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Relativismo assoluto

Aperto da fdisa, 12 Ottobre 2017, 18:30:48 PM

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Apeiron

@epicurus,

grazie della tua ottima risposta   ;)


CitazioneEpicurus

Aperion, qualche post fa io scrissi: "Secondo me tali buddisti hanno colto una verità, ma hanno tratto conseguenze sbagliate da essa. E' vero che è tramite il nostro linguaggio e i nostri schemi concettuali che decidiamo di "ritagliare" il mondo come vogliamo, ma non è che questi modi diversi di ritagliarlo generino immagini false del mondo, sono tutte immagini legittime prodotte per scopi diversi."

Dopo quanto hai scritto (e quello che ho letto online, per ora) confermo questa mia osservazione. Se io posseggo una collezione di fumetti, posso decidere di ordinarli secondo vari criteri. Potrei per esempio ordinarli prima di tutto in modo cronologico, oppure per testate, per casa editrice, per genere, ecc... Ci sono vari modi per descrivere la mia collezione ipotetica di fumetti, i criteri scelti sono arbitrari ovviamente, ma se non commetto errori in ogni caso ho prodotto una descrizione vera e oggettiva della mai collezione. Se si dovesse chiamare tale descrizione "convenzionale" io lo troverei molto forviante. Dirò di più: posso scegliere criteri di ordinamento diversi a seconda dello scopo che mi sono prefissato, anzi, posso avere più descrizioni diverse e vere in contemporanea della mia collezione fatte con diversi criteri, e servirmi della descrizione più appropriata per un determinato scopo a seconda delle esigenze.

A volte ci fa comodo parlare della fiamma e del combustibile, altre volte ci fa comodo parlare di molecole e reazioni chimiche, altre volte di atomi e leggi fisiche fondamentali, altre volte vogliamo parlare dell'incendio nella sua interezza. Non stiamo dicendo il falso, non stiamo parlando di convenzioni, stiamo scegliendo il livello di analisi da adottare che riteniamo più adatto per lo scopo particolare del momento.

E' ovvio che il linguaggio è un sistema convenzionale di comunicazione, ma questo significa che tutte le proposizioni siano convenzionali. Se io dico "Mario ha paura dei serpenti", ciò non è una verità convenzionale, sarebbe altamente forviante dirlo.

Hai scritto che il linguaggio non funziona perché necessiterebbe di oggetti "fissi"... Ma sappiamo tutti che il linguaggio funziona, quindi devo considerare questo come una riduzione all'assurdo di ciò che stai scrivendo? Certo, ci possono essere errori di comprensione per la vaghezza del linguaggio, siamo sempre in qualche modo imprecisi... Ma non è nulla che trascende le nostre capacità di spiegazione e specificazione. E, soprattutto, il linguaggio funziona, funziona perché è l'ossatura della nostra società, della nostra intelligenza e della nostra personalità.

Inoltre il linguaggio non necessità di oggetti "fissi"; perché dici questo? E' grazie al linguaggio che l'uomo ha potuto approfondire la realtà e capire ad esempio concetti legati alla fisica delle particelle. Ma anche prima della fisica moderna, già si sapeva che il linguaggio ha dei limiti, come ogni cosa umana (paradosso del sorite e affini). Ma, ripeto, malgrado i suoi limiti, il linguaggio funziona: le persone sanno cos'è un tavolo e si capiscono in generale quando parlano di tavoli. Non è vero che, come dici tu, puoi definire il tavolo come vuoi e nessun modo è migliore di un altro. Se guardi cosa dicono i dizionari e le enciclopedie ma soprattutto come usano quella parola i parlandi italiani, allora lì hai un modo per riferirti ai tavoli, ma se io dico "i tavoli sono democrazie che libellulano" allora il mio modo di definire tale termine è sbagliato, o almeno deviante e quindi non fruibile con lo scopo di comunicare.

Quest'idea bizzarra di dire che tutto è convenzionale perché interagisce, come dicevo, è davvero forviante. Tant'è che tu spingi al discorso agli atomi quando parli della vaghezza del termine "tavolo"... ma ovviamente anche il discorso su atomi, quark e affini non è che un discorso convenzionale secondo te. E allora com'è il vero mondo di ritagliare il mondo? Non c'è un vero mondo di ritagliare il mondo, o meglio un modo di presentare il mondo senza ritagliarlo... perché tale concetto non ha senso. E non ha nemmeno motivo di essere: io ritaglio il mondo come voglio, basta che sia un ritaglio fedele al mondo, ed efficace per gli scopi che abbiamo.


Allora qui stai mettendo alla luce molti punti interessanti, cercherò di rispondere bene.

Anzitutto se usiamo l'esempio della collezione di francobolli... sì l'esempio calza. Infrangendo il mio "giuramento" di parlare solo delle mie idee, ti consiglio di dare un'occhiata al pensiero del Lama Tsongkhapa, della scuola Gelug (quella del Dalai Lama). In sostanza secondo lui la "realtà convenzionale" è qualcosa di oggettivo e reale e non è dovuto ad una distorsione del nostro pensiero. Ogni nostra convenzione può produrre un modo corretto di vedere le cose. Se dunque io posso ritagliare la realtà in diversi modi e ognuno di essi ha la sua "validità", allora posso pensare che per ogni ritaglio posso distinguere il vero dal falso. In questo caso chiaramente la distinzione convenzionale-ultimo dal punto di vista epistemologico non ha senso.


C'è un problema, però. se ogni "verità" di questo tipo necessita un apposito ritaglio allora questa verità dipende dalla convenzione scelta: una comunità con un linguaggio darebbe una altra "verità". Ma se ciò è vero, allora tutte devo ammettere che in ogni convenzione è possibile distinguere il vero dal falso. Così facendo, ottengo un paradosso: questa mia nuova "intuizione" di per sé nasce in una determinata convenzione (la mia) e però ha pretesa di valere anche per altre. Se infatti dico che per ogni ritaglio è possibile distinguere il vero dal falso, allora questa mia stessa affermazione - pur nascendo in una determinata convenzione - ha "pretesa" di validità per ogni altra convenzione. Ergo, quello che sto sottointendendo è che c'è qualcosa "dietro" alle convenzioni. Questa potrebbe essere una critica a questo tipo di filosofia: così facendo si fanno affermazioni che sono convenzionli sulla realtà che va oltre la propria convenzione. E qui entra in gioco l'"inespressibilità" della verità ultima: il fatto stesso che riconosciamo che stiamo facendo ritagli che pur dandoci una "verità" (oggettiva, universale...) convenzionale, riconosciamo appunto essere dei ritagli e niente di più. Per questo motivo secondo me il buddhismo non è "relativista": riconosce le verità universali MA allo stesso tempo riconosce che queste verità si basano su "prospettive" che vengono riconosciute come arbitrarie. L'unica "vera" prospettiva, è quella che vede la realtà così come è, ovvero senza alcun ritaglio convenzionale. Infatti è proprio la nostra consapevolezza di ritagliare la realtà che ci costringe ad ammettere che la nostra è una "verità convenzionale" e non ultima. Ma se vogliamo esprimerci, dobbiamo fare un ritaglio, quindi utilizzare la verità convenzionale ecc. Questo dovrebbe farti capire da dove viene "l'inespressibilità".



CitazioneMa se una verità concettuale è comunque una verità (cioè non è una falsità) allora dire che la distinzione tra convenzionale e ultimo è una verità convenzionale, non significa, come tu dici, che è falso che la realtà possa essere compresa tra concetti (perché così facendo riduci la verità convenzionale al falso, cosa che non vuoi tu e neppure la maggior parte della filosofia buddista). Inoltre, ciò a me pare una palese contraddizione, quindi una confutazione della questione.


Ecco, questa secondo me è questa è una questione piuttosto "controversa". Dal punto di vista epistemologico, dire che la verità convenzionale è falsa, non ha senso. Su questo posso darti ragione. Tuttavia per "difendere" chi dice che la verità convenzionale è un tipo molto sottile di "illusione", pensa a questo. Se dunque non ritaglio, osservo la realtà prima di ogni "arbitraria organizzazione della stessa". Solo così io posso comprendere "come è la realtà" indipendentemente da come decido io di "organizzarla". Quindi il problema secondo me è semplicemente o linguistico o di "enfasi".  Considera anche questo: il "liberato" è "andato oltre" ogni convenzione. In sostanza la sua mente non vede più la "realtà" attraverso un arbitrario ritaglio. Ergo dal suo punto di vista le "verità convenzionali" sono già un qualcosa che noi poniamo sulla realtà.




CitazioneQui vale il discorso fatto più sopra. Inoltre, aggiungo, perché tu ipotizzi che "ente" e "ente fisso" siano sinonimi? Io posso tranquillamente parlare di enti composti da parti che cambiano nel tempo e che sono riferibili in modo fuzzy. E possiamo quindi ritornare a parlare di ontologia interattiva.

Ipotizza che si scopra il livello ultimo di semplicità fisica a cui tutti i discorsi su tavoli, alberi e pianeti si possono ridurre... in questo modo avremmo i tuoi "enti" atomici con cui costruire un (assurdo e inutilizzabile, aggiungo io) linguaggio perfetto, dove gli enti sono perfettamente definiti (in realtà ci sarebbero altri problemi, ma è poco rilevante per questa discussione). Ma, ovviamente, tale entità atomiche interagirebbero tra loro, quindi neppure questi potranno far parte dei discorsi sulle verità ultime. Si ritorna a quanto da me detto più volte: la verità ultima è un abbaglio linguistico. Come dicono anche alcune tradizioni buddiste, è proprio la vacuità (cioè il fatto che gli oggetti mutano e interagiscano tra loro) che rende reali, veri, gli oggetti. Parlare di oggetti immutabili, atomici e assolutamente indipendenti è parlare di "non-oggetti", di verità massimamente concettuali e convenzionali.


Sì questa è la critica che è stata fatta da Nagarjuna &co alle altre scuole. Possiamo pensare di usare appunto un punto di vista "fuzzy" che produce le "verità convenzionali". Allo stesso tempo però come hai già ben detto perfino questa è una "sovrapposizione" arbitraria. Tuttavia secondo me è ancora ben pensabile riuscire a "vedere" la realtà prima di queste "sovrapposizioni". Tuttavia se chiediamo come è la "realtà" dietro ogni convenzione non possiamo avere una risposta "sensata": anche la risposta in fin dei conti sarebbe "convenzionale". Questo secondo me è il motivo dell'inespressibilità della "verità ultima" e il motivo per cui la stessa "vacuità" è "vuota". Infatti la vacuità stessa è un concetto che nasce da un ritaglio (arbitrario) e quindi non può per forza riguardare la "realtà ultima"!



CitazioneRilancio. Io sostengo che il concetto stesso di "oggetto perfettamente semplice che non interagisce con nulla" non sia tanto una chimera metafisica, ma un nonsenso.


Mah, qui non sono d'accordo  ;D  secondo te quando i fisici parlano di "elettrone come particella libera" dicono non-sensi?



CitazioneCerto, ma non sarà questo a fermare la mia investigazione filosofica.  


Nemmeno la mia. Era solo per farti considerare che dal loro punto di vista quando comprendiamo che la "verità convenzionale" è convenzionale dovremmo "distaccarci" da essa. Non esserne più dipendenti. Forse con questa osservazione ti sarà più chiaro perchè molti finiscono per andare a parlare di "verità ultima inespressibile"  ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

epicurus

Citazione di: Apeiron il 21 Febbraio 2018, 10:22:05 AM
@epicurus, grazie della tua ottima risposta   ;)
Grazie a te per il dialogo stimolante.  :D

Citazione di: Apeiron il 21 Febbraio 2018, 10:22:05 AM
Citazione di: epicurusAperion, qualche post fa io scrissi: "Secondo me tali buddisti hanno colto una verità, ma hanno tratto conseguenze sbagliate da essa. E' vero che è tramite il nostro linguaggio e i nostri schemi concettuali che decidiamo di "ritagliare" il mondo come vogliamo, ma non è che questi modi diversi di ritagliarlo generino immagini false del mondo, sono tutte immagini legittime prodotte per scopi diversi."

Dopo quanto hai scritto (e quello che ho letto online, per ora) confermo questa mia osservazione. Se io posseggo una collezione di fumetti, posso decidere di ordinarli secondo vari criteri. Potrei per esempio ordinarli prima di tutto in modo cronologico, oppure per testate, per casa editrice, per genere, ecc... Ci sono vari modi per descrivere la mia collezione ipotetica di fumetti, i criteri scelti sono arbitrari ovviamente, ma se non commetto errori in ogni caso ho prodotto una descrizione vera e oggettiva della mai collezione. Se si dovesse chiamare tale descrizione "convenzionale" io lo troverei molto forviante. Dirò di più: posso scegliere criteri di ordinamento diversi a seconda dello scopo che mi sono prefissato, anzi, posso avere più descrizioni diverse e vere in contemporanea della mia collezione fatte con diversi criteri, e servirmi della descrizione più appropriata per un determinato scopo a seconda delle esigenze.

A volte ci fa comodo parlare della fiamma e del combustibile, altre volte ci fa comodo parlare di molecole e reazioni chimiche, altre volte di atomi e leggi fisiche fondamentali, altre volte vogliamo parlare dell'incendio nella sua interezza. Non stiamo dicendo il falso, non stiamo parlando di convenzioni, stiamo scegliendo il livello di analisi da adottare che riteniamo più adatto per lo scopo particolare del momento.

E' ovvio che il linguaggio è un sistema convenzionale di comunicazione, ma questo significa che tutte le proposizioni siano convenzionali. Se io dico "Mario ha paura dei serpenti", ciò non è una verità convenzionale, sarebbe altamente forviante dirlo.

Hai scritto che il linguaggio non funziona perché necessiterebbe di oggetti "fissi"... Ma sappiamo tutti che il linguaggio funziona, quindi devo considerare questo come una riduzione all'assurdo di ciò che stai scrivendo? Certo, ci possono essere errori di comprensione per la vaghezza del linguaggio, siamo sempre in qualche modo imprecisi... Ma non è nulla che trascende le nostre capacità di spiegazione e specificazione. E, soprattutto, il linguaggio funziona, funziona perché è l'ossatura della nostra società, della nostra intelligenza e della nostra personalità.

Inoltre il linguaggio non necessità di oggetti "fissi"; perché dici questo? E' grazie al linguaggio che l'uomo ha potuto approfondire la realtà e capire ad esempio concetti legati alla fisica delle particelle. Ma anche prima della fisica moderna, già si sapeva che il linguaggio ha dei limiti, come ogni cosa umana (paradosso del sorite e affini). Ma, ripeto, malgrado i suoi limiti, il linguaggio funziona: le persone sanno cos'è un tavolo e si capiscono in generale quando parlano di tavoli. Non è vero che, come dici tu, puoi definire il tavolo come vuoi e nessun modo è migliore di un altro. Se guardi cosa dicono i dizionari e le enciclopedie ma soprattutto come usano quella parola i parlandi italiani, allora lì hai un modo per riferirti ai tavoli, ma se io dico "i tavoli sono democrazie che libellulano" allora il mio modo di definire tale termine è sbagliato, o almeno deviante e quindi non fruibile con lo scopo di comunicare.

Quest'idea bizzarra di dire che tutto è convenzionale perché interagisce, come dicevo, è davvero forviante. Tant'è che tu spingi al discorso agli atomi quando parli della vaghezza del termine "tavolo"... ma ovviamente anche il discorso su atomi, quark e affini non è che un discorso convenzionale secondo te. E allora com'è il vero mondo di ritagliare il mondo? Non c'è un vero mondo di ritagliare il mondo, o meglio un modo di presentare il mondo senza ritagliarlo... perché tale concetto non ha senso. E non ha nemmeno motivo di essere: io ritaglio il mondo come voglio, basta che sia un ritaglio fedele al mondo, ed efficace per gli scopi che abbiamo.

Anzitutto se usiamo l'esempio della collezione di francobolli... sì l'esempio calza. Infrangendo il mio "giuramento" di parlare solo delle mie idee, ti consiglio di dare un'occhiata al pensiero del Lama Tsongkhapa, della scuola Gelug (quella del Dalai Lama). In sostanza secondo lui la "realtà convenzionale" è qualcosa di oggettivo e reale e non è dovuto ad una distorsione del nostro pensiero. Ogni nostra convenzione può produrre un modo corretto di vedere le cose. Se dunque io posso ritagliare la realtà in diversi modi e ognuno di essi ha la sua "validità", allora posso pensare che per ogni ritaglio posso distinguere il vero dal falso. In questo caso chiaramente la distinzione convenzionale-ultimo dal punto di vista epistemologico non ha senso.
Grazie del consiglio di lettura, mi ricordo vagamente di essermi imbattuto anche in questo pensatore, ma i ricordi sono vaghi e quindi ci ritornerò sopra.  ;)

Citazione di: Apeiron il 21 Febbraio 2018, 10:22:05 AM
C'è un problema, però. se ogni "verità" di questo tipo necessita un apposito ritaglio allora questa verità dipende dalla convenzione scelta: una comunità con un linguaggio darebbe una altra "verità". Ma se ciò è vero, allora tutte devo ammettere che in ogni convenzione è possibile distinguere il vero dal falso. Così facendo, ottengo un paradosso: questa mia nuova "intuizione" di per sé nasce in una determinata convenzione (la mia) e però ha pretesa di valere anche per altre. Se infatti dico che per ogni ritaglio è possibile distinguere il vero dal falso, allora questa mia stessa affermazione - pur nascendo in una determinata convenzione - ha "pretesa" di validità per ogni altra convenzione. Ergo, quello che sto sottointendendo è che c'è qualcosa "dietro" alle convenzioni. Questa potrebbe essere una critica a questo tipo di filosofia: così facendo si fanno affermazioni che sono convenzionli sulla realtà che va oltre la propria convenzione.
Secondo me, il problema qui è ancora che l'uso che stai facendo di "convenzionale" è altamente forviante. Così non si riesce a capire la grandissima differenza tra queste due proposizioni: (1) "La lettera 'A' è la prima lettera dell'alfabeto italiano" e (2) "Ora sono seduto su una sedia". Ogni teoria che non riesce a capire questa differenza sostanziale importante, secondo me, è una teoria fallace.

La verità di (1) dipende interamente da una stipulazione o convenzione. Al contrario, (2) dipende principalmente da com'è fatto il mondo. Dico 'principalmente' perché è ovvio che prima di tutto dobbiamo capire il significato di (2) (e il linguaggio è uno strumento in buona parte basato sulle convenzioni), ma successivamente dobbiamo confrontarci con il mondo.

Tornando alla tua osservazione, non vi è alcun paradosso perché lo stesso concetto di "verità", non è un concetto divino, calati dall'altro, immutabile e definito da un dio o dalla realtà stessa. Pure tale concetto è aperto e assume sgnificati specifici in vari contesti. Consideriamo, ad esempio, come l'uso di "vero" in "è vero che 2+2=4" è assai diverso da "è vero che il mio fatto è salito sul divano". Possiamo poi pensare discorsi estetici o etici dove potrebbe non comparire il concetto di vero; ma non solo: anche il famoso esempio di gioco linguistico di Wittgenstein dei muratori (in cui usano il linguaggio per passarsi mattoni, pilastri, lastre e travi) non prevede il concetto di "vero".

Inoltre, assumere che ci siano affinità e collegamenti tra diversi "contesti concettuali" non è affatto da vedere con preoccupazione, anzi, è assolutamente normale e aspettato. I motivi, penso, sono due: a) la realtà è una sola; b) malgrado il cambiamento di schemi concettuali (dovuto ad interessi epistemici differenti), l'uomo è sempre l'uomo, non abbiamo a che fare con enti senzienti radicalmente alieni. Da qui si hanno contesti concettuali con somiglianze, intersezioni e contaminazioni. D'altro canto anche i contesti concettuali sono aperti e modificabili.

Citazione di: Apeiron il 21 Febbraio 2018, 10:22:05 AM
E qui entra in gioco l'"inespressibilità" della verità ultima: il fatto stesso che riconosciamo che stiamo facendo ritagli che pur dandoci una "verità" (oggettiva, universale...) convenzionale, riconosciamo appunto essere dei ritagli e niente di più. Per questo motivo secondo me il buddhismo non è "relativista": riconosce le verità universali MA allo stesso tempo riconosce che queste verità si basano su "prospettive" che vengono riconosciute come arbitrarie. L'unica "vera" prospettiva, è quella che vede la realtà così come è, ovvero senza alcun ritaglio convenzionale. Infatti è proprio la nostra consapevolezza di ritagliare la realtà che ci costringe ad ammettere che la nostra è una "verità convenzionale" e non ultima. Ma se vogliamo esprimerci, dobbiamo fare un ritaglio, quindi utilizzare la verità convenzionale ecc. Questo dovrebbe farti capire da dove viene "l'inespressibilità".
[...]
Dal punto di vista epistemologico, dire che la verità convenzionale è falsa, non ha senso. Su questo posso darti ragione. Tuttavia per "difendere" chi dice che la verità convenzionale è un tipo molto sottile di "illusione", pensa a questo. Se dunque non ritaglio, osservo la realtà prima di ogni "arbitraria organizzazione della stessa". Solo così io posso comprendere "come è la realtà" indipendentemente da come decido io di "organizzarla". Quindi il problema secondo me è semplicemente o linguistico o di "enfasi".  Considera anche questo: il "liberato" è "andato oltre" ogni convenzione. In sostanza la sua mente non vede più la "realtà" attraverso un arbitrario ritaglio. Ergo dal suo punto di vista le "verità convenzionali" sono già un qualcosa che noi poniamo sulla realtà.

Ritorniamo al nodo del problema. Io dico "tu stai facendo dei ritagli della realtà, non stai parlando della verità ultima": è questo frutto di un ritaglio della realtà, oppure è una verità ultima? Se sì (come tu sostieni), allora la tua tesi cade nella contraddizione. Non si può trovare una contraddizione in una teoria e poi dire "ah, be', questo dimostra solo che la teoria ti porta all'inesprimibilità, e l'inesprimibilità è bene". E' una soluzione troppo comoda e, allo stesso tempo, troppo scomoda: non solo le contraddizione diverrebbero possibili, ma, anzi, diverrebbero verità e prova di una verità ultima dietro di essa.

Prima di tutto cerchiamo di trovare delle teorie coerenti (gli stessi filosofi buddisti considerano questo scopo di massima priorità), poi vediamo dove queste ci portano.

Citazione di: Apeiron il 21 Febbraio 2018, 10:22:05 AM
CitazioneRilancio. Io sostengo che il concetto stesso di "oggetto perfettamente semplice che non interagisce con nulla" non sia tanto una chimera metafisica, ma un nonsenso.


Mah, qui non sono d'accordo  ;D  secondo te quando i fisici parlano di "elettrone come particella libera" dicono non-sensi?
L'elettrone libero è un concetto massimamente astratto (massimamente convenzionale?) che identificherebbe un oggetto che comunque non è perfettamente indipendente da tutto il resto: l'elettrone è nato in qualche modo e l'elettrone è comunque soggetto alle leggi fondamentali della fisica (se, per esempio, la legge di conservazione della carica elettrica cessasse di valere, allora la vita di quell'elettrone potrebbe prendere una piega molto diversa...). Inoltre, l'elettrone libero presuppone uno spaziotempo "vuoto" in cui muoversi... e sappiamo che lo spaziotempo non è più un concetto banale come una volta. In più, tale elettrone ha una massa (a riposo) e un raggio, quindi è possibile concepire sottoparti di tale elettrone. Oltre al fatto che nel concetto stesso di "elettrone" è implicito tutta una serie di comportamenti quando questo interagisce con qualcosa, e sono proprio questi controfattuali che definiscono qualcosa come "elettrone". L'elettrone libero è un concetto fittizio che ha un'utilità pratica ma è sensato solo nella misura nella quale quell'elettrone poi lo si concepisce interagente con altre particelle. Altrimenti si rischia di perdere pure le sensatezza di velocità, massa a riposo, carica elettrica, ecc...


Citazione di: Apeiron il 21 Febbraio 2018, 10:22:05 AM
Tuttavia se chiediamo come è la "realtà" dietro ogni convenzione non possiamo avere una risposta "sensata": anche la risposta in fin dei conti sarebbe "convenzionale".  [...]
Era solo per farti considerare che dal loro punto di vista quando comprendiamo che la "verità convenzionale" è convenzionale dovremmo "distaccarci" da essa. Non esserne più dipendenti. Forse con questa osservazione ti sarà più chiaro perchè molti finiscono per andare a parlare di "verità ultima inespressibile"  ;)
Ma questo non ti fa suonare un campanellone d'allarme? Come scrivevo sopra, riguardo alla contraddizione, questo non ti fa sorgere il dubbio che tutta questa teoria della verità ultima e della verità convenzionale sia insensata? Un teoria che porta alla contraddizione e subito dopo all'inesprimibilità...

Come ho già detto, non noti anche a tu che una verità ultima (una proposizione vera che concerne una realtà dove nulla interagiscono con alcunché) è proprio una concettualizzazione al massimo grado? Cioè il contrario di dove si vorrebbe andare...

Poi consideriamo anche questo problema: il collegamento tra verità convenzionale e verità ultima. Come possiamo pensare che "dietro" alle verità convenzionali ci siano le verità ultime, cioè che in qualche modo le verità ultime causino (o spieghino) le verità convenzionali? Tale collegamento è precluso aprioristicamente proprio per com'è caratterizzata la verità ultima... Quindi, ancora, considerare le verità ultime dietro alle verità convenzionali illusorie è un nonsense.

Perché continuare allora ad ostinarsi a dividere le verità in due, dove una verità è simile ad un'illusione mentre l'altra è la verità più nobile e autentica ma irraggiungibile o raggiungibile solo da persone considerate illuminate (che poi comunque non potrebbero esprimere tale concetto)? Le dicotomie perfette sono sempre sospette, ancora di più poi se un elemento della dicotomia è più bello/autentico/vero/superiore/figo dell'altro.
Perché non accettare, invece, l'idea più semplice e genuina che ho proposto per la mia collezione di fumetti che vi sono più modi possibili e legittimi di catalogare la realtà, ma che non vi è un modo di catalogare della realtà secondo un criterio scelto dalla realtà stessa? Tale criterio non c'è perché tale concetto non ha proprio senso.

La mia visione generale su questa questione è sostanzialmente quella di Hilary Putnam, chiamata in vari modi: "realismo pluralistico", "pluralismo concettuale", o altro ancora. Purtroppo tale tesi la si trova principalmente su libri e articoli ma poco online gratis. Però una sua presentazione c'è a questa pagina: https://www.cairn.info/revue-internationale-de-philosophie-2001-4-page-417.htm

Apeiron

#107
Cit. epicurus
Grazie del consiglio di lettura, mi ricordo vagamente di essermi imbattuto anche in questo pensatore, ma i ricordi sono vaghi e quindi ci ritornerò sopra.  

In realtà di lui ho letto solo "letteratura secondaria". Però da quanto ho capito è vicino alla tua posizione...

Tornando alla tua osservazione, non vi è alcun paradosso perché lo stesso concetto di "verità", non è un concetto divino, calati dall'altro, immutabile e definito da un dio o dalla realtà stessa. Pure tale concetto è aperto e assume sgnificati specifici in vari contesti. Consideriamo, ad esempio, come l'uso di "vero" in "è vero che 2+2=4" è assai diverso da "è vero che il mio fatto è salito sul divano". Possiamo poi pensare discorsi estetici o etici dove potrebbe non comparire il concetto di vero; ma non solo: anche il famoso esempio di gioco linguistico di Wittgenstein dei muratori (in cui usano il linguaggio per passarsi mattoni, pilastri, lastre e travi) non prevede il concetto di "vero".

Inoltre, assumere che ci siano affinità e collegamenti tra diversi "contesti concettuali" non è affatto da vedere con preoccupazione, anzi, è assolutamente normale e aspettato. I motivi, penso, sono due: a) la realtà è una sola; b) malgrado il cambiamento di schemi concettuali (dovuto ad interessi epistemici differenti), l'uomo è sempre l'uomo, non abbiamo a che fare con enti senzienti radicalmente alieni. Da qui si hanno contesti concettuali con somiglianze, intersezioni e contaminazioni. D'altro canto anche i contesti concettuali sono aperti e modificabili.


Sul fatto che ci siano più "tipi" di verità sono d'accordo. Chiaramente una proposizione empirica e una proposizione matematica non sono la stessa cosa e quindi effettivamente non c'è alcun paradosso. Il problema è quando consideri, per esempio, proposizioni sulla realtà. Se per esempio 10 osservatori guardano una montagna da prospettive diverse tutti vedranno una cosa diversa. Se uno dei dieci osservatori dice "anche le altre osservazioni sono prospettiche" allora la sua "verità" non è valida solo nella sua prospettiva ma anche per l'altrui. Quindi non si può dire che il fatto che abbiamo una certa prospettiva sulla realtà significa che non possiamo parlare delle altre. Lo stesso per le "verità convenzionali" secondo i buddhisti. Non è che siano "errate" il problema è che dipendono da come si guarda la realtà. Ma non appena si capisce questo, si "trascende" per così dire la "verità convenzionale", comprendendo appunto che è prospettica, un tipo di ritaglio.




Ritorniamo al nodo del problema. Io dico "tu stai facendo dei ritagli della realtà, non stai parlando della verità ultima": è questo frutto di un ritaglio della realtà, oppure è una verità ultima? Se sì (come tu sostieni), allora la tua tesi cade nella contraddizione. Non si può trovare una contraddizione in una teoria e poi dire "ah, be', questo dimostra solo che la teoria ti porta all'inesprimibilità, e l'inesprimibilità è bene". E' una soluzione troppo comoda e, allo stesso tempo, troppo scomoda: non solo le contraddizione diverrebbero possibili, ma, anzi, diverrebbero verità e prova di una verità ultima dietro di essa.

Prima di tutto cerchiamo di trovare delle teorie coerenti (gli stessi filosofi buddisti considerano questo scopo di massima priorità), poi vediamo dove queste ci portano.


Qui sollevi il paradosso  ;D se io mi accorgo che posso fare solo "mappe" e dico che "le mappe sono mappe" sono anche costretto a dire che per accorgermi di ciò sto usando un'altra mappa. E che quindi anche la distinzione tra "verità ultima" e "verità convenzionale" a rigore è un'altra sovrapposizione che mettiamo noi. Tornando all'esempio della montagna... se mi accorgo che tutti i punti di osservazione mi danno una prospettiva parziale e incompleta della stessa, ciò non significa che ci sia una prospettiva che "le includa tutte" (la "verità ultima"). In realtà è anche lecito pensare che di prospettive ce ne siano moltissime, tutte convenzionali. Ma dire una cosa del genere è una verità convenzionale o ultima? In realtà... convenzionale, secondo Nagarjuna. La vacuità della vacuità ovvero riconoscere che tra tutte queste prospettive non esiste una "preferenziale".


L'elettrone libero è un concetto massimamente astratto (massimamente convenzionale?) che identificherebbe un oggetto che comunque non è perfettamente indipendente da tutto il resto: l'elettrone è nato in qualche modo e l'elettrone è comunque soggetto alle leggi fondamentali della fisica (se, per esempio, la legge di conservazione della carica elettrica cessasse di valere, allora la vita di quell'elettrone potrebbe prendere una piega molto diversa...). Inoltre, l'elettrone libero presuppone uno spaziotempo "vuoto" in cui muoversi... e sappiamo che lo spaziotempo non è più un concetto banale come una volta. In più, tale elettrone ha una massa (a riposo) e un raggio, quindi è possibile concepire sottoparti di tale elettrone. Oltre al fatto che nel concetto stesso di "elettrone" è implicito tutta una serie di comportamenti quando questo interagisce con qualcosa, e sono proprio questi controfattuali che definiscono qualcosa come "elettrone". L'elettrone libero è un concetto fittizio che ha un'utilità pratica ma è sensato solo nella misura nella quale quell'elettrone poi lo si concepisce interagente con altre particelle. Altrimenti si rischia di perdere pure le sensatezza di velocità, massa a riposo, carica elettrica, ecc...

Ok, ma questo non significa che l'elettrone libero sia un concetto insensato. Semplicemente è un concetto ben comprensibile e "astratto". Inoltre se lui fosse l'unica particella nell'universo sarebbe "immortale". DI per sé è un concetto sensato. Sono d'accordo che in realtà di particelle libere non esistono, tuttavia ciò non significa che non si possono pensare  ;)  



Ma questo non ti fa suonare un campanellone d'allarme? Come scrivevo sopra, riguardo alla contraddizione, questo non ti fa sorgere il dubbio che tutta questa teoria della verità ultima e della verità convenzionale sia insensata? Un teoria che porta alla contraddizione e subito dopo all'inesprimibilità...

Come ho già detto, non noti anche a tu che una verità ultima (una proposizione vera che concerne una realtà dove nulla interagiscono con alcunché) è proprio una concettualizzazione al massimo grado? Cioè il contrario di dove si vorrebbe andare...

Poi consideriamo anche questo problema: il collegamento tra verità convenzionale e verità ultima. Come possiamo pensare che "dietro" alle verità convenzionali ci siano le verità ultime, cioè che in qualche modo le verità ultime causino (o spieghino) le verità convenzionali? Tale collegamento è precluso aprioristicamente proprio per com'è caratterizzata la verità ultima... Quindi, ancora, considerare le verità ultime dietro alle verità convenzionali illusorie è un nonsense.


Se non posso esprimeere una verità ultima dietro la verità convenzionale, allora la verità ultima è che la verità convenzionale (il "ritaglio") è convenzionale. Se non è possibile esprimere una verità ultima che spieghi quelle convenzionali non rimane altro che riconoscere le verità convenzionli come convenzionali. Ovvero il Silenzio. Questa è la "trascendenza" per Nagarjuna: la fine della proliferazione concettuale.
La "verità ultima" è inespressibile perchè è ciò che rimane quando "abbandoni" tutte le convenzioni. Ovvero finisci di creare mappe e ti godi il territorio, il paesaggio. La dicotomia però c'è. In genere (nel nostro profondo) crediamo che la verità "convenzionale" sia ultima. Quello che il Madhyamaka sta dicendo è che in realtà dobbiamo comprendere che ogni verità che possiamo esprimere è convenzionale, che la "vacuità" ci è servita come concetto per dimostrare che ogni verità che diceva di essere ultima, in realtà o è inconsistente o è arbitraria e che nemmeno la vacuità è una verità ultima. A questo punto non rimane che il Silenzio, la "verità inespressibile", la pura contemplazione ecc...
Il Madhyamaka quindi ha usato la vacuità come strumento per "liberarsi". Se nemmeno essa è la verità ultima, allora ciò che rimane è il puro silenzio!


Grazie per il link, comunque e per il "realismo pluralistico". Ci penserò.

P.S. Altro esempio:
1) L'acqua a 100°C al livello del mare non bolle. ("falso")
2) L'acqua a 100°C al livello del mare bolle. ("verità convenzionale", "ritaglio"...)
3) A livello atomico non esiste il concetto di temperatura o di transizione di fase, quello che avviene è un aumento dell'energia cinetica degli atomi ("verità convenzionale", "ritaglio").
4) (3) è più vera di (2) perrchè è più fondamentale ("falso" perchè stiamo giudicando la verità di una proposizione con criteri diversi)
5) (2) e (3) sono verità nel loro ambito di validità. Vero!
6) (2) e (3) sono entrambe verità ultime, descrivono le "cose come sono". Falso, visto che sono "ritagli".
7) Non esiste una "verità superiore" formulabile dalla quale si possono ricavare sia (2) che (3).
8 ) allo stesso tempo però dobbiamo ammettere che (2) e (3) sono verità prospettiche, ritagli.
9) ne consegue che possiamo solo formulare verità prospettiche. Ma siccome ci accorgiamo della loro parzialità, esse sono incomplete. Dire che descrivono il fenomeno come esso è è dire il falso, perchè esprimono solo una verità parziale.
10) Per apprendere il fenomeno così come è, dobbiamo fermarci nell'analisi.

Leggi anche se ti va https://plato.stanford.edu/entries/madhyamaka/

"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Eutidemo

Io la vedo girare senza alcun dubbio SEMPRE A DESTRA, cioè in senso orario. ;D
Ho anche usato il trucco dello specchio suggerito nel LINK fornitoci gentilmente da Cannata*, ma sempre a destra la vedo girare!!! ::)
Come è possibile?
Qualcuno sa suggerirmi un altro metodo, per vederla ruotare in senso antiorario?

* "I was unable to switch directions (clockwise only), until holding it up to a mirror. When I held my laptop in front of mirror, I saw it still moving clockwise. Once I removed it from the mirror I saw it spinning anti-clockwise. After doing this, I only need to think of a mirror for it to switch directions every 180 degrees. By thinking of the mirror over my couch I can change the direction of the rotation. This is a very strange and cool experience"

Angelo Cannata

Dipende da cosa guardi. Nella pagina che avevo indicato

https://en.wikipedia.org/wiki/Talk:Spinning_Dancer

bisogna guardare l'immagine facendo attenzione alla linea bianca che è stata aggiunta tra una coscia e l'altra. È l'aggiunta di quella linea a costringere la mente a non poter più pensare come le pare e piace. Più precisamente, la seguente immagine in movimento

https://en.wikipedia.org/wiki/Talk:Spinning_Dancer#/media/File:Right_spinning_dancer.gif

non può essere considerata come rotante in senso orario, per chi guardi la danzatrice dall'alto: la linea bianca disegnata costringe la mente a considerarla rotante in senso antiorario.

Nelle immagini in cui la linea bianca non c'è, è la mente a supplirla, a immaginarla a suo piacimento, e quindi può avvenire il fenomeno di non riuscire a vederla girare in senso opposto a quello in cui ci sembra più istintivo vederla.

Eutidemo

Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 09:58:50 AM
Dipende da cosa guardi. Nella pagina che avevo indicato

https://en.wikipedia.org/wiki/Talk:Spinning_Dancer

bisogna guardare l'immagine facendo attenzione alla linea bianca che è stata aggiunta tra una coscia e l'altra. È l'aggiunta di quella linea a costringere la mente a non poter più pensare come le pare e piace. Più precisamente, la seguente immagine in movimento

https://en.wikipedia.org/wiki/Talk:Spinning_Dancer#/media/File:Right_spinning_dancer.gif

non può essere considerata come rotante in senso orario, per chi guardi la danzatrice dall'alto: la linea bianca disegnata costringe la mente a considerarla rotante in senso antiorario.

Nelle immagini in cui la linea bianca non c'è, è la mente a supplirla, a immaginarla a suo piacimento, e quindi può avvenire il fenomeno di non riuscire a vederla girare in senso opposto a quello in cui ci sembra più istintivo vederla.


Grazie, ho capito :)
Adesso ci provo ;)

Eutidemo

Ho provato anche col metodo suggerito da Cannata, ma io vedo la ballerina ruotare  sempre in senso orario; non c'è niente da fare! ::)
Allora, per verificare in quale direzione "EFFETTIVAMENTE" ruota la ballerina, ho preso le istantanee di quattro "frames" cronologicamente sequenziali; e risulta che essa gira "inequivocabilmente" a DESTRA, in senso orario...e non in senso antiorario come può sembrare a qualcuno per una illusione ottica! ;)

C'è poco da fare: il piede è sequenzialmente:
-  prima sulle 9 (mia prima istantanea);
-  poi sulle 12 ( (mia seconda istantanea);
-  poi sulle 3 (mia terza istantanea);
-  poi sulle 6 (mia quarta istantanea);
e così via, esattamente come le lancette di un orologio!
Per cui, secondo me, l'asserzione di FDISA per cui: "Ogni verità è una credenza", andrebbe a mio parere modificata nel seguente modo: "Ogni credenza resta tale se non può essere sperimentalmente dimostrata, mentre diventa una verità se si riesce a dimostrare sperimentalmente che è tale." (possibilimente, in modo ripetuto, statistico, e con il metodo del "doppio cieco").  :)
Ovviamente questo vale per il mondo "fenomenico", e, soprattutto, a livello "macroscopico", cosiddetto "newtoniano"; a livello "microscopico" delle particelle subatomiche, invece, in taluni casi entra in gioco il "principio d'indeterminazione di Heisenberg".
Molti confondono i due livelli, con esiti concettualmente "esiziali"; perchè non si possono mescolare le mele con le pere, nè i "quanta" con i cocomeri!
Peraltro, quanto sopra vale per l'aspetto "fenome ;D nico" (macro e micro) della realtà, mentre, per quanto concerne quello "noumenico" il discorso è COMPLETAMENTE diverso; ma non intendo trattarne qui, perchè andrei decisamente "off topic". ;)

Angelo Cannata

Citazione di: Eutidemo il 25 Febbraio 2018, 14:05:25 PM
C'è poco da fare: il piede è sequenzialmente:
Sì, ma quale piede, il destro o il sinistro? È proprio lì l'ambiguità. Invece le versioni con linea bianca costringono la mente a non poter stabilire a piacimento di quale piede si tratta.

Eutidemo

COROLLARIO
Chiedo umilmente VENIA, perchè, riguardo alla ballerina, ho scritto una "cappellata" colossale! ;D  ;D  ;D
Ed infatti, non è possibile verificare in quale direzione ruoti "EFFETTIVAMENTE" la ballerina, in quanto, trattandosi di un'OMBRA, le mie istantanee non dimostrano assolutamente NIENTE; considerato, cioè, che la posizione 12 e 6 sono di fatto intercambiabili! ;)
Per cui, il fatto che la ballerina a me "sembri" girare a destra, visto che la mia dimostrazione non è valida, resta una mera "credenza"; la quale vale "esattamente" come la credenza opposta, e, cioè, che giri verso sinistra. :)
Resta fermo, però, (ed è anzi convalidato), il mio successivo discorso: e, cioè, che "Ogni credenza -come la mia riguardo alla ballerina- resta tale se non può essere sperimentalmente dimostrata, mentre diventa una verità se si riesce a dimostrare sperimentalmente che è tale." (possibilimente, in modo ripetuto, statistico, e con il metodo del "doppio cieco").  :) 

Eutidemo

Scusa, Cannata...ho inviato il mio "corollario" prima di leggere il tuo post. ::)
Ora verifico anche con la linea bianca che dici tu; ma, effettivamente, anche senza linea bianca non credo che sia possibile dimostrare l'EFFETTIVA direzione in cui ruota la ballerina.
Non con il mio metodo dei "frames", almeno! :-[

Angelo Cannata

Certo, senza linea bianca non è possibile, perché la figura può essere interpretata col piede destro che sta a terra e l'altro che gira, oppure col sinistro che sta a terra e il destro che gira. La linea bianca, a seconda di come viene segnata, costringe forzatamente la mente a stabilire che il piede che sta a terra è obbligatoriamente il destro oppure obbligatoriamente il sinistro.

Riguardo alle credenze, gli esperimenti valgono in ambito scientifico, ma non in ambito filosofico, perché la filosofia è più esigente della scienza. La filosofia ci fa osservare che qualsiasi esperimento è pur sempre soggettivo perché alla fine l'ultima parola siamo sempre noi a darla, cioè noi soggetti. Siamo noi a stabilire che 2+2 fa quattro; anche quando ci accorgiamo che il fare 4 è confermato da tanti altri tipi di calcoli e prove, ogni calcolo e ogni prova viene alla fine pur sempre valutato dalla nostra mente, quindi alla fine è sempre la nostra mente la quale, per verificare la propria affidabilità, non può fare a meno di ottenere risposte che in realtà vengono ultimamente fornite da essa stessa. Siamo tutti sempre nella situazione dell'oste: oste, com'è il vino? L'oste ti dice che è buono, perché è lui a produrlo. Non c'è verità che non sia inquinata dall'intervento della nostra mente.

Apeiron

@epicurus,

interessanti le idee di Putman!

Comunque sono ancora dell'idea che pur essendoci più "verità" dovute a come si ritaglia la Realtà, ciò non toglie che ci sia la Realtà appunto  ;D 

il problema è quando si pretende che che queste visioni parziali diano la totalità! Ovvero quando si scambia la coda dell'elefante per l'elefante, per intenderci  ;) 
Se si vuole andare oltre alla totalità, non resta che... smettere di cercare di rinchiudere tutta la realtà in una concettualizzazione.

"su ciò di cui non si puo parlare si deve tacere" (Wittgenstein)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

epicurus

Parto dalla questione specifica dell'elettrone libero, poi mi concentro sulla questione generale.

Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2018, 11:14:25 AM
L'elettrone libero è un concetto massimamente astratto (massimamente convenzionale?) che identificherebbe un oggetto che comunque non è perfettamente indipendente da tutto il resto: l'elettrone è nato in qualche modo e l'elettrone è comunque soggetto alle leggi fondamentali della fisica (se, per esempio, la legge di conservazione della carica elettrica cessasse di valere, allora la vita di quell'elettrone potrebbe prendere una piega molto diversa...). Inoltre, l'elettrone libero presuppone uno spaziotempo "vuoto" in cui muoversi... e sappiamo che lo spaziotempo non è più un concetto banale come una volta. In più, tale elettrone ha una massa (a riposo) e un raggio, quindi è possibile concepire sottoparti di tale elettrone. Oltre al fatto che nel concetto stesso di "elettrone" è implicito tutta una serie di comportamenti quando questo interagisce con qualcosa, e sono proprio questi controfattuali che definiscono qualcosa come "elettrone". L'elettrone libero è un concetto fittizio che ha un'utilità pratica ma è sensato solo nella misura nella quale quell'elettrone poi lo si concepisce interagente con altre particelle. Altrimenti si rischia di perdere pure le sensatezza di velocità, massa a riposo, carica elettrica, ecc...

Ok, ma questo non significa che l'elettrone libero sia un concetto insensato. Semplicemente è un concetto ben comprensibile e "astratto". Inoltre se lui fosse l'unica particella nell'universo sarebbe "immortale". DI per sé è un concetto sensato. Sono d'accordo che in realtà di particelle libere non esistono, tuttavia ciò non significa che non si possono pensare  ;) 
Nel mio passo che tu citi non sono riuscito a spiegare bene quello che intendevo. Infatti non era mia intenzione dire che "elettrone libero" è un nonsense. Io dicevo che è un nonsense il concetto di "ente perfettamente indipendente e semplice", ma, in quel passo, ho spiegato perché tale etichetta non si può applicare all'elettrone libero. Non si può applicare perché l'elettrone libero non è perfettamente semplice (ha una massa e una dimensione) e non è perfettamente indipendente (è comunque stato generato, è sotto il dominio delle leggi fisiche e dipende da un particolare tipo di spaziotempo). Inoltre la definizione dell'elettrone è anche controfattuale, cioè come si comporterebbe se si trovasse in alcune circostanze anziché altre. Se ci fosse solo un elettrone nell'universo (e questa situazione rimanesse tale per sempre), quello non sarebbe un elettrone.

Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2018, 11:14:25 AM
Tornando alla tua osservazione, non vi è alcun paradosso perché lo stesso concetto di "verità", non è un concetto divino, calati dall'altro, immutabile e definito da un dio o dalla realtà stessa. Pure tale concetto è aperto e assume sgnificati specifici in vari contesti. Consideriamo, ad esempio, come l'uso di "vero" in "è vero che 2+2=4" è assai diverso da "è vero che il mio fatto è salito sul divano". Possiamo poi pensare discorsi estetici o etici dove potrebbe non comparire il concetto di vero; ma non solo: anche il famoso esempio di gioco linguistico di Wittgenstein dei muratori (in cui usano il linguaggio per passarsi mattoni, pilastri, lastre e travi) non prevede il concetto di "vero".

Inoltre, assumere che ci siano affinità e collegamenti tra diversi "contesti concettuali" non è affatto da vedere con preoccupazione, anzi, è assolutamente normale e aspettato. I motivi, penso, sono due: a) la realtà è una sola; b) malgrado il cambiamento di schemi concettuali (dovuto ad interessi epistemici differenti), l'uomo è sempre l'uomo, non abbiamo a che fare con enti senzienti radicalmente alieni. Da qui si hanno contesti concettuali con somiglianze, intersezioni e contaminazioni. D'altro canto anche i contesti concettuali sono aperti e modificabili.


Sul fatto che ci siano più "tipi" di verità sono d'accordo. Chiaramente una proposizione empirica e una proposizione matematica non sono la stessa cosa e quindi effettivamente non c'è alcun paradosso. Il problema è quando consideri, per esempio, proposizioni sulla realtà. Se per esempio 10 osservatori guardano una montagna da prospettive diverse tutti vedranno una cosa diversa. Se uno dei dieci osservatori dice "anche le altre osservazioni sono prospettiche" allora la sua "verità" non è valida solo nella sua prospettiva ma anche per l'altrui. Quindi non si può dire che il fatto che abbiamo una certa prospettiva sulla realtà significa che non possiamo parlare delle altre. Lo stesso per le "verità convenzionali" secondo i buddhisti. Non è che siano "errate" il problema è che dipendono da come si guarda la realtà. Ma non appena si capisce questo, si "trascende" per così dire la "verità convenzionale", comprendendo appunto che è prospettica, un tipo di ritaglio.
Attenzione però a non confondere la mia tesi del pluralismo concettuale con un'altra. Io non parlo di generiche prospettive, altrimenti si ricade nell'esempio (che non mi rappresenta) che fai tu della montagna. Non è che basta che ci siano 10 persone diverse e 1 montagna che abbiamo già 10 prospettive vere non riducibili tra loro. Io parlo di schemi concettuali che formano "contesti concettuali", non differenzio per singola testa. La mia tesi non è che 10 persone sono in posizioni diverse quindi disegnano la stessa montagna in modi diversi. Non affermo questo.

Prendiamo l'essere umano. Possiamo considerarlo come un agente intenzionale e dire "Marco vuole comprare un gelato"; oppure come un agente razionale e dire "Per Marco il pay-off di 'Comprare un gelato' ha un valore significativo non nullo"; oppure la biologia parlerà di molecole ed evoluzione, oppure la fisica parlerà di particelle; ecc... E ogni proposizione ha senso (e fa pare di una rete inferenziale) proprio in virtù del fatto di essere dentro un dato contesto concettuale. Questo io intendo quando dico che ci sono più descrizioni vere e (potenzialmente) non riducibili tra loro. Non c'è nulla da trascendere, perché la realtà è qui di fronte a noi e spetta a noi scegliere che schemi concettuali usare per descriverla.

E quindi non c'è alcuna contraddizione. La biologia dice una cosa, la psicologia ne dice un'altra, tutto qui. Non sono descrizioni prospettiche, o meglio, tale termine potrebbe essere forviante: preferisco evitare l'etichetta sintetica e spiegare la cosa nel dettaglio come sto facendo.

Tu allora potresti dire (e, con altre parole, lo hai detto): "Ma la tua tesi del pluralismo concettuale non è forse un voler parlare oltre ai confini di quello che ti è concesso?". No, al contrario di quanto tu affermi, ciò non porta ad una contraddizione. Il discorso che stiamo facendo è, ovviamente, anche questo un discorso collocato in un contesto concettuale, che potremmo chiamare "discorso filosofico". Ma questa tesi non ricade in contraddizioni perché le diverse descrizioni del mio pluralismo non sono descrizioni illusorie (in qualche modo false), ma sono tutte descrizioni vere.

D'altro canto, la tua tesi si basa su una distinzione che la tesi stessa definisce in sostanza falsa. Mi ripeto: non c'è modo poetico per tamponare la contraddizione, una contraddizione è una contraddizione. E, come dicevo, anche per i filosofi buddisti una contraddizione indica una tesi falsa.

Tu dici che se si può solo parlare usando mappe, allora il dire "le mappe sono mappe" è una mappa a sua volta. Io dico: certo che lo è, ma questa non è una contraddizione. La contraddizione emerge quando tu affermi una cosa come: "si può parlare solo usando mappe" e poi aggiungi "si può parlare usando mappe ma anche non usandole". Ecco la contraddizione.

Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2018, 11:14:25 AM
Ma questo non ti fa suonare un campanellone d'allarme? Come scrivevo sopra, riguardo alla contraddizione, questo non ti fa sorgere il dubbio che tutta questa teoria della verità ultima e della verità convenzionale sia insensata? Un teoria che porta alla contraddizione e subito dopo all'inesprimibilità...

Come ho già detto, non noti anche a tu che una verità ultima (una proposizione vera che concerne una realtà dove nulla interagiscono con alcunché) è proprio una concettualizzazione al massimo grado? Cioè il contrario di dove si vorrebbe andare...

Poi consideriamo anche questo problema: il collegamento tra verità convenzionale e verità ultima. Come possiamo pensare che "dietro" alle verità convenzionali ci siano le verità ultime, cioè che in qualche modo le verità ultime causino (o spieghino) le verità convenzionali? Tale collegamento è precluso aprioristicamente proprio per com'è caratterizzata la verità ultima... Quindi, ancora, considerare le verità ultime dietro alle verità convenzionali illusorie è un nonsense.


Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2018, 11:14:25 AM
Se non posso esprimeere una verità ultima dietro la verità convenzionale, allora la verità ultima è che la verità convenzionale (il "ritaglio") è convenzionale.
No, significa che i concetti dicotomici verità ultima/verità convenzionale sono mal formulati, vista la contraddizione. Se non puoi esprimere qualcosa, allora non la puoi esprime, non è che poi la esprimi. :D 

Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2018, 11:14:25 AM
Se non è possibile esprimere una verità ultima che spieghi quelle convenzionali non rimane altro che riconoscere le verità convenzionli come convenzionali.
O rigettare tale dicotomia. ;D

Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2018, 11:14:25 AMOvvero il Silenzio. Questa è la "trascendenza" per Nagarjuna: la fine della proliferazione concettuale.
La "verità ultima" è inespressibile perchè è ciò che rimane quando "abbandoni" tutte le convenzioni. Ovvero finisci di creare mappe e ti godi il territorio, il paesaggio.
Come per la collezione di fumetti non esiste una catalogazione più vera di altre (perché "scelta dalla collezione stessa"), così è anche per tutto il resto della realtà: non esiste una catalogazione della realtà scelta dalla realtà stessa. E non è che non c'è perché una legge fisica lo vieti o perché noi poveri umani siamo limitati... non c'è perché ciò è un concetto senza senso.

I problemi della tua tesi sono molteplici. Primo fra tutti, come dicevo, è contraddittoria. Secondo, è inutilmente ingombrante perché deve coinvolgere verità inesprimibili. Terzo, manca di potere esplicativo.

Spiego il terzo punto. Manca di potere esplicativo perché il silenzio, ovviamente, non spiega nulla, non può essere una risposta. La verità ultima non spiega nulla perché è inesprimibile e pure il collegamento tra la verità ultima e la verità convenzionale è inesprimibile. La verità ultima è un "universo" non solo completamente slegato dal nostro ma anche inesprimibile. Se voglio sapere perché mia mamma sbatte la porta, perché il bitcoin è troppo volatile, come può volare il calabrone, com'è fatta la Terra e come si muove rispetto al sole, come funzionano i protocolli di posta elettronica, ecc., la verità ultima non serve a nulla.

La verità ultima è logicamente impossibile, metafisicamente ingombrante e non ci dice nulla del nostro mondo... non so proprio di cosa farmene.  ;D

epicurus

Citazione di: Apeiron il 25 Febbraio 2018, 23:29:06 PM
@epicurus,
interessanti le idee di Putman!
Mi fa piacere tu le abbia trovate interessanti. Purtroppo lì sono espresse in modo sintetico.

Citazione di: Apeiron il 25 Febbraio 2018, 23:29:06 PMComunque sono ancora dell'idea che pur essendoci più "verità" dovute a come si ritaglia la Realtà, ciò non toglie che ci sia la Realtà appunto  ;D
Su questo concordo io e concorda anche Putnam. :D

Citazione di: Apeiron il 25 Febbraio 2018, 23:29:06 PMil problema è quando si pretende che che queste visioni parziali diano la totalità!
Io non credo che tutte queste descrizioni diano la totalità. Il concetto stesso di "descrizione totale della realtà" non ha senso per la mia tesi, come puoi immaginare. Visto che il numero di contesti concettuali non è fisso, ma aperto alla creatività e all'intelligenza dell'uomo.

Citazione di: Apeiron il 25 Febbraio 2018, 23:29:06 PMSe si vuole andare oltre alla totalità, non resta che... smettere di cercare di rinchiudere tutta la realtà in una concettualizzazione.
Riformulo quanto da te detto sopra e lo rigiro a te: il problema è quando si pretende di andare oltre la totalità (o anche solo volerla raggiungere).  ;D

Citazione di: Apeiron il 25 Febbraio 2018, 23:29:06 PM"su ciò di cui non si puo parlare si deve tacere" (Wittgenstein)
Se tu non dicessi nulla sulla questione, non avessi una tesi, allora saresti coerente. Ma invece ne hai di cose da dire.  ;D

Eutidemo

Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 14:49:00 PM
Certo, senza linea bianca non è possibile, perché la figura può essere interpretata col piede destro che sta a terra e l'altro che gira, oppure col sinistro che sta a terra e il destro che gira. La linea bianca, a seconda di come viene segnata, costringe forzatamente la mente a stabilire che il piede che sta a terra è obbligatoriamente il destro oppure obbligatoriamente il sinistro.

Riguardo alle credenze, gli esperimenti valgono in ambito scientifico, ma non in ambito filosofico, perché la filosofia è più esigente della scienza. La filosofia ci fa osservare che qualsiasi esperimento è pur sempre soggettivo perché alla fine l'ultima parola siamo sempre noi a darla, cioè noi soggetti. Siamo noi a stabilire che 2+2 fa quattro; anche quando ci accorgiamo che il fare 4 è confermato da tanti altri tipi di calcoli e prove, ogni calcolo e ogni prova viene alla fine pur sempre valutato dalla nostra mente, quindi alla fine è sempre la nostra mente la quale, per verificare la propria affidabilità, non può fare a meno di ottenere risposte che in realtà vengono ultimamente fornite da essa stessa. Siamo tutti sempre nella situazione dell'oste: oste, com'è il vino? L'oste ti dice che è buono, perché è lui a produrlo. Non c'è verità che non sia inquinata dall'intervento della nostra mente.

***
LA BALLERINA
Caro Cannata,
come giustamente osservi tu, senza la linea bianca "di forzatura", la figura può essere interpretata col piede destro che sta a terra e l'altro che gira, oppure col sinistro che sta a terra e il destro che gira; però, la cosa strana è che, sottoponendo al test alcuni amici, quasi tutti tendono (come me) a vedere il movimento in senso orario. 
Eppure, in teoria, senza la linea bianca "di forzatura", non c'è alcun motivo logico per preferire una direzione invece dell'altra; ed allora perchè mai "si tende" a scegliere la direzione sinistra>destra?
Riflettendoci meglio, sempre ammesso che sia universalmente valida la mia minuscola rilevazione "pseudo-statistica" (il che sarebbe da verificare anche in questo "thread"), , secondo me, nel caso di specie, non si tratta di una mera "illusione ottica", come pensavo all'inizio; bensì potrebbe trattarsi di una predisposizione "tendenziale" del cervello umano a concepire il movimento -e non solo quello- da sinistra a destra.
Vi siete mai chiesti, infatti, perchè il rubinetto (come la vite), si ruota da sinistra a destra?
E perchè mai le porte, in genere, si aprano da sinistra a destra?
Ed il motivo per il quale, appunto, le lancette dell'orologio si muovano anche loro da sinistra a destra?
E come mai nella maggior parte dei videogiocchi a scorrimento orizzontale, ci si muove da sinistra verso destra? 
Per non parlare della scrittura (sebbene alcuni popoli scrivano da destra a sinistra e dall'alto in basso)!
Di primo acchito si potrebbe ipotizzare che ciò dipenda dal fatto che l'uomo è prevalentemente "destrorso", pare in conseguenza dell'iper-sviluppo dei centri di Broca e Wernicke; il che giustificherebbe varie cose (tipo l'apertura delle porte), ma non tutto.
Tra l'altro, tale tendenza sinistra-destra non vale solo in ambito "dinamico", ma anche per le immagini "statiche".
A tale riguardo, Peter Walker, docente presso l'Università di Lancaster, ha analizzato migliaia di dipinti e fotografie presenti su "Google Images",  e tale analisi ha confermato quanto già noto, e cioè l'esistenza di una convenzione grafica che "....prevede di rappresentare un soggetto inclinato nella direzione in cui si muove, e di aumentare l'inclinazione per suggerire una maggiore velocità"; ma l'aspetto originale della ricerca è l'avere evidenziato che IL VERSO DELL'INCLINAZIONE E' SEMPRE VERSO DESTRA! 
Stanislas Dehaene, parecchi anni fa, scoprì il cosiddetto "effetto SNARC" (Spatial-Numerical Association of Response Codes), in base al quale pare che il nostro cervello adotti un'organizzazione spaziale delle informazioni legate agli ordini di grandezza, e in particolare che esista una linea numerica mentale che posiziona a sinistra i numeri piccoli e a destra quelli grandi.
Però, a quanto ho visto su INTERNET, esperimenti condotti con individui di cultura araba (che scrivono e leggono da destra verso sinistra) non hanno consentito di fare chiarezza e di la comunità scientifica ancora discute sulla natura biologica e/o culturale dell'effetto SNARC.

***
CREDENZE ED ESPERIMENTI
Caro Cannata,
quanto al fatto che gli esperimenti valgono in ambito scientifico, ma non in ambito filosofico, pur essendo PERFETTAMENTE d'accordo che si tratta di due ambiti separati, non riesco a capire bene il senso di tale affermazione; sarebbe come dire il settebello vale a scopa, ma non a briscola! 
Come noto, invero, fu Galileo Galilei ad applicare per la prima volta il cosiddetto "metodo scientifico sperimentale", e, cioè:
1. Osservare un fenomeno e porsi delle domande.
2. Formulare un'ipotesi, cioè una possibile spiegazione del fenomeno.
3. Compiere un esperimento per verificare se l'ipotesi è corretta.
4. Analizzare i risultati.
5. Ripetere l'esperimento anche in modi diversi, e, soprattutto farlo ripetere da diverse persone (soprattutto da quelle che non ne condividono i risultati).
6. Giungere ad una conclusione e formulare una regola comunemente accettata, in mancanza di validi esperimenti in contrario.
Ma tale metodo, si scontrò con quello "filosofico dell'epoca"!
Per esempio, secondo l'"opinione" della filosofia scolastica allora vigente, i corpi celesti, essendo per logico postulato "perfetti", dovevano essere completamenti sferici e lisci; mentre invece, con il cannocchiale, Galileo si era accorto che la nostra luna è ricca di asperità naturali.
Poichè gli scolastici non ci volevano credere, Galileo  gliele fece vedere con il loro occhi attraverso il cannocchiale...ma quelli rimasero fermi nella loro opinione, sostendo che:
- "se è vero che tale strumento ingrandisce l'immagine, vuol dire che la distorce, per cui quel che fa vedere non è affidabile";
;D

- "anche ammesso che l'immagine sia affidabile, chi ci dice che l'intera superficie della luna non sia ricoperta per parecchi chilometri da una perfetta e glabra sfera trasparente di ghiaccio, che ingloba al suo interno le asperità che noi vediamo"?
;D

Ecco così "filosoficamente" salvata la presunta "perfetta sfericità" dei corpi celesti; come pure il fatto che la terra era ferma, ed il sole gli girava intorno.
Mera questione di contrasto tra opinioni soggettive?
Io non direi!
In realtà, come dicevo all'inizio, i due ambiti, pur essendo connessi, sono nettamente separati: la scienza si occupa della fisica e del mondo fenomenico, cioè della "trama" della realtà, mentre la filosofia si occupa della metafisica e del mondo noumenico, cioè dell'"ordito" della realtà.
Guai a confondere i due livelli: sarebbe come se degli scienziati si sentissero autorizzati a dimostrare sperimentalmente l'esistenza (o l'inesistenza) di Dio, ovvero dei filosofi si sentissero autorizzati a dimostrare l'esistenza (o l'inesistenza) del meccanismo evolutivo.
L'unico autentico ed indispensabile punto di contatto fra le due "aree", è tra quella parte della filosofia detta ETICA, e quella parte della scienza detta TECNOLOGICA; ed infatti, almeno a mio avviso, è lecito ed anzi necessario che la filosofia morale valuti l'impatto etico di certe scoperte, e, soprattutto, di certe invenzioni.
Ma questo è un aspetto specifico e particolare, che non va confuso con quello generale di cui sopra; e che riguarda precipuamente la RICERCA in quanto tale (scientifica e filosofica).
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Alla luce di quanto sopra, passo a commentare le tue affermazioni, alcune condivisibili in pieno, altre meno.
1)
<<La filosofia ci fa osservare che qualsiasi esperimento è pur sempre soggettivo perché alla fine l'ultima parola siamo sempre noi a darla, cioè noi soggetti.>>
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Questo assunto è sicuramente vero, anche se direi che questo ce lo fa osservare il buon senso, ancor prima della filosofia; ed è proprio partendo da tale ovvia considerazione, che il metodo scientifico adotta tutte le cautele possibili ed immaginabili per rendere "il più oggettivo possibile" il risultato di una osservazione o di un esperimento.
Ciò in quanto:
a) Innanzitutto, un esperimento serio, ove possibile, viene sempre effettuato "in cieco o in doppio cieco";  il che descrive un modo per definire un esperimento scientifico dove viene impedito ad alcune delle persone coinvolte di conoscere informazioni che potrebbero portare a effetti di "aspettativa soggettiva", conscia o inconscia, così da invalidarne i risultati .
b) In ogni caso, anche se effettuato con tutte le cautele possibili (tra cui quella di sopra è solo una delle principali), un singolo esperimento vale meno che niente, se non viene confermato altrove anche da altri sperimentatori, tanto meglio se scettici al riguardo.
Tutto questo evita la possibilità di errori?
Sicuramente no.
La limita ad un minimo sostanzialmente irrilevante?
Sicuramente sì.
E quando una cosa è "definitivamente" ed "oggettivamente" dimostrata, l'ultima parola è detta, e non c'è diversa opinione soggettiva che possa smentirla.
Per esempio, il celeberrimo esperimento dell'argento vivo realizzato da Torricelli nella primavera del 1644 a Firenze, dimostrò  che la natura non aborre il vuoto e che l'aria ha un suo peso, a differenza da quanto allora sostenuto dai tolemaici; è una realtà ormai "oggettivamente" accertata, e, chi volesse "soggettivamente" sostenere il contrario, sarebbe ritenuto un imbecille o un ignorante.
E potrei andare avanti con migliaia di altri esempi di esperimenti ed osservazioni che hanno accertato realtà ormai universalmente riconosciute come "oggettive"; e che nessuno può più, ormai, "soggettivamente", contestare, se non passando, appunto, per un imbecille o un ignorante.
2)
<<Siamo noi a stabilire che 2+2 fa quattro; anche quando ci accorgiamo che il fare 4 è confermato da tanti altri tipi di calcoli e prove, ogni calcolo e ogni prova viene alla fine pur sempre valutato dalla nostra mente, quindi alla fine è sempre la nostra mente la quale, per verificare la propria affidabilità, non può fare a meno di ottenere risposte che in realtà vengono ultimamente fornite da essa stessa.>>
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Dire che 2+2 fa quattro non è una verità sperimentale acquisita dalla scienza; la quale, in base agli esperimenti, si occupa soltanto di "giudizi sintetici a posteriori", e non di "giudizi analitici a priori".
Dire che 2+2 fa quattro, infatti (come un po' tutta la matematica), è in fondo una "tautologia"; cioè, come dire che un quadrupede ha quattro zampe: ma, di sicuro, non è una "opinione soggettiva" (come non lo è il resto della matematica)!
3)
<<Siamo tutti sempre nella situazione dell'oste: oste, com'è il vino? L'oste ti dice che è buono, perché è lui a produrlo. Non c'è verità che non sia inquinata dall'intervento della nostra mente.>>
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Anche questo è molto vero, ma se interpretato nel modo sbagliato può essere anche molto fuorviante e pericoloso; ed infatti, se è vero che molte cose sono opinabili, molte altre non lo sono affatto.
Per esempio, se mi faccio la bizzarra opinione di poter volare fuori dalla finestra battendo le braccia come se fossero ali, temo, purtroppo, che farei una brutta fine in pochi secondi; ed infatti, la verità inesorabile della legge di gravità, non è certo modificabile dall'intervento della nostra mente. :D

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