Re:I postulanti dell'Assoluto - Approfondimenti.

Aperto da atomista non pentito, 12 Settembre 2020, 21:53:49 PM

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Ipazia

Ammesso ciò non vedo perché ostinarsi a cercare una realtà assoluta monistica/non-duale o duale quando il primo Pirandello che passa ti dice: e i centomila dove li mettiamo ?

La realtà è, a seconda del contesto, monistica, duale o plurale. Illuminazione é contare correttamente.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Risposta (con domanda) zen: quante realtà c'erano prima che tu o chiunque le contasse?
Se rispondi «una», meriti una bastonata zen; se dici «due», due bastonate zen, etc. se rispondi «nessuna», coma fai a saperlo?
Risposta "convenzionale": il problema dell'assolutezza (o meno) e/o del numero delle realtà è un problema nel/del "samsara" (per come lo intendo da "eretico"), della visione razionalizzata e convenzionale, che ha tutta la sua "sacrosanta" ragion d'essere e la sua utilità pragmatica nel vivere quotidiano e sociale. Tuttavia, per una prospettiva (che, per dirla con il chatuskoti, è: non-duale, non-monistica, né duale e monistica, né non-duale e non-monistica) che non sa contare, il problema dei "centomila" è fittizio tanto quanto quello del contare "correttamente" (ovvero convenzionalmente).
A suo modo è un punto di vista in cui, per così dire, forse c'è solo lo zero (o, riprendendo il traballante parallelismo, c'è solo l'Ipazia-X a prescindere dalle centomila Ipazie che possano proliferare nei vari forum). Certamente, per poter scrivere in un forum, per fare la spesa, etc. questo punto di vista vuoto richiede di essere riempito convenzionalmente; nondimeno, se mi sono espresso almeno un po' chiaramente, ciò non comporta necessariamente dualismo o pluralismo (dipende fino a che punto si resta «memori di quanto sia (s)fondata la pienezza che ci circonda», ovvero, con altro esempio banale, quando gioco a carte non creo necessariamente una seconda realtà dualistica rispetto a quella in cui le carte sono solo pezzetti di cartone colorato e non hanno valore intrinseco, se non, appunto, nel gioco convenzionale; posso giocare anche restando memore della convenzionalità del gioco, che quindi non produce dualismo).

bobmax

Il Diavolo conta.

Caratteristica del maligno è infatti il contare.
Vive di separazione.

Vive/vivo di una illusione.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2020, 23:35:50 PM
Risposta (con domanda) zen: quante realtà c'erano prima che tu o chiunque le contasse?

Nessuna (così completiamo la triade pirandelliana). Nessuna, perchè allora non esisteva il concetto di realtà, nato con l'universo antropologico (En arché en o logos) che la realtà, convenzionalmente, le enumera sulla base dei propri presupposti metafisici, corretti nella misura in cui (Protagora) azzeccano il contesto della loro enumerazione.

Nel contesto delle scienze naturali la realtà è una, dominata da leggi naturali che una metodologia enumerante sofisticata si sforza di scoprire e rappresentare. Una realtà ineffabile e beffarda, che non si arrende neppure di fronte ai numeri immaginari, ma tant'è: questo è quello che passa il convento physis.

In etica lo sai anche tu quante realtà ci sono 8) E nelle prospettive individuali sono ben più di centomila.

Tra i tanti assoluti farlocchi c'è pure quello dei numeri. La realtà, qualunque cosa essa sia, ha un assetto numerico variabile. Cosa di cui si accorse il venerabile Eraclito, (diabolico) maestro di tutti coloro che vennero dopo di lui. Ipazia compresa. Quella vera - uccisa perchè non voleva chinare la testa di fronte all'Uno - e questa virtuale, che se la passa meglio, dopo che l'Uno è passato a miglior vita.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 03 Ottobre 2020, 11:08:56 AM
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2020, 23:35:50 PM
Risposta (con domanda) zen: quante realtà c'erano prima che tu o chiunque le contasse?
Nessuna (così completiamo la triade pirandelliana). Nessuna, perchè allora non esisteva il concetto di realtà, nato con l'universo antropologico (En arché en o logos) che la realtà, convenzionalmente, le enumera sulla base dei propri presupposti metafisici, corretti nella misura in cui (Protagora) azzeccano il contesto della loro enumerazione.
Se prima non c'era «nessuna»(cit.) realtà, significa che anche la realtà è nata con l'universo antropologico? La realtà non va forse distinta dal concetto-di-realtà, ovvero non hanno due "esistenze" differenti il concetto e il suo referente? Se è così, la domanda resta, riferendosi essa alla realtà, non al concetto-di-realtà.
Nella riga sotto la mia domanda che hai citato, avevo già anticipato: «se rispondi «nessuna», come fai a saperlo?»; esempio di paradossalità zen che indica quel vuoto di (s)fondo, seppellito da tutte le convenzioni e le necessità del vivere.
Concordo ovviamente sul fatto che dopo (la domanda era infatti sul «prima») il consolidarsi di convenzioni, più o meno razionali, la realtà si declina al singolare o al plurale a seconda della disciplina che se ne occupa.

viator

Salve. La realtà è sempre preesistita in quanto la sua corretta definizione fisicistica secondo me sarebbe "la concatenazione delle cause con gli effetti" (cioè semplicemente il divenire filosofico).


Se l'essere - sempre come secondo me più volte ribadito - è la condizione per la quale le cause producono i loro effetti (quindi l'essere, come condizione-ponte tra causa ed effetto, sarebbe semplicemente lo "spostarsi" dell'energia), l'insieme causa-effetto (inglobante la dimensione, l'evento concatenante) risulterebbe, congruamente, appunto nella realtà.


Naturalmente la mia visione del concetto di realtà - come sopra brevemente descritto, non implica quindi affatto una necessaria partecipazione antropica (l'esistenza di un soggetto percepente-osservante) perchè sono perfettamente convinto che la realtà preesistente consisteva semplicemente nello svolgersi dei meccanismi naturali in un mondo privo appunto di osservatori. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Aumkaara

Mi sembra di aver letto che Ipazia era neoplatonica, quindi in qualche modo non era comunque "inchinata all'Uno"? Il problema per chi la uccise era solo il modo (da "pagana") in cui si poneva a questo uno. Ma in ogni caso la stessa matematica di Ipazia era dedita a tale unità fondamentale, e presumibilmente non alla matematica fine a se stessa o usata per spiegare i "fenomeni naturali", visti come meccaniche indipendenti sorrette da leggi fisiche. Leggi che anche oggi... non sono leggi. Per quanto ne so infatti, sono viste come formulazioni nostre per descrivere le regolarità riscontrate. Ma da cosa sono sorrette tali regolarità, come fanno a mantenersi, non ha ancora spiegazione, né forse la scienza ritiene di poter far rientrare una spiegazione del genere nei propri ambiti.
Comunque è interessante come Ipazia (qualla nostra, che preferiamo ☺️ perché ne vediamo la cultura e la compostezza senza doverla ipotizzare da pochi frammenti storici) abbia definito la realtà come "una", ineffabile e beffarda, visto che non si lascia afferrare neanche dal rigore numerico delle scienze. Non so se quel "beffarda" è visto come un problema: non dovrebbe esserlo, perché, in quanto "una", essa è anche noi; e quindi, non può che essere una beffa, il volersi cogliere artificiosamente con misurazioni, calcoli e conti (o con qualunque altro strumento, anche opposto, come le emozioni); è sempre una beffa, cercare di cogliere se stessi, sarebbe come volersi alzare da terra afferrandosi per il proprio collo.

Ipazia

Citazione di: Phil il 03 Ottobre 2020, 11:47:39 AM
Se prima non c'era «nessuna»(cit.) realtà, significa che anche la realtà è nata con l'universo antropologico? La realtà non va forse distinta dal concetto-di-realtà, ovvero non hanno due "esistenze" differenti il concetto e il suo referente? Se è così, la domanda resta, riferendosi essa alla realtà, non al concetto-di-realtà.
Nella riga sotto la mia domanda che hai citato, avevo già anticipato: «se rispondi «nessuna», come fai a saperlo?»; esempio di paradossalità zen che indica quel vuoto di (s)fondo, seppellito da tutte le convenzioni e le necessità del vivere.
Concordo ovviamente sul fatto che dopo (la domanda era infatti sul «prima») il consolidarsi di convenzioni, più o meno razionali, la realtà si declina al singolare o al plurale a seconda della disciplina che se ne occupa.

Se usciamo dal concetto non resta che una realtà postulata, subdolamente noumenica: la toppa che è peggio del buco. Dovrà mica la relativista debole Ipazia dare lezione di relatività ad un relativista forte del tuo calibro  :P

Rispondendo pure a viator, perfino la scienza, monistica per definizione, comincia ad interrogarsi sui soggetti della realtà e, ad onor del vero, non ha mai smesso di farlo cambiando continuamente i suoi parametri fondamentali fin dagli atomi di Democrito. Da Heisenberg in poi anche la relazione causa-effetto è entrata in crisi e le singolarità hanno popolato le aree epistemiche di deludente indeterminazione. Non resta, alla T.Kuhn, che rassegnarsi ad accettare le migliori convenzioni possibili per dire che cosa è la realtà. Più facile intervenire sul suo funzionamento, per la qual cosa è sufficiente il dna e una rudimentale esperienza empirica. Riconoscere il funzionamento della realtà è una implicita ammissione della sua natura ontologica, un atto di fede sulla sua riproducibilità futura, ma, come raccomanda Hume, evitando la maleducazione di metterci sopra il cappello, perchè potrebbe aversene a male e ricambiare il gesto con qualche cigno nero assai bellicoso.

Giustificando la risposta "nessuna" (avevo colto l'assist di Phil ma volevo allungare il brodo, approfondire il dibattito), dalle nostre osservazioni risulta plausibile una realtà indipendentemente dalla presenza dell'osservatore. Ma, metafisicamente, è un gatto che si morde la coda. Invece, fisicamente, è la migliore ipotesi possibile e pertanto, concordo, teniamocela stretta, inseguendo, come instancabili segugi, il filo di Arianna della causalità. Verificata nei fatti, non nelle definizioni, in modo da poter rilanciare in avanti la palla della provvisoria conoscenza.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Citazione di: Aumkaara il 03 Ottobre 2020, 14:29:28 PM
Mi sembra di aver letto che Ipazia era neoplatonica, quindi in qualche modo non era comunque "inchinata all'Uno"? Il problema per chi la uccise era solo il modo (da "pagana") in cui si poneva a questo uno. Ma in ogni caso la stessa matematica di Ipazia era dedita a tale unità fondamentale, e presumibilmente non alla matematica fine a se stessa o usata per spiegare i "fenomeni naturali", visti come meccaniche indipendenti sorrette da leggi fisiche.
La differenza tra l'Uno neoplatonico e l'Uno cristiano è etica, non metafisica (laddove il secondo deve molto al primo). E' la differenza tra la tradizione ellenica del libero pensiero vigente da Socrate in poi e quella dogmatica dell'integralismo religioso cristiano, inaccettabile per una intellettuale di scuola ellenistica.
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Phil

Citazione di: Ipazia il 03 Ottobre 2020, 14:33:48 PM
Se usciamo dal concetto non resta che una realtà postulata, subdolamente noumenica: la toppa che è peggio del buco.
Se usciamo dal concetto per andare ancor più "avanti" nell'analisi convenzional-razionale, dove la ragione si solleva dal reale e si fa postulante (come da topic), allora rischiamo di incappare nei miraggi del noumeno, delle idee platoniche, etc., tuttavia, se invece usciamo dai concetti per andare in un'altra direzione, non-convenzionale e, soprattutto, non postulante (v. il rifiuto della razionalizzazione indicato-ma-non-detto dai koan zen, come quello famoso del suono dell'albero che cade con nessuno che lo ascolta, indegnamente parodiato da me), allora abbiamo un "illuminante" antidoto proprio alla postulazione e ai noumeni, sotto forma di esperienza/intuizione della non-dualità di (s)fondo. Prospettiva di cui il (mio) relativismo è appunto un "promemoria convenzionale", e che, importante ribadirlo, va accantonata dietro le quinte quando si tratta di fare la spesa o scrivere su un forum, quindi ancor più quando si fa scienza.

Ipazia

Citazione di: Phil il 03 Ottobre 2020, 16:12:07 PMSe usciamo dal concetto per andare ancor più "avanti" nell'analisi convenzional-razionale, dove la ragione si solleva dal reale e si fa postulante (come da topic), allora rischiamo di incappare nei miraggi del noumeno, delle idee platoniche, etc., tuttavia, se invece usciamo dai concetti per andare in un'altra direzione, non-convenzionale e, soprattutto, non postulante (v. il rifiuto della razionalizzazione indicato-ma-non-detto dai koan zen, come quello famoso del suono dell'albero che cade con nessuno che lo ascolta, indegnamente parodiato da me), allora abbiamo un "illuminante" antidoto proprio alla postulazione e ai noumeni, sotto forma di esperienza/intuizione della non-dualità di (s)fondo. Prospettiva di cui il (mio) relativismo è appunto un "promemoria convenzionale", e che, importante ribadirlo, va accantonata dietro le quinte quando si tratta di fare la spesa o scrivere su un forum, quindi ancor più quando si fa scienza.

Promemoria convenzionale è pure la tecnica meditativa che usa espedienti come i koan zen per isolarci dal rumore di fondo del samsara e avvicinarci alla condizione estatica della dissoluzione del proprio io nella "chiara luce del vuoto" nirvanico.

Convenzione, perchè il tutto accade all'interno della mia, non della tua, volta cranica. Così come sei tu, non io, a fare la spesa e scrivere su un forum.

La scienza fa bene ad istituire un Universo non duale di (s)fondo come referente di tutto ciò, ma è un referente con livelli di postulazione ben superiori a quelli degli enti della prassi quotidiana, tant'è che deve postulare oggetti particolari correlati da formule per agire la sua rappresentazione.

Se dovessimo limitarci all'immediatezza percettiva, propria degli animali chiamati in causa da Aumkaara, dovremmo piuttosto parlare di una pluralità di (s)fondo che solo la nostra elaborazione razionale riconduce ad un pseudoreferente universale. Il quale funziona benissimo nella costituzione della realtà propria dell'universo antropologico e del suo strumentario epistemico che chiamiamo scienza. La quale non si fissa in cabale metafisiche ma, realisticamente, gestisce la relazione uno-molti e circoscrive insiemisticamente i molti contesti della realtà su cui soltanto può agire con rigore scientifico unitario (di misura).

Il che può anche essere interpretato come fanatismo dai postulanti dell'assoluto, ma i demonizzatori sono poi i primi a dovercisi inchinare nel momento in cui il loro stomaco individuale, e non quello di altri, e neppure lo stomaco dell'Uno, reclama la sua parte del Tutto.

Più esplicativo nel contesto antropologico mi pare l'elaborazione marxiana di un monismo dialettico postulante un Universo in cui i molti si interfacciano dialetticamente ciascuno pro domo vita sua, superabile sinteticamente attraverso soluzioni di tipo contrattualistico piuttosto che, secondo ferinità naturale, antagonistico. Il tutto assai lontano da una metafisica dell'assoluto e da un'idea, tutta da dimostrare, di uno Spirito universale, di un'anima mundi. Bellissima metafora orientale-occidentale che metafora rimane.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Aumkaara

#86
Citazionedovremmo piuttosto parlare di una pluralità di (s)fondo
Come può una pluralità fare da sfondo? Può esserci una pluralità IN uno sfondo, ma lo sfondo è lo "spazio" che per sua natura non è divisibile se non a parole.
Persino da un punto di vista fisico, quelle scienze che ipotizzano "granuli di spazio", devono farlo immaginando anche solo implicitamente uno sfondo in cui sono contenuti tali granuli, un "iperspazio" in cui i granuli sono un "momento" di esso che danno l'apparenza dello spazio. Ma la scienza, quando rinuncia ad un qualunque "oltre" e assolutizza ciò che indaga (che per sua natura però è un qualcosa che appare e scompare), è costretta a farlo emergere da un nulla, cadendo così in un involontario creazionismo.
Al massimo si può ipotizzare che la suddetta pluralità NELLO sfondo sia assolutamente (non si esce comunque dal presupporre un qualche assoluto, lo si dichiari o meno...) distinta da esso: ma avremmo così una serie di atomi di Democrito. Ha senso? Pezzetti di qualcosa (non importa se concepiti come fisici o meno) in uno spazio di per sé inqualificabile se non come estensione. Venuti ad esserci come? Dal nulla, creazionisticamente? Oppure sono un fatto bruto da accettare "perché è così"? Da non indagare oltre solo perché dobbiamo (?) limitarci alla scienza che deve per sua natura fermarsi ad indagare su COME si muovono e interagiscono?

Ipazia

#87
Citazione di: Aumkaara il 04 Ottobre 2020, 10:52:11 AM
Citazionedovremmo piuttosto parlare di una pluralità di (s)fondo
Come può una pluralità fare da sfondo?

Sfondando la metafisica dello sfondo.

CitazionePuò esserci una pluralità IN uno sfondo, ma lo sfondo è lo "spazio" che per sua natura non è divisibile se non a parole.
Persino da un punto di vista fisico, quelle scienze che ipotizzano "granuli di spazio", devono farlo immaginando anche solo implicitamente uno sfondo in cui sono contenuti tali granuli, un "iperspazio" in cui i granuli sono un "momento" di esso che danno l'apparenza dello spazio. Ma la scienza, quando rinuncia ad un qualunque "oltre" e assolutizza ciò che indaga (che per sua natura però è un qualcosa che appare e scompare), è costretta a farlo emergere da un nulla, cadendo così in un involontario creazionismo.

Lo spazio è un luogo geometrico platonico, la pluralità degli enti è una dato di fatto esperibile. La scienza, parafrasando Socrate, è sapere di sapere quello che si sa e sapere di non sapere quello che non si sa. Il nulla da cui emergono ta onta è il luogo della nostra ignoranza, non della loro creazione.

CitazioneAl massimo si può ipotizzare che la suddetta pluralità NELLO sfondo sia assolutamente (non si esce comunque dal presupporre un qualche assoluto, lo si dichiari o meno...) distinta da esso: ma avremmo così una serie di atomi di Democrito. Ha senso? Pezzetti di qualcosa (non importa se concepiti come fisici o meno) in uno spazio di per sé inqualificabile se non come estensione. Venuti ad esserci come? Dal nulla, creazionisticamente? Oppure sono un fatto bruto da accettare "perché è così"? Da non indagare oltre solo perché dobbiamo (?) limitarci alla scienza che deve per sua natura fermarsi ad indagare su COME si muovono e interagiscono?

Concordo che Democrito si stia prendendo delle belle soddisfazioni nella ricerca fisica fondamentale a distanza di due millenni e mezzo. Se qualche mago riesce a dimostrare cosmogonie più credibili di quelle scientifiche accreditate si faccia avanti. Nella scienza c'è posto per tutte le idee e non vale il principio di auctoritas. Vale solo la dimostrazione. E dove non vi è, come insegnano i latini, ci si mette un bel: hic sunt leones. Fino a quando qualche esploratore non ne disegnerà la mappa. Oggetto assai poco metafisico.
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simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 04 Ottobre 2020, 10:02:33 AM
Promemoria convenzionale è pure la tecnica meditativa che usa espedienti come i koan zen per isolarci dal rumore di fondo del samsara e avvicinarci alla condizione estatica della dissoluzione del proprio io nella "chiara luce del vuoto" nirvanico.
I koan o la meditazione sono promemoria convenzionali quando se ne parla, non quando li si pratica (come per ogni pratica, il vissuto del praticante è differente dalla narrazione del praticante riguardo suo vissuto; ciò vale anche per un giro in bici o una corsetta). Eviterei il riferimento all'estasi, sia per la sua deformazione culturale in occidente (si rischia di scivolare sul "piano inclinato" verso santità, anima mundi, Spirito Universale e altri non pertinenti dintorni), sia perché più che uno star-fuori (ek-stasi), si tratta semplicemente di uno stare, ovvero essere incentrati nel proprio centro vuoto; dimenticando per un attimo il proprio io ci si può ricordare della vacuità di (s)fondo (quindi senza proiezioni, ascesi o simili, ma, attenzione, nemmeno riducendosi alla vita attiva di un animale puramente istintivo, condizione che il nostro cervello biologico ci pre-clude, aprendo invece lo spazio della suddetta intuizione del vuoto di (s)fondo).
Nel (mio?) zen non c'è (popolarizzazioni a parte) postulazione, non c'è trascendenza, non c'è, consentimelo, meta-fisica; e non c'è nemmeno scienza, perché abbiamo detto che si tratta di una consapevolezza che non vuole avversare o falsificare la conoscenza razionale e convenzionale, ma solo essere un "introverso" promemoria del vuoto aconcettuale su cui la scienza, egregiamente, si (s)fonda dando tangibili lezioni, risolvendo problemi e costruendo meraviglie. In (s)fondo lo zen indica una consapevolezza che non serve (nonostante la sua versione clerical-popolare sia stata impacchettata con luminosa, e talvolta numinosa, soteriologia; non di sola consapevolezza vive il meditante...). Infatti, la differenza di tale prospettiva rispetto al fare la spesa e lo scrivere sul forum è evidentemente, come detto, che tale vuoto è chiamato a riempirsi di contenuti convenzionali per poter comunicare con il cassiere o per interagire con altri presunti utenti (mentre l'Altro viene meno nel non-dualismo, venendo meno l'Io solido e razionalizzato).

Citazione di: Ipazia il 04 Ottobre 2020, 10:02:33 AM
La scienza fa bene ad istituire un Universo non duale di (s)fondo come referente di tutto ciò, ma è un referente con livelli di postulazione ben superiori a quelli degli enti della prassi quotidiana, tant'è che deve postulare oggetti particolari correlati da formule per agire la sua rappresentazione.
La scienza, dimensione convenzionale e razionale per eccellenza, più che «istituire un Universo non duale di (s)fondo»(cit.) può, come osservi, postularlo (v. topic), più meta-fisicamente e convenzionalmente di qualunque "sbirciata zen" sul mondo (che è non metafisica, non meta-fisica e non convenzionale).
La scienza concepisce solo il fondo, da scavare con analitica arché-ologia alla ricerca di principi e leggi universali. Non a caso, la scienza "vede" lo sfondo inteso come superficie-di-fondo, ma non può intravvedere lo (s)fondo inteso come sfondare (ovvero il contrario del mero essere-sullo-sfondo), se non in ciò che essa rifugge: il regresso all'infinito e le impudenze di Zenone (suo malgrado più simili, tartaruga a parte, a koan che a "provocazioni gnoseologiche").
Restiamo certamente concordi sul fatto che la scienza, proprio guardandosi dallo (s)fondo per andare invece al "fondo" della materia e del suo funzionamento, sia ben più utile alla vita quotidiana dell'intera specie, rispetto ad un vuoto spiraglio di consapevolezza zen, che non sazia, non cura, non dà riparo, etc. dunque, parafrasando un'espressione che hai usato in precedenza: mettere una toppa è più utile ed urgente che guardare nel (vuoto del) buco.

Aumkaara

#89
In questa era di Facebook, mi mancavano le suddivisioni in vari "quote" di uno stesso post, proprie dei forum.
Ma non "cado nel tranello", che è proprio quello della scienza, di dividere per capire (fin qui va bene, nel proprio ambito va benissimo) ma estrapolando da ciò anche una conclusione universale, nel suo caso che "tutto è realmente diviso", non rendendosi conto che la visione plurale era solo un passo artificiale utile per i propri propositi, e proponendo così comunque una sintesi (gli è inevitabile sintetizzare in qualche modo, la mente stessa ha entrambe le possibilità, dividere e sintetizzare, nessuna delle quali si lascia silenziare a lungo, al massimo ripiega nell'inconscio - o nel "meno conscio", se si preferisce, in ogni caso nella disattenzione, nel rifiuto, nello sminuimento, nell'apparente rimosso - e da lì influenza le direzioni e le conclusioni dei pensieri consci, che però saranno così sottilmente paradossali).
In realtà questa sintesi incongruente non è della scienza in sé, ma dei... postulanti della Divisibilità.


Quindi, rimettendo insieme le risposte: sfondiamo la metafisica dello sfondo, per avere comunque uno sfondo, solo che è uno sfondo paradossale e incongruente (una "pluralità che fa da sfondo", da contenitore), che deriva da una divisione fatta per produrre certi vantaggi pratici, ma che non può cogliere la natura di ciò che indaga. Tale natura è infatti inconoscibile, è ignoranza.


Ma lo stiamo dicendo tutti, qua dentro! Non è proprio l'ignoranza ad essere indivisa, una, ineffabile? Ci possiamo mettere la maiuscola, Ignoranza, come la mettiamo quando la chiamiamo Assoluto, non per idolatrarla (beh, non nel caso mio, che non idolatrizzo più di tanto l'ignoranza, se non quel che serve per metterla "al suo giusto posto di sfondo immutabile", dopodiché vivo volentieri e quindi un po' idolatrizzo la pluralità senza però crederla padrona... assoluta), ma per ricordarci che essa non è solo un concetto, non è solo uno stato momentaneo che la conoscenza, cioè la divisione artificiale fatta per avere un orientamento (artificiale anch'esso ma comunque variamente inevitabile) potrà un giorno sfondare per porsi come sfondo essa stessa. L'ignoranza non può essere toccata dalle divisioni conoscibili fatte modellando forme con la sua "sostanza". L'ignoranza è lo sfondo. Accettato pienamente (da qui la maiuscola da "postulanti") non si cade più nell'idolatrare (anzi assolutizzare! Pur riconoscendola relativa!) la divisibilità. Con cui si pone l'incongruenza che proponi: l'ignoranza sarebbe lo sfondo da cui emerge tutto, ma lo sfondo sarebbe anche la pluralità.


PS: Democrito è stato smentito con quella fisica grazie alla quale abbiamo il cellulare con cui stiamo presumibilmente tutti scrivendo. Le "sferette indivisibili in uno spazio indeterminabile se non come estensione" sono utili per calcolare la traiettoria di un pallone e il moto dell'aria che sposta, ma nulla più (ehi, a meno che non si torni ad una fisica fondamentale dei fluidi, l'eterica! 😊 Allora si possono usare le formule di Newton anche per la "sostanza indeterminabile" da cui si forma tutto, e Newton in fondo è democritiano: ma ne risulterebbe comunque uno sfondo unitario in cui gli oggetti che vi appaiono sono conformazioni solo apparentemente divise. Proprio come i corpuscolo-onde per i campi della quantistica, che però hanno così relegato Newton ad un altro ambito fisico, non riuscendo più a sintetizzare neanche le varie "fisiche", tra cui quella di Einstein, e ritrovandosi così un universo con punti di incongruenza, con equazioni dal risultato infinito, ecc.
In ogni caso, nella fisica moderna niente Democrito, sullo sfondo. Ma questo è solo un post scriptum rafforzativo, non certo una conclusione sulla fisica).

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