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Relativismo/Assolutismo

Aperto da Jacopus, 05 Marzo 2017, 16:46:13 PM

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Phil

Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 22:13:17 PM
Non ho affermato che il relativismo sia la causa , ho detto che è funzionale al sistema , che è un'altra cosa.
Lo avevo notato, ma mi pare che sia solo il relativismo "spento" e apatico a essere funzionale alla massificazione; attenzione a non buttare via anche il bambino con l'acqua sporca! ;D
In fondo, quando un relativista si veste di luoghi comuni (come ricorda Green Demetr) e cerca di uniformarsi per farsi trasportare dalla transumanza del gregge, perchè non si fida più nemmeno della sua stessa opinione (come osservi tu), possiamo ancora definirlo relativista? Se si arrende agli stereotipi e ammutina la sua stessa opinione, che relativista è?

Lo spaesamento nichilistico (non relativista!), una certa "pigrizia" e il desiderio di "fare gruppo" possono di certo portare all'omologazione, ma, come osserva Angelo, a questo punto siamo già fuori dal relativismo pensante... se il sedicente relativista fa il gregario in modo acritico e non mette in dubbio i messaggi mediatici che gli grandinano addosso, significa che è diventato principalmente qualunquista, conformista, standardizzato o altro (e non sono mica malattie... ma non sono neppure relativismo!). Per questo insinuavo che non sono poi molti i relativisti "autentici"  ;)

Sariputra

La migliore definizione di relativismo è quella di Assolutizzazione Unilaterale di uno dei due poli ( in correlazione essenziale) di Assoluto e di Relativo. (Costanzo Preve).

Ho trovato interessante questa definizione perché il relativismo, in sè, non esiste. Il termine stesso "relativo" implica una correlazione con qualcos'altro. Infatti abbiamo il relativismo culturale, il relativismo etico. , il relativismo morale,ecc. Se si tratta di una critica per...è una faccenda seria; se è una posizione a priori, no. In questo caso mi diventa una sorta di dogmatismo laico .
Tra l'altro Angelo sostiene che il relativismo si oppone alla metafisica ma mi sembra che l'opposto del relativismo non sia la metafisica ma l'assolutismo, che è cosa diversa ( diciamo il cattivo uso che si fa della metafisica, come si può fare cattivo uso della critica relativista, come ammette lo stesso Angelo...). Infatti: 

Sì, c'è anche questo, ma ciò non rende giustizia alla serietà di cui è capace un relativismo che sia davvero non metafisico.

Allo stesso modo bisogna riconoscere lo stesso grado di serietà ad una metafisica che non sfocia in nessun assolutismo...di più , anche ad ogni forma di assolutismo che non abbia la fregola di rivendicare la necessità di imporsi come pensiero unico.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Duc in altum!

**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneInfatti il relativismo inteso come "tutto è relativo, perciò facciamo ciò che ci pare e piace" rimane un relativismo inteso metafisicamente, cioè il peggio del relativismo, totale fraintendimento del relativismo.
Infatti, si può fraintendere il relativismo, ma non il relativista, lui sì che deve fare qualcosa (molti qualcosa!) che gli pare e piace, ed è allora che la fede lo giudica.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Sariputra

#48
Citazione di: Phil il 08 Marzo 2017, 23:02:48 PM
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 22:13:17 PMNon ho affermato che il relativismo sia la causa , ho detto che è funzionale al sistema , che è un'altra cosa.
Lo avevo notato, ma mi pare che sia solo il relativismo "spento" e apatico a essere funzionale alla massificazione; attenzione a non buttare via anche il bambino con l'acqua sporca! ;D In fondo, quando un relativista si veste di luoghi comuni (come ricorda Green Demetr) e cerca di uniformarsi per farsi trasportare dalla transumanza del gregge, perchè non si fida più nemmeno della sua stessa opinione (come osservi tu), possiamo ancora definirlo relativista? Se si arrende agli stereotipi e ammutina la sua stessa opinione, che relativista è? Lo spaesamento nichilistico (non relativista!), una certa "pigrizia" e il desiderio di "fare gruppo" possono di certo portare all'omologazione, ma, come osserva Angelo, a questo punto siamo già fuori dal relativismo pensante... se il sedicente relativista fa il gregario in modo acritico e non mette in dubbio i messaggi mediatici che gli grandinano addosso, significa che è diventato principalmente qualunquista, conformista, standardizzato o altro (e non sono mica malattie... ma non sono neppure relativismo!). Per questo insinuavo che non sono poi molti i relativisti "autentici" ;)

Sì, ma non è che una rondine di relativista "autentico" faccia primavera nella massa degli spenti e apatici, fermi ai lati della strada dorata in attesa di aggiungersi alla transumanza... :D ( ma poi...'autentico' relativamente a che cosa?...)
E' difficile avere la forza di difendere la propria opinione, contro l'opinione comune, se non hai 'fede' nella tua opinione. A questo punto io ribalto la questione: può dirsi relativista uno che ha fede nella propria opinione ( almeno una fede 'sufficiente' a difendersi dall'opinione altrui) tanto da, come scrive Angelo:
voler combattere per qualcosa...la voglia di condividere con altri valori per cui lottare.?
In questo caso cosa lo distinguerebbe da un non-relativista che abbia voglia di combattere e condividere con altri dei valori per cui vale la pena di lottare? Per es. un credente in qualcosa?
Al di là dei sofismi, intendo... ;)
E cosa significa "valori per cui lottare"? Valori storici? Convenzionali? Mi risulta nebuloso ...sarà l'ora e il sonno  :)  
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Angelo Cannata

Noto questa strana fissazione con la fede in questi due ultimi post, di Duc e di Sariputra. Così si continua ancora a trattare il relativismo come se fosse una metafisica, perché fede è questo: dare per certo qualcosa. Ma proprio non ce la fate a considerare il relativismo senza usare occhi metafisici?
Il relativista non porta avanti le sue lotte perché crede in qualcosa, non sceglie dei valori per aver deciso di credere in essi. Il relativista non crede in niente. Egli compie delle scelte perché si ritrova in questo mondo (e ora non venite a dirmi che egli ha fede di trovarsi in questo mondo: no, non ha fede in questo, è solo una sua percezione, tutta dubitabile), ha un passato, ha dei condizionamenti, un DNA, degli istinti, si è fatto una cultura, ha delle sensibilità umane, vive in una società; in mezzo a tutte queste situazioni prova a fare delle sintesi e alla fine dice "Oggi scelgo questo valore, decido di lottare per questa cosa, domani continuerò a riflettere e vedrò se sarà bene proseguire o modificare qualcosa". Il relativista è una persona, un essere umano, con delle spinte interiori, non è un programma per computer in cui sta scritta la formula "tutto è relativo".

Per quanto riguarda buono o cattivo uso della metafisica, l'assolutismo non è totalitarismo. Il metafisico può decidere di non essere totalitarista, ma non può decidere di non essere assolutista, perché la metafisica è per definizione proprio assolutismo: assoluto significa una verità slegata, indipendente dalla mente umana, cioè oggettiva. Un sinonimo di metafisica è realismo, cioè stabilire che esiste una realtà al di fuori del nostro cervello, stabilire che tale realtà non è un nostro sogno, ma esiste autonomamente, anche quando non pensiamo ad essa, e continuerà ad esistere anche dopo che noi saremo morti. Questa è metafisica.

Come tanti di voi avete evidenziato, il metafisico non può essere uno che si fa i fatti suoi, poiché una delle cose più importanti a cui egli tiene è l'ordine nella società, un ordine possibile proprio grazie alle verità metafisiche, che secondo lui sono riconosciute da tutti e dovrebbero essere da tutti riconosciute con maggiore consapevolezza di quanto avvenga oggi. Perciò il metafisico non può fare a meno di trasmettere, anche implicitamente in tutto ciò che dice e fa, anche senza che lui stesso se ne accorga, l'idea che è bene aderire alle verità metafisiche affinché l'andamento della vita sociale proceda ordinato.

Anche il relativista trasmette, più o meno implicitamente, più o meno consapevolmente, le sue posizioni. Egli però continua sempre a lavorare su se stesso, perché egli non ha fiducia nelle proprie idee, cerca sempre altro, desidera progredire, non è mai soddisfatto; in questo senso il relativista è in continua sofferenza, perché non si sente mai arrivato. Invece il metafisico si sente confortato dalle verità metafisiche, che ormai sono stabilite, sono un punto d'arrivo definitivo e non richiedono di essere messe in dubbio.

È in questo senso che relativismo e metafisica hanno forti implicazioni psicologiche: la metafisica va bene a chi cerca conforto, ristoro, tranquillità, idee sicure; il relativismo può essere seguito solo da chi è disposto a perenne irrequietezza, continue sconfitte, un continuo essere su strada senza mai poter avere chiarezza su quale sia la destinazione.
Il problema è che la tranquillità ottenuta dal metafisico viene sempre raggiunta, per quanto sembra a me, a spese di qualcun altro, così come tutte le tranquillità e tutto il benessere dell'Occidente sono dovuti in gran parte al sangue e all'oppressione esercitati in passato su popolazioni che poi ci interpellano sotto forma di migranti.

anthonyi

Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 22:13:17 PM
Citazione di: Phil il 08 Marzo 2017, 17:59:18 PM
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 09:38:29 AMcome giustamente sottolinea Green Demetr [...]: MA Ci sarebbe allora da chiedersi come mai in un mondo relativista, dove ognuno crede solo alla sua storia, nasce una delle società più bieche e omologate di ogni tempo. [...] Se invece mi dico:"Va bè, tanto... è tutto relativo..." finisco velocemente ad entrare in una concessionaria per ordinare il SUV... E' un pò quello che scrivevo sopra: ossia della stretta connessione, nella prassi, tra il relativismo e il modello capitalistico della società. Il pensiero relativistico è perfettamente funzionale a questo modello di vita.
Concordo sul non demonizzare i metafisici (e nemmeno i dogmatici), perché non necessariamente sono individui mentalmente chiusi o con pretese di egemonia sul prossimo; tuttavia il binomio relativismo/omologazione mi lascia perplesso... e ancor più quello relativismo/capitalismo. Forse può essere utile indagare il rapporto fra relativismo e società attuale, triangolandolo con la tecnologia: siamo sicuri che l'omologazione vada a braccetto con il relativismo, oppure è uno dei risultati della iper-comunicazione abilitata dalla tecnologia? La tecnologia serve al capitalismo forse meno di quanto il relativismo, con la sua selva di opinioni, favorisca la finanza attuale? Non direi... Il relativismo, in quanto tale non omologa (sarebbe contraddittorio!), ma apre alla pluralità delle opinioni fai-da-te; la tecnologia, invece, se assume le vesti della comunicazione di massa, tende a omologare e appiattire le opinioni (e di conseguenza le prassi). Non è che, abbagliati dalla coincidenza della "sincronia storica", stiamo dando al relativismo una colpa (senza entrare nel merito se lo sia o meno) da imputare alla tecnologia? L'annichilimento tecnologico delle coscienze (se lo riteniamo tale) è coevo del relativismo, ma sarei cauto nel vedere una causalità fra i due: tecnologia e relativismo non sono parenti stretti (anzi, in ambito "commerciale" una invita a seguire delle mode comuni, impone dei bisogni indotti, etc. l'altro invita a riflettere, dubitare con la propria testa...). Proviamo poi a pensare, per assurdo, se l'attuale tecnologia di comunicazione pervasiva fosse stata disponibile nei secoli scorsi: non avrebbe prodotto un'omologazione ancora più radicale? Inoltre (e senza usare la fantasia) siamo sicuri che oggi si sia davvero più omologati di ieri? I nostri nonni e i nostri avi, non vivevano forse in una società in cui troneggiava l'alternativa: omologazione ai valori vigenti e adattamento forzato, oppure emarginazione-eliminazione (almeno quanto oggi)? In cosa la famigerata omologazione di oggi è maggiore di quella di ieri? Siamo poi davvero sicuri che questa sia l'epoca del relativismo? Ognuno di noi può guardarsi in giro e chiedersi quanti relativisti conosce o vede... sono davvero la maggioranza?

Non ho affermato che il relativismo sia la causa , ho detto che è funzionale al sistema , che è un'altra cosa.  Una societa capitalistica basata sulla creazione continua di bisogni da soddisfare e da imporre alle masse, "martella" un'opinione che finisce per essere condivisa da tutti, perché l'individuo, isolato e frammentato, non può opporre che opinioni 'deboli', relative, al quale lui stesso in definitiva non crede e alla fine, tra la scelta tra un'opinione personale debole e un desiderio ' forte' da soddisfare e che lo fa "includere" e accettare dal gruppo sociale( creato e imposto dalla società delle comunicazioni) sceglie quasi sempre il secondo, e lo vediamo.

Riflettendoci, anche l'assolutismo è funzionale a un certo sistema, un sistema di potere. Io ho un'idea, interiormente posso considerarla relativa, ma pubblicamente ho bisogno di definirla assoluta perché dare rilevanza ad altre idee indebolirebbe il mio potere.
Questo inverte il rapporto consequenziale che è stato presentato in altri post: Non è il metafisico assolutista che è spinto ad imporre la sua idea, ma è il bisogno di imporre la propria persona che necessita dell'imposizione della propria idea che quindi viene posta come assolutista (metafisica o meno che sia).

Sariputra

#51
Citazione di: Angelo Cannata il 09 Marzo 2017, 08:19:26 AMNoto questa strana fissazione con la fede in questi due ultimi post, di Duc e di Sariputra. Così si continua ancora a trattare il relativismo come se fosse una metafisica, perché fede è questo: dare per certo qualcosa. Ma proprio non ce la fate a considerare il relativismo senza usare occhi metafisici? Il relativista non porta avanti le sue lotte perché crede in qualcosa, non sceglie dei valori per aver deciso di credere in essi. Il relativista non crede in niente. Egli compie delle scelte perché si ritrova in questo mondo (e ora non venite a dirmi che egli ha fede di trovarsi in questo mondo: no, non ha fede in questo, è solo una sua percezione, tutta dubitabile), ha un passato, ha dei condizionamenti, un DNA, degli istinti, si è fatto una cultura, ha delle sensibilità umane, vive in una società; in mezzo a tutte queste situazioni prova a fare delle sintesi e alla fine dice "Oggi scelgo questo valore, decido di lottare per questa cosa, domani continuerò a riflettere e vedrò se sarà bene proseguire o modificare qualcosa". Il relativista è una persona, un essere umano, con delle spinte interiori, non è un programma per computer in cui sta scritta la formula "tutto è relativo". Per quanto riguarda buono o cattivo uso della metafisica, l'assolutismo non è totalitarismo. Il metafisico può decidere di non essere totalitarista, ma non può decidere di non essere assolutista, perché la metafisica è per definizione proprio assolutismo: assoluto significa una verità slegata, indipendente dalla mente umana, cioè oggettiva. Un sinonimo di metafisica è realismo, cioè stabilire che esiste una realtà al di fuori del nostro cervello, stabilire che tale realtà non è un nostro sogno, ma esiste autonomamente, anche quando non pensiamo ad essa, e continuerà ad esistere anche dopo che noi saremo morti. Questa è metafisica. Come tanti di voi avete evidenziato, il metafisico non può essere uno che si fa i fatti suoi, poiché una delle cose più importanti a cui egli tiene è l'ordine nella società, un ordine possibile proprio grazie alle verità metafisiche, che secondo lui sono riconosciute da tutti e dovrebbero essere da tutti riconosciute con maggiore consapevolezza di quanto avvenga oggi. Perciò il metafisico non può fare a meno di trasmettere, anche implicitamente in tutto ciò che dice e fa, anche senza che lui stesso se ne accorga, l'idea che è bene aderire alle verità metafisiche affinché l'andamento della vita sociale proceda ordinato. Anche il relativista trasmette, più o meno implicitamente, più o meno consapevolmente, le sue posizioni. Egli però continua sempre a lavorare su se stesso, perché egli non ha fiducia nelle proprie idee, cerca sempre altro, desidera progredire, non è mai soddisfatto; in questo senso il relativista è in continua sofferenza, perché non si sente mai arrivato. Invece il metafisico si sente confortato dalle verità metafisiche, che ormai sono stabilite, sono un punto d'arrivo definitivo e non richiedono di essere messe in dubbio. È in questo senso che relativismo e metafisica hanno forti implicazioni psicologiche: la metafisica va bene a chi cerca conforto, ristoro, tranquillità, idee sicure; il relativismo può essere seguito solo da chi è disposto a perenne irrequietezza, continue sconfitte, un continuo essere su strada senza mai poter avere chiarezza su quale sia la destinazione. Il problema è che la tranquillità ottenuta dal metafisico viene sempre raggiunta, per quanto sembra a me, a spese di qualcun altro, così come tutte le tranquillità e tutto il benessere dell'Occidente sono dovuti in gran parte al sangue e all'oppressione esercitati in passato su popolazioni che poi ci interpellano sotto forma di migranti.

Non capisco perché l'uso della parola 'fede' ti disturbi tanto ( un'autentica allergia si direbbe... ;D ). Non lo stavo certo usando in senso religioso, ma solo di 'fiducia' , che può essere temporanea, suscettibile di mutare, di cambiare, di perfezionarsi, ecc. proprio in quei valori , ancorché 'relativi'  per cui tu stesso affermi che l'uomo che si autodefinisce relativista combatte.
Il lottare per dei valori personali o il lottare per dei valori trasmessi, è un'azione che implica perlomeno un certo grado di 'fiducia' in quei valori. O si lotta così, giusto per passare il tempo?... ???
Sul discorso che, colui che si autodefinisce relativista, "lavora su stesso", "desidera progredire", ecc. mentre gli altri non lo fanno e accettano supinamente le opinioni altrui per cercare conforto, che invece l'impavido relativista disprezza, non posso che obiettare che nessuna persona che non sia un somaro ( certo non un somaro come Anselmo...) non si pone dei dubbi che lo spronano a progredire e migliorare. Se molti pensano che il farlo all'interno di un 'sentiero' già tracciato da altri sia più funzionale al proprio progresso personale, perché il soggetto che si autodefinisce relativista trova da obiettare? Anche lo scegliere un 'sentiero' è un atto personale, di 'fiducia' personale. Sul fatto che il sedicente metafisico sia tranquillo è un tua rispettabile opinione, ma io non vivo affatto la mia 'misera' vita in modo pacifico,anzi mi sento sempre qualcosa che mi punge da qualche parte... ;D
Se posso permettermi, mi sembra che stai veramente estremizzando e radicalizzando le varie posizioni. Un pò di sano relativismo fa bene, secondo me anche un pò di sana fiducia fa bene. Ma sempre, di tutto, un pò. Se si mette troppo sale, o troppo zucchero, la torta risulta sgradevole...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Sariputra

Citazione di: anthonyi il 09 Marzo 2017, 08:42:14 AM
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 22:13:17 PM
Citazione di: Phil il 08 Marzo 2017, 17:59:18 PM
Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 09:38:29 AMcome giustamente sottolinea Green Demetr [...]: MA Ci sarebbe allora da chiedersi come mai in un mondo relativista, dove ognuno crede solo alla sua storia, nasce una delle società più bieche e omologate di ogni tempo. [...] Se invece mi dico:"Va bè, tanto... è tutto relativo..." finisco velocemente ad entrare in una concessionaria per ordinare il SUV... E' un pò quello che scrivevo sopra: ossia della stretta connessione, nella prassi, tra il relativismo e il modello capitalistico della società. Il pensiero relativistico è perfettamente funzionale a questo modello di vita.
Concordo sul non demonizzare i metafisici (e nemmeno i dogmatici), perché non necessariamente sono individui mentalmente chiusi o con pretese di egemonia sul prossimo; tuttavia il binomio relativismo/omologazione mi lascia perplesso... e ancor più quello relativismo/capitalismo. Forse può essere utile indagare il rapporto fra relativismo e società attuale, triangolandolo con la tecnologia: siamo sicuri che l'omologazione vada a braccetto con il relativismo, oppure è uno dei risultati della iper-comunicazione abilitata dalla tecnologia? La tecnologia serve al capitalismo forse meno di quanto il relativismo, con la sua selva di opinioni, favorisca la finanza attuale? Non direi... Il relativismo, in quanto tale non omologa (sarebbe contraddittorio!), ma apre alla pluralità delle opinioni fai-da-te; la tecnologia, invece, se assume le vesti della comunicazione di massa, tende a omologare e appiattire le opinioni (e di conseguenza le prassi). Non è che, abbagliati dalla coincidenza della "sincronia storica", stiamo dando al relativismo una colpa (senza entrare nel merito se lo sia o meno) da imputare alla tecnologia? L'annichilimento tecnologico delle coscienze (se lo riteniamo tale) è coevo del relativismo, ma sarei cauto nel vedere una causalità fra i due: tecnologia e relativismo non sono parenti stretti (anzi, in ambito "commerciale" una invita a seguire delle mode comuni, impone dei bisogni indotti, etc. l'altro invita a riflettere, dubitare con la propria testa...). Proviamo poi a pensare, per assurdo, se l'attuale tecnologia di comunicazione pervasiva fosse stata disponibile nei secoli scorsi: non avrebbe prodotto un'omologazione ancora più radicale? Inoltre (e senza usare la fantasia) siamo sicuri che oggi si sia davvero più omologati di ieri? I nostri nonni e i nostri avi, non vivevano forse in una società in cui troneggiava l'alternativa: omologazione ai valori vigenti e adattamento forzato, oppure emarginazione-eliminazione (almeno quanto oggi)? In cosa la famigerata omologazione di oggi è maggiore di quella di ieri? Siamo poi davvero sicuri che questa sia l'epoca del relativismo? Ognuno di noi può guardarsi in giro e chiedersi quanti relativisti conosce o vede... sono davvero la maggioranza?
Non ho affermato che il relativismo sia la causa , ho detto che è funzionale al sistema , che è un'altra cosa. Una societa capitalistica basata sulla creazione continua di bisogni da soddisfare e da imporre alle masse, "martella" un'opinione che finisce per essere condivisa da tutti, perché l'individuo, isolato e frammentato, non può opporre che opinioni 'deboli', relative, al quale lui stesso in definitiva non crede e alla fine, tra la scelta tra un'opinione personale debole e un desiderio ' forte' da soddisfare e che lo fa "includere" e accettare dal gruppo sociale( creato e imposto dalla società delle comunicazioni) sceglie quasi sempre il secondo, e lo vediamo.
Riflettendoci, anche l'assolutismo è funzionale a un certo sistema, un sistema di potere. Io ho un'idea, interiormente posso considerarla relativa, ma pubblicamente ho bisogno di definirla assoluta perché dare rilevanza ad altre idee indebolirebbe il mio potere. Questo inverte il rapporto consequenziale che è stato presentato in altri post: Non è il metafisico assolutista che è spinto ad imporre la sua idea, ma è il bisogno di imporre la propria persona che necessita dell'imposizione della propria idea che quindi viene posta come assolutista (metafisica o meno che sia).

Sono d'accordo. Il problema consiste nell'esigenza che molti sentono di imporre la propria opinione agli altri. Quindi dovremmo investigare perché esiste nella psiche umana questa necessità. Mi sembra che sia la necessità che fa assumere una certa idea, o teoria, proprio perchè funzionale all'esigenza interiore di imporre. Quindi il problema non è tanto, a mio parere, l'autodefinirsi relativisti o assolutisti, questa sorta di falso dualismo, ma si sposta su un piano diverso ( antropologico?  :-\ ). La puoi pensare relativa o assoluta, ma se senti la necessità di imporre la tua opinione per affermarti come individualità che ha 'potere', l'effetto è lo stesso...
Sulla strada del bosco
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Duc in altum!

**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneNoto questa strana fissazione con la fede in questi due ultimi post, di Duc e di Sariputra. Così si continua ancora a trattare il relativismo come se fosse una metafisica, perché fede è questo: dare per certo qualcosa. Ma proprio non ce la fate a considerare il relativismo senza usare occhi metafisici?
Ma sei tu che non puoi dare per certo che puoi vivere senza esistere e senza decidere per e con fede. Perciò ritengo questa tua filosofia sul relativismo pura utopia, sei immerso in un limbo d'illusione, quindi puoi anche non rispondere ai miei spunti riflessivi, ma come vedi dai miei interventi non solo sei ricolmo di contraddizioni, ma non riesci a convivere col fatto che dalla mattina alla sera, innumerevoli volte, per scegliere il tuo da fare, devi appellarti alla metafisica (almeno che davvero non sei un ente superiore e galleggi nell'aria).
Poi che tu vuoi sostenere che sei l'unico essere umano che esisti senza necessità di respirare, amen e così sia, ma non puoi pretendere agli altri di non farti notare che mentre lo affermi stai respirando!

Ripeto, il relativismo può anche essere preso in seria considerazione, fin quando resta nella dialettica, nelle opinioni, ma al momento dei fatti, dell'agire, gentile @Angelo Cannata, devi scegliere, devi dare per certo una cosa, e la scelta è l'assenza del relativismo., poiché in quel momento la relativizzazione del fenomeno, del valore, del dubbio, si è concretizzata ed è giudicabile per sempre.
Ecco perché sostenere di essere relativista h24, a mio parere, è come dire: "...ma come fate a non vedere che io volo!..."
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Duc in altum!

**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneEgli compie delle scelte perché si ritrova in questo mondo (e ora non venite a dirmi che egli ha fede di trovarsi in questo mondo: no, non ha fede in questo, è solo una sua percezione, tutta dubitabile), ha un passato, ha dei condizionamenti, un DNA, degli istinti, si è fatto una cultura, ha delle sensibilità umane, vive in una società; in mezzo a tutte queste situazioni prova a fare delle sintesi e alla fine dice "Oggi scelgo questo valore, decido di lottare per questa cosa, domani continuerò a riflettere e vedrò se sarà bene proseguire o modificare qualcosa".
No, egli compie delle scelte perché non può evitare di scegliere, è obbligato (quindi è assoluto, dunque è scomparso il relativismo); e con l'origine di questa "coincidenza" oggettiva, sia essa casuale o divina, non ci puoi ragionare relativisticamente, perché le due (o le altre supposizioni probabili che tu voglia aggregare) sono di dominio metafisico/spirituale.
Certo ci è concesso anche di poter dubitare della nostra stessa intima percezione di esistere, ma anche questa dimensione diviene invalida, nulla, inefficace mentre sperimentiamo empiricamente l'abbraccio sincero e gioioso con il prossimo.
Oggi scegli questo e domani codesto, quindi sei in perfetta sintonia con la società moderna ( "Chi dice di non credere in niente, non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto". Keith Chesterton ), dove sarebbe allora questa novità filosofica, questa buona notizia che porterebbe serenità e allegria ai nostri giorni?!?!
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Duc in altum!

**  scritto da Sariputra:
CitazioneIl problema consiste nell'esigenza che molti sentono di imporre la propria opinione agli altri. Quindi dovremmo investigare perché esiste nella psiche umana questa necessità.
Se s'impone significa che si vuol tappare una qualche verità che ci da tanto fastidio.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

baylham

Fede non significa dare per certo qualcosa, semmai il contrario. Si tira in ballo la fede perché non si è certi di qualcosa. Infatti la fede non ha alcun fondamento, può credere a qualunque cosa, anche la più assurda. La fede è l'ultima resistenza di qualcosa, di indifendibile e nello stesso tempo di invincibile.

D'altra parte proprio la fede è relativa, individuale, non trasmissibile: ciascuno ha la propria. Il numero dei fedeli in qualcosa è importante per altri aspetti, ma non cambia la sostanziale individualità della fede.

Quindi il problema è a monte dell'imposizione della propria fede agli altri, il problema è che comunque si ha una fede che non sempre corrisponde a quella degli altri. Il relativismo è una fede alla pari dell'assolutismo, al limite ha fede di non aver fede.

Tuttavia condivido l'atteggiamento relativista, anche nella forma radicale espressa da Angelo Cannata, perché lo avverto come più esplorativo, innovativo, libero ed umanamente conviviale rispetto all'atteggiamento assolutista.

maral

Mi pare che il relativismo possa essere correttamente inteso a partire dalla idea di una totalizzazione sempre in corso come parzialità in atto (la cosa è stata detta da Sini, ma mi pare che si accordi molto bene anche con il pensiero di Severino che sta filosoficamente sull'altro lato della sponda). Il relativo è ovviamente della parte (definita dalle sue relazioni con le altre parti) ed è solo la parte che accade, quindi ogni reale accadere non può che essere relativo e nega l'assoluto con il suo stesso accadere, poiché l'assoluto è assolutamente, quindi non accade mai. Ma in quello che si nega nell'accadere l'assoluto riemerge: non accade mai, ma da ogni accadere è richiamato e in questo richiamo che si ripete ogni volta che qualcosa accade la parte (il relativo) si incammina mostrando il suo diventare sempre relativa a qualcos'altro.
Il problema sta qui allora: se la parte, che è tutto quello che accade, appare nella relazione, non possiede una sua verità, su cosa dunque si può fondare la verità di quello che accade se non su quello che non accade mai e proprio perché non accade mai può essere saldo e fermo, esente da ogni dubbio? Il relativista sarà allora tentato di sottolineare che nulla accade mai e senza vederlo richiamerà come assoluto proprio questo nulla, mentre chi esige una realtà accadente per l'assoluto cadrà nell'inganno rovinoso di scambiare una parte (che davvero accade) ed elevarla ad assoluto, in virtù della forza della sua fede in essa, che non potrà che essere necessaria fede di tutti, altrimenti che assoluto è? Così il relativista vedrà in qualunque pretesa di assoluto una gabbia mortificante dell'esistenza relativa, mentre il credente di assoluti vedrà nel relativo la debolezza frammentaria e sconclusionata che solo la salda presa dell'assoluto può tenere insieme senza che tutto frani liquefacendosi, dimenticando rispettivamente che nulla può essere più soffocante di un relativo che annulli l'assoluto e più impalpabile di qualsiasi assoluto (alla cui impalpabibilità l'assolutista tenta poi di rimediare costruendo la chiesa, il partito, il movimento, la struttura che sorregge l'ideologia).  

Il problema non è se l'assoluto sia o non sia, chiaro che è, altrimenti che senso avrebbe mai il relativo? Il problema è la pretesa di dire l'assoluto in modo diverso dalla tautologia, per quanto ogni tautologia non dica nulla e ci lasci profondamente insoddisfatti. Il problema è capire che proprio e solo questa insoddisfazione per ogni assoluto (insoddisfazione che si esprime nel dubbio) che al di là della sua tautologia è un inganno (una parte mascherata e imbrogliona), è la forza che ci mantiene in cammino e ci fa esistere per tornare a essere proprio quello che siamo, pur non potendo esserlo mai in assoluto.


Citazione di: green demetrSi trova nel finale dell'intervista fatta da Fusaro a Severino reperibile sul sito Youtube di Fusaro...  

La guarderò, ma questo accostamento Heidegger - Severino sotto il nome di Dio mi suona assurdo: non c'è praticamente pubblicazione di Severino in cui non critichi Heidegger (soprattutto la sua conclusione che "solo un Dio ci può salvare", giacché per Severino non c'è proprio nulla da salvare, tutto è da sempre e per sempre già salvo).
Per Severino non c'è alcun Super Ente Riparo Speciale, se lo prospettasse tutta la sua filosofia sarebbe contraddetta. Ontologicamente per Severino Dio vale quanto e meno di un granello di polvere, giacché ogni granello di polvere è Dio e oltre Dio.

Phil

Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 23:45:07 PM
Sì, ma non è che una rondine di relativista "autentico" faccia primavera nella massa degli spenti e apatici, fermi ai lati della strada dorata in attesa di aggiungersi alla transumanza... :D ( ma poi...'autentico' relativamente a che cosa?...)
Proprio per questo sostengo che la nostra non è affatto l'epoca del relativismo: di relativisti autentici se ne vedono pochi, gli altri vengono definiti tali, o si definiscono tali, ma senza esserlo autenticamente... autenticamente rispetto a cosa? Semplicemente rispetto all'attitudine (o indole, se preferisci) relativista; detto in altri termini: un relativista che non si comporta (prassi!) da relativista, non lo è, e poco conta se si professa tale o se gli altri lo etichettano come tale... ad esempio, chi è dedito al pedissequo "copia e incolla" delle opinioni più in voga, non è relativista, ma gregario; "gli spenti ed apatici fermi ai lati della strada dorata in attesa di aggiungersi alla transumanza" non sono affatto relativisti, bensì ignavi... non si tratta di fare apologia del relativismo (sarebbe tragicomico! ;D ), ma soltanto di prendere atto di alcuni diffusi fraintendimenti, per poter poi chiamare le differenti posizioni con il loro nome autentico ("rettificare i nomi!", tuonerebbe Confucio...).

Citazione di: Sariputra il 08 Marzo 2017, 23:45:07 PMA questo punto io ribalto la questione: può dirsi relativista uno che ha fede nella propria opinione ( almeno una fede 'sufficiente' a difendersi dall'opinione altrui)
Formulazione con cui concordo solo in parte (per quel poco che vale il mio concordare ;D ), a patto di precisare che, appunto, "ha fede nella sua opinione" e non "ha fede nella verità/giustizia/etc. della sua opinione"... secondo me, inoltre, "fede" andrebbe sostituita con "fiducia", per evitare che tale affidarsi alla propria prospettiva possa suonare come un "atto di fede" spirituale o non-ragionato. Il "difendersi dalle opinioni altrui"(cit.) non mi sembra una priorità del relativista, anzi, più opinioni conosce meglio può (ri)formulare la propria...

Sul presunto "relativista militante", che combatte per un mondo migliore, o, peggio ancora, che critica i metafisici e i non-relativisti, sono piuttosto diffidente... per me, il combattere e il convertire/convincere sono il primo passo per smettere di essere relativisti (almeno di quelli autentici  ;) ), che è una scelta decisamente legittima, ma che comporta al contempo un cambio di "etichetta" (altrimenti il povero Confucio si rivolta nella tomba  :) ).

Angelo Cannata

Citazione di: maral il 09 Marzo 2017, 11:40:04 AM... Ma in quello che si nega nell'accadere l'assoluto riemerge: non accade mai, ma da ogni accadere è richiamato...
In base a quale necessità l'assoluto dovrebbe essere richiamato dall'accadere? Chi ha stabilito che l'accadere debba richiamare l'assoluto?

Citazione di: maral il 09 Marzo 2017, 11:40:04 AM...Il problema non è se l'assoluto sia o non sia, chiaro che è, altrimenti che senso avrebbe mai il relativo?
Chi ha stabilito che il relativo debba per forza avere un senso?

Tutte queste cose non sono altro che esigenze mentali di alcuni, ma il fatto che il senso del relativo o il richiamo all'assoluto siano esigenze mentali non è dimostrazione di esistenza. Uno potrebbe avere l'esigenza mentale dell'esistenza di elefanti che volano, ma non per questo essi diventano esistenti.

Inoltre, quali che siano queste esigenze o logiche o meccanismi mentali, chi garantisce che essi non siano difettosi, contraddittori, incoerenti, ingannevoli?