Se Dio non esiste, allora tutto è lecito

Aperto da 0xdeadbeef, 25 Gennaio 2019, 18:12:20 PM

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baylham

Ma la liberazione, la felicità, il paradiso, non dovrebbe consistere proprio nel fatto che qualunque cosa va bene, che ogni cosa è buona, giusta? 
Non dovremo proprio liberarci dalla morale, che inevitabilmente ripropone ad ogni uomo il problema della scelta e ci fa ricascare nell'ambivalenza del bene e del male?
Oltretutto l'uomo ignora che cosa sia il bene e che cosa sia il male, ma, ancora più problematico, è il fatto che qualunque scelta buona, giusta, produce qualcosa di male. L'ambivalenza è la condizione biologica, esistenziale in cui l'uomo, il vivente, è immerso.

Apeiron

#241
Citazione di: baylham il 22 Febbraio 2019, 09:28:34 AMMa la liberazione, la felicità, il paradiso, non dovrebbe consistere proprio nel fatto che qualunque cosa va bene, che ogni cosa è buona, giusta?


Diciamo invece che è abbastanza chiaro che non tutto sia giusto. A meno che non si vogliano ritenere giuste anche le atrocità commesse nel regime nazista, nelle dittature fascista, nello stalinismo, nel regime di Pol Pot, le atrocità commesse nel nome della religione ecc
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

In altri termini è proprio l''ambivalenza' della natura umana che rende, secondo me, necessaria la morale...

Ciao!  :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Ipazia

Citazione di: Apeiron il 22 Febbraio 2019, 10:38:23 AM
In altri termini è proprio l''ambivalenza' della natura umana che rende, secondo me, necessaria la morale...

Ciao!  :)

Concordo pienamente. L'etica/morale è tecnica di soluzione dei conflitti. La sua necessità è indipendente da qualsiasi fede, ma radicata nelle reali condizioni di vita.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Secondo me invece la realtà della morale é empiricamente evidente, attestata dall' esistenza universalmente umana ben rilevabile di fatto a posteriori della tendenza comportamentale a valutare i comportamenti propri e altrui (ovviamente purché liberi da costrizioni estrinsecamente subite) in senso etico (come più o meno buona o più o meno cattivi a seconda dei casi; con elementi di giudizio generalissimi astrattissimi sempre comuni a tutti e altri più particolari concreti storicamente mutevoli in quanto condizionati in ultima analisi dalle relazioni fra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione e conseguentemente dalla lotta di classe).

Mi scuso per l' ennesima ripetizione.
Spero di riuscire a trattenermi (o a "contenermi", come diceva -anzi: imponeva a un altrettanto noto ottuso servitore- un notissimo violatore seriale dell' etica) e a non ripetere ulteriormente sempre le stesse affermazioni in risposta a sempre le stesse obiezioni

0xdeadbeef

A Baylam e Apeiron
Concordo (con Apeiron), ma rimane il problema di dire cosa è la morale...
L'amico Baylam ci dice una cosa interessantissima; la medesima della tradizione filosofica anglosassone
o protestante in genere; e cioè che la morale è la condotta rivolta all'utile individuale.
Perchè questo, in sostanza, significa quel: "qualunque cosa va bene, ogni cosa è buona e giusta"...
Quindi quel che Baylam dice non è di liberarci dalla morale; ma di liberarci dall'idea che della morale
ha la tradizione filosofica "continentale" (la morale come "in sé", come "oggetto" dato una volta e per
tutte, cioè dato "assolutamente").
L'ambivalenza della natura umana di cui parla Apeiron è una cosa che nella prospettiva di Baylam non
è presa neppure in considerazione...
saluti

Ipazia

Non capisco questa fissazione di Ox di ridurre la morale al verbo anglosassone (utilità individuale) o continentale [europea] (valori fissi assoluti]. Come se un aborigeno australiano o un indù non avessero una loro filosofia morale  :-\ 

La morale/etica ha certamente a che fare con l'utilità, ma quantomeno collettiva, e ha pure certi valori fissi, fondativi, legati alla sopravvivenza del "branco", ma questi cambiano a seconda delle condizioni ambientali del branco medesimo: abbondanza o povertà di risorse e loro natura, divisione di classe, densità della popolazione, fertilità demografica, ecc.

Su questi elementi fondamentali si innestano consuetudini che complicano ulteriormente il quadro etico, ma l'antropologia ci ha insegnato a decostruire il processo isolando gli aspetti fondamentali, prioritari, da quelli più sovrastrutturali e spesso facoltativi. Il Bene (con la maiuscola) è una fissa dei platonici occidentali, una sovrastruttura che ex post cerca di giustificare, spesso in modo assai dogmatico, la sua precettistica morale. Ma popolazioni più legate alla natura e ai suoi cicli hanno elaborato concezioni del "bene" ben diverse da quelle della cultura "urbana" polis-centrica europea (... la città di Dio ...)
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Ciao Ipazia
Non è questione di "ridurre" la morale al verbo anglosassone e/o continentale: è che questi sono i
due modelli che rintracciamo come fondamento, come "stuttura", del nostro modo "occidentale" di vedere
e di intendere la morale (tant'è che li vediamo appunto nitidamente nei due opposti e speculari
discorsi di Baylam e di Apeiron).
Gli Aborigeni e gli Indù hanno senz'altro una loro filosofia morale, certamente rispettabile, ma
altrettanto certamente più avulsa dal nostro peculiare "sguardo sul mondo"; più estranea ai
fondamenti linguistici e semantici dei nostri discorsi.
Per la mia pratica discorsiva, direbbero i semiologi, il bene è solo e soltanto l'utile collettivo;
ma l'utile collettivo non si ottiene così, "magicamente", perseguendo ognuno di noi il proprio
utile individuale (come pensano gli anglosassoni), ma per così dire "fissandolo" in un "in sé"; in
una sfera oggettiva che, proprio in quanto tale, non può essere frutto della "physis" (ti ricordo che
il cuculo che getta a terra le uova dal nido della specie di cui prende il posto non segue certo un
"bene comune di tutti i viventi", come sei arrivata a dire altrove sostenendo un - per me assurdo -
"imprinting etico primordiale"), ma solo ed ed esclusivamente del "nomos".
saluti

sgiombo

#248
Risposta assolutamente limitata alla questione del reale o apparente "bene comune di tutti i viventi" (sul resto mi taccio deliberatamente, avendo già detto e ripetuto troppe volte tutto ciò che a mio parere c' era da dire).

La vita nel suo complesso esige un equilibrio fra le diverse specie.
Se una, come tende attualmente a fare (e non: "fa" incondzionatamente; siamo nel campo delle cosiddette "scienze umane", non delle scienze naturali) la nostra umana, non viene limitata dalle altere nel suo diffondersi e moltiplicarsi, la vita di tante altre specie é messa a repentaglio (e anche questo é oggi sotto gli occhi di tutti); al limite potrebbe esserlo la vita stessa nel suo complesso.

Dunque il cuculo, limitando la diffusione di altre specie di uccelli concorre, seppure non al bene comune di tutti i singoli viventi, tuttavia a- (-l bene comune del-) -le specie viventi e (del-) -la vita nel suo complesso.
Che inevitabilmente comporta anche la morte e sofferenza di molti singoli individui (la morte di tutti, la morte "prematura" di molti).

E d' altra parte "morte" non é contrario di "vita", ma invece di "nascita", essendo entrambe aspetti imprescindibili della vita.
Contrario di "vita" é casomai "non vita", "mineralità" o "materialità minerale"; la quale non nasce e non muore:

Se non ci fosse vita non ci sarebbe (né potrebbe esserci) morte, e se non ci fosse morte non ci sarebbe (né potrebbe esserci) vita!

E infatti l' eticità umana, che dall' etologia animale sorge, deriva senza contraddirla ma sviluppandola peculiarmente, implica anche (che "Dio sia vivo e vegeto o morto e sepolto", assolutamente nella stessa misura! Non cambia proprio nulla! Non fa alcuna differenza!) anche la sua propria violazione, il bene implica anche l' esistenza del male in qualche inevitabile misura: é la nostra naturale, ineludibile condizione da accettare "virilmente", cui invano credenze nel soprannaturale o comunque nel "sacro" o "Sacro" che dir si voglia tentano di porre inutili, illusori rimedi:

Hic Rhodus, hic salta (homine)!

Ipazia

Citazione di: 0xdeadbeef il 23 Febbraio 2019, 23:00:58 PM
Ciao Ipazia

Per la mia pratica discorsiva, direbbero i semiologi, il bene è solo e soltanto l'utile collettivo;
ma l'utile collettivo non si ottiene così, "magicamente", perseguendo ognuno di noi il proprio
utile individuale (come pensano gli anglosassoni), ma per così dire "fissandolo" in un "in sé"; in
una sfera oggettiva che, proprio in quanto tale, non può essere frutto della "physis" (ti ricordo che
il cuculo che getta a terra le uova dal nido della specie di cui prende il posto non segue certo un
"bene comune di tutti i viventi", come sei arrivata a dire altrove sostenendo un - per me assurdo -
"imprinting etico primordiale"), ma solo ed ed esclusivamente del "nomos".
saluti

(Premetto che concordo su quanto replicato da sgiombo, ma il mio riferimento è ad un bene comune più terra-terra: la vita individuale e qui il misunderstanding di Ox è totale, per cui vedo di spiegarmi meglio)

Proprio perchè sto cercando un "in sè" oggettivo, e non posso che trovarlo nella physis (altrimenti sarebbe soggettivo  :) ) parlo di vita come bene comune di tutti i viventi, ma di vita individuale si tratta. Però non declinata secondo quella filosofia da bottegai che è l'utilitarismo individuale anglosassone, perchè non c'è nessun negriero che può comprare quel valore e nessun filosofo bottegaio che lo può pesare. E' un il bene fondativo di ogni fisiologia e di ogni metafisica, unificante nel limite biologico che dice sgiombo e che il principe De Curtis definì la livella. Nella sua limitatezza, unicità, irriproducibilità integrale, sta il valore incommensurabile e "comune" di ogni vita individuale e da lì parte il vivente senziente per codificare, ben radicata nella physis, la sua etica.

E' pur vero che appena si apre quel comune vaso di Pandora, ogni applicativo etico si declina a modo suo ma, dovendo tener conto della pressione esterna dei suoi omologhi, alla fine il vaso si ricompone in forme atte a garantire la convivenza (più o meno) civile che sempre intorno al valore vita (salvaguardia, riproduzione, qualità,...eternità per chi ci crede) gravita.

Non pretendo che Ox sia d'accordo, ma che almeno abbia capito il mio pensiero.

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Ciao Ipazia
Per dirla con la semiotica, è necessario "risalire la catena segnica" dei significati e dei
significanti; perchè altrimenti basta un nonnulla; un diverso significato che diamo ad un
particolare ed ecco che non ci si capisce più nemmeno sul senso generale...
Allora: per me la "morale" è la condotta individuale rivolta al Bene (o "bene", se preferisci
- ma la maiuscola è solo per sottolinearne l'importanza filosofica). Mentre l'"etica" è la
condotta collettiva verso il Bene (come nella nota distinzione di Hegel, insomma).
Dunque è di un agire che stiamo parlando; di un "mezzo"; non di una finalità (che è il "Bene",
che almeno per il momento non ci interessa).
La filosofia anglosassone, che come noto trova molti dei suoi fondamenti nell'empirismo, nello
scetticismo e nel naturalismo (a differenza di quella continentale, più orientata alla metafisica),
dice che la morale è il perseguimento dell'utile, o desiderio, o impulso individuale.
Senonchè, a causa di un evidentissimo influsso francescano (G.d'Ockham) in campo religioso, essa
arriva a teorizzare che la somma degli utili individuali coincidono con l'utile collettivo (è
la celebre "mano invisibile", base fondante di ogni tipo di liberalismo).
La filosofia continentale invece, a causa della sua centrale considerazione dell'"ambivalenza"
dell'essere umano (come in Apeiron), non crede affatto che la morale sia il perseguimento
dell'utile individuale; ma che sia il perseguimento di un "Bene" inteso come "in sè", come
dato una volta e per tutte, quindi come "oggettivo" (non legato all'utile soggettivo).
Ora, non stiamo ad indagare i motivi che hanno portato i due "sguardi filosofici" a queste
differenti visioni (qualcosina ho accennato): diamo insomma per buono che così è (e che non
è quel che io penso, ma quel che queste filosofie pensano...).
Quindi Ipazia, se tu affermi un "bene comune di tutti i viventi" come "vita", e precisamente come
vita individuale, hai a parer mio un problema di non facile soluzione, che ti è mostrato proprio
dal nostro amico cuculo (scusa il mio tornare su quest'esempio ma lo ritengo significativo), per
il quale il proprio utile, o desiderio, o impulso individuale (e anche ovviamente di specie),
non è certo il "bene comune di tutti i viventi"; perchè altrimenti non getterebbe giù dal nido
le uova dell'altra specie per deporvi il proprio (che sarà poi addirittura covato e nutrito dalla
"matrigna inconsapevole"...).
Il cuculo, cioè, è nella medesima condizione cui la filosofia anglosassone si sarebbe trovata senza
la "genialata" di considerare l'uomo come "parte di Dio" (l'"homo, homini deus" di Spinoza, il cui
utile, o desiderio o impulso NON PUO' essere maligno - come invece PUO' nell'ambivalenza della visione
della filosofia continenatale).
In altre parole, il cuculo è un perfetto "nietzschiano", e la sola cosa che per lui conta nel mondo
e nella vita è l'impulso NON alla "vita comune di tutti i viventi", ma alla propria.
La sua è ovvero una vera e purissima "volontà di potenza"...
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2019, 08:14:56 AM

Dunque il cuculo, limitando la diffusione di altre specie di uccelli concorre, seppure non al bene comune di tutti i singoli viventi, tuttavia a- (-l bene comune del-) -le specie viventi e (del-) -la vita nel suo complesso.
Che inevitabilmente comporta anche la morte e sofferenza di molti singoli individui (la morte di tutti, la morte "prematura" di molti).

E d' altra parte "morte" non é contrario di "vita", ma invece di "nascita",

Non so se sei pienamente consapevole del "potenziale" di queste affermazioni...
Ricorda soltanto che nel "mein kampf" è scritto che gli Ebrei soffocano lo "spazio vitale" degli
ariani.
saluti

Apeiron

#252
Citazione di: 0xdeadbeef il 23 Febbraio 2019, 19:05:01 PM
A Baylam e Apeiron
Concordo (con Apeiron), ma rimane il problema di dire cosa è la morale...
L'amico Baylam ci dice una cosa interessantissima; la medesima della tradizione filosofica anglosassone
o protestante in genere; e cioè che la morale è la condotta rivolta all'utile individuale.
Perchè questo, in sostanza, significa quel: "qualunque cosa va bene, ogni cosa è buona e giusta"...
Quindi quel che Baylam dice non è di liberarci dalla morale; ma di liberarci dall'idea che della morale
ha la tradizione filosofica "continentale" (la morale come "in sé", come "oggetto" dato una volta e per
tutte, cioè dato "assolutamente").
L'ambivalenza della natura umana di cui parla Apeiron è una cosa che nella prospettiva di Baylam non
è presa neppure in considerazione...
saluti


Ciao 0xdeadbeef,

per quanto mi riguarda ritengo che la 'base' dell'etica sia 'innata' (in particolare, non è una 'legge' esterna a noi...). In pratica, secondo me, ci sono alcune azioni che sono 'giuste' per tutti.
Perché, dunque, ci sono conflitti se l'etica è 'innata'? Qui entra in gioco l''ambivalenza' della nostra natura umana. Purtroppo, quella 'base' è, per così dire, 'oscurata' da 'altro' che fa in modo che non riusciamo a comportarci nel modo 'giusto' spontaneamente.

Ritengo che non sia possibile spiegare l'etica su una base scientifico/naturalistica. Tuttavia, visto come è andata la discussione non molto tempo fa mi astengo di continuare la discussione.

Ho scritto la mia risposta a @baylham (che spero non se la sia presa) non per fare una 'sterile' polemica ma perché, secondo me scrivere:

Citazione di: baylham il 22 Febbraio 2019, 09:28:34 AMMa la liberazione, la felicità, il paradiso, non dovrebbe consistere proprio nel fatto che qualunque cosa va bene, che ogni cosa è buona, giusta? Non dovremo proprio liberarci dalla morale, che inevitabilmente ripropone ad ogni uomo il problema della scelta e ci fa ricascare nell'ambivalenza del bene e del male? Oltretutto l'uomo ignora che cosa sia il bene e che cosa sia il male, ma, ancora più problematico, è il fatto che qualunque scelta buona, giusta, produce qualcosa di male. L'ambivalenza è la condizione biologica, esistenziale in cui l'uomo, il vivente, è immerso.

significa che, in pratica, qualsiasi azione va bene e che l'unico 'male' è quello di avere restrizioni nelle proprie azioni. Se si ritiene che il "il paradiso" consiste "proprio nel fatto che qualunque cosa va bene", secondo me si deve ammettere che qualsiasi azione immaginabile è 'giusta'. Secondo me, una tale posizione porta (in modo assai ovvio) a palesi assurdità. E con la mia risposta volevo appunto fare una 'provocazione'.
Oltretutto, in una prospettiva simile che significato può avere l''educazione'? Se si ritiene che 'qualunque cosa va bene' che senso ha l'educazione?
[Se ho frainteso, chiedo venia!]

Personalmente, inoltre, ritengo che sia del tutto normale che nella storia ci siano state più 'morali'. Per due motivi, essenzialmente. Primo, ritengo che sia normalissimo aspettarsi a causa della nostra natura umana ambigua, della nostra natura limitata ecc che alcune 'morali' siano erronee (nel senso che ritengono che, ad esempio, un'azione ingiusta sia giusta ecc). Inoltre, ritengo che sia anche abbastanza naturale ritenere che visto che le circostanze cambiano, sia necessario contestualizzare (in molti casi, non credo in tutti). Tuttavia, il contestualizzare non rende di per sé arbitraria o 'relativa' la morale. Ho già spiegato questo discorso in questo post e in questo (presi dalla discussione 'L'origine della diseguaglianza'). Si può benissimo pensare, infatti, un'etica universale anche in presenza contestualizzando.

Infine, lasciami dire un'altra cosa. Se la nostra natura non fosse 'ambigua', allora l'etica non sarebbe necessaria visto che spontaneamente compieremmo le azioni giuste*. Tuttavia, la nostra natura è 'ambigua' e quindi spontaneamente non facciamo le azioni 'giuste'. Questo rende necessaria l'etica.
In altre parole, possiamo veramente pensare al 'paradiso' come la situazione in cui si è 'liberi' dalla morale (in quanto non necessaria)...in pratica, il 'paradiso' ci sarebbe nel caso in cui venissero compite spontaneamente le azioni 'giuste' . Tuttavia, visto che (ovviamente, secondo me) è evidente che non è così, l'etica è necessaria ('dirige' le nostre azioni verso il 'giusto' e il 'bene', facendoci evitare di compiere l''ingiusto' e il 'male').

Detto questo, spero di esser stato abbastanza chiaro.

Ciao!  :)

*Chiaramente, si può pensare anche  al caso in cui spontaneamente si compiono azioni 'ingiuste'. In tal caso, chiaramente, si avrebbe qualcosa di simile all''inferno'.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

tersite

La discussione sta prendendo una piega pericolosa perché vi state invischiando su metafore attinenti il comportamento di specie non appartenenti al genere homo.
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

Menandro

Il Sacro non è la sorgente della morale, ma solo un contenitore. Nessuno può negare che nella Germania degli anni 30 ci sia stata una grande rinascita del Sacro. Le maestose liturgie notturne al lume delle torce, la benedizione delle bandiere, l'evocazione del sangue dei martiri, le innumerevoli vittime sacrificali che questo Sacro esigeva e ottenne. Niente di più lontano da una morale laica e secolare. Quest'ultima non può dimostrare, ma solo affermare di essere fondata nella natura. Così come non si può dimostrare, ma solo affermare che la morale sia fondata su altro. Quando diciamo che esprimendo una morale ci si relaziona con il "sacro", con un "in sé", un assoluto, un immutabile... non diciamo in realtà proprio nulla sul contenuto di quell'immutabile.

Belle, di fronte al dio, sono tutte le cose; ma gli uomini hanno giudicato alcune cose come ingiuste, altre invece come giuste.
(Eraclito, 22B102 DK)

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