Se Dio non esiste, allora tutto è lecito

Aperto da 0xdeadbeef, 25 Gennaio 2019, 18:12:20 PM

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0xdeadbeef

#90
Citazione di: davintro il 28 Gennaio 2019, 22:25:17 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Gennaio 2019, 19:06:24 PMsul modo di intenderla di Ivan non concordo, dato che penso che un sistema di valori fondato su criteri trascendentali (non necessariamente trascendenti), cioè su assunti morali che ciascuno di noi pone come universalmente validi sia una struttura comune a tutti gli uomini, indipendentemente dal contenuto "materiale" con cui tale sistema viene riempito. L'ateo e il teista probabilmente divergeranno sul contenuto, ma non sulla struttura formale delle loro impostazioni etiche.

Ciao Davintro
Mi sembri confermare la mia tesi per cui anche chi nega il "sacro" ne ripropone comunque la struttura (se una legge è
"uguale per tutti" è intrinsecamente "sacra", perchè non relativa).
E.Severino, ne: "Il tramonto della politica" sostiene che la volontà di potenza domina di fatto, ma non di diritto.
Perchè la tradizione filosofica e religiosa dell'occidente esercita ancora il suo influsso, che consiste nel non
riconoscere una dominazione "di diritto" della volontà di potenza.
Allorchè, afferma, il "sottosuolo filosofico degli ultimi secoli" avrà confutato definitivamente la tradizione classica,
allora la dominazione della volontà di potenza sarà anche "di diritto". Che vuol dire?
Vuol dire che finchè del "sacro", cioè di "Dio", sarà riproposta la "struttura" non tutto sarà "lecito". Ma quando il
"sottosuolo filosofico" avrà dimostrato definitivamente, con  l'inesistenza del "sacro", anche l'illogicità della riproposizione della struttura sacrale, (ovvero quando vi sarà una piena
e consapevole contezza della "morte di Dio"), allora quello sarà il tempo del dominio pieno della volontà di potenza.
Sarà ovvero il tempo in cui "tutto è lecito"...
saluti

davintro

non ammettere l'esistenza di Dio non implica mancare di un fondamento su cui basare una morale, in questo caso il fondamento consisterà in un valore, un ideale "laico", non necessariamente consistente nell'obbedienza alle prescrizioni etiche espresse in una rivelazione pseudo-divina. Ciò che è necessario al fondamento, non è tanto il contenuto con cui viene definito, ma la forma universale con cui la si pone come ideale regolativo valido in ogni possibile circostanza in cui ci si trova ad agire. D'altra parte però trovo anche sensata l'idea per cui nel momento in cui l'ideale viene fatto coincidere con l'amore verso un principio di cui si ammette la realtà, a livello psicologico, l'obbedienza a un fondamento viene percepita come maggiormente rilevate e vincolante, perché associata a qualcosa di più concreto, rispetto all'adesione ad una categoria astratta e impersonale, di fronte a cui diviene più difficile (non impossibile) provare quel coinvolgimento sentimentale necessario per interiorizzare in profondità il comando. In fondo, questa è la stessa dinamica per cui spesso, nell'esperienza quotidiana, il consiglio, l'insegnamento proveniente da una persona concreta, un amico, un familiare viene avvertito in modo più profondo rispetto a un imperativo che riceviamo in modo più "intellettualista" come per esempio leggendo un manuale di etica. Il che non vuol dire che l'ateo che non associa l'ideale etico a un Dio personale avvertirà sempre e necessariamente con meno forza persuasiva le prescrizioni che ne derivano rispetto al teista, ma che il richiamo alla concretezza del fondamento (chiarisco che parlo di concretezza non nel senso che il Dio in cui crede il teista sia realmente concreto, ma nel senso che la sua fede lo porta ad avvertirlo, qua non stiamo discutendo della verità effettiva dell'esistenza di Dio, ma della relazione tra la fede in tale esistenza e la forza dei convincimenti etici che ne discenderebbero, cioè è un problema di percezione) è comunque un fattore, tra gli altri, che contribuisce a rendere più "vivida" la sua percezione e a rinforzare emotivamente la spinta a voler essere coerente con l'insegnamento etico, che per il credente non proviene da un'idea ma da una Persona che si ama, come si ama un amico o un parente, anche se la sua voce risuona ben più smorzata per la sua collocazione extramondana

0xdeadbeef

Citazione di: davintro il 29 Gennaio 2019, 19:15:37 PM
non ammettere l'esistenza di Dio non implica mancare di un fondamento su cui basare una morale, in questo caso il fondamento consisterà in un valore, un ideale "laico", non necessariamente consistente nell'obbedienza alle prescrizioni etiche espresse in una rivelazione pseudo-divina. Ciò che è necessario al fondamento, non è tanto il contenuto con cui viene definito, ma la forma universale con cui la si pone come ideale regolativo valido in ogni possibile circostanza in cui ci si trova ad agire.

Ciao Davintro
Non condivido questa tua riflessione, perchè per me la riproposizione della struttura sacrale è, di fatto e di diritto
(nel senso che cerco di spiegare nella precedente risposta), la riproposizione del sacro.
Allora sarebbe come dire: "non credo al sacro ma lo assumo come se esistesse"...
Un "come se", consentimi, dal sapore molto kantiano; ma almeno Kant lo associa ad un "postulato"; ad un qualcosa che
"rientra" nella sfera dell'a-priori come fondamento di un agire pratico che senza di esso non saprebbe orientarsi...
Con un ragionamento simile potremmo (naturalmente a-posteriori...) consigliare a Dostoevskij di modoficare così la
ormai celeberrima e famigerata frase: "Dio non esiste, ma facciamo finta che esista".
saluti

davintro

#93
per Oxdeaedbeef

l'idea che la confutazione di una tradizione metafisica debba necessariamente condurre alla perdita di qualunque fondamento etico universale mi pare implica una concezione di tipo etico/cognitivista, cioè l'idea che il giudizio morale derivi dalla conoscenza teoretica della realtà fattuale: una volta caduta ("confutazione" è una categoria che riguarda il piano conoscitivo, è la dimostrazione della falsità di una convinzione riguardante la verità oggettiva sulle cose) una determinata visione teorica sulla realtà cade anche la possibilità di un fondamento saldo dell'etica. Questo modo di intendere il rapporto tra teoretica ed etica mi pare rientri nella falsariga dell'intellettualismo socratico che identifica il male con l'ignoranza. Non condivido questo modo in quanto per il me giudizio etico e teoretico non si implicano ma attengono a punti di vista diversi, quello teoretico alla constatazione neutra della realtà "così come è", quello etico ad agire sulla realtà "come dovrebbe essere", ed è proprio lo scarto tra i due concetti che rende necessaria l'azione, e di conseguenza l'etica. Non esiste alcun dato fattuale oggettivo che renda un'etica più legittima di un altra. La differenza tra un credente e un ateo è essenzialmente una controversia teoretica, riguarda un'opinione sulla realtà oggettiva, ma nulla esclude in linea di principio che chi crede nell'esistenza di Dio possa non porre tale assunto teorico come fondamento etico (come può essere ad esempio in certe forme di deismo razionalista, dove ci si limita a pensare a un Dio creatore e ordinatore dell'Universo togliendo però la componente della rivelazione storica e di una serie di prescrizioni etiche che ne discendono), così come, viceversa, che un ateo non possa in nome dei suoi ideali secolarizzati impegnarsi con fervore e coerenza senza alcun bisogno di "come se", di dissimulare una posizione teoretica, che in realtà non è rilevante per la formazione di giudizi morali. Non va confusa l'universalità con l'oggettività: non è l'oggettività a fondare un sistema di valori, se lo fosse la realtà dei fatti dovrebbe sempre necessariamente coincidere con i valori senza alcun bisogno di agire per intervenire, cercando di colmare il divario tra "realtà così come è " e realtà "come vorremmo che fosse", bensì è sufficiente la forma dell'universalità applicata a un contenuto che però viene sempre posto da un sentimento soggettivo, una sensibilità morale comune a ciascuno a tutti, indipendentemente dalla diversità delle concezioni teoriche

Ipazia

Citazione di: Sariputra il 29 Gennaio 2019, 18:48:51 PM
!
Sapete che vi dico? Che questo orso ha accumulato un enorme karma positivo con questa eroica azione orsesca, che probabilmente (anzi ne sono quasi certo...) gli consentirà di ri-nascere come umano, la prossima volta (e forse lo ritroveremo a spiegarci l'etica in questo stesso forum...). ;D  :-[  :-[  :-[
E adesso non cominciate con la solita "la scienza dice che"....non smontatemi tutta la poesia!!!
O non sarà forse il bambino che preferirà nascere orso per non patire tutto quel freddo. Ed anche sul piano etico... Poi bisognerebbe chiedere anche all'orso se gradisce rinascere umano. Su ciò avrei molti dubbi dopo aver confrontato la superiorità dei suoi orsacchiotti rispetto agli umani. Dal suo orsesco pdv ovviamente.


pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

acquario69

Citazione di: everlost il 29 Gennaio 2019, 16:31:51 PM
@ Acquario
Forse perché le buone intenzioni non bastano...Con Dio o senza di Lui. Magari bastassero!
Noi umani siamo fondamentalmente primati superiori, evoluti e civilizzati da poco tempo (anche se in certi casi non si direbbe), quindi l'istinto della belva, negli individui più passionali, emerge ancora di fronte alle situazioni critiche e alle provocazioni.
Del resto, scusa, abbiamo l'esempio di Caino che era sempre in colloquio a tu per tu con il Padreterno, eppure non si fece scrupolo di assassinare il  fratello e anche dopo il delitto non dimostrò il minimo rimorso.
Sono d'accordo che il senso del sacro faccia parte della natura umana, così come la necessità di distinguere il bene dal male: perché, con diverse modalità, è evidente che ce l'hanno proprio tutti i popoli della terra. Credere in Dio però non è indispensabile, è solo una tappa ulteriore e non obbligatoria che raggiunge la coscienza..
I cinogiapponesi tanto per dire non ci credono, eppure hanno religioni e filosofie molto elevate e raffinate. Non mi pare che i cristiani siano più morali dei taoisti e dei buddisti, anzi spesso tendo a pensare il contrario.
Pensando anche agli indiani politeisti, non si può affermare che i monoteisti abramitici siano superiori a loro dal punto di vista morale ed etico.
Quindi mi sembra si possa concludere che le religioni costituiscono un sostegno essenziale per molte persone, meno importante o superfluo per altre, ma che non sia indispensabile credere in Dio o nel soprannaturale per comportarsi rettamente e umanamente, dato che le norme etiche derivano da una coscienza comune e condivisa da tutti gli uomini in quanto appartenenti al genere umano (e pure gli animali, conoscendoli, possiedono un'etica elementare).
Fatte salve le eccezioni di chi, come Caino, una coscienza sembra non averla o non ascoltarla.
cit. da Apeiron:
CitazioneOssia per dirla in termini più comprensibili il fatto che noi cerchiamo ciò che ha valore suggerisce che l'Etica abbia una radice molto più profonda nel nostro essere rispetto alle contingenze. Anzi è l'etica che ci fa ricercare qualcosa "ch'è più alto" (TLP 6.42). Se la scienza può solo descrivermi le cose, dirmi perchè noi preferiamo questo o quello ma non riesce a spiegarmi cosa è il valore allora rimaneggiando la proposizione TLP 6.42: "le proposizioni" (scientifiche) "non possono esprimere nulla ch'è più alto."
Detto da un filosofo nel modo migliore possibile.


forse non e' tanto avere buone intenzioni, quanto al fatto di avercele a priori queste intenzioni e a prescindere, che molto probabilmente guasta tutto sin dall'inizio.
secondo me che questa cosa delle intenzioni e' molto radicata nella nostra cultura e credo che parta proprio dall'occidente...penso che la nascita delle religioni sia infatti una conseguenza di questo fenomeno..cosa che non avvenne invece in oriente.
in fondo il fenomeno continua, ed anzi ha un filone continuo ed ininterrotto,che arrivato ai nostri giorni si e' tradotto nella fede del progresso (ossia "la zuppa del demonio"...e come puoi notare sono sempre le solite intenzioni di cui ti ho scritto dall'inizio)
solo che mi sembra che innescato che fu questo processo sia andato sempre più declinando verso un peggioramento continuo.

Credo che quando non vi erano intenzioni (per capire cosa intendo dire per intenzioni,potremmo prendere ad esempio appunto l'oriente "non religioso" - nel senso che ho provato a dirti prima) gli individui..e questo e' secondo me il punto essenziale di tutto l'argomento...vivevano in comunione con l'Essere, senza particolari distinzioni, mentre in seguito vi sarebbe stata una scissione, forse si potrebbe appunto dire un "intenzionalità" che ha fatto si che dall'essere si passasse al dover-essere...differenza abissale..ed e' da qui che viene fuori la moralità e l'etica..ma da questo punto di vista,risulta appunto una deviazione

0xdeadbeef

Citazione di: davintro il 29 Gennaio 2019, 20:48:13 PM
per Oxdeaedbeef

l'idea che la confutazione di una tradizione metafisica debba necessariamente condurre alla perdita di qualunque fondamento etico universale mi pare implica una concezione di tipo etico/cognitivista, cioè l'idea che il giudizio morale derivi dalla conoscenza teoretica della realtà fattuale
Ciao Davintro
Comprendo la tua esigenza di un fondamento etico universale "pratico", anche se non capisco come lo si possa pensare al
di fuori della teoresi kantiana del "come se".
Evidentemente, come ben annota Severino, "l'Inflessibile tende sempre a ricostituirsi"; cioè l'"eterno", una volta
constatata la "morte di Dio" nel divenire, tende a ricostituirsi (perchè, dice a mio avviso acutamente Severino,
gli uomini non sopportano l'angoscia suscitata dal divenire delle cose). E tende a riscostituirsi, appunto, nella
sfera dell'agire pratico (anche se in molti credono ingenuamente che la ricostituzione avvenga nella stessa teoresi).
Solo che, fa notare ancora Severino, tale ricostituizione assume i contenuti della psicopatologia; perchè l'Inflessibile,
una volta "flesso", perde irrimediabilmente la solidità originaria.
Ora, la filosofia ha l'immodestia di pensare ai suoi "scoprimenti" come a degli eventi irrevocabili.
Da questo punto di vista, dice Severino, la "morte di Dio", che è la morte del "sacro", rappresenta un punto di non-ritorno.
Quello che lui chiama "sottosuolo filosofico degli ultimi due secoli" avrebbe decretato, insomma, la definitiva scomparsa
di ogni idea di sacralità.
Ed ecco allora il punto che tu (devo riconoscere brillantemente) introduci: tale scomparsa del sacro (che mi sembra palese
nel piano teoretico) è da intendersi anche in quello pratico?
Torno quindi, per così dire, "a bomba" su ciò che dicevo in apertura: per me un fondamento etico universale pratico non
è pensabile al di fuori della teoresi kantiana. Naturalmente con tutto quel che ciò comporta (essenzialmente il postulato
dal sacro che rientra nell'a-priori come "speranza").
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: Apeiron il 29 Gennaio 2019, 14:44:57 PM
Non a caso le sue opere sono molto belle proprio perché, secondo me, mettono in luce proprio questo. Alcuni personaggi mettono in discussione i giudizi di valore etico più 'ovvi', quelli quasi nessuno metterebbe in discussione. Tuttavia, Dostoevskij (D.), secondo me, si tormentava (anche) proprio per questa possibilità che i giudizi etici più 'scontati' possono essere messi in discussione. Quindi, D. cerca di risolvere il problema cercando di dare una base solida al carattere 'deontologico' dell'etica. L'etica richiede di fare il 'bene' e di non fare il 'male'. E, quindi, necessiterebbe, tra l'altro, anche della 'certezza' di cosa è 'bene' e di cosa è 'male'. Invece, l'osservazione scientifica ci può dare al massimo ipotesi. Quello che vuole dire D., secondo me, in sostanza non è che i non-credenti non possono essere virtuosi, bensì che, ad esempio, l'osservazione empirica non riesce a dare quelle basi solide che sembrano servire all'etica. Se non erro questo è quanto voleva affermare @0xdeadbeef (il quale potrà contraddire il sottoscritto se vuole e lo ritiene opportuno...).


Ciao Apeiron
Assolutamente no. Anzi, spieghi molto bene quel che intendevo dire.
saluti

Sariputra

Mi riallaccio alle considerazioni di @Acquario, che saluto, perché riportano nel discorso la 'scissione', l'"inganno" che nutre il Grande Inquisitore e in definitiva  tutti noi.

Mi sembra quasi che il problema stia nel non rendersi consapevoli che il 'bene' non è un oggetto della coscienza, qualcosa che la coscienza osserva, che se ne sta lì davanti ad essa. In questo modo la coscienza è schizofrenica, scissa o 'satanica' tanto per restare nel solco del pensiero di FD. In termini cristiani si potrebbe dire "è l'ha-satan che guarda il bene"... Questo è un punto molto importante, a mio parere, perché ci fa capire la posizione del Grande Inquisitore, e di tutti noi. Mettiamo l'etica " davanti"alla coscienza stessa, non la integriamo, non diventa coscienza stessa, non la nutre, è solamente un "totem", un feticcio . Non è l'alimento di cui si nutre la coscienza e che assimila facendolo essere 'se stessa'.  Così che il bene, l'etica diventa semplicemente un altro condizionamento della mente. E' qualcosa di cui si appropria e con cui comincia a misurare le cose.  Non diventando integrità stessa della coscienza,ma in un senso più ampio, di tutta la persona , di rispetto per tutto se stesso, corpo compreso che non è "altra cosa", l'etica necessariamente porta all'ipocrisia. La mente , in un certo senso, se ne rende conto perché è nella sua natura consapevole avvertire lo stacco, percepire l'ipocrisia sottostante al suo stesso agire e "osservare" l'etica, e ne soffre.  Il Grande Inquisitore soffre, il bacio lo sconvolge perché è il contatto con l'integrità che non può sopportare, essendosi ormai identificato con un 'bene' posto fuori da sé, messo là per proteggere il condizionamento.
Quando la mente è attratta da qualcosa, diventa condizionata. Il Grande Inquisitore è attratto dall'idea di "salvare il mondo", di "placare la sofferenza, almeno un pò". Ma non lo fa perché mosso da un'integrità etica , ma dal proprio disperato tentativo di fuggire proprio la necessità di questa integrità; questa sì che, se diventa coscienza stessa e non il suo soprammobile, manifesta il potere del reale cambiamento . Quindi sorge l'avversione,  verso Cristo stesso  che nel romanzo di Dostoevskij simbolegggia questa integrità.  Tutti noi facciamo esperienza mentale dell'immediata avversione che proviamo appena qualcuno, anche senza volerlo, va a toccarci nella nostra ipocrisia etica. Noi pensiamo di essere giusti perché osserviamo (osserviamo , non siamo...) un 'etica a noi esterna, messa là per rassicurarci. Appena uno ci fa notare un'incoerenza...apriti cielo! Come si permette? Chi crede di essere?E poi...poi...in fin dei conti...tutti siamo ipocriti, anche Lui lo è, anche Dio stesso lo è...e così partono le giustificazioni..è uno dei lavori preferiti dalla mente quello di trovare giustificazioni.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

0xdeadbeef

Citazione di: Sariputra il 30 Gennaio 2019, 14:05:39 PM
Mi sembra quasi che il problema stia nel non rendersi consapevoli che il 'bene' non è un oggetto della coscienza, qualcosa che la coscienza osserva, che se ne sta lì davanti ad essa.

Ciao Sariputra
I tuoi interventi su questo post sono, semplicemente, deliziosi...
Essi sono un esempio di critica letteraria di prima grandezza (e non sto esagerando), ma da un punto di vista filosofico
e teologico presentano a parer mio alcuni problemi di non facile soluzione.
Il "Bene" come un qualcosa di oggettivo; un qualcosa che la coscienza "osserva"; oppure come un qualcosa di soggettivo;
un qualcosa che la coscienza "è"?
C'è molto di vero in quel che scrivi a proposito di un "Bene" oggettivo (che la coscienza osserva) che finisce con l'essere
un feticcio, un "totem". Ma il Bene soggettivo non è a mio avviso meno immune alle derive...
L'idea di un Bene oggettivo mostra certamente il fianco a questa primaria critica: chi ha detto cos'è Bene e cos'è Male?
E chiaramente, a meno di non credere al rovo ardente che dà le Tavole della Legge a Mosè, bisogna ammettere che chi ha detto
cos'è Bene e cos'è Male è stato un uomo...
Però l'idea di un Bene soggettivo non "risolve" nessun problema; perchè delega al soggetto di dire ciò che è Bene e ciò che è
Male.
E la "coscienza", cos'è? La intendiamo forse come "spirito"? E con essa intendiamo forse l'uomo come "parte"; come "creatura";
come "figlio" e, in definitiva, "come Dio"? E non è forse un'idea come questa, cioè un'idea che di fatto "identifica" l'uomo
a Dio a costituire quel "modernismo religioso" che, oltre a ridurre Dio all'uomo (con non completo torto di chi vi vede un
ateismo), va contro quella tradizione di cui proprio Dostoevskij si faceva portavoce?
Per come io lo vedo e lo interpreto, la grandezza di Dostoevskij (in modo del tutto simile a quella di Kant) risiede nell'aver
posto degli interrogativi che rimangono "aperti"; degli interrogativi ai quali non può e non potrà mai esservi risposta certa.
E che proprio per questo non possono che rimandare ad una "risposta" necessariamente personale e relativa...
saluti

Ipazia

Concordo con Sari sul passaggio cruciale dell'incarnazione dell'etica. Ma per incarnarsi deve essere ben solida, ben fondata. Fatta di cosa ? Fondata dove ?

(mi rendo conto che uno spiritualista ha già pronta la scappatoia spirituale. Ma il corpo ? E la mente che se ne fa carico ? Compresi corpo e mente dello spirituale ?)
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

#101
ci sono tre stelle alla nostra latitudine che sorgono ad est sulla linea dell'orizzonte e più in la la stella rossa Betalgeus.
Questo è il cielo di gennaio.
Ogni uomo comparso sulla Terra dalla notte dei tempi mentre tutto nasceva e moriva e le stagioni seguivano ciclicamente  come orologi sincronizzati la volta celeste con esattamente nelle stagioni le medesimel stelle, ha visto l ostesso cielo nell ostesso tempo alal stessa latitudine capirono che il cielo dettava le regole   e l'ordine sulla stessa Terra.


Dagli antichi Veda indiani che fondarono la ciclicità del tempo al nome delle costellazioni date ad ogni dio o personaggi del mito  e ogni dio aveva un dominio sulla terra si comprende come il pre-sacro il pre religoso e il prefilosfico fosse già stato individuato nel supero che condizionava l'infero e dio non poteva che abitare in cielo.
Perchè la parte di universo che ci appare e che oggi con la scienza, con l'astrofisica spiega in leggi generali e quindi universali sta il paradigma fondamntale della verità incontrovertibile, ciò che l'uomo non può violare, ciò che è intoccabile dalla volontà umana e che è cosi potente da condizionare la stessa vita e le stagioni che appaiono.

La verità è fattuale  e fisica e l'abbiamo davanti agli occhi ,Si chiesero chi potesse governare tutto questa imponenza e per  quanto potente potesse essere l'uomo nulla poteva contro la necessità dei moti celesti che ingranavano come orologi l'apparire sulla terra del tempo dell'abbondanza, della pioggi e della siccità, del raccolto e della semina degli stessi cicli degli animali e quindi selvaggina e del riposo, perchè tutto viene e va.
ma il cielo era lì  con sempre le sue precise stelle  nei punti e nei tempi del cielo. anchese uomini nascevano e morivano ,il suo tempo era eterno

La scienza oggi spiega con le grandi leggi generali scientifiche lo spazio e tempo, la gravità ,l'energia: ma anora oggi l'uomo non può per quanto potente sia nel suo pianeta vincere il moto dei corpi celsti e la loro immobilità e fissità eterna nei più veloci tempi ciclici terrestri, compresa la nostra vita.L'uomo moriva e il cielo continuava imperterrito ad essere li.E tuut'ora oggi.

La scienza può spiegare i meccanismi delel leggi universali, ma può forse intervenire sul tempo e lo spazio e sul proprio destino?
Il sacro è proprio quella volta "immobile" celeste e la suprema sincronia come orologi era l'armonia dei tempi e degli spazi del silenzio invernale del riposo e della gaia estate che porta le messi. Cosa poteva fare quell'uomo con poca tecnica e poca conoscenza? Ingraziarsi i lsacro con i lsacrifico sapendo che essendo inviolabile la sincronia gli dava LA MISURA DEL SUO COMPORTAMENTO affinchè il dio non potesse arrabbiarsi.
ma il dio  sopraintendeva come un sacro sovrano il tutto , ma non mutava le regole generali e l'ordine delle supreme sincronie.
Il bene era la sincronia e chi rompeva questo ordine sincronico era il male e dio si adirava attraverso le maniìfestazioni della natura, il diluvio, la siccità, i terremotii, eruzioni vulcaniche.la potenza del sacro si manifestava sul dominio della natura terrrestre.

Le religioni, spirtualità e infine le filosfie, o assieme a queste, rispondono all'altro ordine non fattuale non fisico: perchè dio, perchè nasciamo e moriamo, perchè gioiamo e soffriamo.

L'etica/ morale è fisca fattuale ed è il paradigma dlle regole e ordini universali intoccabili e inviolabili dall'uomo a cui soggiace lo stesso destino umano :  ...semplicemnte perchè è così ,è un dato di fatto che la ragione deduce, ma non può soffocare le domande dell'anima sul perchè tutto questo.
Se i moti si comportano quindi in un certo modo ordinato e sincronico allora l'uomo deve comportarsi alttrettanto e non è la natura e la materia terrestre il paradigma  ma il sacro cielo universale che domina l'infero ,compresa la Terra e l'uomo che venne per ultimo nel creato.

Il sacro ordine è inviolabile e immitabile come la verità incontrovertibile, non può essere messa in duscussione, c'è e basta.
La NECESSITA' quindi del paradigma universale si scontra con la POSSIBILITA' umana di un essere senziente.
L'uomo è il solo che può violare l'ordine e le regole, ma non può mutarle

Ipazia

Sì, ma che famo ? L'etica è regola di comportamento, non passiva contemplazione del cosmo e del tempo che ci passa sopra. E neppure automatica sincronia con tutto ciò.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Iamthedoctor

Intervengo quasi con timore reverenziale. Mi sono appena iscritto, credo di non essere all'altezza di chi scrive qui dentro, ma ci sono arrivato ( in questo forum) dopo aver cercato discussioni serie in merito al libero arbitrio ( nel quale credo)( credo molto meno nelle certezze scientifiche tese a demolirlo) e quindi provo comunque a scrivere la mia.
(non ho ancora letto bene tutti gli interventi precedenti, mi riprometto di farlo).
Ho una mia convinzione: che l'uomo, di per sé, sia incapace di buone azioni, di altruismo, di generosità. L'uomo, di per sé, è meschino, egoista e crudele.
Non scrivo tutto ciò come fosse una certezza, è una mia convinzione, dalla quale potreste, magari, distogliermi. O sulla quale potreste farmi riflettere.
Se credere in un Dio fosse un freno per il male che l'uomo è in grado di fare, ci sarebbero milioni di morti in meno.
Si fa del male, in nome di Dio. Si fa anche del bene, bene ipocrita, nel nome di Dio.
Chi non crede in nulla, non ha timore del fare del male. Al posto di Dio ci sono le leggi. Ecco, le leggi.
Sono convinto che le leggi, la democrazia, siano un freno, più che la religione, per evitare che regni il caos.
Se per un giorno, basta solo un giorno, venissero abolite tutte le leggi di tutti gli stati, insomma, se per un solo giorno si potesse essere liberi di compiere qualsiasi azione senza
alcuna conseguenza, credo che persino l'olocausto, in confronto, si ridurrebbe a una sagra paesana.
Perdonatemi, cercherò di esser più costruttivo e utile nel prossimo intervento.  :D

Socrate78

Io ti dico che anche se mi dicessero domani mattina che non ci sono più leggi e regole non farei del male ad alcuno, nemmeno a chi mi ha fatto del male in precedenza. Semplicemente mi chiuderei a chiave in casa perché non mi fiderei ad uscire, questo sì, ma non approfitterei dello stato di anarchia per vendicarmi di torti, per rubare, per saccheggiare, per dare sfogo a violenza e crudeltà, ecc. E poi, perché tutto il bene sarebbe per forza ipocrita? Il bene è ipocrita quando lo si fa per interesse o per ottenere la reputazione degli altri,  esiste un ottimo detto che recita: " Se Fai del bene scordatene, se fai del male pensaci". Si può far del bene, anche se è raro (lo ammetto) per puro amore del bene, perché ci dispiace se il male si realizza ed allora cerchiamo di evitarlo, io se faccio un'azione buona cerco di farla in modo disinteressato, non in previsione di un vantaggio futuro o per sentirmi bravo, semplicemente perché in quel momento desidero il bene di quella persona.

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