la sua mente che pensa e che percepisce nel quadro.'

(citato nell'articolo 'Why a quantum state does not represent an element of physical reality', articolo dei 'QBist' Christopher A. Fuchs e Ruediger Schack: https://arxiv.org/abs/1412.4211)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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