Re:I postulanti dell'Assoluto - Approfondimenti.

Aperto da atomista non pentito, 12 Settembre 2020, 21:53:49 PM

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Aumkaara

#45
Non è un po' poco? Non a caso una delle tragedie nazionali peggiori, anche se sui giornali preferiscono dire che è il coronavirus, è in realtà data dagli incidenti stradali. Altro che "non avere alcunché da obiettare". 😊
Questo è dovuto proprio dal fatto che, non essendoci assoluti, ma solo codici che credono di poter stare in piedi da sé adattandosi al massimo tra loro alla meglio, ognuno si sente libero di seguirli come e quanto crede meglio sul momento.

Allo stesso modo, se ho capito bene, proponi che un qualunque Assoluto proposto (individualmente? Socialmente?) debba essere visto come (anzi, non possa che essere) limitato e provvisorio, come minimo da limare ogni tanto, come appunto dici.
Non c'è altro di meglio? La mente umana ha postulato l'Assoluto apofatico ad esempio, anche se per postularlo ha usato come minimo tante parole tanto quanto sono quelle usate per gli assoluti definibili e concettuabili. Le filosofie che lo propongono hanno relativizzato opportunamente il relativo, come dici che va bene anche a te che sia, e non hanno assolutizzato niente che potesse essere indicabile o entificabile, niente di concreto o astratto. Pur ammettendo la necessità di un Assoluto senza mezzi termini (non relativizzabile in nessun modo), si sono concentrati sul percorso di relativizzazione del relativo. A quel punto qualunque "codice" avrà come fondamento l'Assoluto visto come necessario, ma nessun codice e nessun principio sarà assolutizzabile di per sé, o viceversa relativizzabile eccessivamente, in entrambi i casi con il rischio della superficialità o dell'anarchia, ben rappresentata proprio da come è vissuto quello stradale...

Ipazia

Nessun principio assoluto è in grado di sostenere coi suoi mezzi l'universo, il tutto, o qualsiasi altra metafora di assoluto. Qualsiasi presunzione di assoluto funziona solo sulla base della persuasione, che non a caso Parmenide pose al vertice delle virtù filosofiche. Il fallimento di tutti gli assoluti, cominciando da quelli altisonanti partoriti dal fantastico religioso (fallimento ben più devastante dei pirati della strada), ne dimostra la debolezza ontologica e la necessità di una radicale autocritica.

Le leggi naturali, coi loro inderogabili must, sono l'unico fondamento solido degli assoluti possibili, sempre limitati al contesto (etologico) in cui sono produttivi di esistenza e valore, come l'ossigeno per gli esseri viventi aerobici, simili a noi.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Aumkaara

#47
Ti darei pienamente ragione, se io non conoscessi quelle filosofie che postulato l'Assoluto senza qualificarlo, come base per sostenere tutte quelle argomentazioni che portano avanti una costante relativizzazione di ogni relativo, in modo che non si cada mai in una assolutizzazione di uno qualunque di essi, e neanche della relatività nel suo insieme. In questo modo, il volo alto di queste filosofie sarebbe utile per poterle formulare, ma senza rischiare di pretendere di poter restare sempre ad alta quota (un Assoluto inqualificabile non sarebbe raggiungibile a nessuna quota, sarebbe visto solo come la "sostanza" di ogni coordinata e di ogni relativo, e in questo modo relativizza tutto senza però assolutizzare implicitamente o meno la relatività stessa).
Ma può essere che tali filosofie non potrebbero mai soddisfare né chi propende per assolutizzare un qualche oggetto o concetto, né chi propende per assolutizzare il relativo nel suo insieme (o, se si preferisce, a chi propende nel negare la necessità di un Assoluto, rischiando così di ritrovarselo spuntare inconsapevolmente in qualche atteggiamento o convinzione inconsciamente radicata).
Però, assolutizzate o meno, le leggi di natura, scientificamente intese o in qualunque altro modo si intendano, le vedo tra le meno adatte a fare da fondamento: quando intese in senso scientifico, sono troppo rigide per essere applicate sia alla generalità (ed infatti si ripartiscono in tante branche scientifiche che quando inevitabilmente collimano in qualche modo, anche poco appariscente, le vedo generare assurdità pericolose, più insidiose di quanto siano le assurdità delle religioni), sia agli individui singoli (e infatti se un individuo dovesse basare tutta la vita sulle leggi scientifico-matematiche, ne verrebbe fuori una pochezza che in confronto Alexa di Amazon - e ancor di più Enza della pubblicità della Motta - apparirebbe con sfaccettature più interessanti); tra l'altro, che le regolarità riscontrate dalla scienza siano davvero leggi, oppure semplici "abitudini", tendenze che a noi paiono infrangibili e durature, è il sospetto di alcuni scienziati, e se così fosse esse sarebbero ancor meno adatte a soddisfare la sete di assolutezza che l'essere umano ha, e che in qualche modo gli spunta sempre fuori.
Se invece per leggi di natura si intende un più o meno generico accostamento al mondo naturalistico o tutt'al più un tentativo di riequilibrio degli stati psicologici interni dell'individuo, ne verrebbe un lodevole tentativo di rendere coerente la nostra relazione tra individui e tra società e natura, ma sarebbe un volo troppo basso per poter durare a lungo.
Il volo basso lo hai elogiato in un post precedente, e concordo che sia da elogiare (e da vivere in molte forme), ma a meno che non si voli in un deserto senza dune, prima o poi dobbiamo saper andare almeno ogni tanto anche in alto (senza pretendere di... assolutizzare neanche tale prodezza).

Ipazia

Il volo, alto o basso che sia, è posto dalla natura nei termini più assoluti - della fisica e della metafisica - nello spazio che separa la nascita dalla morte di ogni (assoluto) vivente. Quello spazio è il fondamento di assoluto più solido, a prova di illusioni e fantasticherie, che ci sia. Una filosofia che abbia il conatus di volare sempre alto finisce come Icaro. Io preferisco Dedalo, che sa attrezzarsi per volare, conosce i pericoli del volo e alla fine sa pure atterrare.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Aumkaara

È esattamente quello che spero anche io: volare alto ma solo dove e quando serve. Non ho capito però perché definire assoluti i viventi e lo spazio tra nascita e morte.

Ipazia

Perchè l'assoluto di ogni vivente è lo spazio tra la sua nascita e la sua morte. Lo spazio della sua esistenza. Che, metafisicamente, diviene anche il luogo in cui si possono fondare sostrati, "sostanze" e punti di vista stabili. Comunicabili e scambiabili intersoggettivamente.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve Aumkaara. A proposito delle tue osservazioni : "Per Viator: proponi una complementarietà, e lo fai proponendo, cito: "l'insieme di tutti i relativi altro non sarebbe che l'Assoluto". Il problema è che un assoluto che esiste come insieme di elementi, dipende da essi, è un semplice costrutto, quindi non è certo "libero da legami": perché chiamare questo collage con un nome che significa il contrario di quello a cui lo hai applicato".

Quello che secondo me è il SOLO APPARENTE rapporto tra Assoluto e relativo l'ho già accennato diverse volte, all'interno del Forum. Provo a ripeterlo.
"Avere dei legami" significa "essere in relazione con.....", "dipendere, venir influenzati, oppure condizionare, influenzare" etc. etc.
L'Assoluto si limita a "consistere" nell'insieme di tutti i relativi in quanto esso Assoluto resta comunque un concetto completamente intangibile ed immodificabile indipendentemente dal numero e tipologia dei relativi nel quali può trovarsi a consistere (es. da un minimo di due ad un max. indeterminato di "cose" identiche o diverse, esso resta sempre l'Assoluto. Inoltre l'Assoluto non genera nè viene generato da ciò in cui consiste, quindi sarà privo di legami, relazioni, influenze, condizionamenti.

In pratica l'Assoluto non è altro che l'aspetto concettuale (perciò puramente immateriale - in ciò quindi sarei d'accordo con Ipazia) del Tutto, cioè dell'insieme reale e materiale di ciò che ci circonda e ci include.Il Tutto quindi risulta certamente relativo ai propri contenuti, l'Assoluto no. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Aumkaara


Vi ringrazio di nuovo per le risposte. Non vi disturbo più sull'argomento, almeno per quanto riguarda ipazia e viator che hanno risposto fin'ora, perché mi sembra di aver intuito una cosa: quel che principalmente dite, in modo diverso e con l'aggiunta di altre idee con cui posso essere più o meno in sintonia o in disaccordo, sembra essere non diverso da quello che ho "concluso" anche io: l'Assoluto può presentarsi solo come concetto, non è un ente, non è un qualcosa che può infuenzarci o rapportarsi a noi, se non appunto come concetto, poco importa quanto astratto.
Ho però l'impressione (che lascia il tempo che trova perché basata sui pochi messaggi che abbiamo fatto qui, e su una lettura di altri vostri scritti in altri argomenti) che la differenza stia nel modo in cui ci siamo arrivati, e che questo influisca sul modo con cui questo ci fa vivere con tale conclusione: forse per voi è stata una questione di elaborazione di pensieri, rigorosi, "asettici" (in senso positivo, cioè fatti senza distrazioni e contaminazioni), obiettivi. Senza dubitare che ciò possa essere stato fatto con fatica e con l'apporto di esperienze più concrete, il vostro è un pensiero più puro.
Nel mio caso la questione la presi in modo più "religioso". Pur non avendo avuto fedi specifiche, pur avendo avuto un modo di procedere principalmente mentale, tanto da apparire "ateo e materialista" agli occhi degli appartenenti ad una qualunque religione (a parte alla maggior parte dei buddisti e degli "induisti più vedantici", ma a volte neanche a loro), quello che volevo "ottenere" non voleva prescindere dai "sentimenti" (in senso lato), non voleva scartare a priori l'emotiva ricerca umana dei principi più alti, la "sete di assoluto", che, come ho detto spesso, credo sia un auto-inganno credere di poter sradicare persino dall'inconsio, da cui influenzerà o già ha influenzato i pensieri anche dei pensatori più razionali.
Partendo da ciò mi sono immerso in tutto quello che potesse non solo farmi capire intellettualmente, ma anche cambiare coscienzialmente. Il risultato è stato comunque che, nonostante tutte le comprensioni e tutti i riorientamenti del propri punti di vista più profondi che avevo e che avrei potuto attuare, non avrei potuto approdare a niente di assoluto, né qualcosa di assoluto avrebbe potuto sostituire una qualunque condizione relativa. Non però perché l'Assoluto "non c'è", ma perché non può esserci più di quanto già non ci sia, in quanto "sostanza di cui sono fatti" tutti quei rapporti che chiamiamo oggetti ed eventi, sia fisici che mentali; e che l'unica cosa che può cambiare, diminuendo e riaumentando di volta in volta sempre diversamente, sono solo tali impressioni relative, che in quanto tali quindi non sono davvero eterogenee (per quanto alienanti rispetto al normale quotidiano possano talvolta apparire certe esperienze ad alcuni: basta pensare come ci appaiono le vite di alcune persone più religiose o più sregolate, o basta pensare a certi stati fisici e mentali, dal sonno alla morte).
Un commento che andava più in Tematiche Spirituali forse, ma che voleva mostrare come per alcuni come me non ci sia troppa differenza tra ricerche diverse (anche se questo è fonte di "accuse" divertenti nella loro incompatibilità: come dicevo, appaio ateo-materialista ai religiosi, ma appaio anche teista-spirituale ai meno religiosi...).

Jacopus

Se vuoi ti offro un ulteriore elemento di riflessione. L'assoluto, in psicoanalisi, è interpretabile come la nostalgia per l'età della prima infanzia, quando ogni richiesta minima del neonato è un ordine imperioso di intervenire, che sia fame, che sia sonno, che sia mal di pancia o voglia di coccole. Il cervello sperimenta in quei primi due anni di vita una condizione irripetibile di sentirsi al centro del mondo, una visione assoluta, anche per mancanza di conoscenza dell'altro. Da questo stesso modello interpretativo è riconducibile il mito dell'età dell'oro, replicantesi in molti miti, religioni e semplici credenze quotidiane (quando c'era lui...).
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Aumkaara

#54
Già, la conoscevo questa teoria, sia in riferimento allo stato infantile sia in riferimento a presunte (per me non esattamente impossibili) ere passate (e future) socialmente, scientificamente e filosoficamente più elevate.
È una teoria che vedo come vedo ogni altra teoria psicologica: molto probabilmente vera, ma comunque solo un caso specifico a cui non ridurre ogni spiegazione. Anzi, forse è vero il contrario, forse sono i meccanismi organici e sociali alla base dei suddetti comportamenti psicologici ad essere il riflesso di meccanismi più "ampi ed elevati" (non vedo molto probabile che i meccanismi più particolari, al massimo collettivi, sorgano e si mantengano casualmente ed indipendentemente, senza avere una controparte più universale e coordinatrice, senza per questo antropomirfizzare o personalizzare quest'ultima). Ma in ogni caso la sete di assolutezza non è esattamente la nostalgia di onnipotenza, che è più propriamente quella a cui si riferisce la teoria suddetta.
In ogni caso forse è proprio grazie a questo semplice meccanismo psicologico che l'essere umano mette in atto quello che probabilmente gli è più proprio: il cercare di andare sempre oltre, in tutti i campi, poco importa se poi scopre che l'oltre era il punto di partenza perché il percorso era ciclico: gli era comunque inevitabile procedere.

viator

Salve Aumkaara. Citandoti : "In ogni caso forse è proprio grazie a questo semplice meccanismo psicologico che l'essere umano mette in atto quello che probabilmente gli è più proprio: il cercare di andare sempre oltre, in tutti i campi, poco importa se poi scopre che l'oltre era il punto di partenza perché il percorso era ciclico: gli era comunque inevitabile procedere".

Infatti la curiosità umana è basata non sullo sviluppo dell'intelletto (non è il possesso di funzioni "superiori" a rendere curiosi, bensì l'essere "fondamentalmente" curiosi è ciò che ha permesso l'evoluzione cerebrale, mentale, culturale.

La curiosità, la soluzione definitiva dei problemi, in effetti sono atteggiamenti che dovrebbero infatti ripugnare alla razionalità, la quale razionalità - appunto in quanto tale - ci fa benissimo comprendere che il raggiungimento di un fine conclusivo non potrebbe che coincidere con la morte.


Alla base della umana curiosità, irrequietezza, dal mio punto di vista c'è l'avvenuta acquisizione della coscienza (e la genesi infantilistica citata da jacopus ne rappresenta appunto il versante filogenetico, riflesso di quello biologicamente ontogenetico) la quale apre il dilemma della "alterità" e della consapevolezza della morte (la quale è l'inaccettabile incomprensibile fine di un percorso (la vita) intrapreso il quale.......non si può avere una meta, un termine.

Di qui il nostro consapevole od inconsapevole aggrapparci all'unico comportamente che ci impedisca di "arrivare a destinazione" : la forzata circolarità dell'esistenza. Essa concilia l'eterna curiosità umana con l'unico tipo di percorso che ci evita accuratamente qualsiasi vero punto di arrivo. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Aumkaara

#56
Concordo, ma, a rischio di sembrare amante della controbattuta, e in questo caso anche dell'autocontraddizione, ci possono essere condizioni, diciamo intellettive, anche se i più spiritualisti direbbero coscienziali e forse direbbero meglio, in cui le circolarità possono essere "contemplate" quasi tutte di un colpo. "Quasi", perché anche in questo caso non voglio cadere in assolutismi di qualche tipo (magari perché in tali momenti di "visione dall'alto del circolo della vita" non ti sei astratto davvero dalla circolarità, ma sei solo in un tornante superiore di quella che si rivela essere una spirale, di cui mai avrai una visione completa), ma comunque non nego che possano esserci comprensioni "meno divenienti", meno relative quindi. E forse l'unica vera morte (lasciamo stare se in senso lato e non specificamente biologico, lasciamo l'argomento alla sezione scientifica, anche se un certo punto di vista filosofico può aiutare anche su quel fronte) potrebbe essere sinonimo di questi presunti momenti di visione più ampia e meno dipendente dalla temporalità, una morte sperimentata in modo ben diverso rispetto a quelle "interruzioni di percorso" che ci angosciano e che ci attendono di tanto in tanto quando percorriamo i percorsi circolari, e che forse mai incontriamo, sperimentandone solo l'angoscia, proprio perché sono solo curve di cui non vediamo il proseguio mentre percorriamo il circolo.

bobmax

Citazione di: Aumkaara il 29 Settembre 2020, 10:05:46 AM
come dicevo, appaio ateo-materialista ai religiosi, ma appaio anche teista-spirituale ai meno religiosi...

Questo è ciò che capita a chi ricerca la Verità.

Perché occorre aver fede nella Verità.
E ciò viene equivocato dall'ateo-materialista che lo interpreta come la conferma di una credenza religiosa.

Mentre allo stesso tempo questa fede è fede nel Nulla. E questo suscita orrore nei religiosi che la scambiano per ateismo.

Ma la fede nella Verità, che appare come Nulla, è l'unica autentica fede.

Ogni altra è solo superstizione.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Aumkaara

Io e te ci siamo capiti, perché probabilmente il percorso che abbiamo fatto era simile.
Però non so se siamo d'accordo se dico che oggi credo che il nostro percorso, che ha (o ha avuto) come meta la Verità (che non chiamo quasi mai così e ancora meno la chiamo Nulla, anche se sono comunque d'accordo su cosa vuoi intendere), in realtà sia altrettanto religioso, anche se in un modo che non è compreso dalla maggior parte dei religiosi. Credo così oggi perché non ho più come obiettivo tale Verità-Nulla, non nel senso che ho smesso di credere che essa sia il fondamento, ma perché credo che non si possa trovare, né realizzare, né svelare, più di quanto non lo sia già ora, che è esattamente come già lo era prima. Ora tutto quello che posso fare è cercare di relativizzare tutto ciò che a volte spontaneamente rischio di assolutizzare troppo, e cerco di farlo meglio di quanto riescono a farlo di solito gli "atei-matetialisti".

bobmax

Citazione di: Aumkaara il 29 Settembre 2020, 18:04:31 PM
Credo così oggi perché non ho più come obiettivo tale Verità-Nulla, non nel senso che ho smesso di credere che essa sia il fondamento, ma perché credo che non si possa trovare, né realizzare, né svelare, più di quanto non lo sia già ora, che è esattamente come già lo era prima. Ora tutto quello che posso fare è cercare di relativizzare tutto ciò che a volte spontaneamente rischio di assolutizzare troppo, e cerco di farlo meglio di quanto riescono a farlo di solito gli "atei-matetialisti".

Pure per me la Verità non è un "obbiettivo".
Infatti la ricerca non riguarda qualcosa da raggiungere, perché la Verità non può essere "qualcosa".
Il qualcosa è tale solo in quanto negazione di qualcos'altro.
Mentre la Verità non ha alcun "altro".

Sono convinto che il relativismo sia indispensabile.
Perché è l'esito inevitabile a cui giunge la mente razionale che brama il vero.

Tuttavia il relativismo è solo un passaggio necessario, non la meta finale.
Perché una volta accettatolo per davvero (e come ben dici non è affatto facile, in particolare per chi se ne proclama alfiere...) ci ritroviamo senza alcun appiglio a cui aggrapparci.
Solo su noi stessi possiamo contare.

E poiché la Verità è questione essenzialmente etica...
Solo noi, in perfetta solitudine, possiamo affermare che il Bene è!

Di modo che la ricerca della Verità conduce inevitabilmente, almeno per quel che mi riguarda, all'inferno.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

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