Re:I postulanti dell'Assoluto - Approfondimenti.

Aperto da atomista non pentito, 12 Settembre 2020, 21:53:49 PM

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Jacopus

Oltre la religione e più in profondità di essa, l'assoluto è il primo vagito della cultura.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Aumkaara

#256

Citazione di: Ipazia il 19 Ottobre 2020, 23:04:09 PMHomo sapiens è animale assai immaginifico. Di fronte alle difficoltà della sua condizione reale si inventa una dualità tra bene e male, paradiso e inferno, nirvana e samsara. Gli è difficile accettare il mondo così com'è, come appare nella sua assoluta evidenza di vita e morte... Vi è una differenza sostanziale tra gli inferni/paradisi dell'immaginario e della pratica religiosa rispetto alle figure omologhe generate dalla tecnoscienza: l'immaginario che anima la religione, postulando l'assoluto, non ha limiti, ed ogni crimine in nome di Dio, viene legittimato. Cosa che nessun despota o regime dispotico immanente si può concedere: i dittatori passano, inquisitori e tagliagole restano.
Sì, tagliagole e inquisitori restano, e si adattano alla situazione: se trovano laicità e tecnoscenza, proseguono la loro opera in esse. Magari più sottilmente, o meno direttamente (gli schiavi in città non sono più accettabili? Schiavizzano altri paesi. Non sarà poi sufficiente che siano lontani? Li deportano qui chiamandoli immigrati e "risorsa umana". Ecc.).
Strano però come bene-male, paradiso-inferno, ecc. siano considerate immaginifiche, mentre vita-morte no. Se la dualità è un'invenzione umana, anche questa non può essere definita evidenza o dato di fatto, non importa quanto i sensi si lascino convincere quando hanno un neonato o un cadavere davanti a sé: se dovessimo basarci sulle evidenze dei sensi, il sole girerebbe ancora intorno a noi.


CitazioneSpannometria fenomenologica, non degna di chi disdegna le apparenze. Per giunta farlocche come in questo bias.
Cioè non è vero che c'è in tutti una propensione agli stessi sentimenti dei religiosi? Al contrario, è dimostrato continuamente, da me quando ad esempio cercavo in qualche modo un Assoluto, da te ogni volta che ti fermi ad un dato di fatto ontologizzandolo.


Citazione
Altro non sequitur. Ciò che appare ha una sua legittima, anche quando è ingannevole, dignità ontologica. Ci voleva una ideologia specifica, appunto religiosa, per trasformare il moto apparente del sole in una guerra di religione. Le ideologie immanenti sono un tantino più razionali anche nella cattiveria.
È la giustifizione degli inquisitori: "la nostra visione è più giusta di quella delle altre regioni, giustifica anche la nostra violenza". Stavolta invece di essere posto come degno un trascendente più o meno costruito a tavolino, è posto come degno un immanente illogico, perché pone come ontologica l'apparenza del sole che gira intorno a noi. Di nuovo viene proposto un universo a scaglioni tutti reali: la sezione in cui la Terra gira intorno al Sole e la sezione del Sole che gira in torno alla Terra. Una pluralità tutta reale, invece che una serie di punti di vista. È molto platonico: tutti i nostri punti di vista avrebbero un fondamento ontologico, sarebbero simulacri di Idee con un loro essere reale.


CitazioneE' vero: non si tratta di coraggio, ma del suo precursore, l'innocenza:


Citazione di: F.Nietzsche - La gaia scienza 1886«Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorre arrestarsi animosamente alla superficie, all'increspatura, alla pelle, adorare la parvenza, credere a forme, suoni, parole, all'intero Olimpo della parvenza! Questi Greci erano superficiali – per profondità!»


Profondità limpida come una superficie, non mostro abissale che brama le, indubbiamente solide, fondamenta di una prigione. O di una caserma, dove si allevano shahid educati a perinde ac cadaver secondo l'insegnamento del loro primo generale che recitava: "Datemi un bambino nei primi sette anni di vita e io vi mostrerò l'uomo". Da cui hanno tratto insegnamento anche le madrase islamiste, sempre a rimorchio dei primi della classe in fatto di inumanità...postulante l'Assoluto.
Non è ancora chiaro che neanche io cerco un Assoluto? E che quindi sono molto più lontano di te da un integralista (di una qualunque religione), anche se riesco a parlare il suo linguaggio, visto che non credo assurdamente che la base dei sentimenti che anima lui/lei sia diversa da quella che animava il mio cercare una condizione assoluta, e che anima il tuo credere a punti di vista considerati come dati di fatto ontologici, che neanche la scienza considera tali (per essa sono dati elaborati e sempre confutabili). Infatti riesco a parlare anche con te all'infinito cercando di evitare di contrapporti un qualche punto di vista mio: cerco solo di seguire la tua logica, che mi porta sempre ad analisi di un realismo pluralistico (con una ontologia criptoplatonica, abbiamo appena visto), analisi interrotta da un "fatto bruto" (dogma, quindi) e mai più ripresa (possiamo riprenderla o ricominciarla quando vuoi).

Sono forse più simile io a questi greci descritti da Nietzsche, anche se non mi sono mai molto considerato greco o nietzschiano: per avere l'innocenza di non trincerarsi in una posizione ma sapersi muovere in ogni ambito della superficie, si deve prima (come  lui ha detto fecero i greci) essere profondi. Superficiali per profondità di veduta. E l'unica profondità che non sia mera seriosità o sdegno (verso le religioni, ad esempio) è data dal non ontologizzare (o meglio, non assolutizzare, che sono due cose un po' diverse) nessun punto di vista: non quello della propria cultura etnica, ché altrimenti si diviene fondamentalisti, e non quello delle esperienze sensoriali e scientifiche, perché altrimenti si cade in un platonismo mascherato (sbaglio o il platonismo è uno dei fondamenti, dichiarati o meno, del cristianesimo? Non ci sarebbe da stupirsi: si vive in altra forma le proprie radici culturali, quando le si disprezzano invece di integrarle senza per questo aderirvi). Che non è neanche male, l'ontologia platonica, solo che, oltre a stare attenti a non assolutizzarla, andrebbe applicata ad ogni idea (anche alle più opposte), non solo alla propria.

Ipazia

Come dicevano i vecchi compagni comunisti: non gettiamo via il bambino con l'acqua sporca. In quel caso il bambino era il socialismo reale e l'acqua sporca le sue malefatte. Nel nostro caso il bambino è l'universale platonico e dell'acqua sporca parliamo dopo.

Il bambino ontologizza. Lo fa fin dai tempi delle caverne per distinguere la mamma dalla capra. Ontologizzare è specifica antropologica irrinunciabile, come afferma il più ispirato degli evangelisti che, fatta la tara dell'acqua sporca, proclama: en archè en o logos. L'acqua sporca non è ontologizzare, ma reificare, ovvero imporre ontologie fantastiche come reali. Finchè ontologizzo la mamma, capra, gatto, clava, non falsifico la realtà ma mi limito a darle un nome. Ed anche su questo il testamento ebraico ha le idee chiare. "Qualcosa" fa le cose e l'uomo dà loro un nome.

Il problema nasce quando a quel Qualcosa, senza averne capacità dimostrativa alcuna, si attribuisce uno status di realtà nota, declinandone genealogie, poteri, intenzioni, costringendo alfine altri umani a sottomettersi a questo parto sonnolento della (s)ragione. Questo per me è la religiosità e me ne sono, insieme a qualche altro miliardo di umani, tirata felicemente fuori.

Platone no. Vi era così immerso da avere inventato l'armamentario strumentale e retorico saccheggiato poi dalle religioni occidentali ancora attive. Ma se lo confrontiamo con la spiritualità e l'intelletto della sua epoca, gli si possono perdonare molte cose che oggi sarebbero imperdonabili e prendere atto al contempo che la sua intuizione degli universali è la prima approfondita elaborazione del modo sintetico in cui opera la razionalità umana, innocentemente al di qua del bene e del male.

L'accortezza d'uso è conservare l'universale nelle condizioni onto-epistemologiche corrette, atte ad evitare che si adulteri in tossico feticcio reificato.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Aumkaara

#258
Citazione di: Ipazia il 20 Ottobre 2020, 23:03:03 PM
Come dicevano i vecchi compagni comunisti: non gettiamo via il bambino con l'acqua sporca. In quel caso il bambino era il socialismo reale e l'acqua sporca le sue malefatte. Nel nostro caso il bambino è l'universale platonico e dell'acqua sporca parliamo dopo.

Il bambino ontologizza. Lo fa fin dai tempi delle caverne per distinguere la mamma dalla capra. Ontologizzare è specifica antropologica irrinunciabile, come afferma il più ispirato degli evangelisti che, fatta la tara dell'acqua sporca, proclama: en archè en o logos. L'acqua sporca non è ontologizzare, ma reificare, ovvero imporre ontologie fantastiche come reali. Finchè ontologizzo la mamma, capra, gatto, clava, non falsifico la realtà ma mi limito a darle un nome. Ed anche su questo il testamento ebraico ha le idee chiare. "Qualcosa" fa le cose e l'uomo dà loro un nome.

Il problema nasce quando a quel Qualcosa, senza averne capacità dimostrativa alcuna, si attribuisce uno status di realtà nota, declinandone genealogie, poteri, intenzioni, costringendo alfine altri umani a sottomettersi a questo parto sonnolento della (s)ragione. Questo per me è la religiosità e me ne sono, insieme a qualche altro miliardo di umani, tirata felicemente fuori.

Platone no. Vi era così immerso da avere inventato l'armamentario strumentale e retorico saccheggiato poi dalle religioni occidentali ancora attive. Ma se lo confrontiamo con la spiritualità e l'intelletto della sua epoca, gli si possono perdonare molte cose che oggi sarebbero imperdonabili e prendere atto al contempo che la sua intuizione degli universali è la prima approfondita elaborazione del modo sintetico in cui opera la razionalità umana, innocentemente al di qua del bene e del male.

L'accortezza d'uso è conservare l'universale nelle condizioni onto-epistemologiche corrette, atte ad evitare che si adulteri in tossico feticcio reificato.
Io non ci sono neanche mai entrato in una religione, e mi sono liberato anche dalla ricerca filosofica di un qualcosa di non duale, eppure non si può sradicare la tendenza a trasformare in realtà ontologica (anzi, assoluta) ciò che per noi è sempre epistemico, e a volerla imporre agli altri (oggi tramite politica, economia e guerre, un tempo con evangelizzazione e guerre, ma è lo stesso, anzi, sono appunto aumentati i mezzi, anche come quantità di impatto; ma si ridurranno inevitabilmente, cambieranno, dopo aver fatto altri danni magari con l'aggiunta di ulteriori mezzi). Si può solo tenere questa tendenza sotto controllo, o persino incanalarla in altre "distrazioni". I più fortunati possono al massimo renderla quasi subliminale, ma solo se non la dimenticano (altrimenti cade nel cosiddetto inconscio, che è semplicemente una minore attenzione, e da lì fa più danni). In ogni caso, prima si deve sapere che non è sradicabile, altrimenti significa che nell'inconscio c'è già andata.

Phil

Una (pedante) postilla sulla religione partendo da questi due spunti:
Citazione di: Aumkaara il 17 Ottobre 2020, 23:09:55 PM
Io non ho mai iniziato una religione, ma so che ho un aspetto che vede il mondo con la stessa qualità di sensazioni, emozioni e sentimenti che animano i religiosi. E ho visto che tutti quelli che negano tale aspetto lo vivono comunque, scambiandolo per qualcos'altro
Citazione di: Ipazia il 20 Ottobre 2020, 23:03:03 PM
Il problema nasce quando a quel Qualcosa, senza averne capacità dimostrativa alcuna, si attribuisce uno status di realtà nota, declinandone genealogie, poteri, intenzioni, costringendo alfine altri umani a sottomettersi a questo parto sonnolento della (s)ragione. Questo per me è la religiosità e me ne sono, insieme a qualche altro miliardo di umani, tirata felicemente fuori.
Come per la metafisica, si corre spesso il rischio di ignorare le coordinate temporali, confondendo il valore e il ruolo che aveva secoli fa con quello che ha/può avere oggi. Parlare di religioni in termini di martiri, crociate e inferni oppure, peggio ancora, guardare a tutte le religioni dalla serratura di uno specifico terrorismo di spunto religioso, non è a mio avviso un gesto metodologico pertinente, perché non coglie cos'è oggi una religione in generale (e si limita a fare cherry picking per veder così confermate le proprie critiche, come se l'aderire ad una religione fosse una questione di essere nostalgici dei massacri in Terra Santa, apprezzare i "vizietti" dei ministri del culto, schierarsi a favore di chi non paga le tasse sugli immobili, accettare una libresca alternativa creazionistica alla visione scientifica, etc. se fosse solo questo, il cristianesimo si sarebbe probabilmente già estinto, almeno in occidente).
Per centrare il bersaglio del fascino religioso che tutela la diffusione dei vari culti nel mondo, bisogna guardare al piano esistenziale/sociale, non a quello storico o filologico (o, ancor meno, terroristico); come invece fanno, quasi inevitabilmente, quegli atei che non hanno mai creduto e quindi riducono la religione alla storia delle istituzioni religiose, non conoscendo il sapore esistenziale che può avere la fede, stupendosi dunque di come tanta gente non consideri rilevanti le nefandezze delle (istituzioni che amministrano le) religioni.

Proprio come per chi ha ancora oggi un approccio metafisico classicheggiante (non solo etimologico), nel postulare un assoluto religioso si tratta di rispondere ad una certa istanza di senso; la medesima che anima le grandi ideologie politiche (e anche qui siamo comunque nell'anacronismo). Quando Aumkaara parla di «un aspetto che vede il mondo con la stessa qualità di sensazioni, emozioni e sentimenti che animano i religiosi»(cit.) probabilmente si riferisce alla suddetta istanza. Contrapporre a questa "interrogazione semantica" della vita (con "taglio" metafisico), il curriculum delle istituzioni religiose (o politiche, o altro) evidenziando la loro cruda umanità e incoerenza, secondo me non aiuta una riflessione filosofica sull'attualità del tema dell'assoluto (religioso e non), ma fomenta sterilmente la protervia narcisistica della schadenfreude antireligiosa (che talvolta si appella puerilmente ad un vendicativo contrappasso, appunto, storico).

Concordo con l'osservazione di Jacopus e la interpreto con la constatazione che ogni cultura si è (auto)elaborata facendosi carico delle (e al contempo condizionandole) esigenze collettive, esistenziali e organizzative, proponendo degli "assoluti" (di volta in volta tali) come (co)stella(zione) polare, come fondamenti affidabili (fino al successivo mutamento culturale), secondo un concetto di assoluto che, sintetizzando molto, si presenta tanto più potente quanto più gioca sulla contiguità platonica fra universalità e astrazione, ponendo l'accento sul primo termine (anche se, dopo le dovute riflessioni sul ruolo del linguaggio, attualmente e neuroscientificamente l'accento si sta "secolarmente" spostando sul secondo, distinguendo postulazione da conoscenza).

Aumkaara

Citazione di: Phil il 21 Ottobre 2020, 12:20:26 PM
Proprio come per chi ha ancora oggi un approccio metafisico classicheggiante (non solo etimologico), nel postulare un assoluto religioso si tratta di rispondere ad una certa istanza di senso; la medesima che anima le grandi ideologie politiche (e anche qui siamo comunque nell'anacronismo). Quando Aumkaara parla di «un aspetto che vede il mondo con la stessa qualità di sensazioni, emozioni e sentimenti che animano i religiosi»(cit.) probabilmente si riferisce alla suddetta istanza.
Direi di sì. In forme anche più semplici, quotidiane, o, viceversa, in forme che aiutano ad avere visioni d'insieme anche in ambiti frazionato per principio, come la scienza, che, se lasciata completamente orfana della visione d'insieme, dell'istanza di senso, va alla deriva per poi svilupparne una con logiche particolarmente erratiche (e non semplicemente poco lineari, come in tutte le visioni d'insieme).

Ipazia

#261
Mi stupisce che Phil, così puntiglioso nella richiesta di precisione e focalizzazione semantica, lasci tanto sbrodolante spaziotempo alla religiosità e così poco alla metafisica, che preferisce rinchiudere in un recinto classico per pochi eletti.

Possiamo pure accettare che vi siano analogie tra feticismi religiosi, ideologici, economici e variamente esistenziali; ma perché sussumere il tutto sotto la categoria della religiosità piuttosto che dell'illusionalità sublimante che effettivamente tutti li contiene.

Rimane certo, sul versante più nobile dello spirito umano, la domanda di senso *. Ma se rispondi religiosità, la risposta é sbajata. Mica perché lo afferma Ipazia, ma perché lo dimostrano gli Holzwege di un'esperienza storica plurimillenaria.

Evidentemente anch'io, come Phil, ho le mie idiosincrasie verso certe estensioni semantiche.

* la domanda di senso é domanda archetipica metafisica par excellence, ma la risposta parziale "religiosità" la lascerei ai preti.
.

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve Phil. Citandoti : "Come per la metafisica, si corre spesso il rischio di ignorare le coordinate temporali, confondendo il valore e il ruolo che aveva secoli fa con quello che ha/può avere oggi".

Scusa, ma non capisco cosa c'entri la storia della metafisica (o della filosofia) con i contenuti, i dettami di tali due branche della conoscenza.

Sarebbe come se la cronistoria delle battaglie di Napoleone potesse essere d'aiuto nel comprendere il perchè ideologico della visione del mondo di Napoleone.  O sono io che  - appunto - non capisco ?. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Phil

@Ipazia

Non dovrebbe stupire la (mia) disparità di "trattamento" fra metafisica e religione (intesa popolarmente, non come teologia) perché la religiosità è un fenomeno di massa, mentre il pensare metafisico, filosoficamente inteso, richiede (come lo studio dei complotti di cui si parla altrove) un minimo di dedizione e accuratezza. La risposta religiosa è preconfezionata quindi pronta all'uso e ben adatta alle masse indaffarate ma non sorde alla richiesta di un senso (semantico o direzionale o "sesto" che sia); la risposta metafisica richiede una fruizione differente.
Sull'illusionalità, con riferimento a quanto dissi tempo fa su vuoto, convenzioni, (s)fondamento zen, funzionalità della scienza, etc. già sai che "sfondi un velo aperto" (ricordi la vignetta vuota, senza albero?), tuttavia dipende comunque a che livello di linguaggio, appunto convenzionale, decidiamo di parlare.
Per la domanda di senso esistenziale, la risposta «religione» è spesso quella giusta; lo conferma la giuria popolare di alcuni miliardi di persone (circa l'80% della popolazione mondiale pare creda a qualche religione). Si può certamente non essere concordi (e sai che non sono di nessuna parrocchia), ricordando che la quantità non è la qualità, ma essendo nel campo di valori e credenze (senza entrare nel merito del "senso" in questione), il concordare o meno è una questione molto relativa e personale (non c'è Holzwege storicizzato che possa dimostrare nulla in merito; o meglio, l'unico che potrebbe termina al cimitero e per ora non pare fornirci feedback attendibili).


@viator

Contestualizzando storicamente la metafisica possiamo comprenderne meglio il senso (e i rispettivi mutamenti): il valore e il ruolo che aveva la metafisica ai tempi di Aristotele è decisamente differente da quello che può avere oggi; non considerare questa differenza è il rischio a cui mi riferivo. Esemplificando con un contenuto: Aristotele poteva, ai suoi tempi, ragionevolmente speculare ed argomentare su un "motore immobile"; oggi suonerebbe più anomalo e meno attendibile.

viator

Salve Phil e grazie. Citandoti : "Esemplificando con un contenuto: Aristotele poteva, ai suoi tempi, ragionevolmente speculare ed argomentare su un "motore immobile"; oggi suonerebbe più anomalo e meno attendibile.".

Sì, allora è infatti ciò che ho creduto di aver capito delle tue parole. Ma allora il fatto diventa che io "contesto" la minore attuale attendibilità (la modernità e l'attualità secondo me non hanno alcuna relazione con la ragionevolezza).

Anzi, l'esistenza di un "motore immobile" potrebbe risultare avvalorabile della "moderna" considerazione per la quale la pura e semplice massa di un corpo funge - attraverso l'attrazione gravitazionale che esso esercita - da motore immobile. (nessun corpo è immobile, ma il fatto che esso risulti in movimento relativo non dovrebbe inficiare il principio fisico della gravità). Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Phil

@viator

Al di là di assonanze linguistiche e metaforiche, la teoria fisica che assegna ad ogni corpo un campo gravitazionale non ha molto da condividere, o al massimo falsifica, quella metafisica aristotelica dell'unico motore immobile: le due argomentazioni, le due verificabilità (o meno), i due piani del discorso, le due catene di conseguenze, etc. dimostrano che alcune teorie, se trasportate in un altro periodo storico, perdono di ragionevolezza. Più in generale, è proprio il confronto con le altre discipline che muta il contesto e la "verità" di molte speculazioni filosofiche, che solitamente possono essere "attualizzate" o per via metaforica (facendo slittare, più o meno forzatamente, i significati originari, come nel caso precedente) o per via dogmatica (disconoscendo e sospettando delle alternative più recentemente proposte).
La ragionevolezza ha anch'essa un legame con l'attualità poiché non è asetticamente indipendente dal contesto: una volta era ragionevole e forse persino etico risolvere diverbi con un duello all'ultimo sangue o appellandosi ad oracoli; oggi, cambiato il contesto, è decisamente meno ragionevole (il che non significa che non accada più, ma che tali eventi vengono letti con meno ovvietà e paiono, appunto, meno ragionevoli che in passato). Tanto per non addentrarsi nei soliti esempi della "passata ragionevolezza" del geocentrismo, o della superiorità dei "visi pallidi", o dell'esistenza di dei, o del possesso di schiavi, etc.

viator

Salve phil. Accetto le tue osservazioni, trovandole ragionevoli. Tuttavia anche in passato, credo proprio che le persone ragionevoli si rendessero conto che certe soluzioni richieste da etiche, morali od addirittura prassi (duelli, pena di morte, oracoli, prodigi assurdi) rappresentassero unicamente il "far di necessità virtù" imposto dalla (im)maturazione delle epoche e non certo una risposta razionale alle istanze dell'esistenza. Insomma, la maturazione-evoluzione cerebrale che porta un qualsiasi cervello individuale al poter esercitare una adulta ragionevolezza.........non credo si sia sviluppata all'interno delle epoche storiche.Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Phil

@viator

Non credo esista una ragionevolezza comportamentale assoluta (non parlo di problem solving di tipo pratico), ovvero che prescinda dalla sua situazione culturale e storica, così come non esiste un cervello che ragioni senza essere condizionato dalla sua storia (educazione, esperienze, contesto sociale, etc.). L'«adulta ragionevolezza» è mutata con il mutare delle culture nella storia, anche se è spontaneo non riuscire ad essere obiettivi in merito, proprio perché la nostra ragionevolezza non è quella degli altri, siano essi nostri contemporanei o antichi.
Se non molte generazioni fa era ragionevole (ma non obbligatorio) iniziare alla sessualità i ragazzi (minorenni?) tramite esperienza a pagamento (o simili), oggi un episodio del genere, oltre ad essere ritenuto irragionevole nella nostra cultura (ma non ovunque), comporterebbe probabilmente ripercussioni legali sui genitori. Possiamo davvero dire che quel "momento pedagogico" fosse "oggettivamente" irragionevole e immaturo, a prescindere dal contesto da cui formuliamo tale giudizio (la nostra prospettiva contemporanea)?
Se lo giudichiamo "oggettivamente" irragionevole, da quali indizi concludiamo nondimeno che «le persone ragionevoli si rendessero conto che certe soluzioni richieste [...] rappresentassero unicamente il "far di necessità virtù" imposto dalla (im)maturazione delle epoche e non certo una risposta razionale alle istanze dell'esistenza»(cit.)? Secondo quali criteri "oggettivi" il ragazzo che lo trovava ragionevole aveva torto, mentre chi lo trovava irragionevole era più ragionevole?
Non intendo dire che le culture cambino storicamente per costante maturazione-evoluzione, che ci sia un "oggettivo" miglioramento (sorgerebbe l'aporia dei criteri), quanto piuttosto suggerire che per molte questioni la ragionevolezza sociale è sempre figlia delle sua epoca storica e non c'è una «adulta ragionevolezza» assolutamente metastorica.

Ipazia

Citazione di: Phil il 21 Ottobre 2020, 23:01:33 PM
@Ipazia

Non dovrebbe stupire la (mia) disparità di "trattamento" fra metafisica e religione (intesa popolarmente, non come teologia) perché la religiosità è un fenomeno di massa, mentre il pensare metafisico, filosoficamente inteso, richiede (come lo studio dei complotti di cui si parla altrove) un minimo di dedizione e accuratezza. La risposta religiosa è preconfezionata quindi pronta all'uso e ben adatta alle masse indaffarate ma non sorde alla richiesta di un senso (semantico o direzionale o "sesto" che sia); la risposta metafisica richiede una fruizione differente.

Non mi pare che Aum intendesse "religiosità" in senso così convenzionale e preconfezionato.

CitazioneSull'illusionalità, con riferimento a quanto dissi tempo fa su vuoto, convenzioni, (s)fondamento zen, funzionalità della scienza, etc. già sai che "sfondi un velo aperto" (ricordi la vignetta vuota, senza albero?), tuttavia dipende comunque a che livello di linguaggio, appunto convenzionale, decidiamo di parlare.

Metafisico ? O meta-fisico se preferisci.

CitazionePer la domanda di senso esistenziale, la risposta «religione» è spesso quella giusta; lo conferma la giuria popolare di alcuni miliardi di persone (circa l'80% della popolazione mondiale pare creda a qualche religione).

Nel forum degli atei da me praticato fino alla sua estinzione c'era, in risposta a tale argomento, un topos ricorrente non proprio raffinatissimo, ma che rendeva bene l'idea. Si tratta anche qui "a che livello di linguaggio, appunto convenzionale, decidiamo di parlare". Io suggerirei a livello epistemico e ontologico visto che parliamo di Assoluto (e assoluti). A riprova di ciò ...

CitazioneSi può certamente non essere concordi (e sai che non sono di nessuna parrocchia), ricordando che la quantità non è la qualità, ma essendo nel campo di valori e credenze (senza entrare nel merito del "senso" in questione), il concordare o meno è una questione molto relativa e personale (non c'è Holzwege storicizzato che possa dimostrare nulla in merito; o meglio, l'unico che potrebbe termina al cimitero e per ora non pare fornirci feedback attendibili).

... osservo come sia fresca fresca la notizia che il capo di una delle religioni più sessuofobiche partorite dall'immaginario umano abbia aperto persino al matrimonio gay, suppongo con benedizione celeste annessa. Sa tanto di Maometto e montagna. Ma se al tempo di Galileo e Giordano Bruno era la CCAR la montagna, oggi deve rassegnarsi a fare la parte di Maometto. Il che consente anche di tenersi quei miliardi di fedeli di una religione sempre più faidatè e frendly, mentre i teologi se la cantano e se la suonano come canne nel deserto.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Se è il vertice della gerarchia (almeno di quella terrena) ad affermarlo e legiferarlo, allora non può essere percepito come un "faidatè"; in questo sta il "vantaggio fondazionale" delle religioni (agli occhi dei fedeli, ovviamente). Questa apertura di "target" rende la risposta di quella religione ancora più "user friendly" e "updated", con buona pace dei vari Galileo e Bruno, relegati sempre più a fare gli imbruttiti nei libri di storia e i patroni dei forum per atei (ormai socialmente non mi stupisco più di nulla...).
In fondo, come dicevamo, l'utilità sociale ed esistenziale della religione in questione non è compiacere i teologi o ingannare il tempo in attesa della parusia, ma dare un senso che, da quanto mi segnali, diventa ora percorribile anche per le coppie omosessuali (e qui ritorna pertinente il richiamo alla religiosità-come-istanza fatto da Aumkaara, da non confondere con il mio discriminare fra religione-come-risposta e metafisica-come-filosofia).

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