Riflessioni sul materialismo.

Aperto da Socrate78, 01 Maggio 2019, 21:38:08 PM

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Ipazia

Citazione di: sgiombo il 03 Maggio 2019, 23:06:54 PM
Il problema di come l' immateriale interagisca col materiale é tutto interno a qualsiasi accezione naturalistica (e non soprannaturalistica) del materiale:...

Fin qui d'accordo. La realtà è perfettamente spiegabile nella sua immanenza, lasciandola al riparo da questioni cui nessuno, e tantomeno le religioni e le filosofie idealistiche, sa dare una risposta incontrovertibile.

Citazione di: sgiombo
... o questo diviene unicamente secondo quelle modalità universali e costanti che sono le leggi di natura (immediatamente fisiche o "perfettamente" riducibili alle leggi fisiche), oppure subisce inteferenze non-naturali (che renderebbero impossibile la sua conoscenza scientifica: qualsiasi verifica sperimentale di qualsiasi ipotesi potendo benissimo essere nient' altro che effetto di interferenza soprannaturale, anziché di causazione naturale secondo le leggi fisiche)

Su questo invece dissento. Noi delle "modalità universali e costanti" sappiamo una piccola parte e continuiamo a scoprirne di nuove. La questione è epistemologica, non ontologica: senza scomodare il sovrannaturale, ci sono emergenze naturali che non siamo in grado di ricondurre a formule chimiche, fisiche o matematiche. Questo accade anche nella parte chiarificata del sapere laddove si è costretti a ricorrere a leggi probabilistiche e statistiche, ad algoritmi, perchè nessuna formula deterministica ci permette di trattare quello specifico fenomeno in tutto il suo spettro fenomenologico.
Apeiron rammentava che deterministico significa data una condizione iniziale poter calcolare con certezza la condizione finale. Molto in natura, inclusa la parte psichica di Ipazia, sfugge a questa definizione. Perfino ad Ipazia stessa che ne ha una vaga conoscenza.

Citazione di: sgiombo
Pertanto la cultura non può violare la natura (umana ed extraumana) e necessariamente, ineludibilmente diviene conformemente alle inderogabili regole universali e costanti di essa.

La cui prima regola universale e costante è che ci sono ambiti naturali in cui non c'è nulla di regolare e costante e nel caso ci sia non lo conosciamo (per fortuna, altrimenti i poteri forti che comandano la ricerca avrebbero già vinto prima di scendere in campo). Per cui la tua affermazione non va al di là ad un atto di fede, come opportunamente spiega il tuo Hume. Estendere il campo della regolarità e costanza dei fenomeni è la mission della scienza, e in essa io ripongo la mia fede, ma quando quello che si crede di sapere si fissa in postulati assoluti la fede si converte in ideologia, in ismo.

Citazione di: sgiombo
E a sua volta ha prodotto un universo artificiale di oggetti materiali creati dall'evoluzione dell'ingegno umano unicamente in quanto sviluppo creativo ma coerente (non contraddittorio) dell' evoluzione naturale, basato uniocamente su processi fisico-chimico-biologici (al cui interno, in posizione del tutto "paritaria a qualsiasi altro aspetto della materia," troviamo l'ereditarietà genetica).

fisico-chimico-biologici e ... intellettivi, capaci di intervenire intellettivamente su di essi creando l'artificiale e le regole di convivenza civile. Natura ? Certamente. Ma natura allargata: natura umana.

Volendo farci della metafisica sopra: dialettica uomo-natura. Su cui i Maestri del pensiero hanno detto cose pregevoli che vale sempre la pena di leggere e rileggere, adeguando le loro riflessioni all'etologia umana del proprio tempo.

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Ma non può l'uomo conservarsi una parte sconosciuta e al di fuori del suo dominio?
Potrebbe conservarsela, ma pur non volendo, è inevitabile che tale zona d'ombra abbia sempre un passo di vantaggio nel cammino dell'uomo; è sempre indicata dalla domanda «perché?»: qualunque conoscenza ottenuta non è definitiva, basta chiedersene il perché e la ricerca, inevitabilmente, continua verso «la parte sconosciuta e al di fuori del suo dominio». Inoltre, non escluderei che anche all'interno del suo dominio, ci siano piccole zone d'ombra o ancora illuminate solo fiocamente.

Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Qual'e' il costo di desacralizzare ogni cosa?
Il costo che paghiamo è quello dell'incanto, del mistero, dell'inquietante (in senso etimologico); ciò che otteniamo in cambio sono spiegazioni e fruibilità di procedure manipolative del reale. Non è detto che sia un baratto vantaggioso per tutti.

Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Possiamo conservare un dominio del sacro e nello stesso mantenere il principio moderno di ottenere la verità come sfida umana e laica?
Se manteniamo il sacro nello "scrigno dell'infalsificabile", quindi metafisico, sarà abbastanza al riparo da ogni laica indagine sul vero; al sacro toccherebbe però "sacrificarsi" a rinunciare alla custodia del vero, per lasciarsi custodire dell'inverificabile (compromesso dignitoso, direi).
I due livelli possono coesistere nell'uomo, come dimostrano molti scienziati che hanno loro ipotesi non-scientifiche sul sacro.

Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Se è tutto così material/ razionale perché continuiamo a sognare, ad ascoltare musica, a fantasticare sopra libri d'avventura o fantascienza?
Perché, secondo me, oltre a essere razionali, siamo spontaneamente simbolici, edonistici e "sognatori"... in una parola «estetici».

Citazione di: Jacopus il 03 Maggio 2019, 16:19:13 PM
Eppure, al solito ci si divide in due squadre: i razionalisti puri e gli spiritualisti puri, ma in questo mondo ciò che è puro ha di solito una faccia nascosta di violenza terribile.
L'uomo contamina da sempre la razionalità con l'estetica; questa può prevaricare sino a diventare spiritualismo, remando talvolta (ma non sempre) contro la ragione; tuttavia non credo che, inversamente, la ragione possa meccanizzarsi al tal punto da ridurre l'umano all'an-estetico.
Ciò non toglie che la dimensione estetica potrebbe avere una sua spiegazione razionale e materiale (v. neuroestetica); tornando all'esempio del dolore: sapere come esso funzioni fisiologicamente/materialmente, non lo rende un vissuto meno spiacevole, e lo stesso vale per il piacere di ascoltare musica, leggere, etc.

Sulla violenza: il «puro» può diventare (e storicamente lo è diventato più di una volta) un pensiero forte ed escludente, che vuole "purificare"/rimuovere il differente, imponendosi come pensiero unico. Il valore s(c)ommesso del pensiero debole, plurale e contaminato (quindi non puro) è invece proprio il tendere alla non violenza, con lo sfidante effetto collaterale di dover fronteggiare equilibri precari e dinamici, senza mai riposarsi in "puro" equilibrio.


P.s.
@sgiombo
Il mio sentire i pensieri nella testa è una percezione localizzata, non un mero atto linguistico non pronunciato ad alta voce. Posso sbagliarmi, tuttavia, fino a prova contraria, mi fido della mia percezione.
Il parallelismo fra computer (case, in inglese, per essere esatti) e cranio ha senso finché non si mischiano i due piani del paragone; la differenza fra un output a una periferica esterna (computer/video) e un output che resta interno (cervello/cervello) non prevede l'ingerenza di "omuncoli" o simili, ma è proprio ciò che differenzia i due piani del parallelismo e spiegherebbe come mai aprendo il cranio non si vedono i pensieri (l'output resta interno al sistema che lo elabora / lo vive).
La scommessa sulla plausibilità di questo parallelismo è chiaramente mia personale, la scienza seria "gioca" a ben altri "giochi".

sgiombo

Sgiombo:

Il problema di come l' immateriale interagisca col materiale é tutto interno a qualsiasi accezione naturalistica (e non soprannaturalistica) del materiale:...

Ipazia:

Fin qui d'accordo. La realtà è perfettamente spiegabile nella sua immanenza, lasciandola al riparo da questioni cui nessuno, e tantomeno le religioni e le filosofie idealistiche, sa dare una risposta incontrovertibile.

Sgiombo:

Ma non é spiegabile dalle filosofie monistiche materialistiche (che non hanno come uniche alternative religioni e filosofie monistiche idealistiche), né da quelle dualistiche interazionistiche (fra le quali -se posso permettermi senza pretese presuntuosamente saccenti l' apprezzamento- mi sembra tu tenda ad oscillare).



Sgiombo:

... o questo diviene unicamente secondo quelle modalità universali e costanti che sono le leggi di natura (immediatamente fisiche o "perfettamente" riducibili alle leggi fisiche), oppure subisce inteferenze non-naturali (che renderebbero impossibile la sua conoscenza scientifica: qualsiasi verifica sperimentale di qualsiasi ipotesi potendo benissimo essere nient' altro che effetto di interferenza soprannaturale, anziché di causazione naturale secondo le leggi fisiche)

Ipazia:

Su questo invece dissento. Noi delle "modalità universali e costanti" sappiamo una piccola parte e continuiamo a scoprirne di nuove. La questione è epistemologica, non ontologica: senza scomodare il sovrannaturale, ci sono emergenze naturali che non siamo in grado di ricondurre a formule chimiche, fisiche o matematiche. Questo accade anche nella parte chiarificata del sapere laddove si è costretti a ricorrere a leggi probabilistiche e statistiche, ad algoritmi, perchè nessuna formula deterministica ci permette di trattare quello specifico fenomeno in tutto il suo spettro fenomenologico.
Apeiron rammentava che deterministico significa data una condizione iniziale poter calcolare con certezza la condizione finale. Molto in natura, inclusa la parte psichica di Ipazia, sfugge a questa definizione. Perfino ad Ipazia stessa che ne ha una vaga conoscenza.

Sgiombo:

Ma é una premessa indispensabile, una conditio sine qua non della conoscenza (conoscibilità) scientifica del mondo fenomenico materiale (indimostrabile: Hume!) il suo divenire ordinato == inderogabilmente secondo inviolabili modalità generali astratte (astraibili dal pensiero scientificamente conoscente) universali e cosanti ("meccanicistiche" o deterministiche "forti" o per lo meno "probabilistiche" ovvero deterministiche-indeterministiche a piacimento "deboli".
Sicuramente non un mutare disordinato o caotico ovvero indeterministico "forte".
Il naturale ignoto, se la conoscenza scientifica é possibile, non può che essere deterministico per lo meno debole, o se si preferisce per lo meno indeterministico debole, senza deroghe (== eventi sopra- o preter- -naturali == miracoli), ovvero integralmente naturale.

Non bisogna confondere determinismo (forte oppure debole == indeterminismo debole) ontologico (cioè proprio della realtà) e indeterminismo (forte oppure debole) gnoseologico o epistemico (cioè proprio della conoscenza che può aversi e in molti casi di fatto si ha della realtà): é questo il caso, fra l' altro della parte psichica di Ipazia (della quale, per l' appunto essa stessa ha una conoscenza vaga, limitata).



Sgiombo:

Pertanto la cultura non può violare la natura (umana ed extraumana) e necessariamente, ineludibilmente diviene conformemente alle inderogabili regole universali e costanti di essa.

Ipazia:

La cui prima regola universale e costante è che ci sono ambiti naturali in cui non c'è nulla di regolare e costante e nel caso ci sia non lo conosciamo (per fortuna, altrimenti i poteri forti che comandano la ricerca avrebbero già vinto prima di scendere in campo). Per cui la tua affermazione non va al di là ad un atto di fede, come opportunamente spiega il tuo Hume. Estendere il campo della regolarità e costanza dei fenomeni è la mission della scienza, e in essa io ripongo la mia fede, ma quando quello che si crede di sapere si fissa in postulati assoluti la fede si converte in ideologia, in ismo.

Sgiombo:

Se ci sono ambiti naturali in cui non c'è nulla di regolare e costante (e non in cui tutto é regolare e costante anche se non ne conosciamo le regolarità e la costanza), i quali non sono assolutamente trascendenti, non comunicanti, ininfluenti rispetto al resto della realtà naturale stessa, allora quest' ultima non é scientificamente conoscibile (muta caoticamente nel suo complesso).

Ma certo che la mia credenza nelle verità scientifiche, esattamente come quella di chiunque altro, é in ultima analisi un atto di fede: infatti, come ci ha insegnato il grande David Hume, le verità scientifiche non sono in alcun modo provabili essere vere (né logicamente, né empiricamente; ma casomai, come "a mo' di corollario a Hume", ci ha insegnato il relativamente piccolo Karl Popper, sono empiricamente provabili essere false).
Il compito (amo la mia meravigliosa lingua italiana!) della scienza non é un' impossibile (divina!) Estensione del campo della regolarità e costanza dei fenomeni, ma invece, una volta assunta indimostrabilmente (con un atto di fede) la regolarità e costanza del divenire dei fenomeni materiali, ottenerne ed estenderne per quanto possibile (limitatamente) la conoscenza delle modalità universali e costanti del suo divenire stesse.
E in questa regolarità e costanza del divenire dei fenomeni materiali noi tutti che crediamo alla scienza riponiamo la nostra fede, ma quando quello che si crede di sapere si fissa in postulati assoluti, acriticamente assunti, la fede si converte in ideologia irrazionalistica.



Sgiombo:

E a sua volta ha prodotto un universo artificiale di oggetti materiali creati dall'evoluzione dell'ingegno umano unicamente in quanto sviluppo creativo ma coerente (non contraddittorio) dell' evoluzione naturale, basato uniocamente su processi fisico-chimico-biologici (al cui interno, in posizione del tutto "paritaria a qualsiasi altro aspetto della materia," troviamo l'ereditarietà genetica).

Ipazia:

fisico-chimico-biologici e ... intellettivi, capaci di intervenire intellettivamente su di essi creando l'artificiale e le regole di convivenza civile. Natura ? Certamente. Ma natura allargata: natura umana.

Volendo farci della metafisica sopra: dialettica uomo-natura. Su cui i Maestri del pensiero hanno detto cose pregevoli che vale sempre la pena di leggere e rileggere, adeguando le loro riflessioni all'etologia umana del proprio tempo.

Sgiombo
:

La natura allargata o sviluppata nella natura umana non si autocontraddice assurdamente, non contraddice assurdamente se stessa in quanto natura tout court o "natura in generale", genericamente intesa; con la quale é in relazioni che possiamo, volendo, anche chiamare "dialettiche" (anche se a me, contrariamente a quei nostri grandi maestri non piace, ritenendola con Sebastiano Timpanaro un residuo di idealismo non rovesciabile in alcun modo in senso razionalistico e naturalistico).

sgiombo

Phil:

Il mio sentire i pensieri nella testa è una percezione localizzata, non un mero atto linguistico non pronunciato ad alta voce. Posso sbagliarmi, tuttavia, fino a prova contraria, mi fido della mia percezione.

Sgiombo:

Se le parole con le quali parliamo hanno un senso, gli unici modi che hai per ottenere percezioni localizzate (di ciò che realmente c' é e accade) nella tua testa sono uno specchio e qualcuno che ti scopra chirurgicamente la volta cranica, oppure indirettamente l' imaging diagnostico (o al limite l' elettroencefalogramma o altri più moderni e sofisticati modi di rilevare le attività elettriche cerebrali).
Non credo proprio che ti sia mai successo e che in tali modi vi abbia scorto i tuoi pensieri.

Che ciò che realmente vi si trova e vi diviene sia costituito dai tuoi pensieri é invece un tuo pensiero (errato, falso: puoi percepirvi, e dunque vi possono essere-accadere, soltanto cose ben diverse come una roba roseogrigiastra molliccia, viscida e gelatinosa, flussi variabili di sangue e consumi variabili di glucosio e ossigeno, correnti elettriche, ecc.: nessun pensiero!).




Phil:

Il parallelismo fra computer (case, in inglese, per essere esatti) e cranio ha senso finché non si mischiano i due piani del paragone; la differenza fra un output a una periferica esterna (computer/video) e un output che resta interno (cervello/cervello) non prevede l'ingerenza di "omuncoli" o simili, ma è proprio ciò che differenzia i due piani del parallelismo e spiegherebbe come mai aprendo il cranio non si vedono i pensieri (l'output resta interno al sistema che lo elabora / lo vive).
La scommessa sulla plausibilità di questo parallelismo è chiaramente mia personale, la scienza seria "gioca" a ben altri "giochi".

Sgiombo:

"Output che resta interno" é una perfetta contraddizione in termini.

Infatti alla frase (o meglio: alla sequenza di caratteri tipografici) "l'output resta interno al sistema che lo elabora / lo vive" non vedo come possa mai attribuirsi un senso.

Tutto ciò che é materiale naturale (e non soprannaturale o trascendente) se é fisicamente alla portata dei nostri organi di senso (magari "potenziati" da strumenti e artifizi più o meno sofisticati) é osservabile (o per o meno indirettamente deducibile da quanto osservato).
Solo cose come le pretese "anime soprannaturali", i "demoni" o gli "dei" non lo sono.

Scoprendo il cranio non vi si vedono i pensieri (e ingenerale i "contenuti coscienti", la coscienza* che esperisce ovvero vive il "titolare" del cervello che unicamente vi si può vedere, per il semplice fatto non ci sono. Vi sono e vi si vedono solo cellule, assoni, potenziali d' azione, ecc. dai quali si può dedurre solo l' esistenza di cellule, membrane, molecole, atomi, particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.
Infatti non é la coscienza* ad essere nel cervello, come vorrebbe il senso comune, ma invece sono i cervelli ad essere nelle coscienze** (di chi li percepisce, diverse alle coscienze* dei "titolari" dei cervelli stessi).

Phil

Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2019, 15:25:23 PM
Se le parole con le quali parliamo hanno un senso, gli unici modi che hai per ottenere percezioni localizzate (di ciò che realmente c' é e accade) nella tua testa sono uno specchio e qualcuno che ti scopra chirurgicamente la volta cranica, oppure indirettamente l' imaging diagnostico (o al limite l' elettroencefalogramma o altri più moderni e sofisticati modi di rilevare le attività elettriche cerebrali).
Intendi che quando sento il mal di testa (o, dopo un po' di lavoro "mentale", mi sento mentalmente stanco) e lo localizzo nella testa, mi inganno?

Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2019, 15:25:23 PM
"Output che resta interno" é una perfetta contraddizione in termini.

Infatti alla frase (o meglio: alla sequenza di caratteri tipografici) "l'output resta interno al sistema che lo elabora / lo vive" non vedo come possa mai attribuirsi un senso.
Provo a spiegarmi con un esempio (restando nel parallelismo): un sensore interno al case rileva che la temperatura del processore inizia a farsi critica (input), quindi (output) aumenta la velocità di rotazione della sua ventola per raffreddarlo. Il tutto accade dentro il case, dentro il "sistema" di cui il video è solo la periferica esterna che ne rende visibile parte del contenuto (il video potrebbe mostrare indicatori per il controllo della temperatura, la velocità delle ventole, avvisi di rischio, etc.).
Giocando ancora metaforicamente con input/output: se leggo una frase (input) il mio cervello le dà un senso, la associa a ricordi, etc. (output) e ciò avviene all'interno del mio sistema cerebrale.

0xdeadbeef

Citazione di: Phil il 03 Maggio 2019, 01:17:52 AM
Gli stessi concetti di «legittimo», «dignità», «sfruttamento», etc. potrebbero avere una loro presenza materiale nel nostro "sistema operativo" neurologico.




Ciao Phil
Ed è probabilmente così, ma il "problema" sta a parer mio da un'altra parte...
Ad esempio, per poter parlare di "legittimità" bisogna che questo "sistema operativo neurologico"
possegga un riferimento che non è se stesso.
O per meglio dire c'è anche chi pensa che questo riferimento possa essere se stesso (ad esempio
l'utilitarismo lo pensa), ma c'è anche chi pensa che questo riferimento debba essere "altro-da-sè".
Quindi riformulando l'amico Socrate78 io direi così: se non esiste una realtà-altra ove questi
concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera illusione.
saluti

sgiombo

Citazione di: Phil il 04 Maggio 2019, 15:57:45 PM
Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2019, 15:25:23 PM
Se le parole con le quali parliamo hanno un senso, gli unici modi che hai per ottenere percezioni localizzate (di ciò che realmente c' é e accade) nella tua testa sono uno specchio e qualcuno che ti scopra chirurgicamente la volta cranica, oppure indirettamente l' imaging diagnostico (o al limite l' elettroencefalogramma o altri più moderni e sofisticati modi di rilevare le attività elettriche cerebrali).
Intendi che quando sento il mal di testa (o, dopo un po' di lavoro "mentale", mi sento mentalmente stanco) e lo localizzo nella testa, mi inganno?
Citazione
Beh, la sensazione di mal di testa é una cosa (che sente come esperienza materiale: proviene dalla stimolazione delle numerose terminazioni sensitive delle meningi), la sensazione di stanchezza un' altra cosa (anzi varie altre cose: stanchezza muscolare o mentale?), la (pretesa, falsa) sensazione dei pensieri nella propria testa una terza cosa.

Con le parole che citi intendo che quando affermi di percepire i tuoi pensieri nel tuo cranio dici che:

o hai un specchio davanti e la calotta cranica asportata e invece di vedere il tuo cervello vedi (o meglio: credi falsamente di vedervi) i tuoi pensieri;

o stai osservando il tuo encefalogramma o più fini rilevazioni della attività elettrica del tuo cervello e invece di vedervi registrazioni di correnti elettriche vedi (o meglio: credi falsamente di vedervi) i tuoi pensieri;

o stai osservando la fRM o la PET del tuo encefalo e invece di vedervi il flusso del sangue e/o il consumo di glucosio e/o di ossigeno nelle varie parti del tuo cervello vedi (o meglio: credi falsamente di vedervi) i tuoi pensieri;

o al limite ti tocchi il cervello (avendo la calotta cranica asportata; pratica decisamente sconsigliabile!) e vi avverti (o meglio: credi falsamente di avvertirvi) sensazioni tattili costituenti (?) i tuoi pensieri.






Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2019, 15:25:23 PM
"Output che resta interno" é una perfetta contraddizione in termini.

Infatti alla frase (o meglio: alla sequenza di caratteri tipografici) "l'output resta interno al sistema che lo elabora / lo vive" non vedo come possa mai attribuirsi un senso.
Provo a spiegarmi con un esempio (restando nel parallelismo): un sensore interno al case rileva che la temperatura del processore inizia a farsi critica (input), quindi (output) aumenta la velocità di rotazione della sua ventola per raffreddarlo. Il tutto accade dentro il case, dentro il "sistema" di cui il video è solo la periferica esterna che ne rende visibile parte del contenuto (il video potrebbe mostrare indicatori per il controllo della temperatura, la velocità delle ventole, avvisi di rischio, etc.).
Giocando ancora metaforicamente con input/output: se leggo una frase (input) il mio cervello le dà un senso, la associa a ricordi, etc. (output) e ciò avviene all'interno del mio sistema cerebrale.
Citazione
Se leggi una frase il tuo cervello semplicemente presenta determinate attività neuronali (principalmente, soprattutto e comunque per lo meno nelle aree visive dell' lobo occipitale e del linguaggio -di Wernicke- del lobo temporale: nessun pensiero sensato, ricordo, ecc. vi accade
Nessun omuncolo vi legge, come sullo schermo di un computer, alcun pensiero linguistico sensato, ricordo, ecc.:  queste cose accadono casomai nell' ambito della tua esperienza cosciente*, e non nel tuo cervello che normalmente (per lo più potenzialmente; o indirettamente) si trova in altre esperienze coscienti** diverse dalla tua* (di osservatori); e comunque é tutt' altra cosa che pensieri sensati, ricordi, ecc.. 

Phil

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Ad esempio, per poter parlare di "legittimità" bisogna che questo "sistema operativo neurologico"
possegga un riferimento che non è se stesso.
Chiaramente non è un sistema chiuso e isolato: l'apprendimento, l'influenza di esperienze dirette, l'interazione con altri, etc. modificano il sistema.

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Quindi riformulando l'amico Socrate78 io direi così: se non esiste una realtà-altra ove questi
concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera illusione.
Oggettività e moralità risultano per me incompatibili, poiché la prima si ritiene, in generale, assoluta e indipendente dal soggetto (che si limiterebbe a constatarla, con le inevitabili deformazioni "prospettiche"), mentre la seconda, almeno nel (mio) pensiero laico, è puramente arbitraria, convenzionale e soggettiva (per quanto sia culturalmente canonizzata in regole comunemente accettate).
La differenza di base è quella del fondamento: difficile che l'oggettività e la moralità abbiano un fondamento comune, perché la prima si basa sui fatti (Tizio colpisce Caio), la seconda sulla loro valutazione (non è giusto / non è bene che Tizio abbia colpito Caio).
Quindi, secondo me, si può dire che «i valori morali sono mera illusione» (cit.) solo se ci si aspettava che potessero essere oggettivi; non sono invece un'illusione nel momento in cui regolamentano nella prassi (e nel diritto) la vita di una società, affermandosi come forma di (pseudo)oggettività concordata e condivisa (l'oggettività autentica dovrebbe essere eventualmente condivisa, ma non concordata).
Fra la soggettività individuale e l'"oggettività del reale", c'è inevitabilmente la mediazione alterante di una convenzione contingente (linguaggio, cultura, etc.).

Ipazia

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Quindi riformulando l'amico Socrate78 io direi così: se non esiste una realtà-altra ove questi concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera illusione.
saluti

Se esiste una realtà-altra fittizia ove questi concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera falsificazione.
saluti
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Citazione di: Phil il 04 Maggio 2019, 20:23:48 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Ad esempio, per poter parlare di "legittimità" bisogna che questo "sistema operativo neurologico"
possegga un riferimento che non è se stesso.
Chiaramente non è un sistema chiuso e isolato: l'apprendimento, l'influenza di esperienze dirette, l'interazione con altri, etc. modificano il sistema.

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Quindi riformulando l'amico Socrate78 io direi così: se non esiste una realtà-altra ove questi
concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera illusione.
Oggettività e moralità risultano per me incompatibili, poiché la prima si ritiene, in generale, assoluta e indipendente dal soggetto (che si limiterebbe a constatarla, con le inevitabili deformazioni "prospettiche"), mentre la seconda, almeno nel (mio) pensiero laico, è puramente arbitraria, convenzionale e soggettiva (per quanto sia culturalmente canonizzata in regole comunemente accettate).
La differenza di base è quella del fondamento: difficile che l'oggettività e la moralità abbiano un fondamento comune, perché la prima si basa sui fatti (Tizio colpisce Caio), la seconda sulla loro valutazione (non è giusto / non è bene che Tizio abbia colpito Caio).
Quindi, secondo me, si può dire che «i valori morali sono mera illusione» (cit.) solo se ci si aspettava che potessero essere oggettivi; non sono invece un'illusione nel momento in cui regolamentano nella prassi (e nel diritto) la vita di una società, affermandosi come forma di (pseudo)oggettività concordata e condivisa (l'oggettività autentica dovrebbe essere eventualmente condivisa, ma non concordata).
Fra la soggettività individuale e l'"oggettività del reale", c'è inevitabilmente la mediazione alterante di una convenzione contingente (linguaggio, cultura, etc.).

Concordo pienamente sulla chiarificazione finale (sull'illusione) . Meno sulla prima parte (arbitrarietà) che mi pare finisca col rendere fiacca la moralità laica e la sua capacità di individuare una gradazione nei valori su cui costituire l'impalcatura etica intersoggettivamente intesa.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Ciao Phil
Mah guarda, secondo me una oggettività "pura" non esiste nemmeno nell'ambito delle scienze
cosidette "esatte", quindi figuriamoci in materia di moralità...
Però i valori morali sono assunti, diciamo, "come se" fossero oggettivi; e questo è
facilmente riscontrabile nella legge (che dal valore morale deriva), "uguale per tutti" proprio
in quanto assunta in maniera "ab-soluta" (cioè sciolta dall'interpretazione individuale).
E dunque sono sostanzialmente d'accordo con la tua risposta, con il distinguo però
rappresentato proprio dalla "finzione" con cui viene velata la (almeno presunta) natura
convenzionale del valore morale.
Che ne sarebbe del valore morale laddove emergesse chiaramente tale natura? Credi forse
che non ci sarebbe una generale presa d'atto che, in fondo, è solo la volontà di potenza
che fonda la moralità? E che fine fa la "autorità" nel senso classico in un tal quadro
(e forse sarebbe già il caso di dire che fine ha fatto...)?
Naturalmente non ho la benchè minima intenzione di intavolare un discorso "razionale"
sulla difesa dei valori morali tradizionali. La questione è infatti prettamente politica,
perchè riguarda direttamente la "decisione" come atto di una scelta coscienziale (e, in
fondo, profondamente irrazionale).
Allo stesso modo ritengo però che chiunque si illuda di fare un ragionamento razionale su queste
tematiche si inganni di brutto. Perchè, come in un circolo vizioso, la convenzione ha pur sempre
bisogno di fondarsi su un qualcosa cui si attribuisce una "qualità" (mentre la convenzione è
per sua stessa natura quantitativa).
Pensi che l'uomo è o sarà mai capace di accettare che la storia millenaria del suo pensiero
finisca nell'accettazione razionale (perchè questo è l'unico esito possibile, cioè l'unico esito
razionale) della volontà di potenza?
saluti

Phil

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
sono sostanzialmente d'accordo con la tua risposta, con il distinguo però rappresentato proprio dalla "finzione" con cui viene velata la (almeno presunta) natura convenzionale del valore morale.
Concordo che la natura convenzionale della morale sia opportunamente (tra)vestita da "assoluto", per mano degli "stilisti della rettitudine" (gli addetti alla giustizia); anche se è un vestito che, con il logorio dei secoli (e del potere secolare), sta diventando sempre più trasparente...

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
Che ne sarebbe del valore morale laddove emergesse chiaramente tale natura?
Perderebbe di fascino e di assolutezza, tuttavia, non verrebbe intaccata la sua necessità sociale.

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
Credi forse che non ci sarebbe una generale presa d'atto che, in fondo, è solo la volontà di potenza che fonda la moralità?
Più che la volontà di potenza (troppo epica ed individuale, per come la ricordo), direi banalmente la necessità antropologica della convivenza sociale (e di una cultura aggregante e identitaria).

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
E che fine fa la "autorità" nel senso classico in un tal quadro (e forse sarebbe già il caso di dire che fine ha fatto...)?
Sarebbe costituita da legislatori rappresentanti del volere/valore popolare; come, a quanto pare, già è.

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
la convenzione ha pur sempre bisogno di fondarsi su un qualcosa cui si attribuisce una "qualità" (mentre la convenzione è per sua stessa natura quantitativa).
La qualità della convenzione è la sua funzionalità pragmatica; di generazione in generazione, le convenzioni si perpetuano con adattamenti agli eventi e ai tempi che mutano; adattandosi, proprio come gli uomini, le convenzioni sopravvivono (anche le lingue, non a caso, hanno un loro aspetto diacronico, per poter aderire meglio ai cambiamenti della realtà di cui devono saper parlare).

Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 22:16:02 PM
Pensi che l'uomo è o sarà mai capace di accettare che la storia millenaria del suo pensiero finisca nell'accettazione razionale (perchè questo è l'unico esito possibile, cioè l'unico esito razionale) della volontà di potenza?
Non sono sicuro sia l'unico esito possibile, né l'unico razionale; ma forse dipende da come si declina il concetto di «volontà di potenza» (vaghe reminiscenze, ma non sono esperto di Nietzsche).

sgiombo

Phil:

Oggettività e moralità risultano per me incompatibili, poiché la prima si ritiene, in generale, assoluta e indipendente dal soggetto (che si limiterebbe a constatarla, con le inevitabili deformazioni "prospettiche"), mentre la seconda, almeno nel (mio) pensiero laico, è puramente arbitraria, convenzionale e soggettiva (per quanto sia culturalmente canonizzata in regole comunemente accettate).
La differenza di base è quella del fondamento: difficile che l'oggettività e la moralità abbiano un fondamento comune, perché la prima si basa sui fatti (Tizio colpisce Caio), la seconda sulla loro valutazione (non è giusto / non è bene che Tizio abbia colpito Caio).
Quindi, secondo me, si può dire che «i valori morali sono mera illusione» (cit.) solo se ci si aspettava che potessero essere oggettivi; non sono invece un'illusione nel momento in cui regolamentano nella prassi (e nel diritto) la vita di una società, affermandosi come forma di (pseudo)oggettività concordata e condivisa (l'oggettività autentica dovrebbe essere eventualmente condivisa, ma non concordata).
Fra la soggettività individuale e l'"oggettività del reale", c'è inevitabilmente la mediazione alterante di una convenzione contingente (linguaggio, cultura, etc.).



Sgiombo:

Espongo le mie convinzioni dissenzienti, in questo caso senza pretendere di addurre argomentazioni apodittiche in quanto non si tratta di una questione semplice, logicamente risolvibile con un' algoritmo lineare, costituito da qualche passo deduttivo o induttivo e/o da immediatamente chiarissimi dati empirici.
Quelle in fatto di etica, esattamente come quelle in fatto di estetica, o sono semplicistiche intuizioni pregiudiziali scarsamente meditate (di solito proclamate sotto forma di slogan ad effetto tipo "Se Dio é morto tutto é permesso" o "senza religione -o in alternativa meno popolare senza metafisica- non c' é morale"; generalmente senza precisare che si tratta della "propria" religione o metafisica), oppure sono convinzioni che maturano in seguito a molteplici e approfondite osservazioni, letture, riflessioni.
E questo per il fatto, rilevato da David Hume, che dall' "essere" (ontologia: religiosa, metafisica o meno) non é possibile inferire in alcun modo il "dover essere" o il "dover fare", "dover agire" (etica).

Concordo dunque che i valori morali "non hanno un fondamento oggettivo" nel senso che non li si può provare (né logicamente né empiricamente).
Ma dissento dalla considerazione che non sono invece un'illusione [unicamente] nel momento in cui [e per il fatto che] regolamentano nella prassi (e nel diritto) la vita di una società, affermandosi come forma di (pseudo) oggettività concordata e condivisa" attraverso "una convenzione contingente".
Anche se possono essere e di solito di fatto sono convenzionalmente "tradotti in leggi e in altre più informali "regole di condotta condivise", indipendentemente da ciò sono comunque di fatto nelle loro caratteristiche più generali astratte universalmente constatabili universalmente presenti nell' umanità (e in qualche embrionale misura in altre specie animali) come tendenze o potenzialità comportamentali (compreso il comportamento consistente nel valutare il comportamento proprio e altrui; fatto ottimamente spiegabile, comprensibile nel suo naturale realizzarsi dalla scienza naturale della biologia, e in particolare dall' evoluzione delle specie viventi).
Universalmente constatabili tuttavia in quanto "concretamente declinate" e integrate da altre caratteristiche più particolari concrete le quali sono variabili nei diversi contesti sociali, storicamente e geograficamente (fatto ottimamente spiegabile, comprensibile nel suo culturale realizzarsi dalla scienza umana del materialismo storico, e in particolare dalla relazione dialettica fra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione).

L' analogia con l' estetica mi sembra particolarmente illuminante.
Anche che la cupola di Santa Maria del Fiore del Brunelleschi o la Pietà di Michelangelo o il canone di Pachelbel sono dei sommi capolavori nei rispettivi ambiti artistici non lo si può in alcun modo dimostrare, ma nessuno che non sia gravemente psicopatico può non rendersi conto, non avvertire, non godere la loro sublime bellezza, qualsiasi sia la sua cultura di appartenenza; e anche se vi sono sia tantissime altre opere d' arte universalmente apprezzate in maniera "indiscutibile" (sia pure in diversi gradi a seconda delle diverse culture), sia altre "minori" (che spesso vanno a inflazionare l' ormai per me screditatissimo insieme dei "patrimoni dell' umanità UNESCO" accanto anche a vere e proprie indegne "ciofeghe": opere d' arte, sia pure per lo più "minori", messe insieme a "cani e porci"), sia ancor più tante grandemente apprezzate solo nell' ambito di talune culture e molto meno presso tante altre.

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 04 Maggio 2019, 21:03:27 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 04 Maggio 2019, 19:20:00 PM
Quindi riformulando l'amico Socrate78 io direi così: se non esiste una realtà-altra ove questi concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera illusione.
saluti

Ipazia:

Se esiste una realtà-altra fittizia ove questi concetti, per così dire, "acquistano oggettività", i valori morali sono mera falsificazione.
saluti

CitazioneSgiombo:

Inoltre dall' "essere" (ontologia) non si può in alcun modo ricavare alcun "dover essere" (etica) - Hume.

Ma malgrado non siano razionalmente provabili (dimostrabili logicamente, né leggibili empiricamente su alcuna "tavola della legge" scritta da alcuna pretesa "entità reale altra" che pretenda di "dare loro oggettività"), tuttavia i valori etici sono ben reali ed empiricamente constatabili (esattamente come i valori estetici).
E per quanto non dimostrabili, tuttavia compresibilissimi, spiegati "perfettamente" (significato delle virgolette: inappuntabilmente per quanto umanamente possibile) dall' evoluzione biologica e dal rapporto dialettico fra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione.

sgiombo

[quote author=0xdeadbeef date=1557000962 link=topic=1553.msg32670#msg32670]
Ciao Phil
E dunque sono sostanzialmente d'accordo con la tua risposta, con il distinguo però
rappresentato proprio dalla "finzione" con cui viene velata la (almeno presunta) natura
convenzionale del valore morale.
Che ne sarebbe del valore morale laddove emergesse chiaramente tale natura? Credi forse
che non ci sarebbe una generale presa d'atto che, in fondo, è solo la volontà di potenza
che fonda la moralità? E che fine fa la "autorità" nel senso classico in un tal quadro
(e forse sarebbe già il caso di dire che fine ha fatto...)?

Citazione

Per quel che mi riguarda rispondo:

Certamente no ! ! !

Severino Boezio ha affrontato serenamente l' ingiusta condanna a morte non perché la religione fondava oggettivamente la moralità (cosa in cui pur credeva, ma che ritenne in tale circostanza suprema irrilevante), ma invece perché sentiva di fatto (pur senza poterlo dimostrare), alla maniera degli Stoici, che "la virtù é premio a se stessa".
E dunque il virtuoso la segue non per la gretta e meschina aspirazione al paradiso o per la gretta e meschina paura dell' inferno, ma invece perche é proprio premio a se stessa: "anche se per assurdo -parole di Severino Boezio- la vita cessasse con la morte corporea, il virtuoso seguirebbe comunque la virtù, come fine a se stessa".

Spero non mi ripeterai per l' ennesima volta che con la secolarizzazione (o "morte di Dio") tendono ad imporsi le peggiori violazioni dell' etica.
In questo caso comunque non ti ripeterei per l' ennesima volta che violazioni dell' etica ci sono sempre state "alla grande" anche quando "Dio era ben vivo e vegeto" (quesi nessuno non credeva alla sua esistenza.

Infatti:

violazione dell' etica =/= inesistenza reale dell' etica (di fatto: non provabile ma "perfettamente" spiegabile, comprensibilissima).

Per il semplice fatto che sono convinto che una tesi falsa non diventa meno falsa a forza di ripeterla e una vera non diventa meno vera se non comtinuamente ripetuta, e che non ho voglia di perdere tempo a ripetere all' infinio le stesse obiezioni alle stesse affermazioni.

Saluti.




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