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Relativismo assoluto

Aperto da fdisa, 12 Ottobre 2017, 18:30:48 PM

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Apeiron

#60
Donde evitare di creare nuove polemiche non mi metto a sostenere la metafisica (personalmente non ritengo che la metafisica sia unicamente ciò che pensa Angelo, ma le nostre discussioni in merito non hanno portato a nulla) contro il relativismo (a parte quello ontologico che secondo me è un'altra forma di metafisica per come la intendo io). Quello che faccio è cercare di riassumere l'argomentazione dell'autore del testo (con cui concordo) in poche righe sulle varie forme di "relativismo" che confuta. Spero di riassumere bene... lo faccio per comodità del lettore (non perchè voglio tornare a discutere di questo argomento, almeno per ora). Se eventualmente qualcuno si accorge che non ho capito l'argomentazione dell'autore del link, lo faccia presente ;)

RELATIVISMO EPISTEMOLOGICO (o "cognitivo"...)
In questo caso la posizione è che in sostanza ogni verità è prospettica (Protagora, ad esempio) o "soggettiva". Il problema è che dire "non ci sono verità universali ma solo soggettive" ci fa (se vogliamo ancora usare la logica...) concludere che o anche la frase "non ci sono verità universali ma solo soggettive" contiene una verità soggettiva oppure che essa è una verità universale. Nel secondo caso allora non è più relativismo, nel primo caso la posizione diventa auto-contraddittoria in quanto in fin dei conti si cerca di parlare di altre prospettive quando in realtà a rigore non si potrebbe uscire dalla propria. Non a caso si dice che la propria è una prospettiva e che la propria "visione del mondo" dipende da certi condizionamenti. La stessa affermazione "non ci sono verità universali ma solo soggettive" viene esposta da un soggetto che è condizionato da certe cose piuttosto che altre e quindi anche tale affermazione è a sua volta prospettica e quindi a rigore è auto-contraddittoria perchè parla anche delle altre prospettive utilizzando la propria (e siccome la verità dipende da prospettiva a prospettiva anche la stessa affermazione "non ci sono verità universali ma solo soggettive" è dichiarata da una prospettiva e quindi a rigore non può dire nulla su altre prospettive per quanto espresso dalla posizione stesa). Se infatti la verità dipende dalla prospettiva allora anche l'affermazione ritenuta vera "la verità dipende dalla prospettiva" è a sua volta detta in una prospettiva e non può valere per tutte. Ergo questa posizione che spesso è dichiarata essere meglio delle altre è in fin dei conti inconsistente.

RELATIVISMO LINGUISTICO
In questo caso invece si mette in evidenza il condizionamento del linguaggio. Infatti in fin dei conti anche per filosofare si usa il linguaggio ed è ragionevole pensare che le mappe che ci facciamo sulla realtà dipendono dal linguaggio che usiamo. Il problema però è che estremizzare questa posizione produce un'auto-contraddizione in quanto a questo punto anche la posizione stessa è stata detta in un linguaggio specifico e quindi diviene essa stessa relativa. Quindi in nessun modo può essere presa come una verità valida per tutti i linguaggi (o tutte le grammatiche) e quindi è inconsistente.

RELATIVISMO CULTURALE
Qui il condizionamento è dato dalla cultura. Ci sono culture diverse e esse hanno valori diversi. Da qui si deduce che anche la "verità" e i valori sono dipendenti dal contesto. Il punto è che la stessa posizione viene - a rigore - fatta in un certo contesto ed ergo non può valere - a priori - negli altri contesti. Tuttavia si dice che "i valori dipendono dalla cultura in cui si è"... dicendo questo però si tenta di affermare una "verità" che vale anche per altre culture - inconsistente.

RELATIVISMO ETICO
Questa è la parte più "scottante". Empiricamente (sic!!!) osserviamo che la gente ha una miriade di opinioni su ciò che è "giusto" e ciò che è "sbagliato". Il relativismo etico afferma: "il concetto di giusto varia da soggetto (o comunità) a soggetto (o comunità), non ci possono essere valori universali". Il problema qui è più sottile perchè il relativismo etico ha anch'esso una miriade di posizioni. Una è l'a-moralismo, la negazione che sia possibile definire il concetto di "giusto". Questa posizione ha una miriade di difficoltà pratiche: se non è possibile definire il concetto di "giusto" allora ne segue che l'etica stessa è illusoria, non si possono fare giudizi e quindi A RIGORE non si può nemmeno affermare che "i peggiori crimini sono ingiusti".  Il relativismo etico solito invece dice che "giusto e ingiusto dipendono da soggetto a soggetto": qui però si ha lo stesso problema del relativismo cognitivo, ovvero che se tale posizione è presa per vera allora implica l'esistenza di una meta-prospettiva che sappia dire cosa è giusto per uno e cosa è giusto per l'altro. Inoltre ha lo stesso problema dell'a-moralismo. Se non si ammette che certe azioni sono ingiuste certamente come fa notare @Angelo si elimina il problema di "ostracizzare" per motivi indimostrati certi comportamenti ma allo stesso tempo ciò toglie qualsiasi giustificazione razionale a ritenere che certe azioni sono effettivamente "crimini" (con le ovvie conseguenze del caso). Ergo se il relativismo etico può effettivamente "vantare" la tolleranza in quanto non impone ad un soggetto X l'etica di un altro soggetto Y a rigore non dà alcuna giustificazione sul fatto che certe azioni sono effettivamente "crimini" e quindi di fatto cade nell'a-moralismo.  Ma come ha detto @sgiombo in altri lidi: relativismo =/= tolleranza, rifiuto del relativismo =/= intolleranza. Anche perchè per un relativista a rigore non c'è alcun motivo per cui un relativista può essere o meno tollerante.

RELATIVISMO STORICO
La verità (o i valori) dipende dal contesto storico. Tuttavia se ciò è vero, tale frase è stata pronunciata in un determinato contesto storico e quindi non vale per ogni contesto storico. Quindi il relativismo che dice che invece la verità muta nella storia è inconsistente.

PER TUTTE LE VARIANTI
Se il relativismo vuole presentarsi come posizione "migliore" delle altre e deve convincere gli altri ci sono due problemi. Se è definita migliore introduce una gerarchia che contraddice il relativismo stesso (in quanto se c'è la gerarchia si introduce qualcosa che non è relativo). Se cerca di convincere gli altri diventa una verità universale ma appunto se diventa una verità universale il relativismo è falso.

Secondo me questi tipi di relativismi sono confutati (i primi tre utilizzando un'argomentazione logica), il quarto invece più che altro da un punto di vista pratico (confutazione che ha senso visto che l'etica in fin dei conti è pratica) ma non solo.

Visti questi problemi i proponenti del relativismo devono anch'essi - se sono appunto disposti a fare auto-critica - cercare di risolvere tali obiezioni. Ad oggi non ho trovato alcuna risposta soddisfacente e quindi il relativismo non "mi convince". Anche perchè tali "vie di fuga" o sono anch'esse inconsistenti (dichiarando di non esserlo) o si risolvono nel rifiuto della logica stessa (e se uno rifiuta la logica non è possibile argomentare) oppure assumono una forma di solipsismo epistemologico ("posso conoscere solo ciò che è della mia prospettiva. Non faccio affermazioni sulla prospettiva altrui.") che secondo me ha i suoi problemi.

Detto questo lascio la palla chi ha voglia di discutere di queste obiezioni al relativsmo. A me cercare di confutare una posizione che è già stata (a mio giudizio, ovviamente, con le argomentazioni che ho scritto sopra) confutata non interessa più. Chi vuole continuare a discutere lo faccia, lascio volentieri l'ultima parola.

.

Buona discussione a tutti

P.S. L'autore della pagina web citata fa attacchi ad hominem. Non era mia intenzione essere d'accordo a fare attacchi ad hominem e spero che siano stati ignorati dai lettori. Ergo vorrei che chi legge i link che ho postato non prendesse ciò che dice l'autore con la mia opinione sulla cosa.

Inoltre quando ho parlato di "edificante" mi riferivo al fatto che la polemica spesso non lo è. Se in queste discussioni ho offeso qualcuno o ho usato un linguaggio non adatto al Forum me ne scuso con l'Hotel Logos. Non era comunque intenzionale.

Viceversa non ho perso l'interesse per il relativismo ontologico ma quello è un altro paio di maniche!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Citazione di: Apeiron il 09 Gennaio 2018, 15:17:47 PM
Visti questi problemi i proponenti del relativismo devono anch'essi - se sono appunto disposti a fare auto-critica - cercare di risolvere tali obiezioni. Ad oggi non ho trovato alcuna risposta soddisfacente e quindi il relativismo non "mi convince". Anche perchè tali "vie di fuga" o sono anch'esse inconsistenti (dichiarando di non esserlo) o si risolvono nel rifiuto della logica stessa (e se uno rifiuta la logica non è possibile argomentare) oppure assumono una forma di solipsismo epistemologico ("posso conoscere solo ciò che è della mia prospettiva. Non faccio affermazioni sulla prospettiva altrui.") che secondo me ha i suoi problemi.
Ho già dato da parte mia la risposta alle obiezioni: tutti i tipi di relativismo elencati sono ritratti di un relativismo statico, che fa affermazioni categoriche, che giunge a conclusioni definitive. D'altra parte, chi non riesce a pensare in modo non metafisico non può comprendere il relativismo in altro modo che in questo.

Chi dovrebbe rispondere alle obiezioni è la metafisica, perché è la metafisica a fare affermazioni, mentre il relativismo le obietta che in tali affermazioni viene ignorato il soggetto. Fino ad oggi le sole risposte che ho visto dare da parte dei metafisici sono di questo tipo:

- evasione dall'obiezione posta dal relativismo: i metafisici tirano in ballo mille argomenti collaterali, ma mai si confrontano di petto con la questione centrale: l'ignoranza del soggetto;
- pura semplice ripetizione delle affermazioni metafisiche: è così perché è così;
- agitazione di pericoli, timori, paure: il relativismo non può essere accettato perché creerebbe disordini, anarchia, pericoli, mancanza di princìpi etici, crisi dei valori, mancanza di fondamenti e via dicendo; su questo ho già obiettato facendo riferimento alla barzelletta dei carabinieri che preferiscono cercare le chiavi perdute nei posti in cui è più rassicurante cercarle, e non nel luogo buio e pericoloso dove le hanno sentite cadere;
- valutazioni che non entrano nel tema, del tipo "questo discorso non vale niente...", "quest'altro non va bene...", "quello non è intelligente..."; ma questa è una cosa che è possibile fare con qualsiasi argomento senza neanche prendersi la briga di conoscerlo;
- irritazioni, nervosismo, spostamento del discorso sul piano personale.

Aspetto di conoscere qualche metafisico che affronti di petto, senza evasioni, senza mezzi termini, senza cambiare discorso, l'accusa che la metafisica ignora il soggetto.

In questo senso è curioso che sia la metafisica a fare obiezioni al relativismo, come se prima di ciò non fosse stato il relativismo a porle alla metafisica, senza mai avere risposte. Le obiezioni del relativismo alla metafisica sono precedenti per il semplice fatto che ho detto prima: il relativismo non è altro che metafisica che si sforza di essere corretta, e come tale si confronta di petto con il problema di prendere in considerazione il soggetto.

baylham

A ben guardare ogni concetto di verità è soggetto alla contraddizione, suppongo per l'autoreferenzialità delle affermazioni sulla verità. 

Comunque la logica non è uno strumento del tutto adeguato alla conoscenza della realtà. In questo senso trovo che la concezione relativistica sia più realistica delle altre.

Phil

Citazione di: Angelo Cannata il 09 Gennaio 2018, 16:04:16 PM
Aspetto di conoscere qualche metafisico che affronti di petto, senza evasioni, senza mezzi termini, senza cambiare discorso, l'accusa che la metafisica ignora il soggetto.
Non sono un metafisico (fino a prova contraria  ;D ), né esperto di metafisica, ma sostenere che la metafisica ignora il soggetto potrebbe far pensare che la metafisica non se ne sia mai occupata o lo abbia snobbato, il che mi pare storicamente falso (almeno stando alla storia della filosofia, all'antropologia filosofica e ai suoi manuali...  ;) ). 
Sui modi in cui la metafisica ha tematizzato e problematizzato il soggetto, si può certamente non concordare, tuttavia, se non erro, il soggetto è un tema trattato esplicitamente della metafisica (da S. Agostino a Pascal, da Cartesio a Fichte, etc.).

Angelo Cannata

#64
Bisogna vedere in che modo viene trattato. Ovviamente io non mi riferisco al soggetto trattato come oggetto. Se si parla, ad esempio, del problema della conoscenza, del modo in cui il soggetto conosce gli oggetti, in realtà il soggetto viene oggettivizzato, perché il filosofo lo considera comunque in un modo indipendente dal discorso stesso che egli sta facendo.
Considerare il soggetto in maniera non oggettivizzata significa che chi fa un discorso qualsiasi deve tenere in considerazione che egli, come soggetto, è implicato nel discorso che sta facendo e dunque lo sta condizionando.
Ad esempio io in questo messaggio ho parlato di soggetto, ma finora ne ho parlato anch'io in maniera oggettivizzata. Ne parlo in maniera non oggettivizzata quando comincio a parlare di me stesso in quanto qui, ora, nelle cose che sto scrivendo, mentre le sto scrivendo, sono coinvolto e le sto condizionando con tutto il mio essere.
Se tu vuoi pensare a te come soggetto non oggettivizzato devi pensare a te che in questo momento, mentre stai leggendo queste parole, le stai condizionando con la tua mentalità, le caratteristiche del tuo cervello, tutto il tuo essere.
Se qualcuno vuole rispondere a questo messaggio e vuole considerare il soggetto in maniera non oggettivizzata, dovrà pensare a sé stesso nel suo presente, mentre sta scrivendo la risposta e la condizionando attraverso il proprio essere.

È questa la scintilla che fa nascere il relativismo, non è il considerare il soggetto come qualcosa di diverso dal sé del proprio presente e in quanto condizionante l'azione del proprio presente.

Angelo Cannata

#65
È questo il meccanismo che Gesù riuscì a far scattare quando disse "Chi è senza peccato scagli la prima pietra", come dire "Chi riesce a dimostrare di non essere un soggetto, il quale, nel momento in cui lancia la pietra (oggetto = ob-iectum = lanciato contro, proprio come la pietra che volevano lanciare) è coinvolto nella pietra che sta lanciando, la lanci, cioè parli di oggettività".
In un attimo li fece diventare tutti relativisti.

Phil

Citazione di: Angelo Cannata il 10 Gennaio 2018, 01:56:00 AM
Bisogna vedere in che modo viene trattato.
Esatto, e (mal)trattarlo è il contrario di ignorarlo... secondo me, non c'è un solo modo possibile e legittimo di pensare al soggetto, coinvolgendolo nel filosofare, ma ce ne sono molti (questo può essere relativismo... affermare invece che chi non inquadra in un certo modo il soggetto, ignora il soggetto, è una posizione piuttosto forte, non trovi? ;) ).

Se "rimproveriamo" ai non-relativisti di aver pensato al soggetto in modo non-relativista (tautologicamente!), significa che non riusciamo a "vedere" la loro prospettiva dall'interno, ma la giudichiamo dall'esterno con i nostri criteri vincolanti... che non mi pare sia un gesto distintivo del relativismo  :)

Citazione di: Angelo Cannata il 10 Gennaio 2018, 01:56:00 AM
Ne parlo in maniera non oggettivizzata quando comincio a parlare di me stesso in quanto qui, ora, nelle cose che sto scrivendo, mentre le sto scrivendo, sono coinvolto e le sto condizionando con tutto il mio essere.
Se tu vuoi pensare a te come soggetto non oggettivizzato devi pensare a te che in questo momento, mentre stai leggendo queste parole, le stai condizionando con la tua mentalità, le caratteristiche del tuo cervello, tutto il tuo essere.
Quel "mentre", se preso alla lettera, propone uno sdoppiamento forse impossibile: riesci a pensare a te che scrivi la risposta e contemporaneamente pensare a ciò che stai scrivendo, oppure per riflettere seriamente sui condizionamenti interiori ed esteriori del tuo scrivere, devi smettere per un attimo di scrivere?
Se invece è un "mentre" più duraturo, che contempla fasi alterne di scrittura e auto-riflessione, non è necessariamente l'innesco tipico del relativismo: pensa all'introspezione degli esistenzialisti, ad esempio a Kierkegaard; era ben presente soggettivamente ("anima e core" ;D ) in ciò che scriveva, pur non essendo affatto relativista.

Citazione di: Angelo Cannata il 10 Gennaio 2018, 01:56:00 AM
Se qualcuno vuole rispondere a questo messaggio e vuole considerare il soggetto in maniera non oggettivizzata, dovrà pensare a sé stesso nel suo presente, mentre sta scrivendo la risposta e la condizionando attraverso il proprio essere.
[Riecco quell'ambiguo "mentre" :) ]
Eppure quando "penso a x", "x" diventa oggetto del mio pensare; se penso a me, alla mia mentalità, al mio essere qui ed ora, tutti questi elementi sono comunque oggetti del mio pensare a loro.
C'è il mio pensare, l'io-penso (attività) e c'è ciò che il pensiero tematizza (oggetto dell'attività): si pensa sempre a qualcosa, anche quando dirigo l'attività pensante verso aspetti che mi caratterizzano, li oggettivizzo inevitabilmente, pur riflettendo(mi)ci.

Citazione di: Angelo Cannata il 10 Gennaio 2018, 01:56:00 AM
È questa la scintilla che fa nascere il relativismo, non è il considerare il soggetto come qualcosa di diverso dal sé del proprio presente e in quanto condizionante l'azione del proprio presente.
Qui, più che il relativismo, affiora tra le righe quel "solipsismo epistemologico" a cui, se non ricordo male, si riferiva Apeiron...

Angelo Cannata

Certo, un relativista non può presentare la sua prospettiva come unica; è sufficiente considerare la mia come quella che io qui e ora considero la più adeguata allo scopo di prendere atto della propria soggettività.

Riguardo alla questione del "mentre", sono d'accordo sul fatto che nel pensare la propria soggettività, anche nel proprio presente, "mentre" la si realizza, ci sia comunque un atto di oggettivazione. Ritengo però che pensarvi nel proprio presente crei una specie di circolo virtuoso, ciò riconduce in continuazione, con insistenza, alla consapevolezza del proprio condizionare ogni pensiero, incluso lo stesso pensiero riguardante l'autocondizionarsi. Invece, nel momento in cui il metafisico pensa alle dinamiche soggettive senza pensare al suo proprio presente, mi sembra che si trovi più a rischio di applicare i suoi concetti dimenticando che proprio nell'applicarli li sta già soggettivizzando.

In sintesi quindi sono d'accordo con le tue obiezioni, ma mi sembra che la via che ho indicato resti la migliore, la più efficace.

fdisa

Sono rimasto un po' indietro, evidentemente le notifiche non mi arrivano, mi aggiorno presto sulla discussione.

Nel frattempo, una versione più ampia e argomentata di questo breve saggio è stata pubblicata qua, se vi interessa.

È in inglese, se volete posso pubblicare una traduzione. La comunità della fondazione FQXi inoltre è una fonte interessante di materiali che spero possano destare la vostra curiosità, per chi non la conoscesse già.

Apeiron

#69
@fdisa,

sono riusicito a risponderti solo ora.

Ho letto con interesse il tuo articolo. E ti ringrazio di averlo pubblicato su Logos.  Devo dire però che in effetti mi ha lasciato un po' perplesso alla fine (limite mio probabilmente  ;) ). Motivo per cui vorrei chiederti un chiarimanto.

A pagina 7 citi Nagarjuna (Mūlamadhyamakakārikā, 18-19) - traduzione mia:

"18
Qualsiasi cosa esiste per genesi dipendente,
è stato spiegato essere vacuità [vacuità = non-esistenza di una "essenza intrinseca" *].
Essa [la vacuità] essendo una desingazione dipendente [verità convenzionale?]
è la Via di Mezzo stessa [=la Via di Mezzo  è l'insegnamento del Buddha, secondo Nagarjuna]
19
Qualcosa che non esiste per genesi dipendente,
tale cosa non esiste [ovvero tutte le cose esistono per genesi dipendente e quindi sono vuote],
Perciò non esiste una cosa non vuota."

*Nota sul concetto di "essenza intrinseca". Per il lettore: Nagarjuna sostiene che una cosa ha una identità se e solo se esiste in modo incondizionato, ovvero se esiste indipendentemente da altro. Per esempio il concetto filosofico di "Dio" è incondizionato. Una fiamma dipendendo dalla presenza di combustibile e comburente, no. Per Nagarjuna una fiamma non ha qualcosa che le dà un'identità e tutte le cose esistono in modo condizionato, ergo tutto è "vuoto di essenza intrinseca", ovvero nulla esiste in modo indipendente e quindi identità stabili non possono essere trovate. Questa fu poi la posizione presa dalla scuola Madhyamaka  del buddhismo Mahayana.



Un ragionamento analogo lo fai tu. Per esempio dici che la velocità di un corpo ha un valore che dipende dal sistema di riferimento ecc. Fisici come Rovelli sostengono che tutta l'esistenza sia relazionale, ovvero che non esistono "enti" indipendenti, proprio come sosteneva Nagarjuna. Ovviamente se tutta l'esistenza è fatta in questo modo allora anche le nostre prospettive sul mondo non sono assolute, indipendenti, incondizionate ecc



Ergo sia per @fdisa che per Nagarjuna tutta l'esistenza è relazione. Ma proprio nella conclusione c'è una cosa che non capisco: in sostanza finisci per rigettare il principio di non-contraddizione, dicendo che dove esso non vale allora la frase "ogni verità è relativa" non è paradossale. E qui sta per me il problema che invalida tutto quanto. Ovvero perchè rigettarlo solo adesso? In fin dei conti dal tuo articolo ho letto che la velocità, il rosso ecc ma anche cose concrete come l'acqua ecc sono relazioni. Fin qui la tua prospettiva è consistente: ovvero semplicemente dici che ogni cosa è relazione (il Relazionalismo Ontologico di cui parlavamo). Poi però non ti limiti a questo, passi ad analizzare il valore epistemologico delle tue affermazioni, confondendo secondo me "verità" e "realtà" (ovvero "mappa" e "territorio"), e sostieni che allora ogni "verità" è "opinione", come dicevano tra l'altro i sofisti. Perchè passare all'epistemologia?


In sostanza, ok poniamo che tu abbia ragione e che tutte le cose siano relazioni. Ci può stare. Dire però che "tutte le cose sono relazioni" non significa dire che "tutte le verità sono opinioni", ma semplicemente significa dire una verità universale (che a meno che uno non sia platonico o simie non ritiene essere una "realtà") sulla realtà. Dire poi che "la vacuità", ovvero che tutto esiste in modo dipendente, ovviamente non ha un'esistenza intrinseca: in fin dei conti se dico che in una stanza non ci sono rinoceronti (parafrasando Russell e Wittgenstein  ;D ) non significa affermare l'esistenza di una "cosa" che corrisponde alla proprietà di "assenza di rinoceronti". Sinceramente non vedo tutto questo problema di passare dall'ontologia (intesa come creazione di mappe, concettualizzazioni, sul territorio, realtà) all'epistemologia, parlando della "relazionalità" delle verità. Sinceramente non andrei oltre all'ontologico.



Ma è anche vero che lo stesso Nagarjuna è stato interpretato in modo simile a quanto dici tu. Ma la cosa non ha prodotto altro che "sofismi". Se tu per esempio mi dici che "ogni verità è opinione (o credenza)" cadi come ben dici tu in contraddizione. Per "cavartela" assumi che il principio di non-contraddizione può non valere. Ma a questo punto che senso ha discutere se in modo aribitrario diciamo che la regola con cui si discute e con cui si cerca di conoscere la realtà (anche al solo livello di mappe e territori, senza niente di "troppo metafisico") ad un certo punto non vale più. In sostanza così chiudi il dibattito ma non hai dimostrato che hai ragione. Semplicemente dichiari di aver vinto, sostenendo che ciò che ti contraddice in fin dei conti non vale. Non voglio ovviamente essere polemico ma non riesco a capire questo tuo passaggio dall'ontologia all'epistemologia (ne avevamo tra l'altro discusso tempo fa e mi sembravi d'accordo sulla questione)  ;)



Ti segnalo però che c'è un'interpretazione scettica di Nagarjuna. Ovvero che lui criticava la nostra capacità di concettualizzare la realtà: ovvero che ogni nostra descrizione della realtà è convenzionale, non ci sono descrizioni ultime. Per esempio sempre Nagarjuna nella stessa opera afferma:


"Coloro che creano costrutti sul Buddha,
che è oltre ogni costrutto e senza esaurimento (nota mia: cosa vuol dire "esaurimento"?),
sono danneggiati dai loro costrutti:
Non riescono a vedere il Tathagatha (nota mia: sinonimo il Buddha).

Quella che è la natura del Tathagatha
è la natura di questo mondo.
Non c'è natura del Tathagatha.
Non c'è natura del mondo."


In questa interpretazione Nagarjuna sta rigettando il pensiero "essenzialistico" e sta dicendo che "la vacuità è vuota" perchè nessuna descrizione potrà mai comprendere la realtà. Questo tipo di pensiero, per esempio, appare anche in occidente. Per esempio molti pensatori cristiani dicono che Dio è ineffabile, oltre ogni concetto ecc. Nagarjuna sembra applicarlo anche a tutta la realtà, compresa quella quotidiana. In sostanza perfino descrivere una sedia è impossibile. (Segnalo di nuovo questa pagina in inglese, http://www.friesian.com/undecd-1.htm). In questo senso la filosofia di Nagarjuna è simile a quella scettica dell'Antica Grecia (= il pirronismo). E questo ha senso, dal punto di vista soteriologico del buddhismo: in fin dei conti il nirvana è la cessazione del "prapanca", ovvero della "proliferazione concettuale". Se si "trascende" (uso questa parola in quanto se non è un "trascendere" è un nichilismo) la concettualizzazione in fin dei conti si raggiunge la calma, non si distingue più tra "io" e "non-io", "interno" ed "esterno" ecc. Forse questa interpretazione scettica è ancora più fondata di quella ontologica, per quanto riguarda Nagarjuna. Su questo sempre Nagarjuna dice che "la vacuità è liberarsi da ogni opinione", idea estremamente simile a quella di Pirrone, per esempio ;)



Oppure si può arrivare alle logiche para-consistenti, vedi https://aeon.co/essays/the-logic-of-buddhist-philosophy-goes-beyond-simple-truth. Il problema di questo tipo di logiche è che in realtà non rifiutano il principio di non contraddizione per quanto riguarda la verità (e quindi l'epistemologia): infatti se io dico, per esempio, "è vero che il fiume esiste e non esiste" non dico "è vero e falso che...". In sostanza il principio di non contraddizione non può applicarsi alla verità, per definizione di "verità". Altrimenti togliendolo, l'argomentazione è priva di senso e si generano sofismi (ovviamente non sono d'accordo con Priest, l'autore dell'articolo, quando "invalida" il principio di non contraddizione nei riguardi verità - secondo me esso è un a-priori di ogni argomentazione ecc).

Sul fatto che Nagarjuna non era un relativista "epistemologico" secondo me è sufficiente dire che credeva all'esistenza dei 31 piani di rinascita (e che la vita in ciascuno di essi fosse limitata nel tempo, impermanente - "anicca" e quindi causa di sofferenza e "dukkha") ma soprattutto nel karma (e quindi in particolare l'etica era universale.).
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

fdisa

Grazie per la tua lettura e risposta!

> Ergo sia per @fdisa che per Nagarjuna tutta l'esistenza è relazione. Ma proprio nella conclusione c'è una cosa che non capisco: in sostanza finisci per rigettare il principio di non-contraddizione, dicendo che dove esso non vale allora la frase "ogni verità è relativa" non è paradossale. E qui sta per me il problema che invalida tutto quanto. Ovvero perchè rigettarlo solo adesso? In fin dei conti dal tuo articolo ho letto che la velocità, il rosso ecc ma anche cose concrete come l'acqua ecc sono relazioni. Fin qui la tua prospettiva è consistente: ovvero semplicemente dici che ogni cosa è relazione (il Relazionalismo Ontologico di cui parlavamo). Poi però non ti limiti a questo, passi ad analizzare il valore epistemologico delle tue affermazioni, confondendo secondo me "verità" e "realtà" (ovvero "mappa" e "territorio"), e sostieni che allora ogni "verità" è "opinione", come dicevano tra l'altro i sofisti. Perchè passare all'epistemologia?

Hai ragione, devo ammettere che l'ordine dovrebbe essere inverso; l'articolo è un adattamento di un lavoro in corso che è stato un po' frettoloso, per via della scadenza del bando, e ho dovuto piegarlo alle sue esigenze. Se si legge prima la dichiarazione epistemologica (tutte le verità sono relative) e poi quella ontologica (tutte le COSE sono relative) forse acquista più linearità. È per questo che nel teso ho inserito un forzoso "facciamo un passo indietro...".

> Ma è anche vero che lo stesso Nagarjuna è stato interpretato in modo simile a quanto dici tu. Ma la cosa non ha prodotto altro che "sofismi". Se tu per esempio mi dici che "ogni verità è opinione (o credenza)" cadi come ben dici tu in contraddizione. Per "cavartela" assumi che il principio di non-contraddizione può non valere. Ma a questo punto che senso ha discutere se in modo aribitrario diciamo che la regola con cui si discute e con cui si cerca di conoscere la realtà (anche al solo livello di mappe e territori, senza niente di "troppo metafisico") ad un certo punto non vale più. In sostanza così chiudi il dibattito ma non hai dimostrato che hai ragione. Semplicemente dichiari di aver vinto, sostenendo che ciò che ti contraddice in fin dei conti non vale. Non voglio ovviamente essere polemico ma non riesco a capire questo tuo passaggio dall'ontologia all'epistemologia (ne avevamo tra l'altro discusso tempo fa e mi sembravi d'accordo sulla questione) 

Il mio procedimento è in realtà simile a quello della "vacuità della vacuità". Il passaggio molto schematicamente è "ogni verità è relativa" > "è relativo che ogni verità è relativa?" > ""è relativo che ogni verità è relativa?" è relativo" > ecc.

Questa è un'affermazione epistemologica. Ma se con N. affermo che non solo ogni verità, ma ogni cosa è relativa, il discorso vale pari pari dal punto di vista ontologico.

In generale, per la maggioranza è più difficile mandare giù la questione ontologica che epistemologica, per questo ho toccato anche quella...

Apeiron

@fdisa grazie della risposta!

Personalmente sono molto più perplesso dal relativismo epistemico di quello ontologico. Il primo nega le verità universali (con ogni conseguenza possibile). Se è vero il primo infatti anche "tutte le cose sono vuote" è una contraddizione, una falsità. Il secondo invece dice che "tutte le cose sono vuote", dice una verità universale e non ha alcuna contraddizione  ;) 

Secondo me quello ontologico è molto più profondo e interessante. E credo che sia quello che ad esempio Rovelli espone nella sua teoria relazionale  :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Il_Dubbio

il relativismo assoluto vuol dire che: la somma dei relativi è assoluta

la ballerina gira a destra o a sinistra o, ugualmente e senza contraddizione, gira in entrambi i sensi.

Qualcuno diceva che le cose nascono per un qualche tipo di relazione e non c'è nulla di assoluto. Ma le relazioni causano dei relativi. A parte il fatto che il meccanismo di relazione deve pur essere un assoluto (altrimenti non avremmo alcuna relazione),  in ogni caso ogni relativo è vero perchè fa parte di un insieme di relativi. L'insieme ha un valore assoluto.

Le nostre verità soggette ai nostri principi, per esempio di non contraddizione, fanno parte di sottoinsiemi. Ad esempio se diciamo tutti che la Luna brilla nel cielo e nessuno ha mai messo in dubbio questa verità, vuol dire che il sottoinsieme delle verità relative riguardanti la Luna sono vere. Nulla vieta di supporre una verità assoluta dove la Luna è assente nella visione assoluta nell'insieme dei relativi.

Angelo Cannata

Com'è possibile parlare di assoluto, visto che, appena lo pensiamo, lo stiamo già facendo dipendere dalla nostra mente? Assoluto da cosa?

Apeiron

@fdisa forse ho generato un po' di confusione.

L'esistenza relativa significa che una cosa non esiste per sé stessa ma come conseguenza di altro. Per esempio un albero esiste in conseguenza dell'attività solare, del seme ecc quindi non esiste indipendentemente dal resto delle cose. Per Nagarjuna ciò significa che esso è "vuoto" di "esistenza intrinseca" e quindi di "identità". Il che è un ragionamento interessante, in fin dei conti. Il relativismo ontologico dice che tutte le cose sono come l'albero, ovvero esistono grazie a determinate condizioni.

Il fatto che la "vacuità" sia vuota secondo me singifica semplicemente che anche il relativismo ontologico è una mappa, ovvero è un modello ontologico. Ma se ogni cosa in fin dei conti è priva di una identità proprio (perchè non può esseere pensata separata dal resto) allora segue chiaramente che in un certo senso "non esiste". In sostanza a livello "fondamentale" non c'è nessun "ente" e la vacuità stessa è una semplice mappa. Mappa che però per Nagarjuna è certamente la migliore. Tuttavia di per sé il relativismo è una "verità universale" (e NON assoluta...).

Dire che però Nagarjuna, per esempio, fosse un relativista epistemico è dire un'altra cosa. In sostanza mentre per Nagarjuna tutti i soggetti se liberi dall'illusione (avidya) concordano sul fatto che la mappa del relativismo ontologico è la migliore (e quindi anche sul fatto che nessun ente in realtà esiste - "no-thingness", nessuna cosa...). Il relativismo epistemico però è una posizione ben diversa: una mappa universale non ci può essere. Il punto è che dire questo significa cadere in contraddizione. Ma a questo punto non c'è più alcun criterio per capire cosa è vero e cosa non lo è ecc. Questa è la differenza tra i due relativismi. Per un relativista epistemico è impossibile che tutti i soggetti concordino che è vero il relativismo ontologico (o "genesi dipendente" o "vacuità").

Ma è anche vero che forse Nagarjuna aveva intenzione di "trascendere" anche la posizione del "no-thingness", andando oltre ogni opinione. Trascendendo quindi ogni "opinione" si sarebbe raggiunta l'imperturbabilità (ma ciò significa che la "realtà" non può essere concettualizzata... ma ciò non toglie che la "vacuità" sia la migliore mappa).

Quindi mentre l'ontologia riguarda la creazione di modelli sulla realtà, l'epistemologia riguarda il rapporto tra modelli e realtà. Dire che però nessun modello riesce ad "afferrare" la realtà-così-com'è è ben diverso da dire che non esistono modelli migliori di altri, che non esiste un modello migliore di tutti ecc. Anzi è una posizione molto radicale e ha un obbiettivo preciso: l'imperturbabilità (un po' come Pirrone, il quale tra l'altro forse è stato influenzato da alcuni monaci indiani). Ma non credo proprio che Nagarjuna rifiutasse il principio di non-contraddizione: in fin dei conti la sua religione (il buddhismo) mira alla realizzazione della "realtà-così-come-è"... Non direbbe mai che non è possibile realizzarla  :) 

Non so se mi sono spiegato meglio
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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