Se Dio non esiste, allora tutto è lecito

Aperto da 0xdeadbeef, 25 Gennaio 2019, 18:12:20 PM

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paul11

#135
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Febbraio 2019, 14:40:54 PM
Ciao Paul
Come noto Aristotele immette nel principio di identità parmenideo l'elemento del tempo...
"La cosa che è e che non può non essere" di Parmenide diventa allora: "la cosa che è e che non può non essere nel
medesimo rispetto" (ciò vuol naturalmente dire che Aristotele vi immette il divenire).
Nel tempo, il divenire "assorbe" il principio di identità; un processo che culmina a parer mio nel celebre: "nell'
eterno fluire delle cose di nulla potremmo dire che è" (Nietzsche).
La verità incontrovertibile, dunque, è il divenire? Il senso e il significato sono forse parole vuote e, appunto,
prive di senso e significato (e la stessa parola lo è)?
Lo stesso "nominare", infatti, nel senso proprio di "parlare", non è forse esso stesso un tentativo di "ordinare" ciò che,
nel kaos, non può essere ordinato?
Mi chiedo spesso non se possa esservi filosofia dopo Nietzsche, ma addirittura se possa esservi "umanità" e "vita"...
La risposta che mi dò è la medesima di Kant e di Heidegger: solo un (improbabile) Dio può salvarci.
saluti
ciao Mauro (Oxdeadbeaf)
...hai fatto due passi indietro nella discussione, pensavo di essere stato abbastanza chiaro nel'ultimo post,
anche se capisco che un post ha un limite....spazio temporale.

Non ragiono quasi mai partendo da un singolo concetto, è come discutere di un frammento di un universo.
O è chiaro l'universo che potremmo dire ,come va di moda dire il "Tutto", o non se ne  esce.
Perchè, e quì raccolgo l'invito anche di Apeiron, se la morale è ancorata all'uomo non se ne  esce:
ha ragione il cannibael, il tagliatore di teste, ma anche l'anacoreta e il mistico, l'ateo e il credente.
Il fondamento della morale non è l'uomo, anche se nasce dall'uomo.Ma l'uomo è tormentato se non relaziona
COERENTEMENTE E COMPLEATAMENTE ,la sua esistenza con l'universale, diventata limitato ad un ambito e rimarrà ancorato in quel soloti ambito.E nel solo ambito tutti reclameranno una morale e la giustifcheranno come  GIUSTA.

Io posso fare la morale dle "bidet",Costruire anche per via logica un sistema coerente al mio comportamento sul bidet.
Ma il bidet spiega l'universo?Qu' siamo ancora nella logica argomentatativa di cosa fonda non la morale, ma di cosa fonda un intro sistema in cui la morale è parte, in quanto la morale non puà essere l'assoluto,ma semmai dipenderne, se vogliamo costruire una relazione COERENTE E COMPLETA.
Nietzsche non si chiede cosa vi sia prima e dopo la sua vita , ha già così chiuso un sistema, lo ha limitato e dentro questo limite applica un ragionamento.Non è una filosfia COMPLETA, ma è COERENTE.Idem Marx, straordinario nelle sue analisi, ma il suo errore è fra Hegel e Feuerbach. Heidegger non può COMPLETARE una filosfia iniziando nell'ESSERE GETTATI NEL MONDO", ma si chiede da dove è venuto, è "piovuto dal cielo", non può limitare un dominio e ciedersi se "l'orizzonte dell'esistenza abbia un senso". Ma il senso e la signifcazione dell'esistere non possono chuidersi nel limite della propria esistenza, se ,daccapo queste filosofie del "vengo dal nulla e finisco nel nulla" perdono l'identità essendo per loro nata con il corpo fisico e morta con il corpo fisico".Queste sono filosfie dell'evanescenza. Vivono solo un tempo storico perchè sono nate per vivere solo nello spazio tempo del divenire.
L'identità non può sorgere nel divenire, è una regola eterna che  è prima del divenire della nascita e ritorna dopo la morte alla sua origine eterrna,
Per questo le religioni "non muoino",non sono soggette al tempo, semmai sono gli uomini di religione che interpretandola la collocano in un tempo storico dell'"opinione".

Certo che si può sacralizzare una morale laica, si puè sacralizzare anche un bidet, Ma la morale è SOLO CONVINZIONE DI ESSERE NEL GIUSTO
o è a sua volta soggetta ad una coerenza e completezza ad un livello più alto che non relegarlo alle mode temporali delal storia?
Fallito lo stato comunista è fallito l'intero impianto del pensiero marxista? Qualcosa o tanto  rimane ed è quel qualcosa che non è soggetta alla storia, si tratterebbe di ripensarlo e riformularlo, di correggerlo.Rimango convinto che qualunuqe morale che si fonda sulla materialità e naturalità è relativo e quindi INCOMPLETO.Ed è quì che ha anche perso la filosfia contemporanea, nonostante il ritorno a Platone degli ultimi anni con la sua rivalutazione.Quando si entra in crisi bisogna ritornare alle origini, ripensare, riflettere.

Ho tolto il termine "Dio " volutamente dalla discussione , perchè una seria filosfia degna di questo termine deve stare in piedi senza la figura di vegliardo barbuto e quasi incazzato che l'icona nella fantasia umana ha dato di Dio, magari è una donna, magari è un bambino e forse è proprio nulla di umano e solo energia

citaz. Apeiron

Per chi nonpostula un fondamento dell'etica di qualche tipo, su cosa si basano i giudizi di valore?
Su cosa si basa l'asserzione che esista una morale condivisa e non arbitraria?

Per chi, invece, postula tale fondamento... qual è questo 'fondamento'?

Mi pare di avere risposto, ma sintetizzo:
Non basta la COERENZA ,ci vuole anche la COMPLETEZZA.
Non basta credere in un qualcosa in termini di pensiero ed essere coerenti con quel pensiero, diversamente ad es. tutti i sacerdoti di tutte le fedi esistenti ne l mondo essendo coerenti sono tutti nel giusto? Il vero discrimine è la loro fede e solo quì si arriva alla COMPLETEZZA.

La morale "giusta" non è data dal numero di persone, da quantità e nemmeno dalle convenzioni culturali che da padre in figlio condizionano  i comportamenti, perchè allora diremmo anche quì che tutte le culture nel mondo sono giuste pur avendo fondamenti diversi


Il fondamento non può che essere un principio originario,da cui tutto dipenda  e universale


Infine:

nella logica proposizionale moderna appaiono i cosiddetti quantificatori universali ed esistenziali.la loro necessità costruisce l'ambito logico in cui un concetto viene espresso.
nella lgoica modale contemporanea della filosfia analitica  si utilizzano termini aletici

che sono "possibilità" e "necessità" e veine utilizzata nella teoria delal verità.
Allora direi che la completezza è necessaria e la coerenza è possibile.
L'uomo è possibile che costruisca sistemi errati, ma internamente coerenti. Lo fa in ambiti limitati. ma per questo è necessario che un dominio, un ordine sia a sua volta relazionato ad un ordine superiore che contenga quel dominio.
Per questo dico che senza una filosfia originaria e universale, tutti gli ordini inferiori possono essere errati perchè si autogiustificano


E' bene chiarire la coerenza morale.
Se Marx ritiene che la rivoluzione sia possibe per via violenta, non può pensare coerentemente che il suo sistema si sostenga con la pace.
Se Nietzsche sostine che la volontà di potenza sia l'essenza della vita, non può aspettarsi una società in cui gli individui vadano d'amore e d' accordo,poichè ognuno sarà libero di manifestare la PROPRIA volontà di potenza.
Se una fede sostiene che l'amore e la pace e la carità siano fondamnti, non può promuovere
inquisizioni, istituire uno stato secolarizzato e magari andare pure in guerra con una proria armata.

Nessuno è coerente, o pochi individualmente come scelta,  figuriamoci se poi riecono ad essere nello stesso tempo coerenti e completi

Menandro

Citazione di: Apeiron il 01 Febbraio 2019, 18:30:46 PMCerco di far 'ripartire' il dialogo...(sto assumendo in questo dialogo che si accetti l'esistenza di un'etica non-arbitraria) :) Per chi non postula un fondamento dell'etica di qualche tipo, su cosa si basano i giudizi di valore? Su cosa si basa l'asserzione che esista una morale condivisa e non arbitraria? Per chi, invece, postula tale fondamento... qual è questo 'fondamento'? Ne approfitto per dare il benvenuto a @Menandro e @Iamthedoctor ;)

Ciao Apeiron, il fondamento può essere anche solo nell'esperienza della vita, nel formarsi graduale di un sistema funzionale alla sopravvivenza. Per decidere che è sbagliato uccidere è sufficiente sentire la necessità di non essere uccisi... Istinto di sopravvivenza, piacere e dolore, utilità, a partire da queste emergenze l'uomo può aver detto "sì" e "no", e ad un certo punto iniziato anche a ragionare in termini di bene e male, e in seguito a riferire tutto questo alla volontà divina. Se si ha in antipatia il mondo si può anche dire che la morale è fatta di rapporti di forza mascherati e idealizzati... è un altro modo di vedere l'etica come qualcosa di "organico", che nasce nella vita e nell'esperienza dell'uomo.
Solo che noi non possiamo sapere quale fosse lo stato originario dell'uomo, possiamo solo "stabilirlo". Se per esempio stabiliamo che l'uomo non ha mai vissuto un'esistenza completamente naturale, ma è stato veramente tale solo nel momento in cui si è trovato fra le mani "lo specchio" dell'autocoscienza, allora è come dire che gli dei sono stati con lui fin dal principio, perché a quel punto non ha operato più in lui solo la natura, ma tutte le facoltà immateriali, fra cui l'intuizione degli dei.
Eppure anche in questo caso dovremmo usare cautela, non solo perché ovviamente l'intuizione può essere vista anche come invenzione, ma perché se guardiamo ai tempi veramente antichi, non è scontato il nesso divinità-legge morale. Gli dei omerici per esempio non sono affatto migliori dell'uomo, sono solo più potenti. Sono esseri assolutamente immorali, capricciosi, bugiardi, costretti all'obbedienza a Zeus solo dalla sua superiore potenza. A loro non interessa come gli uomini si comportano verso i loro simili, a loro interessa solo la venerazione, il sacrificio. E così pure agli dei vedici interessa del mondo umano solo il sacrificio a loro offerto. Se non sbaglio nemmeno loro sono mai scesi a portare le tavole della legge. In pratica sembra proprio che l'uomo si sia dato una morale molti secoli prima dell'apparizione di un Dio garante del Bene.

Sariputra

Un amore capace di sacrificio è un fondamento dell'etica, amio modo di vedere. Ne "I Fratelli Karamazov" quasi tutti i vari personaggi sono come 'incatenati' e posseduti da ciò che amano. C'è chi è posseduto dal proprio ideale di giustizia, come Dimitri, chi dalla propria idea del  mondo  come Ivan, chi dal sesso  (il vecchio Karamazov) e così via.  Solo Alesa (non ricordo come si scrive...) e in parte Gruscenka sembrano sottrarsi a questa natura di possessione cieca rivolta verso l'Io e verso le sue viscerali, profondissime passioni. E riescono a sottrarsi a questo 'delirio di possesso' perché il loro orizzonte non è quello del proprio meschino Io ma è quello della salvezza dell'altro, del "tu". Tutti e due amano profondamente fino al punto di esser capaci di 'spendersi' per l'altro (per Dimitri e per Ivan...). Spendere è 'lasciar andare' ciò che si crede importante, quello che si pensa possa darci la felicità, quello che è nostro, ecc. Sono per questo capaci di un amore che è anche sacrificio perché è un amore sacro, e quindi per Dostoevskij un amore che è "abitato" da Dio. "Sacrificio" è uno dei termini più rifiutati dalla modernità. Nessuno vuol 'sacrificarsi' per l'altro. Siamo tutti posseduti da noi stessi...
Il sacrificio , nella religiosità , è un'offerta fatta ad una divinità. Però c'è un sacrificio che è offerta libera di se stessi per l'altro, per il  "tu". Direi che la nascita della religiosità stia propria in questa scoperta dell'offerta libera di se stessi all'altro. L'amore si manifestava nell'offrirsi (in pasto alle belve per salvare la persona amata, per esempio...) rinunciando a ciò che si possedeva (financo la vita stessa) per darlo /donarlo all'altro. L'idea di divinità è quindi sublimazione della scoperta del "tu", un'uscita dal confine dell'Io...la degenerazione sacerdotale nella ritualità è successiva e non inficiante questa primordiale scoperta del sacro come appunto sacrificio d'amore per l'altro. Come infatti dice il filosofo inglese Roger Scruton ( che su altre cose non condivido, ma questa è interessante...)attualmente  ci si scaglia contro i credenti  e il loro dio "astratto", concettuale. Sbagliando però bersaglio perché si cerca di estirpare qualcosa che non appartiene alla gente comune. I fedeli comuni non vedono infatti Dio come un'astrazione, come una «risposta a una domanda cosmologica». Piuttosto, afferma Scruton, lo incontrano spesso nell'esperienza, «nello sforzo di vivere con gli altri», quando «si imbattono in momenti, luoghi, relazioni ed esperienze che hanno un carattere numinoso» (numinoso=il senso, la coscienza del sacro, che costituirebbe il fondamento dell'esperienza religiosa dell'umanità, definizione se non sbaglio di R.Otto...), dove cioè si avverte la presenza di qualcosa che non appartiene al mondo.
«Se ci liberiamo del "burroso nulla" quando si tratta di piccole cose – sesso, immagini, persone – potremmo sbarazzarci di esso anche quando si tratta di cose grandi: in particolare, quando si tratta del mondo intero». «Dire che il mondo non è altro che l'ordine della natura, così come è descritto dalla fisica, è assurdo come dire che la Gioconda non è altro che una macchia di pigmenti». Ciò che si ha di fronte non è inquadrabile totalmente con il metodo scientifico, e «giungere a tale conclusione è il primo passo per comprendere come e perché viviamo in un mondo di cose sacre».
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

everlost

Menandro,
concludi l'intervento dicendo:
Citazione In pratica sembra proprio che l'uomo si sia dato una morale molti secoli prima dell'apparizione di un Dio garante del Bene.
e sono d'accordo con te su tutto. 
Il concetto di bene e male può essere nato indipendentemente da quello del sacro e prima ancora che si arrivasse a immaginare le divinità, forse quando gli uomini primitivi si sono accorti che vedersi uccidere i figli, rapire la donna o rubare la preda era estremamente spiacevole e deprecabile. Così come hanno capito che invece era giusto curare gli ammalati e onorare i defunti.
Ma il problema è capire cosa li abbia portati a simili considerazioni. 
Io credo che sia stato lo sviluppo dell'intelligenza parallelamente alla coscienza, partendo da livelli animaleschi per arrivare dove le bestie non possono.
Anche gli animali hanno le loro norme comportamentali, basilari e semplici, fondate su logiche di potere, predazione e protezione del branco nel caso dei mammiferi, di alveare e colonia nel caso degli imenotteri da noi considerati inferiori. In genere non si uccidono fra loro e non uccidono la prole - con moltissime eccezioni però - e possiedono sistemi per emarginare gli individui asociali che possono danneggiarli. Quindi si direbbe che anch'essi possiedano una forma elementare di moralità.
In seguito, nelle società umane, i capi tribù hanno rappresentato al loro popolo l'etica da seguire, ma è sbagliato pensare che sia stata un'imposizione autoritaria: se i destinatari non avessero creduto alla bontà di quelle norme, non le avrebbero accettate (e avrebbero accoppato i relatori  :o).
Poi, con il consolidarsi di classi dominanti e di caste sacerdotali, l'etica ha smesso di essere un comune sentire per diventare coercizione e infine, per alcuni, consuetudine ipocrita poco accettabile e discutibile in ogni modo. 
Mi sembra però un problema maggiormente sentito nelle società monoteiste, perché dove invece si segue una religione cosmica o dharmica, in pratica dove più che una religione si segue una filosofia senza dogmi e comandamenti, insomma dove manca il concetto di un dio geloso ed esigente e dove non esiste il peccato, le persone sembrano affrontare l'esistenza  con minori drammi.

Ipazia

La vita umana è coerente, determinata, "chiusa" nel suo unico, incontrovertibile, percorso evolutivo. Solo su di essa, al di là di ogni ideologia e metafisica, si può fondare l'etica. E anche tutto il resto. Teista o ateista che sia.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Citazione di: Ipazia il 01 Febbraio 2019, 22:16:31 PM
Io, da umanista marxista, rispondo alla terza domanda di Apeiron: la vita umana. Cosa c'è di più sacro di una vita unica e irripetibile, neppure scalfita dall'illusione di una salvezza eterna?

E ciò vale anche per il teismo fin dal suo nascere: sacrifici eccellenti nella mitologia greca. Di solito un figlio/a di re. Il cristianesimo nasce dal sacrificio del figlio di un dio Padre. Ma pure a Stalingrado si celebró un olocausto di proporzioni mitologiche. Quale di questi episodi è vero sacro e quale è falso?


Ciao Ipazia
A mio modo di vedere continui a confondere il discorso filosofico con quello teologico.
Ovvero, quando ti chiedi di un "vero" sacro e di un "falso" sacro fai lo stesso, speculare, discorso di
un prete cattolico che dice che l'Islam non è vera fede (e viceversa, naturalmente).
Non è evidentemente questo ad essere in discussione.
Ad essere in discussione è invece il concetto di "sacro", che ieri riguardava la divinità tradizionalmente
intesa ed oggi riguarda altre "cose", che ritenute sacre assurgono al medesimo "status" ieri di pertinenza
della divinità.
Ho spesso riportato, nel corso di questa discussione, il termine severiniano di "Inflessibile". Ecco, mi
sembra che esso sia proprio il termine giusto per tentare una (faticosissima) via d'uscita da un dialogo
che in troppi intendono erronenamente come una diatriba teismo - ateismo.
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: viator il 01 Febbraio 2019, 23:05:27 PM
Salve Oxdeadbeef. Non ritengo affatti sinonimi Dio e sacralità. Il primo termine è certamente rigorosamente connesso al secondo, ma il sacro in sè come concetto affonda il proprio significato nei tabù. Il sacro è sempre collegato a doveri o limitazioni di carattere talmente radicato ed imperativo da farne appunto dei tabù.

Che la parte del leone la facciano i temi religiosi, ovvio ma per nulla esaustivo.
Esistono la sacralità della vita, dei giuramenti, dei confini della Patria......tutti aspetti sui quali anche gli atei potrebbero convenire. Saluti.

Ciao Viator
E da ateo (per mia sfortuna) infatti vi convengo, ma non è questo il punto (come dico anche sopra in risposta
ad Ipazia).
Tu (ed altri) continuate a figurarvi "Dio" come una divinità della tradizione religiosa, ma il mio discorso
ha la pretesa, forse senza esserne degno, di essere filosofico, non teologico.
"Dio" come il Sacro; come l'Assoluto; o come il severiniano "Inflessibile"; concetti che oggi in molti (compreso
tu) hanno trasposto ad elementi umani, come appunto la vita, i giuramenti etc.
Severino, con una efficacissima espressione, dice che l'Inflessibile è stato "ricostituito". E continua acutamente:
"ed è stato ricostituito perchè l'uomo non sopporta l'angoscia suscitata dal divenire".
Se infatti vi fosse una piena consapevolezza dell'accettazione del divenire ogni "sacralità" ne sarebbe inevitabilmente
e definitivamente compromessa. E la vita, i giuramenti, la Patria, da articoli di fede diventerebbero ciò che
probabilmente sono: prodotti della volontà di potenza.
Perchè è con Nietzsche, non con i preti, che bisogna confrontarsi...
saluti

Sariputra

#142
Secondo me non è possibile fondare l'etica sulla vita umana.  Anche violentare e sgozzare una bambina è vita umana.Patologica? E che significa? La patologia non è forse umana? Cominciamo a distinguere ciò che è 'sano' ritenere vita umana e ciò che è insano ritenere vita umana? Ma allora ecco di nuovo il grande Inquisitore. Ecco colui che giudica ciò che è etico umanamente e ciò che non lo è. Poi arriva il pazzo che va al potere ed eticamente sano diventa il gasare vecchi, donne e bambini nelle camere a gas...
Senza un fondamento autonomo dell'etica  non è possibile trovare un'etica condivisa. Sarà sempre e solo un'imposizione. Il problema è che è anche impossibile trovare qualcosa di condivisibile. Siamo diversi, con aspirazioni e ideali diversi e soprattutto con "attaccamenti" diversi, più o meno viscerali con cui ci identifichiamo.
Perciò sorge la Legge, che è necessità, e sorge  la divinità che garantisce la bontà della Legge.
La Legge non è un 'passo indietro' ma un fondamentale 'passo in avanti' della coscienza che prende atto/consapevolezza dell'insanabile contraddizione interna all'uomo e a se stessa...
Soltanto quando la contraddizione è risolta, quando la coscienza supera la sua stessa contraddizione interiore, quando l'Io/Mio perde le zanne,  la Legge non è più necessaria.
Non concordo che l'accettazione del divenire comprometta la "sacralità" della vita.  Se fosse così tutta la filosofia millenaria dell'oriente che si fonda sull'accettazione della realtà del divenire, che è sofferenza, avrebbe prodotto nichilismo. Invece ha addfirittura sacralizzato l'intera esistenza , a differenza dei monoteismi che sono più antropocentrici. Il divenire che diventa una 'danza divina'...
In realtà non è il divenire il problema, secondo me, è che l'Occidente ha semplicemente perduto la 'fede'... perché non l'aveva mai avuta veramente...era solamente 'consuetudine' della massa...ora non è più consuetudine, tutto là... :)
insomma l'Occidente si è semplicemente tolto quella maschera che portava, svelando la sua monumentale smania di potenza e di forza che da sempre lo contraddistingue...dagli eroi/semidei omerici in poi...insomma tutto il problema di base ( e che probabilmente ci porterà all'autodistruzione...) è nella classicità greca. ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

0xdeadbeef

Citazione di: paul11 il 01 Febbraio 2019, 23:09:41 PMPerchè, e quì raccolgo l'invito anche di Apeiron, se la morale è ancorata all'uomo non se ne  esce:
ha ragione il cannibael, il tagliatore di teste, ma anche l'anacoreta e il mistico, l'ateo e il credente.
Il fondamento della morale non è l'uomo, anche se nasce dall'uomo


Ciao Paul
Se la morale è ancorata all'uomo se ne esce eccome. Solo che l'uscita non è quella, luminosa, che vorrebbero alcuni
di coloro che sono intervenuti su questo argomento, bensì quella tenebrosa di Nietzsche...
Dicevi di cercare senso e significato, ma hai mai pensato (certamente sì) che il senso e il significato potrebbero
essere la mancanza degli stessi?
Questa volta, Paul, non ti capisco. E non ti capisco pur, come dire, sentendoti vicino...
Per certi versi mi ricordi proprio Severino, il quale dice che la tecnica è il rimedio che i "mortali" hanno
escogitato per far fronte all'angoscia suscitata dal divenire ma che poi non resiste alla tentazione di seguire,
egli stesso, un ragionamento "tecnico"; un ragionamento infine "salvifico" (l'eternità di ogni istante, l'essere
sempre tutti e già salvi dall'annientamento della morte).
Alla medesima maniera tu, con quel: "se la morale è ancorata all'uomo non se ne esce" sembri voler cercare per forza
una via d'uscita; una via d'uscita che, beninteso, non sia quella di Nietzsche...
saluti

paul11

#144
ai naturalisti e materialisti dico che seguano pure i moti intestinali di una morale ormai talmente frammentata nelle culture e paradossalmente talmente dominante nel potere e denaro da diventare "umore metabolico" delle sensazioni umane.
Se proprio dovessi scegliere un paradigma naturale, poco contemplato nell 'evoluzionismo animale e di cui l'uomo ha creduto di coglirne verità, sceglierei non un uomo o un animale, ma l'albero e la foresta.Non chiede nulla a nessuno è esposto  alle intemperie del cilma, segue i cicli della vita e delel stagioni e fa brulicare di vita tutto ciò che gli sta attorno e ci da ossigeno.

Non ci capiamo Mauro( oxdeadbeaf) .
Nessuno nega che noi diveniamo e che il divenire è la dimensione della dinamica dell'esistenza. Neppure Severino lo nega.
Il problema ,e rispondo indirettamente a Sariputra, è il rapporto fra verità incontrovertibile che non può che essere eterna e il divenire delle dinamiche dei cicli e delle esistenze.
Se il divenire NEGA ,e questa è la scelta occidentale e non orientale, la verità incontrovertibile, storicizza la morale esponendola alle mode culturali.
L'oriente ha mantenuto nel suo DNA culturale la ciclicità esposta nei testi vedici prima ancora che divenissero fiosofie e spirtualità e il divenire è funzionale alla regola di un ordine superiore alle esistenze.Per questo non hanno avuto deliri di onnipotenza e hanno sempre cercato l'armonia, l'equilibrio.L'esistenza umana nel divenire E' LA RICERCA DI SENSO E SIGNIFCATI, a questo serve la vita, non a riempire le tasche di denaro e di dominare gli altri simili.Questo è cristianesimo originario prima che sorgesse l'istituzione ckericale .La spiritualità identifca lo spirito con l'identità e in quanto tale è la verità incontrovertibile eterna che ogni individuo umano ha anche nel  divenire  e che sempre relaziona il divenire delle esperienze indivduali del COME  vivere(ed è quì che nasce la morale) che ha sensi e signifcati che riporterà con lo spirito all'eterna origine.

L'uomo può cambiare morale culturale, certo che può e infatti ho spiegato la differenza fra NECESSITA' E POSSIBILITA', l'uomo è nel dominio del possible, ma sta solo a lui e alla sua cultura decidere come il possible che è anche potenza si relaziona o meno nel necessario che è la regola universale degli ordini e dei domini. Detto in altri temini la SALVEZZA dell'uomo o il suo autoannientamento è nella sua scelta e possibilità.
Quindi il SACRO, detto in termini spirtuali, sarà sempre presente,, perchè eterno e incontrovertibile.
L'uomo può benisimo pensare ed agire sacralizzando materia ,natura o quant' altro, vale dire credere e avere fede che questi siano i parametri su cui costruire una cultura,Può sacralizzare o credere quel che vuole. Il problema è che nasceranno contraddizioni.
Lo vogliamo o no capire che è già da secoli che si è scelta questa strada ,che è aumentata la tecnica e la conoscenza scientifca, ma nulla ci hanno espresso sul COME saper vivere, e infatti emergono contraddizioni sociali e cuturali notevoli.Non sappiamo più ciò che è giusto e ciò che è sbagliato?

viator

Salve Ox. Nei miei interventi qui conferisco al concetto di Dio non la mia personale interpretazione (che è appunto quella filosofica di Assoluto, Mondo, Tutto) bensì quella predominante - teistica - che credo nutrita dalla maggioranza dei lettori.

La volontà di potenza non è altro che il nostro desiderio di poter sconfiggere la morte.
Tutta qui, secondo me, la logica nicciana.

La morale naturale è quella espressa dal "Principio Naturale del Bene" che io ho già citato più volte e che recita "Nessuno sottragga o distrugga ciò che non sara in grado di restituire o rigenerare".
Esso è l'espressione della capacità appunto della natura di restituire e rigenerare qualsiasi cosa. Tale capacità rappresenta sia IL SACRO che la MORALE ASSOLUTA.

L'uomo fa parte della natura e sarebbe tenuto quindi a rispettare anch'egli tale principio ma, rappresentando anche ciò che tende a porsi quale evoluzione e diversa riproduzione della natura, può trovarsi (e si trova) ad opporsi ad essa nel cercare di realizzare le proprie aspirazioni. Infatti la nostra battaglia contro la morte si oppone proprio alla sua naturalità, che il mondo può permettersi poichè in grado di superarla.

Noi invece abbiamo appunto paura di non poter superare la nostra morte. Saluti..
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Apeiron

#146
In generale, il mio punto con le mie 'tre domande' era dire che secondo me una 'etica' puramente 'razionalistica' (ovvero basata solo sulla ragione) è impossibile. Infatti, il 'ragionamento' ha senso solo in presenza di premesse. Ovvero: per poter dimostrare alcunché si deve partire da qualche assioma.

Dimostrare, ad esempio, che esiste un'etica universale è possibile solo se si assume che ci possa essere un'etica. Si potrebbe pensare di 'dimostrare' che certe posizioni etiche sono universalmente condivise tramite un'indagine 'empirica'. Sappiamo che, purtroppo, la Storia ci insegna che anche quelle che  sembrano le più 'basilari' posizioni etiche non sono state condivise. Si può dire che le 'violazioni' sono qualcosa di 'patologico' ma, secondo me, è spostare il problema. Anzi, introduce ancora più problema. Infatti, si arriva a dire che l'etica è una questione di 'salute'. Il che secondo me è molto problematico - vogliamo dire, quindi, che i peggiori criminali sono malati? In pratica, il mio punto, è che usare una dialettica 'sano'/'malato' non può fondare un'etica condivisa ma finisce per rendere l'etica qualcosa di ridondante.
(Ad essere pignoli, una indagine empirica ha il problema che hanno tutte le indagini induttive, ovvero che non si possono distinguere usando tale indagine - senza altri assiomi - una generalizzazione accidentale da una 'vera' regolarità...).

Ad ogni modo, noto con molto interesse (e in parte con sorpresa) che tutti, in un modo o nell'altro hanno assunto la presenza di un 'fondamento' dell'etica di varia natura. Personalmente, ritengo che, effettivamente, sia l'unica via per riuscire a fondare un'etica condivisa.

Quindi, accettata l'idea che c'è un fondamento, dobbiamo vedere se è soddisfacente o meno. Personalmente, pur rispettando la posizione per cui tale fondamento è puramente 'umano', ho alcune riserve. Concordo perciò con chi in questa discussione esprime perplessità in merito. In fin dei conti, trovo la 'natura umana' assai ambigua. Ad ogni modo, assumere che la 'natura umana' in realtà è 'rivolta al bene' mi sembra un'assunzione molto forte e non molto 'corroborata' dalla Storia (a dire il vero neanche 'falsificata'...). Per questo motivo, l''ottimismo' che trovo nelle teorie 'umanistiche' non mi convince. O, più precisamente, non mi convince il fatto che venga fatto passare come più 'razionale' di teorie alternative.
Volendo si può leggere questo come una 'conferma' che non si può 'divinizzare' l'uomo ma che lo si deve vedere come un essere fallibile, soggetto all'errore (cosa che mette, di per sé, in discussione una visione dell'etica puramente 'umanistica').*

* In pratica, questo implica che non si può sostenere che alcun sistema di leggi umane può essere 'perfetto', 'assoluto' ecc. Tra l'altro, secondo me, si collega (almeno in parte) anche alle affermazioni che @davintro faceva sulla libertà dalle leggi umane se non ho interpretato male.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

davintro

#147
per Oxdeadbeef

Chiedo scusa per la mancata risposta alla tua domanda nel tuo messaggio di qualche giorno fa, è possibile mi sia sfuggita, oppure dopo averla colta me ne sia dimenticato

Mi sento di dover premettere che l'utilizzo di espressioni come "morte di Dio" o "morte del sacro" mi risultano indigeste, in quanto mi "puzzano" di storicismo, cioè la mentalità per il quale l'analisi concettuale dovrebbe lasciarsi riformulare sulla base delle valutazioni sul succedersi storico delle varie egemonie culturali. Certamente si può dire che soprattutto dopo Nietzsche la possibilità di attestare l'esistenza di Dio o più generalmente la verità di un sistema metafisico ha perso la sua priorità nel contesto storico-culturale, ma questo è qualcosa che interessa lo storico della filosofia, non il filosofo teoretico, che invece dovrebbe badare unicamente al rigore logico-argomentativo del discorso, senza lasciarsi condizionare in modo conformistico dalle mode dominanti tra le opinioni dell'ambiente in cui vive. Dio o il Sacro  non sono morti, la loro "morte" può essere intesa solo come una metafora, nulla di più, in sede di riflessione teoretica il loro utilizzo sistematico rischia di deviare il discorso verso derive extrateoretiche: o Dio è sempre esistito o non lo è mai, o un fondamento universale dell'etica è sempre stato possibile o non lo è mai stato, a livello teoretico ciò che conta è cogliere la struttura generale ed essenziale delle cose che tematizziamo  al di là del variare delle opinioni storiche. La "scomparsa del sacro" è un'espressione dunque che ha un senso prevalentemente storico, non teoretico, perché dal punto di vista teoretico non si danno scomparse o riapparizioni, ma solo realtà permanenti, e per quanto riguarda l'etica ciò che permane nell'uomo, è la sua natura di animale razionale. La razionalità si esprime nel raffrontare, connettere in relazione logica elementi molteplici, dunque connettere la valutazione morale di una singola azione, di un singolo evento a dei parametri di riferimento a cui si attribuisce una forma universale, cioè è proprio la razionalità che necessita di richiamo ad un piano trascendentale, un'idea di "giustizia in sé" come modello a partire da cui valutare l'adeguazione delle singole cose giuste, ideale che ciascuno di noi pone come valida al di là della particolarità delle circostanze, finché l'uomo resterà "uomo", cioè manterrà il tratto essenziale che lo definisce, la razionalità, il riferimento a questo piano non può venir meno. Resta arbitrario il contenuto con cui materialmente riempire tale ideale di giustizia, ma un riempimento in chiave teistico non lo troverei più logicamente fondato rispetto all'attribuzione di un valore laico (è vero che prima ho scritto che la legge morale emanata da un essere che riconosciamo "personale" può suscitare una spinta emotiva più forte rispetto al coinvolgimento derivante dall'adesione di un ideale astratto, ma penso anche l'intensità emotiva sia anche accompagnata da una maggior mutevolezza nell'avvertire il richiamo: la voce di un Dio/Persona può muovere con maggiore fervore a compiere la sua volontà, ma al contempo, una volta che le aspettative storiche nei suoi confronti vengono disattese, anche più forte sarà la delusione, la disperazione e la rabbia nel rigettare tale richiamo come vincolante, come quando ci sentiamo traditi da un amico, mentre al contrario di fronte a un ideale etico astratto magari siamo spinti a aderire meno intensamente a livello emotivo, ma offre maggior "solidità", dovuto al fatto che l'ideale, nella sua astrattezza, mantiene il proprio significato indipendentemente dalle aspettative nel fatto che esso effettivamente possa concretamente incidere sulla storia, come invece ci si aspetterebbe dalla volontà e dalla potenza di una Persona)

Ipazia

Di inflessibile e incontrovertibile c'è solo la vita umana. Nella sua limitatezza fisica è illimitatezza (apeiron) pensante.
Il sacro è all'interno del circolo semantico che delimita l'universo antropologico da cui non è possibile uscire ma che, come l'universo fisico, diviene espandendosi.

Il sacro religioso non è stato dissacrato dal materialismo, ma si è estinto da solo, cadendo gli dei sotto il peso della loro disvelata impotenza, che non legittimava più alcun sacrificio reale, ma solo simulacri liturgici svuotati di ogni sacralità: nozze coi fichi secchi e acqua minerale.

Neppure il versante profano se la passa bene: patria, famiglia, capitale, bestie bionde e avanguardie di ogni colore: il sacro si nega, come un Deus absconditus che nessun sacrificio riesce a stanare. Resta solo la vita umana intrecciata con la natura da cui trae origine: unico patrimonio condiviso, universale, incontrovertibile. Lì solo si può solidamente incarnare un logos etico.

Anche l'episodio dell'inquisitore rivela la debolezza dell'antica fede: finisce zero a zero tra il nichilismo incredulo dell'istituzione religiosa e la muta alterità di un Verbo che ha perso la parola e si rifugia nel gesto di un bacio non risolutivo, indeciso tra l'empatia verso la sofferenza totalmente dissacrata e miscredente dell'inquisitore e un ultimo riverbero di quella radiazione spirituale fossile che fu l'amore divino.

Dostoevskij deve avere colpito anche Nietzsche di cui fu una delle ultime letture. Il suo modo antieroico con cui presenta la morale dei signori nel principe Myskin, e la rutilante complessità della morale degli schiavi dostoevskijani deve avere spiazzato non poco la rozza geometria metafisica nicciana incardinata su ressentiment e volontà di potenza. Come in Dostoevskij, alla fine rimane di Nietzsche soltanto un Ecce Homo, da cui sempre si riparte
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Citazione di: paul11 il 02 Febbraio 2019, 14:32:27 PM

Non ci capiamo Mauro( oxdeadbeaf) .
Nessuno nega che noi diveniamo e che il divenire è la dimensione della dinamica dell'esistenza. Neppure Severino lo nega.
Il problema ,e rispondo indirettamente a Sariputra, è il rapporto fra verità incontrovertibile che non può che essere eterna e il divenire delle dinamiche dei cicli e delle esistenze.
Se il divenire NEGA ,e questa è la scelta occidentale e non orientale, la verità incontrovertibile, storicizza la morale esponendola alle mode culturali.



Ciao Paul
E se (ma sia chiaro che sto chiedendo, non affermando) la "verità incontrovertibile" fosse il divenire?
Vedi, io sono d'accordo con te su molti e dirimenti punti, ma il fondamento è per me una domanda, o per
meglio dire un imperativo ipotetico (appunto: "se Dio non esiste, allora tutto è lecito"), non una
affermazione quale sembra essere per te.
Certamente l'esistenza umana nel divenire è la ricerca di senso e significato, ma se questa ricerca fosse
vana? Se cioè non vi fosse nessun senso o significato? Evidentemente solo una persona non dotata di
sensibilità e profondità di pensiero potrebbe addirittura non sperare che che questa ricerca abbia un senso;
ma una speranza non è una certezza, e tale ricerca potrebbe effettivamente essere vana (non in quanto
"ricerca", ma in quanto non esiste l'oggetto di tale ricerca - cioè non esiste un senso e un significato).
E se la dimensione dell'"eterno" fosse non ciò che speriamo, ma il vuoto cosmico che Levinas chiama "l'y'a"?
Sicuramente non sarebbe un "nulla" dal quale gli essenti provengono per poi ritornare, ma sarebbe al "nulla"
equivalente. Anzi: spaventosamente equivalente...
saluti

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